da La Repubblica, 22-4-2004, Pag. 42:

Il mito di Wu Ming 2 è un troglodita
"Guerra agli umani" scritto da uno degli autori dell'ex gruppo Luther Blissett di Loredana Lipperini

Prima di raccontare cos'è Guerra agli umani e perché bisogna leggerlo, vale la pena di andare indietro con gli anni fino al 2000, quando nacque la band, nel senso rigorosamente musicale del termine, dei Wu Ming. Occorre farlo perché Guerra agli umani, uscito presso Stile Libero di Einaudi (pagg. 306 € 14,00) può essere definito l'assolo di sax di Wu Ming 2, uno dei cinque scrittori che fa parte del progetto fin dalla nascita: ma porta in sé i temi, la poetica, la ritmica stessa del gruppo e delle opere fin qui prodotte. Ovvero, Q, ancora firmato con il nome multiplo di Luther Blissett, entrato nella rosa dei finalisti del Guardian First Book Award, e poi Havana Glam, Asce di guerra, 54 (ora diventato CD con le musiche degli Yo Yo Mundi), la raccolta dalla newsletter Giap! e, fra poco, il film Lavorare con lentezza, scritto con il regista Guido Chiesa e destinato a raccontare Radio Alice e il movimento del 77. Il prossimo assolo, sempre per Stile Libero, sarà New Thing di Wu Ming 1.
Quando ci si occupa dei Wu Ming, generalmente ci si sofferma sul nome che si sono dati e sul perché copre (ma non nasconde) le identità reali. Affascinante quanto si vuole, ma così si finisce col perdere di vista la strada che gli scrittori avevano già in parte percorso come Luther Blissett. Quella, da sempre indispensabile per le comunità degli uomini, di creare mito attraverso le storie. Storie che, scrissero nella loro prima dichiarazione d'intenti, raccontassero le zone d'ombra e recuperassero personaggi, luoghi, fatti marginali o dimenticati. Di qui la scelta, non soltanto narrativa, di non creare protagonisti assoluti, ma di dar vita ad una folla di comprimari dietro cui adombrare "l'anonima e brulicante moltitudine di eventi, destini, movimenti, vicissitudini". La figura di sfondo sull'affresco, per usare la felice definizione di Q, insomma.
Qui formalmente un protagonista c'è: si chiama Marco Walden, e all'inizio di un ottobre qualsiasi decide di trasformarsi in supereroe. Dopo lavoretti di pessima caratura, una delusione sentimentale, lo sgomento suscitato negli ambienti accademici dalle sue teorie su Disma (il ladrone crocefisso alla destra di Gesù), Marco decide di abbandonare Babilonia, ovvero la società dei consumi e del superfluo, per vivere come un troglodita, scaldandosi col fuoco (momentaneamente acceso con i fiammiferi), dormendo in una grotta, cibandosi di castagne, funghi e more. Ma non è solo. Pari dignità narrativa va infatti al nigeriano Sidney, costretto ad esibirsi come gladiatore nei combattimenti clandestini con i cani. E a Gaia, barista colta (fa credito soltanto agli avventori che leggono), rabdomante fai da te e appassionata proprietaria di un San Bernando a nome Charles Bronson. Poi, appunto, il coro: un terzetto di cattivi da noir dei bassifondi, i cacciatori e i bracconieri del paesino di Castel Madero, i raffazzonati ecoterroristi che, sulla scia di un libro di fantascienza che teorizza l'origine aliena dell'umanità, decidono di liberare la terra dai suoi abitanti a due gambe (ma per gradi. Cominciano mutilando le dita dei cacciatori). Non ultimi, un cinghiale a quattro zanne, detto il Facocero, che è fisicamente e irreversibilmente schiavo delle mele selvatiche. Più un lupo, di cui è bene tacere.
Vicende e personaggi si incastrano come in un buon film d'azione (e al cinema i Wu Ming guardano con passione: qui, per inciso, ci sono anche i titoli di coda). Ma i riferimenti sono assolutamente letterari. Marco Walden è la versione nuovissima del personaggio di Calvino, con lo stesso ostinato candore nel cercare nel caos della modernità la purezza della natura. Il nuovo Marcovaldo, però, non trova pace nemmeno nella foresta: sia perché, pur facendo a meno dell'acqua calda, non rinuncia al lettore CD, ma soprattutto perché la sua emulazione di Henry David Thoreau (secondo grande omaggiato dalla scelta del cognome Walden) è destinata al fallimento. "Nessun luogo vale un assedio": è il motto del supereroe troglodita. Il suo Eden è assediato da un cantiere per la ferrovia veloce e Marco è assediato dai suoi simili. Come scoprirà alla fine, il nomadismo mentale finisce con l'avere più senso, e forza, di quello fisico.
Ma non c'è nulla della parabola in Guerra agli umani: che, anzi, risponde perfettamente agli intenti di Wu Ming 2 di incrociare Voltaire ed Elmore Leonard, raccontando Candide con i toni della crime novel, condita di molta ironia e mai lontana dalla condizione militante della band. Che non va a risolversi soltanto nell'uso, per la stampa del libro, di carta prodotta con fibre riciclate sbiancate senza cloro (tra tutti gli scrittori che mesi fa firmarono il famoso appello per le foreste, i Wu Ming sono i primi a ottenere il risultato). Ma, soprattutto, nel rendere narrazione l'utopia. Come in un momento del romanzo, quando Marco sogna che un giorno scenderà in paese come un liberatore con il suo corteo di animali selvaggi: "Allora i bambini spegneranno il televisore e chiederanno ai matti di raccontare altre storie. Ognuno avrà qualcosa da insegnare. I fornai a fare il pane, i contadini a coltivare lattuga, gli imbranati a non prendersi sul serio. Poi la festa finirà, e il supereroe troglodita farà ritorno alla sua dimora, sulle montagne. Tutto sembrerà tornare come prima, finchè un bambino non farà cuocere la sua pagnotta, per offrirla allo scemo del villaggio in cambio di nuovi racconti".


Sezione "Guerra agli umani"
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