Note al /no/giap/ del 24/07 ("Un piccolo miracolo laico")
Conversazione con alcuni/e giapsters.




<<Ho appena finito di leggere con emozione il brano sui monumenti, con emozione rispondo, non so se per ringraziare o cosa.
Ieri sera a Campegine, nella casa dei fratelli Cervi, i genitori di Carlo hanno partecipato ad un rito laico che dura da quando cadde il fascismo: la storica pastasciutta, una storia così bella che vale raccontarla, anche se bastano un paio di righe.
Avuta notizia della caduta di Mussolini, la famiglia Cervi radunò il paese in piazza, raccogliendo tutto il cibo che si era salvato dalle requisizioni, e organizzò una cena, una festa paesana per la Liberazione prima della Liberazione. Spontaneamente il paese si unì, e da allora lo fece ogni 24 luglio.
E ieri sera, in quel luogo magico che è Casa Cervi, nel rito si sono uniti i partigiani e il movimento, splendide staffette ottantenni che applaudivano Giuliano Giuliani e compravano libri per sapere "cosa è successo". Insieme al corteo di sabato scorso, alla musica dei violini di piazza Alimonda, è stata una di quelle cose che "alzano da terra".
Vi ho visti a Parma, lunedì scorso (la domanda da bibliotecari), e leggendo oggi dei monumenti alla Resistenza mi è venuto in mente lo splendido monumento di Mazzacurati in piazzale della Pace, a Parma. Dove a spezzare qualcosa nelle vene è il partigiano caduto, più che quello glorioso e combattente. Quel monumento compare spesso nei manuali di storia dell'arte, proprio per questa capacità di trasmettere il dolore solitario che è stato dietro alla vittoria del 25 aprile, la perdita, il sangue versato, senza disperderlo in sentimentalismi. Il partigiano caduto è a terra, contro un muro, davanti a lui, a gambe aperte su una roccia, sta il combattente col fucile in mano, lo sguardo duro in avanti. Vale un libro di storia.
Aldilà di questo, e della mia pessima prosa, lancio un piccolo appello, scegliete voi che farne.
A Vinca, nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), il 27 agosto '44 si consumò un eccidio terribile, in cui il paese venne letteralmente decimato. Tiri al bersaglio ai neonati, persone ammassate nelle grotte e lì dentro bruciate vive, donne incinte sventrate e altre delle atrocità che i nazifascisti amarono compiere sulle Apuane e non solo.
Ogni anno la minuscola comunità di Vinca commemora i suoi morti. In paese è rimasto solo qualche vecchio, ma i nipoti e i figli tornano per camminare e tornare sui luoghi della strage. Ogni famiglia perse qualcuno quel giorno, qualche famiglia scomparve, e nel corteo si parla di loro, di quelli che altrimenti nessuno ricorderebbe.
L'appello è di camminare accanto alla gente di Vinca in quel giorno. L'appello è di partecipare a questi riti. Partecipare. Senza passato non c'è futuro, credo che questa frase debba essere riempita anche di gesti minimi, far capire che davvero l'intento è sempre lo stesso. La commemorazione corre sempre il rischio di diventare vuota rappresentazione, e fra i partigiani spesso capita di sentire la paura (a volte purtroppo certezza) di non aver lasciato molto a quelli che sono venuti dopo, di non aver trasmesso abbastanza amore per la libertà conquistata.
Forse se i "giovani" del movimento partecipassero alla miriade di piccoli riti laici che la Resistenza ci ha lasciato quella sensazione sarebbe meno forte. Anche per abbattere qualcuno di quei pregiudizi di cui ieri parlava Giuliano Giuliani. E' un'idea.  
S.T., 25/07/2002>>



Rilanciamo l'appuntamento a Vinca (MS) per il 27 agosto prossimo.

