/quasi/giap/ - Botta e risposta con la comunità giapster - 06 giugno 2003

1. A proposito di centri sociali e centrosocialismo [risponde WM1]
2. A proposito del rapporto tra "belle parole" e realtà dei fatti [risponde WM4]
3. A proposito di maschile e femminile [non risponde nessuno, ma la riflessione prosegue]
4. A proposito del governo, della destra, di anticomunismo e comunismo [risponde WM1]
5. A proposito di letteratura aperta e racconti open source [risponde WM2]
6. A proposito del Black Bloc [risponde WM1]


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<<Caro Wu Ming, una nota di protesta relativa a "WHY NOT SHOW OFF ABOUT THE BEST THINGS? A Few Quick Notes on Social Conflict in Italy and the Metaphors Used to Describe It [*]. Attualmente vivo in Scozia fuggiasco dall'insostenibilità del nord-est padano. Non ho a disposizione i vostri mezzi dialettici linguistici ma vorrei esprimere alcuni dubbi riguardo all'articolo succitato nella sezione 3 ("Sedimentation"). Non credo che l'eccessivo rilievo dato ai centri sociali, soprattutto dopo aver parlato nell'articolo dei milioni di persone in piazza, sia oggettivo. Per uno straniero che legge l'articolo le due cose sembrerebbero strettamente e indissolubilmente collegate, cosa che credo non sia realistica. I milioni di persone in piazza credo le portino ancora i sindacati, le associazioni e l'esasperazione non certo i centri sociali [...] volevo consigliare (e lo farò) il Giap digest a persone locali e anglofone e l'articolo in questione mi sembrava un buon modo per far capire cosa sta succedendo in Italia ma il paragrafo incriminato lo trovo assolutamente fuori luogo e soprattutto non "vero". Immaginate uno straniero che lo legga, quando verrà in Italia rimarrà piuttosto deluso. Oppure invitatelo nei Centri Sociali degni di tale nome. Mi piacerebbe sinceramente avere un vostro riscontro, tempo permettendo. Grazie per l'attenzione e per ciò che fate, i vostri piani di discussione sono sicuramente elevatissimi, ricordatevi anche di noi ignoranti.>>

Enrico, 30 maggio 2003


[WM1:]
Capisco che, avendo come esempio concreto la situazione da cui provieni, la tua immagine dei centri sociali sia un po' schiacciata sul "centrosocialismo reale", tara antropologica che noi per primi abbiamo contestato dalla notte dei tempi (lo slogan di partenza del Luther Blissett Project fu: "Non più un uomo né un soldo per il centrosocialismo reale").
Ma - a parte il fatto che nel capitolo "incriminato" non c'è assolutamente scritto che i milioni di persone le portano in piazza i centri sociali - sarebbe assurdo negare che i centri sociali sono una delle "anomalie italiane" più evidenti, tant'è che in quella forma sono del tutto inesistenti nel resto d'Europa.
Sarebbe assurdo negare che è importante far capire agli "stranieri" che ruolo hanno svolto i centri sociali, che esistono da trent'anni e sono riusciti a diventare una presenza endemica nelle città.
Non si può negare che dal punto di vista linguistico, musicale, visivo etc. i centri sociali abbiano influenzato la cultura pop italiana fin da quando ho raggiunto l'età della ragione. Dove si sono accesi i focolai del punk? Da dove sono passati l'hip-hop italiano, lo ska revival etc.? E tutta la cultura alternativa delle reti non è cominciata con ECN quando ancora era BBS ospitata al Leoncavallo, e con l'area "Cyberpunk" di Fidonet, gestita da dentro Conchetta?
Sarebbe assurdo negare che le ultime due-tre generazioni di movimento hanno attraversato in mille modi i centri sociali, c'è chi vi si è addirittura formato dentro, e non parlo di realtà ossificate come i "centri sociali del nord-est", parlo di centinaia di posti sparsi per l'Italia, alcuni hanno avuto vita breve, altri durano dai primi anni Settanta.
Ad esempio, non si può negare che in tutta Italia i Social Forum, nella loro fase alta, si siano formati in simbiosi coi centri sociali.
Non si può negare che i centri sociali siano stati, anche e soprattutto negli ultimi tre anni di movimento, un'infrastruttura fondamentale.
Noi siamo impietosi con quel tipo di percorsi, ma non ha senso autocensurarsi ed evitare di valorizzarne gli aspetti positivi in un testo rivolto a chi non li conosce.

