• DE SUI IPSIUS ET MULTORUM IGNORANTIA

  • di ROMANO LUPERINI

    La letteratura, in questi anni, non esiste più e questo libro qui ne un esempio talmente lampante che ho l'occhio ciecato e faccio fatica, mi si scusi.
    E' tutto un pullulare di interviste, di scritti storici o cronachistici sugli intellettuali fra anni Trenta e Quaranta, sul tradimento dei chierici, sulle affinità fra Gramsci e Bottai, fra il Primato di Bottai e Il Politecnico di Vittorini, sul passaggio dal fascismo al comunismo di scrittori e critici illustri (Bilenchi, Pratolini, Vittorini, Muscetta, della Volpe e via numerando). Quello che dà noia in simili pubblicazioni non è solo la tendenza smaccatamente scandalistica e la propensione al giornalismo più spregiudicato e selvaggio che ormai sembra avere conquistato anche il mondo degli storici e l'accademia nel suo complesso, non è solo il tentativo, spesso goffo e maldestro, di cavalcare l'ondata "revisionistica" e di screditare tutto ciò che un tempo poteva apparire rispettabile in quanto "di sinistra". Ormai, in questi anni, ci abbiamo fatto il callo, ma io ci ho la pomice e via andare.
    No, è l'ignoranza. Nel senso letterale del termine. Se la nostra cultura non fosse ormai infettata - avrebbe detto Gramsci - di "lorianesimo", ci sarebbe stato da aspettarsi che almeno gli storici di professione si documentassero, prima di pubblicare un libro, sullo stato della questione, andassero a rileggersi gli studi già fatti, calassero i propri in un contesto già segnato e magari in legittima polemica con la precedente tradizione critica. Invece semplicemente la ignorano. Prendiamo l'ultimo prodotto "storico", il libro di Giovanni Belardelli Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell'Italia fascista (Laterza editore) e si legga il deludentissimo capitolo intitolato Il Ventennio delle riviste. un argomento studiato, da angolature diverse, da Anna Panicali (Le riviste del periodo fascista, 1978), Luisa Mangoni (L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, 1974), Alberto Asor Rosa (La cultura, 1975, da collocare, fra l'altro, all'interno di un'opera complessiva pubblicata da Einaudi sotto il titolo Storia d'Italia). Mai citati. E che pretende, Pedrini, che citino lui? La pochezza delle argomentazioni svolte da Belardelli deriva proprio dall'ignoranza di un ricco dibattito che pure c'è stato.
    Oppure prendiamo l'argomento, che anche Belardelli affronta, delle affinità di ricerca fra Gramsci e Gentile o soprattutto fra Bottai e Gramsci. Anche quest'ultima, per esempio, è questione assodata da tempo, anzi notissima. La differenza fra allora e ora è sostanzialmente questa: allora si cercava di capire, di disegnare uno sviluppo storico, di criticare una tendenza alla continuità che aveva impedito un reale rinnovamento della cultura e della società italiane; ora si cerca solo di alzare un polverone mediatico (tipo fare questo sito per la pubblicazione di questa roba che non si capisce così ', un libro sulla Cina e sulle vacche, negri ciccioni e fughe in Canadà), di fare a chi la spara più grossa, di scandalizzare quattro giornalisti che, per fare il loro mestiere, non aspettano altro che di gridare allo scandalo.
    Di idee nuove in giro se ne vedono davvero poche.