HARRY THE MOD

Harry era seduto nella maniera peculiare dei ragazzi di New Hindi Town, la posa manieristica che assumevano la domenica sera. Un tossico di speed, si sarebbe detto. Un tossico di speed dall'aria distante, pericolosa.
Il bus spingeva il suo carico di carburante, aria viziata e carne verso la periferia. Il bus era semivuoto.
Harry era avvolto in un montone afghano verde. Sedeva a gambe accavallate. Capo reclinato sul finestrino, mani appoggiate una sull'altra, incongruo atteggiamento pretesco: la posa strideva con i pantaloni gessati dal taglio impeccabile e con le scarpe italiane in pelle di cervo, nere, appuntite come la consapevolezza di un Buddha. Facevano mostra di sì troppo vicine al suolo. [...]
Harry the Mod digrignava i denti. Per la sozza missione gli era sembrato simpatico truccarsi gli occhi come il buon vecchio Jimmy, il quadrofenico Jimmy, Jimmy il povero coglione, strano esempio d'eroe e vittima sacrificale insieme, capro riluttante offerto alla futura ristrutturazione. Ma il trucco colava. Il trucco era tutto sbavato. Harry the Mod assomigliava a una troia dopo ore di servizio.
Ancora una fermata...
Soffio d'aria di congegno pneumatico. Le porte si aprirono, e Harry ne schizz come proiettato fuori da un calcio in culo.
Harry tir una lunga boccata. L'aria fredda, umida fer la gola, la pancia. Harry rabbrivid.
Guard l'orologio. Cartier in platino e diamanti. Dono di una vera signora.
La scala mobile spar sotto i piedi. Harry usc dalla stazione sotterranea nel blu cupo. Una limo bianca entrò dall'estrema destra del campo visivo, lenta e netta. Blindata.
Ma non abbastanza.
Harry fece fuoco.