*) "Why Not Show Off About The Best Thing* è disponibile solo in inglese e si trova qui
http://www.wumingfoundation.com/english/giap/giapdigest18.html



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<<[...dopo aver stralciato da "Le vie dei canti d'Europa" (cfr. l'ultimo Giap) le tre proposte di articoli per la Costituzione europea che le tute bianche volevano portare al vertice di Nizza...]
LA MIA NON è UNA DOMANDA né RETORICA né MALIZIOSA... MA MI SEMBRANO CASTELLI IN ARIA UN PO' TROPPO VERTIGINOSI E STRAMPALATI QUESTE PROPOSTE... COME TUTTI I CASTELLI IN ARIA BELLE, MA SENZA BASI. COME SAREBBE POSSIBILE ATTUARLE?? CONFIDO IN UNA RISPOSTA! [...]
Vanessa, 3 giugno 2003

[WM4:]
Dici "campate in aria".
Questione di punti di vista. Però vorrei farti presente che:
1) Nello spettro delle organizzazioni non governative e sindacali (quindi non circoli di poeti radical chic, per intenderci) esistono posizioni che "per approssimazione" muovono nella direzione di cui al fantomatico articolo 1 a cui facevo riferimento.
Confronta i seguenti articoli sull'Unità on-line di oggi:
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=26263
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=26266
2) Sul "redditto di cittadinanza" si dibatte ormai da oltre un decennio. Soluzioni "pratiche" ancora non se ne sono trovate, ma risulta ormai evidente a tutti gli studiosi di giuslavorismo che il futuro del lavoro nell'era post-fordista dovrà sganciare il redditto dal lavoro erogato. Chi vivrà vedrà.
3) Per quanto riguarda il terzo articolo, l'Europa ripudia già la guerra in ogni parte del mondo. Almeno, stando ai sondaggi e a quanto si è visto negli ultimi mesi, l'80% della popolazione europea si è espressa in tutte le occasioni e in tutti i modi contro la guerra che l'America ha scatenato contro il mondo. Dunque si tratterebbe di sancire sulla carta quella che è una semplice realtà di fatto.


3-----------------------

[follow-up della discussione su letterature [e] femminile, partita qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/hellbound.html#femminile
e proseguita qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/Giap3_4_IVa.html#femminile
 Al termine di un botta e risposta, Monica ci aveva suggerito di leggere il libro King, Warrior, Magician and Lover (non l'abbiamo ancora fatto). Di contro, WM1 e WM2 avevano proposto alle interlocutrici di leggere, rispettivamente, Modi bruschi: Antropologia del maschio di Franco La Cecla, Bruno Mondadori, 2000 e Claudio Risé, Il maschio selvatico, RED editore, Como 2003.]

