Dal settimanale Carta, 21-27 ottobre 2004, anno VI, n.39, www.carta.org

Umani vs. umani
Il primo romanzo di Wu Ming 2, esordio solista di uno dei membri del collettivo di scrittori
Una storia scritta come la fantascienza, reale come la vita che facciamo

Pierluigi Sullo

Dato che sono da tutta la vita un accanito lettore di fantascienza, quando ho cominciato a leggere "Guerra agli umani", l'esordio narrativo "single" di Wu Ming 2, membro del famoso collettivo di scrittori bolognesi, mi sono trovato subito a mio agio. Pian piano, sono entrato nel meccanismo narrativo - che all'inizio, confesso, mi sembrava un po' troppo metropolitan-precario - e nell'universo meta-sociale in cui si svolge il racconto.
La cosa mi ha confortato (oltre a indurmi a leggere in tutti i ritagli di tempo, come capita quando si vuole sapere "come va a finire"). Mi sarei sentito meno a mio agio, se la strizzata d'occhio con cui ogni scrittore si rivolge al lettore, talvolta facendo la faccia feroce e in altri casi sorridendo scioccamente, si fosse limitata a segnalarmi la contiguità del libro con il lavoro che faccio e le cose che penso del mondo e di come dovrebbe cambiare. Contiguità, per così dire, eccessiva, per quel che mi riguarda: perciò avrei avuto la sensazione, che spesso mi capita, di trovarmi "tra noi" che ci capiamo e che ci diciamo quel che ci consola un poco, immersi come siamo nella merda e nel sangue della guerra e di quel che l'ha scatenata.
Il numero 2, invece, ha appunto scelto - com'è del resto nelle premesse sue e del suo gruppo - un registro di racconto che allude alla narrativa cosiddetta "popolare", com'è la fantascienza, genere considerato "minore" dai letterati compatrioti, colpevoli con ciò di avere espulso dalla lettura un mucchio di gente e, per converso, di aver impedito in sostanza la nascita di una narrativa del reale senza essere "realista", amichevole senza essere sciatta, capace di mettere in scena la quotidianità senza essere banale. Insomma, il meglio che si può dire della narrativa nordamericana, come già sospettarono Cesare Pavese e Elio Vittorini.
Quanto alla storia, non la racconterò qui. Nonostante qualche tentazione - mi è parso - di cose alla "Pulp fiction" (dico nonostante, perché certe scene rischiano di rompere un ritmo più ironico-pacato), la folla di personaggi fa simpatia, nel senso etimologico: il ragazzo in fuga dalla precarietà della sua vita e in cerca di sobrietà assoluta in una caverna, l'animalista fuori di testa, la ragazza che tenta di usare l'osteria come mezzo per spacciare i libri, i nigeriani adoperati come carne da macello, i commercianti di schiavi, cocaina e piaceri proibiti e violenti, il piccolo popolo di cacciatori e bracconieri con le loro manie fuori tempo massimo, insomma tutta questa folla pare di famiglia.
Perché l'assurdità di quel che accade è perfettamente plausibile: come la polvere che tutti respirano e che proviene dai lavori per l'alta velocità, gli animali braccati, le televisioni che masticano e risputano persone e cose, pigrizie carabinieresche e le loro complicità con quel-che-c'è, il piccolo cinismo che diventa grandi crimini. Ovvero, per restare al punto, la "guerra agli umani", mossa implacabilmente da una maniera di vivere, o non vivere, concentrata in un piccolo punto dell'Appennino tosco-emiliano, il posto dove ciascuno di noi, come il protagonista del racconto, vorrebbe vivere, nell'illusione di scappar via, di essere da un'altra parte, di - per usare il titolo di cui i Wu Ming sono sceneggiatori - "vivere con lentezza".
Il complimento migliore che si possa fare al numero 2 e ai suoi compagni è che questo, come altri loro lavori, è proprio la cosa migliore per una tediosa attesa all'aeroporto, in attesa di un aereo il cui equipaggio, stremato da turni di lavoro infiniti e dalla minaccia della precarietà, si sforza pietosamente di sorridere in modo professionale. E uno pensa, alzando gli occhi dalla pagina: e se fossero anche loro, gli "assistenti di volo", dei personaggi di questo romanzo?

 


Sezione "Guerra agli umani"
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