Come arrivare

In macchina: dall' Autostrada A15 Parma-La Spezia - uscita Aulla e dalla SS.62, prendere la SS.63 (P.sso del Cerreto) in direzione di Fivizzano, giunti a Gassano prendere la SS.445 fino a Gragnola e da li' seguire per Vinca (da Aulla: 28 Km).
In autobus: servizio pubblico CAT (0585/71492).
In treno: Linea Parma-La Spezia, stazione di Aulla e Linea Aulla-Lucca, stazione di Monzone + autolinee CAT


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<<ho appena finito di vedere il film "Carlo Giuliani, ragazzo", lo hanno passato su raitre in seconda o terza serata.
oggi pomeriggio ho letto e riletto "un piccolo miracolo laico".
io non ero a genova un anno fa,né ci sono andato recentemente per la commemorazione, non adduco scuse, lo so che il peggio è il mio.
Sono interessato al movimento più che mai,però,come vi accennai tempo fa in una mail,trovo difficoltà a capirne le dinamiche,le evoluzioni (d'altronde che cazzo pretendo? non vado a genova né a napoli a manifestare,manifesto solo a casa mia e nemmeno da troppo tempo, vabbe') quindi, per me, quello che scrivete è oro colato, per l'approfondimento vero,per la precisione del linguaggio e,soprattutto, per la passione immensa che mettete nella scrittura, violini a parte,lo sapete da soli quello che valete.
La mia riflessione è questa: quando vi leggo, mi emoziono,sapete coinvolgere nella narrazione anche me che non mi reputo un addetto ai lavori,al massimo un appassionato, con tanta voglia di crescere sia chiaro,ma comunque un non addentrato.
[...] a questo punto io dovrei cercare,se è vero che ne sono colpito,di parlare di voi con altre persone per cercare di spiegargli i vostri punti di vista, che poi sono ,in larga parte ,divenuti i miei, cercare di stimolare altre menti che non siano, ovviamente, già della mia stessa idea, per arrivare a delle consapevolezze comuni di noi stessi e in rapporto alla società (premetto che odio ogni forma di new age,preferisco la buona musica per trovare il nirvana o comunque qualcosa di diverso).
qui c'è il mio cruccio: nei centri sociali che io frequento ampiamente e che so voi non stimate per il loro naturale non propagarsi verso l'esterno, le persone che frequento sono fertili e interessate,molti hanno idee simili alle mie o,comunque,non troppo superficiali.
con loro parlare può essere costruttivo.
ma a me interessano gli altri, quelli che stanno fuori,gente che non legge nemmeno un libro,che parla come la televisione,totalmente deviati dalla pochezza e dalla superficialità dei media.
è con loro che sputo l'anima per tirargli fuori un pur minimo stimolo di ragionamento [...] io ci provo in tutti i modi,ma spesso vado a litigare perché sono troppo insistente.
ora,io credo che lo stato d'animo del movimento vada propagato ,oltre che sviluppato. nel mio piccolo ci provo ,la mia ragazza mi sta per lasciare perché sto diventando pesante? va bene,sto nel giusto,mi ammazzerò di pugnette ma resisterò strenuamente.
a parte scherzi ,tornando a voi [...] il problema sono i soggetti a cui il vostro messaggio si rivolge che, se vi conosco un minimo,so che non sono solo io ,che vi vengo a cercare in libreria o in rete con il lanternino e che ,comunque ,mi pongo certi quesiti,ma la maggioranza dei bipedi più o meno pensanti ,ma da coinvolgere il più possibile.
la mia preoccupazione è che il messaggio rimarrà chiuso entro un certo ambiente,proprio per la difficoltà di comunicazione che,almeno io(ma credo sia un problema di molti,altrimenti sono proprio una mezzasega) riscontro in una città lobotomizzata come Roma,dove i discorsi variano tra Totti e la fica.
Questa è la sensazione che ho mentre mi commuovo a sentir parlare Heidi Giuliani, sapendo che fuori milioni di italiani pensano che lo stronzettino con l'estintore se la sia cercata.
La stessa sensazione ce l'ho mentre leggo "Asce di guerra".
cercherò di reagire,scusate lo sfogo.
P.S:a rileggerla sta mail sembra una delle lettere che le quarantenni scrivono a emilio fede su donna moderna,dove ste poverette si lamentano dei mariti,dicono che sono attratte dai fidanzati sedicenni delle figlie,ma in realtà non sanno nemmeno loro cosa vogliono, forse solo parlare con il piacione di rete4 sperando,mentre si mettono i bigodini,che lui le chiami per trombarsele.
Tutto ciò non è molto edificante.
se vi va rispondetemi, anche solo per dirmi che ho scritto una marea di banalità e cazzate.>>
Neucosis, 26 luglio 2002>>