Ho fatto i compiti: mi sono letta sia La Cecla che Risè, apprezzandoli molto entrambi. La Cecla l'ho trovato molto bello nell'inizio, ma un po' disperso e nebuloso a metà, con un finale nuovamente interessante. Risè invece l'ho trovato assolutamente fantastico dall'inizio alla fine. Il maschio selvatico è cugino di primo grado di King, Warrior, Magician and Lover, che penso potrà piacervi.
L'unica minuscola cosa che mi sembra sia sfuggita a Risè è il paragrafo su Huck Finn, dove dice che nel mondo attuale questo ragazzo non sarebbe un modello ma un emarginato perché troppo in basso nella scala sociale, non realizzando invece che tutto il business giovanile che muove il mercato abbigliamento/accessori statunitense, (e quindi anche il "nostro"), col suo indotto musicale, poggia oggi sulle scelte di gusto degli afroamericani (di livello sociale pari a quello di Huckleberry) che, pur non ricavandoci una lira, decretano cosa è cool e cosa è cheesie.
In finale comunque questo nostro battibecco sulla scrittura femminile mi è stato molto utile per sistematizzare alcune riflessioni che mi giravano in mente da un po' , che condivido con voi.
Un tempo eravamo organismi monocellulari, poi pesci, poi anfibi, poi animali terrestri, adattandoci all'ambiente, trovando cibo, accoppiandoci. Siamo arrivati a diventare esseri umani perché ci siamo riprodotti, perché la volontà di vita si consolidava in comportamenti che nella ripetizione diventavano istinto, "patrimonio", e diventati tali ci garantivano la sopravvivenza e la  continuità di specie. Non si può pensare alla razza umana senza questo, né l'antropologia né la psicologia si reggono se non torniamo alla memoria dell'istinto animale. Facendo esempi banali, mi vengono in mente certe funzionalità maschio/femmina tipo la capacità femminile di fare più cose contemporaneamente (indispensabile per l'animale donna allattatrice/curatrice
dei cuccioli e allo stesso tempo attiva nella gestione delle attività famigliari) e quella maschile del coraggio mischiato a un po' di spietatezza, indispensabile per affrontare la caccia e la lotta per la supremazia sul territorio, fino alla semplice funzionalità sessuale del maschio, che deve avere un appetito tale da garantire che l'accoppiamento avvenga cogliendo il brevissimo attimo fertile della donna nel suo ciclo riproduttivo mensile, per non parlare di tutto il nesso proto-psichico dell'uomo penetrante e la donna ricevente, l'uomo che entra e la donna che può solo accogliere, con tutto il sequitur psichico che ne consegue. Non penso che questi ruoli siano fissi, ovviamente, o comunque non più oggi, ma penso che sia fondamentale ricordare che siamo anche istinto, anche memoria di questo codice di sopravvivenza animale che ci ha portato ad essere così ingombranti sulla terra, e bisogna ricordarsene soprattutto adesso che, almeno nel mondo occidentale, lo sviluppo sociale ha messo in campo mille altre forze eterogenee (una di queste lo sviluppo tecnologico) che sovvertono la linearità dei comportamenti istintuali perché rendono uomo e donna più autosufficienti e quindi meno interdipendenti gli uni dagli altri.
Questo significa che il sostrato inconscio dei comportamenti istintivi di uomo e donna non è più così chiaro e definito nella società attuale perché una serie di funzioni precipue della femminilità e della mascolinità hanno tecnicamente meno importanza e quindi certi ruoli si sono mischiati. Sono d'accordo con La Cecla quando dice che questo ha creato dei problemi di identità, non solo per l'uomo ma anche per la donna, ed è interessante l'analisi del fatto che nelle società primitive in genere c'è una predilezione per l'assegnazione di certi compiti sociali o all'uno o all'altro sesso, piuttosto che la commistione dei compiti. Ma in effetti l'antropologia, pur essendo una materia veramente interessante, riesce a fornire esempi di tutto ma anche del contrario di tutto, e quindi non mi sembra che possa dare risposte univoche e... definitive ai quesiti psicosociali forniti della nostra elaborata società occidentale, molto piú complessa, sfuggente e dinamica.
Tirando le somme, mi pare che in occidente l'uomo abbia perso una serie di certezze comportamentali perché la donna ha preteso una socializzazione delle competenze, e si è appropriata del sapere scientifico e tecnologico, femminizzandone alcuni aspetti, anche se non abbastanza, a mio avviso, nel senso che la donna mantiene un atteggiamento di inferiorità nei confronti dell'uomo dal momento che si modella su certi suoi comportamenti e ne imita certi approcci, entrando in competizione con l'uomo perché ne vuole usare lo stesso codice, con la stessa ansia di prestazione. Per di più, la competizione è esacerbata dal fatto che visto che la donna è stata considerata intellettualmente (oltre che spiritualmente) inferiore per secoli, nel suo attuale processo di emancipazione ha anche il vantaggio della squadra di serie B in Coppa Italia partendo sfavorita, se vince fa sempre un figurone, e questo crea un ulteriore motivo di frustrazione maschile.
Ho la sensazione che viviamo una fase di transizione in cui non si è ancora ben capito che fine dobbiamo fare. Penso che l'uomo debba restare maschio e la donna femmina, ma con reciproco rispetto, da pari a pari. Bisognerebbe che si ragionasse profondamente sulle differenze, e che le differenze fossero considerate una ricchezza, una biodiversità psicosessuale in cui gli aspetti di diversità vengano reciprocamente accolti e valorizzati. Non è accettabile dire che uno non legge libri scritti da donne, perché sta facendo un uso competitivo e prevaricatore di un punto di vista che espresso con "il genere di letteratura che preferisco e di cui apprezzo di più le caratteristiche è in genere scritto da autori maschili" è semplicemente un dato di fatto neutrale, forse un po' limitato, ma neutrale. Non c'è una differenza enorme sul piano espressivo, lo so, ma c'è tutta la differenza del mondo sul piano dell'atteggiamento mentale, che è antagonista. Chissenefrega di definirlo maschilista, il problema sta nell'antagonismo. Può esistere un rapporto uomo-donna non antagonista? Non ne ho la più pallida idea. Sicuramente la strada non è quella in cui l'uomo si mostra meno "potente" per far sentire la donna meno "debole", che è forse la richiesta femminista, che riconsegna però alla società un uomo debole a una donna astiosa e rivendicante. Bisognerebbe cambiare di segno all'invidia trasformandola in ammirazione, smettendola di cercare il superiore e l'inferiore.
Uno dei modi più carini e ficcanti che ricordo per esprimere questo concetto di diversità usata come ricchezza invece che competizione è nel film "Prima dell'Alba", interpretato da una Julie Delpy reduce dal "Film Bianco" di Kieslowski. La sceneggiatura è stata guardacaso scritta a due mani da una donna e un uomo, e il senso del film lo esprime con chiarezza la protagonista quando dice che non crede in dio ma crede che se dio esistesse non starebbe in lei o in lui, ma nello spazio tra di loro, nello sforzo di comprendersi. Lo sforzo, non il conseguimento della comprensione. Donne da Venere e uomini da Marte, ma siamo condannati ad amarci perché altrimenti ci saremmo estinti.
mil besos>>
Monica, 04 giugno 2003



