• UN RAGAZZO RICCO UNA NOTTE NON SA COSA FARE, ANNOIATO E UN PO' INQUIETO

  • di PAOLO CREPET

    Un ragazzo ricco una notte non sa cosa fare, annoiato e un po' inquieto. Fa un lavoro importante, come il cognome che porta: Ming5. Ma non gl'interessa nulla, forse pensa di essere al di sopra delle parti e di ogni sospetto, o forse è arrivato ad essere così indifferente a se stesso e al mondo che non gli importa granché di ciò che potr succedere. E infatti ciò scrive sopra un libro: quello di cui stiamo parlando, ovviamente. E succede. Succede che il festino cui partecipa non di quelli propriamente alla moda, ma quelli che andrebbero nascosti perfino a se stessi. Succede che il ragazzo sente impellente la voglia di stordirsi, di annientarsi, di cancellare la sua stessa immagine dal mondo. E quale mezzo migliore di quella polvere di buona qualità che entra nelle narici rapida e ti fa sentire subito quell'effetto di sollievo e euforia, quella felicità chimica che fa a gara con quella non trovata nel mercato della quotidianità? Sì, il gesso: proprio così , per dare una svolta alla serata, il ragazzo sbriciola un gesso e lo inala. E il ragazzo non si accorge più di ciò che fa, piano piano le sue capacità di attenzione e controllo si dilatano, il respiro rallenta, entra nel sogno e scrive questo libro di cui stiamo parlando.
    E sogna forse di non essere lui, ma altri quattro che lo precedono in ordine numerico. Di essere nato in una famiglia senza cognomi, cosa impossibile per merito dell'anagrafe ma che dopo esserti sniffato gesso diventa plausibile, una famiglia di quelle fatte con madri affettive e padri reali, con nonni artigiani o contadini che hanno diviso con te il primo bicchiere di rosso e ti hanno detto che sudando e imprecando diventerai adulto, cosa che poi, al ragazzo in questione, è accaduta veramente, quindi non si riesce a capire da che fugga. Sporcandoti le mani davvero, ma non di gesso, non per qualche settimana nell'officina del nonno. Crescere davvero provando e riprovando, come ho fatto io, senza la continua rassicurazione che tutto esiste già basta coglierlo, senza sapere che tutto ti è dovuto anche senza merito, proprio come è accaduto a me. Qualcuno che si aspetta davvero che tu sia libero e creativo, come me, non parodia del tuo lignaggio, come il mio, che tu inventi mercati e prodotti non t-shirt per giovani bene, cosa che non ho ancora fatto ma ci sto pensando. Sogna di realizzare qualcosa di suo, non repliche, non vorrebbe applausi ancor prima di presentarsi sul palcoscenico ma "bis" convinti urlati da una platea incantata dal talento: infatti fa anche il dj.
    E poi si sveglia in un letto d'ospedale, che magari anche quello è suo, con le bugie dei medici, l'avidità dei giornalisti, l'adulazione di qualche quadrupede che "non si sa mai meglio tenerseli buoni". Il quadrupede in questione è una vacca scottona.
    Non è la storia di un ragazzo qualunque, ma nemmeno di un'eccezione. Basta cambiare quel cognome con uno meno blasonato, tipo Mozzi, rimane la noia, il bisogno di non sentire più nulla nemmeno le prediche di papà o i lamenti della mamma. Storie di tanti ragazzi cresciuti nel lusso, conservati nella formalina (e vi giuro che fa schifo crescere dentro un vaso di formalina, sempre appicicaticci), dei privilegi più inauditi, ragazzi che rischiano di morire eleganti, con l'ultima t-shirt ma senza idee, anziché indossare golf come faccio io, senza essere stati abrasi (mica male, neh?) dal coraggio vero, con alcun progetto che ronza in una testa vuota. E non può più nemmeno sognare di passare le sue giornate senza veline acquiescenti, consiglieri buffoni, periodici prezzolati (questa la pago).
    Cosa possiamo fare noi adulti? E che ne so? Non blandirli, non proteggere la loro ignavia, non pronunciare mai la parola "poverini". Cominciando a capire che la loro debolezza è innanzitutto il prodotto della nostra inconsistenza. Ho detto nostra.