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<<A proposito di Libero, beati voi che riuscite a riderci sopra, io sono al contrario molto, ma molto preoccupato. Stiamo assistendo ad una campagna diffamatoria contro il Comunismo che non ha eguali nella storia del nostro paese, tranne che nel periodo del fascismo (meditiamo gente meditiamo). Il Comunismo italiano è una minoranza, ma la continua diffamazione di cui è oggetto da questo governo, e sopratutto dal suo presidente, il quale è un farabutto, inoltre, proprio perché non porta rispetto per il 5% di parlamento che si riconosce nel Comunismo, e che lui, nolente o dolente, ha il dovere di rispettare, proprio per il ruolo che ricopre. Fino a pochi anni fa, nessuno avrebbe pensato che il fascisti potessero tornare a governare questo paese, eppure oggi sono al governo. Fino a pochi anni fa nessuno pensava che si sarebbe potuto paragonare i morti fascisti con i morti della
resistenza, eppure sono due anni che il 25 aprile subisce feroci e pericolosi attacchi. Fino a oggi nessuno pensa che si potrà riscrivere la storia del '900 italiano, eppure se andiamo avanti di questo passo domani leggeremo sui libri che i Comunisti in Italia hanno tentato di portare una dittatura, che erano tutti delinquenti e assassini, e che invece il fascismo ha portato la democrazia, che allora si chiamava civiltà, in Africa! Si, ragazzi, sono preoccupato, perché questi c'è la stanno facendo sotto il naso, perché questi sono dei Brutti Ceffi, con i quali bisogna stare molto in occhio, ieri seguivano la civiltà germanica, oggi seguono la "democrazia" dell'amministrazione Bush, ma la loro tolleranza è zero! Ma la cosa che mi fa preoccupare maggiormente e che dalla parte dell'opposizione, cioè quelli che dovrebbero essere dei "nostri" abbiamo dei personaggi meschini che si vergognano del loro passato in falce e martello, io non pretendo che si debba essere governati dai Comunisti, ma l'idea che nel Tripolarismo
italiano, perché l'Italia è T-R-I-P-O-L-A-R-E, i Comunisti possano essere sempre presenti, mi fa dormire più tranquillo. Un giornale come Libero andrebbe denunciato, non perché la pensa in maniera diversa dalla mia, io amo la pluralità di pensiero, e in quanto rifondarolo so che rappresento una minoranza, ma perché quella di Libero è una campagna diffamatoria ben organizzata al fine di generare odio e avversione contro chiunque sia, o porti memoria del Comunismo. Feltri non è né stupido né ignorante, sottovalutare l'avversario ha portato Bologna in mano alla destra, e l'Italia in mano a Berlusconi, ma è stramaledettamente furbo oltre che abbindolatore, e quello che a noi fa ridere, o che a noi sembra ignoranza, in realtà è sapientemente escogitato per meglio penetrare nella mente dei lettori del suo giornale, che è gente ottusa e pericolosamente ignorante, ma quando legge ciò che scrive il "Signor" Feltri ci crede, e ci crede ciecamente. La disinformazione in Italia, come nel resto del mondo ex-democratico, è un problema reale, da non sottovalutare, voi scrivete libri, il che va benissimo, ma sapete meglio di me che la gente non legge molti libri, la gente guarda la televisione e pensa: "Beh, mo come, l'hanno detto persino alla televisione?!!W. Eccolo il pubblico di Feltri! Ma ribadisco, vergogna a Rutelli, Fassino, D'Alema, che per l'ipocrisia di salvare una poltrona accettano di buon grado che il Comunismo venga tacciato di ogni male, e che il fascismo, "...si in fin dei conti appartiene al secolo scorso."?!?
Non so cosa possa pensarne Vitaliano, ma voi che avete modo di sentirlo, credo, come avrebbe detto mio nonno, sia d'accordo nel dire: "Boia d'un mond ladar!"
Occhio ragazzi, un saluto>>

Massimo, 04 giugno 2003

[WM1:]
Una precisazione: a Bologna tre anni fa non vinse la destra per via di una "sottovalutazione" dell'avversario, bensì perse la sinistra, per via dell'astensione di protesta di 20.000 dei suoi elettori, disgustati da cinque anni di giunta Vitali (tecnocratica e arrogante), e da una campagna elettorale che inseguiva la destra sui temi della sicurezza e della microcriminalità. Guazzaloca & Co. hanno preso i voti che avrebbero preso comunque, la loro non è una vittoria, nemmeno se l'aspettavano, e infatti hanno malgovernato, anzi hanno non-governato, proprio perché non si erano preparati a governare. Oggi il malcontento li investe, anche da parte di chi li aveva votati.
Secondo me il problema dell'approccio alla destra e a B*******, anche a livello nazionale, è proprio la "sopravvalutazione", il dipingerli più forti e intelligenti di quanto siano realmente, ponendo tutto l'accento dell'analisi sui loro punti di forza anziché sulle loro sempre più evidenti debolezze.
La coalizione di governo si sta inesorabilmente sfasciando, tutto l'ambaradan sulla Cirami non ha fermato le condanne a Previti e compagnia, la Casa delle Libertà ha perso due amministrative di fila (e lo dico con lo spirito di chi guarda la Scala Mercalli sapendo che essa misura gli effetti ultimi del terremoto ma non è il terremoto). Inoltre il governo ha perso due ministri e tre sottosegretari in meno di due anni, ha avuto l'opinione pubblica platealmente contro nei giorni della guerra (e infatti, pur volendolo disperatamente, non ha potuto dare pieno sostegno alla "Coalition of the willing"), è addirittura stata messa in minoranza su alcune leggi-chiave come quella sull'assetto dei media nel paese, ha aumentato a dismisura la conflittualità sociale (cosa che al padronato non fa certo piacere) senza peraltro riuscire a togliere l'art.18 ai lavoratori, sta scontentando tutti, ma proprio tutti (come dimostra l'esposizione di Fazio di qualche giorno fa) con una politica economica da cioccolatai di surrogati, ha contro la stampa conservatrice internazionale e l'opinione pubblica europea... Se aggiungiamo che l'Italia è stata sbattuta fuori dai Mondiali in Corea e Giappone, cosa che ha impedito almeno in parte la narcosi, e quindi tutti abbiamo avuto i riflessi più pronti...
Tutto ciò è merito anche e soprattutto dei movimenti sociali e della loro Primavera, del cambiamento climatico, dell'egemonia culturale dal basso. Tutti i tre i guerrafondai d'Europa (Aznar, Blair e B*******) hanno perso la prima consultazione elettorale del Dopoguerra iracheno, ma mentre in Spagna e Gran Bretagna tutti gli osservatori seri hanno collegato tali sconfitte all'aver stoltamente impattato col movimento pacifista, qui in Italia non lo ha fatto notare nemmeno l'opposizione.  E invece è proprio su queste cose che dovremmo porre l'accento, altrimenti facciamo soltanto dello sconfittismo.
A mò di osservazione finale sul comunismo, che tu citi sempre con la maiuscola reverenziale e in un'accezione che mi pare molto diversa dalla mia, riporto qui alcuni passaggi tratti dal libro di Erri De Luca Lettere da una città bruciata (edizioni della Libreria Dante 6 Descartes, Napoli, http://www.dantedescartes.it):
"La nostra vita per un bel mucchio d'anni è stata comunismo: soldi di tutti ma non estratti a forza come un'imposta, dati invece da ognuno secondo volontà e pudore; soccorso a chi era in carcere, in ospedale, in latitanza, in bisogno. Le case: di tutti e specialmente le cucine; gli amori tutti possibili, persone povere con ricche, brutte con belle, analfabete con erudite, sposate e no... Chi ci può venire a dire che comunismo è stata presa di potere, polizia segreta, dittatura, Gulag: noi siamo stati niente di questo e molto di tutt'altro, allora e lì, senza nascondigli. Non abbiamo preso il potere, non era affare nostro il potere. Noi lo abbiamo inceppato per oltre dieci anni, non per prenderlo, ma per vivere dentro quel frattempo, estendere la comunità, mentre i poteri scatarravano di freddo."
Dopo aver parlato di come una sera la popolazione della Garbatella, a Roma, protesse il movimento in ritirata e scacciò dal quartiere i celerini tirando suppellettili dalle finestre, De Luca scrive:
"Per una notte quel territorio era la libertà ottenuta, il comunismo avuto tra un tramonto e un'alba. Non ci credi, non posso chiamarla così una notte di fuochi e lampadine accese? Dammi torto, non l'ho capito mai il comunismo se non era quella comunità coinvolta, capace di contagio, di suscitare affetto e furia nel popolo d'intorno, che produceva gesti non chiamati, non voluti, solo fraternità brusca, efficace e sciolta subito al mattino, con un saluto indelebile. Ne avremmo avuti ancora di comunismi lunghi notti intere."


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<<Il vostro racconto [La ballata del Corazza] è "open source" ma non "letteratura libera" [concetto parallelizzabile a "Free software"] (non ho la libertà di redistribuire le copie da me modificate, giusto?).
Inoltre voi invitate a mandare a voi le modifiche e dite che raccoglierete le modifiche più convincenti.
Propongo esperimento: stesso racconto (punto di partenza) e due modi di evolvere diversi.
1. uno open source (licenza tipo Apache voi fate le modifiche, le inviate a noi e noi decidiamo se e come inserirle)
2. uno free software (letteratura libera, licenza tipo GPL) c'è una pagina wiki con il testo, chiunque la può modificare (anche in maniera anonima) come preferisce [senza intermediari o controlli su qualità o altro].
ho iniziato esperimento 2 qui:
http://zwiki.org/LaBallataDelCorazza
(purtroppo non sono riuscito a mantenere la grafica del racconto originale, ad esempio per le mail inviate, servirebbe un wiki wysiwyg)
Sarebbe interessante vedere come lo stesso scritto evolve in maniera differente in conseguenza dei due diversi mezzi di "amplificazione del sapere".
Da parte mia credo che il modello centralizzato, sebbene a prima vista più efficiente (un solo punto di controllo, impossibilità di più versioni concorrenti diverse), non possa funzionare in quanto tarpa la creatività, è lento e non scala (se riceveste 5000 commenti al giorno, li potreste leggere tutti? L'intelligenza collettiva è collettiva perché non ha punti unici di controllo).>>

[WM2]
Ciao,
intanto, molte grazie per l'interessamento e per il contributo al progetto. Nel prossimo Giap! metteremo senz'altro il link alla pagina wiki del Corazza. Stiamo a vedere cosa succede.
Solo due precisazioni, en passant:
1) Puoi ridistribuire come ti pare le copie che modifichi. cioè, se tu fai una tua versione del Corazza, e ti va di metterla on-line da qualche parte, puoi farlo senza problemi, basta che indichi la clausola finale e, magari, la firma del brano originale (ma quest'ultima cosa non sei nemmenòobbligatò a farla, è puro fair-play...)
2) Sono d'accordo con te riguardo l'impossibilità di leggere e ponderare 5000 contributi al giorno. In linea di principio, la versione Open Source del racconto ha questo limite, che è 'di principiò (perché sulla base dei passati esperimenti sappiamo più o meno che tipo di partecipazione hanno queste cose), ma non per questo meno cogente. Non sono d'accordo, invece, sul fatto che il modello OS finisca per tarpare la creatività, bloccando il processo collettivo con un unico punto di controllo.
Iliade e Odissea sono esempi di scrittura collettiva, di intelligenza collettiva, di grande creatività, con un solo punto di controllo. Più o meno TUTTI i romanzi si avvicinano o si allontanano da questo modello. Qualsiasi creazione è un processo collettivo, anche se ha un unicòautore/ricombinatore finalè.
Piuttosto bisognerebbe rendere visibili a chiunque le proposte di modifica, così che ognuno - se è interessato - possa fare le sue prendendo spunto da quelle. Dopodiché , sul sito di Wu Ming ci trovi la versione modificata da Wu Ming sulla base dei suggerimenti collettivi, mentre nella cartella documenti di Gianni ci trovi la versione modificata da Gianni. E nessuno poi impedisce a Gianni di renderla pubblica, come versione anonima o firmata Giannìs cut.
L'ideale cui vorremmo tendere - dopo questo esperimento senz'altro imperfetto - è la creazione di un forum in cui le modifiche vengano pure discusse, perché una collettività di persone che dialogano e si confrontano lavora meglio di tanti individui che apportano il loro autonomo contributo come un semplice sasso lanciato nello stagno. Ogni proposta di modifica costituisce un nuovo thread di discussione. Poi, sulla base delle varie argomentazioni, ognuno fa le modifiche che preferisce, secondo lo schema che ho definito prima. Alla fine, si possono pure raccogliere tutte le versioni (che di gente con la voglia di star dietro a queste cose non ce n'è poi tanta) in un unico spazio web, dove sia possibile scaricarle, confrontarle, modificarle ancora...
Prima o poi ci proveremo.
Per il momento, grazie per l'opportunità di ragionarci sopra.


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<<Nonostante sia da tempo iscritto a Giap questa è la prima volta che vi scrivo. Ero presente alla presentazione di Giap! ieri sera al Bloom di Mezzago e visto che non ho potuto  rimanere fino alla fine della serata ho deciso di scrivervi quello che avrei voluto dirvi di persona. Prima di tutto complimenti.
Ma complimenti davvero, perché penso che dal vivo sappiate coinvolgere ancora di più il pubblico e riusciate a colmare ciò che un rapporto mediato da uno schermo nn riesce mai a dare (quell'approccio a tu per tu essenziale per intessere relazioni stabili tra persone e quindi, a mio avviso, essenziale anche al "progetto" Wu Ming).
L'incontro di ieri mi è servito a fare luce su alcune cose che ancora nn mi erano chiare riguardo al Luther Blissett Project e a Wu Ming (soprattutto il perché del passaggio-trasformazione dalla prima esperienza alla seconda); inoltre ho potuto personalmente chiedervi il vostro punto di vista sulle difficoltà del movimento nel trovare diverse modalità di azione nel rispetto delle diverse anime che lo compongono (vi ricordate la domanda sul dibattito violenza-nn violenza?).
E proprio riguardo a ciò vi scrivo per continuare lo scambio di idee iniziato ieri. Premetto che mi trovo d'accordo sul fatto che la questione nn deve essere trattata su un piano di categorie filosofiche (così come non ha senso di parlare di pace assoluta), ma che la validità di una prassi deve essere contingente alla situazione in cui si ci trova e deve tenere conto, molto pragmaticamente e poco idealmente, delle conseguenze che questa porta all'intero movimento.
Più specificamente però mi interessava, come ha acutamente (o involontariamente?) capito Wu Ming 1, la questione riguardo alla tattica del Black Bloc. Le mie perplessità nascono dopo aver letto sia il testo "Contro l'accerchiamento del Black Bloc" [**], sia i testi comparsi su Giap dopo le giornate di Genova, in cui Wu Ming 1 decreta la morte del black bloc [era Wu Ming 4, ndr.].
E proprio quest'ultimi mi hanno lasciato l'amaro in bocca. Nulla da dire sul clamoroso flop della tattica delle tute nere (o degli infiltrati, o di provocatori di estrema destra, non ci sarà mai dato saperlo) durante quelle giornate; ero presente anch'io il 21 luglio (anzi, fu la mia prima manifestazione) e ho sentito sulla mia pelle e sui miei nervi le conseguenze della guerriglia urbana del blocco nero. Chiunque fosse coinvolto in tali azioni ha commesso un grave errore di valutazione, soprattutto dopo quello che è successo venerdì pomeriggio.
Tuttavia mi sembra troppo affrettato affermare che il Black Bloc, dopo Genova, era una tattica morta. Mesi dopo le torride giornate di Genova ho avuto la fortuna di rivalutare tale tattica. Leggendo documenti in rete (tra cui "Contro l'accerchiamento del black bloc") e, specialmente, un libro (Io sono un Black Bloc, pubblicato su DeriveApprodi) mi sono reso conto che dietro il Black Bloc non ci stava un disagio giovanile o una pura forma di vandalismo (come l'opinione pubblica crede ancora adesso, anche all'interno del movimento), ma una teoria, certamente discutibile, che ha delle solide basi e una lucida analisi del sistema post-capitalista in cui ci troviamo. Di certo i fatti di Genova hanno messo in luce tutti i limiti di tale tattica, tuttavia bisogna iconoscergli il merito di aver saputo portare la protesta anche sul "piano semiotico"; riconoscendo l'importanza che il brand ha ormai assunto nella società post-industriale, l'intento del Black Bloc è quello appunto di abbattere il valore ideologico della merce. Certamente questo si può fare in vari modi, non soltanto sfasciando vetrine di multinazionali o banche. La tattica specifica da adottare dipende infatti dalla situazione in cui si svolge la contestazione, come già detto. Più o meno quello che volevo dirvi è questo: il fatto che una certa tattica abbia rivelato a pieno i suoi limiti non deve indurci a scartarla del tutto, ma semmai a cercare nuove forme in cui la teoria di tale tattica  (che a mio avviso porta nuove energie e nuove speranze al movimento) possa applicarsi. Spero che avremo ancora modo di confrontarci, magari personalmente (trovo limitante e poco umano comunicare dietro uno schermo). >>
Andrea, 05 giugno 2003

[WM1:]
Beh, noi non ci siamo mai sognati di "decretare" la morte del black bloc, visto che non eravamo tra quelli che adottavano la tattica e quindi non avevamo alcun diritto di decretare alcunché . Noi, in più occasioni, abbiamo chiesto a chi l'aveva adottata di riflettere su Genova, sui limiti di quella tattica, senza nascondere la testa nella sabbia o dare dei "mosci" o dei "riformisti" a tutti. A distanza di due anni, mi sembra che tale riflessione non ci sia stata, c'è stata più che altro autoglorificazione, autoincensamento, a volte autosociologizzazione. Il libro di Derive Approdi mi sembra non abbia aggiunto alcunché al dibattito, a dire il vero.
Ad ogni modo, quella tattica è ricomparsa pochissime volte dopo Genova, se non erro soltanto in due o tre occasioni, tutte di basso profilo non contando l'ultima comparsata di Ginevra. Se sei al corrente di altre manifestazioni del BB nel post-Genova, e soprattutto di una qualsivoglia occasione in cui, nel 2002 o nel 2003, quella tattica sia stata adottata in modo efficace (con risultati concreti e nel rispetto anche di chi sceglie altre tattiche), bene, ti prego di darmi queste informazioni. Perché , scusami, mi sembra che tu abbia "rivalutato" il Black Bloc nella sua manifestazione storica, pre-Genova, ma quella noi non l'avevamo mai "svalutata", anzi, l'abbiamo spiegata e difesa. Difficile è però "rivalutare" il Black Bloc a Genova e nel post-Genova, fase in cui quella tattica si è fatta totalmente autistica e... irrivalutabile.
Nell'arte della guerra, quando una tattica non funziona più la si scarta, sono troppo alti i rischi insiti nel cercare di mantenerla andando a tentoni.

*) "Contro l'accerchiamento del Black Bloc" è un breve documento politico scritto da Wu Ming e da alcune tute bianche bolognesi subito dopo i fatti di Goteborg. Si trova qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/garibaldi.html#bb