[WM4:] Sollevi una questione centrale, altro che banalità e cazzate. La caratteristica interessante del movimento cosiddetto "No Global" [aaaarrrgggghhh!] è proprio la sua eterogeneità, il fatto che a Genova, come altrove, trovi assieme gente delle più svariate provenienze culturali, politiche, geografiche, che parla linguaggi diversi, ma parla lo stesso linguaggio. Raramente nella storia è capitato di trovarsi in presenza di un fenomeno del genere.
Proprio per questo diventano importantissimi il linguaggio e le forme di comunicazione che si scelgono. E' alto il rischio di parlarsi addosso, cioè di usare termini ridondanti, recepibili soltanto da chi ti assomiglia, utili solo per riaffermare un'identità avanguardistica che poco ha a che spartire col concetto di moltitudine in marcia contro l'Impero e dentro l'Impero.
Non per niente Wu Ming, e Blissett prima, ha scelto una particolare forma di comunicazione, il romanzo, il raccontare storie, con ogni supporto mediatico possibile. Abbiamo fatto questa scelta perché crediamo sia più collettivizzabile della lingua strettamente politica. Riuscire a dire le cose raccontando certe storie, con un particolare stile e forma, è quello che più ci interessa e ci appassiona della nostra attività.
La lettura che diamo di Genova nell'intervista a "Carta" riportata sull'ultimo /Giap/ infatti va proprio in questa direzione: parliamo di migliaia di cantastorie che nel corso di un anno hanno costruito una narrazione collettiva (racconti, video, film, libri, ecc.), che ha fatto sì che oltre centomila persone tornassero a Genova, un anno dopo, con tutto quello che c'è stato in mezzo.
Il rischio di parlare una "lingua di legno"(*), autoreferenziale, è sempre in agguato, ma io credo che ci si stia muovendo nella direzione giusta. Anche perché è finito il tempo in cui interessarsi delle cose che ci accadono intorno poteva essere considerato un "lusso" per pochi eletti politicizzati o colti. Oggi l'intero pianeta è scosso da minacce che toccano chiunque da vicino. Oggi il lusso per pochi eletti è quello di fottersene di cosa accade. Di qui a poco, soltanto una ristretta elite di ricchissimi potrà permetterselo. Di fronte alla guerra civile globale e alla recessione più grave della storia moderna (quello che ci aspetta farà impallidire la crisi del 1929) TUTTI saranno coinvolti, volenti o nolenti. Anche il coatto romano che parla soltanto di Totti, sta sicuro.
Ecco perché serve continuare a battere questa pista, senza smettere di sforzarsi a trovare le parole giuste e le storie giuste. Noi, nel nostro piccolo, ci proviamo. Da quel che leggo, anche tu. Pensa che non siamo affatto soli, in questo paese ci sono almeno centocinquantamila persone (e sicuramente molte di più) che ci provano.
Ecco perché ogni tanto fa davvero bene darsi un appuntamento da qualche parte... Ci si sente molto meno soli, te l'assicuro. Per citare Asce di guerra, ci si sente "parte di una comunità universale che supera i confini" (linguistici, di appartenenza, geografici) e si torna a casa con un'energia positiva addosso, utile ad andare avanti. Provare per credere.


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<<non so, wu ming scrive bene, ma c'è qualcosa che proprio non riesco ad accettare in queste loro/sua analisi.
Sono convinto che il discorso che fanno sia giusto, sono convinto che ci sia bisogno di mito, mitopoiesi e di celebrazione.
Ma non sono convinto che se ne possa parlare. O forse non in questa fase.
Temo che l'affabulazione wuminghiana ci faccia dimenticare che gli eroi del mito non sapevano di essere eroi del mito. il mito lo agivano, ma non se ne facevano portabandiera.
In una prospettiva diacronica forse il discorso di wu ming può funzionare.
Come studiosi o sociologi del movimento il loro discorso fila, ma non come attivisti.
Il movimento non credo si sostanzi di parole innanzitutto sul movimento stesso, sulla propria identità. L'identità del movimento si sostanzia delle scelte politiche, delle analisi che produce, delle lotte che porta avanti.
E' vero che i duri-e-puri di sto momento fanno un po' ridere, soprattutto per le loro incapacità comunicative, eppure mostrano una reale esigenza di analisi, conflitto, azione che manca a chi parla del movimento e non agisce nello specifico.
Credo che i monumenti vadano costruiti per battaglie reali e non per identità generiche.
Purtroppo Carlo Giuliani è morto e nemmeno per una battaglia troppo specifica. Certo il movimento combatteva contro l'agenda di 8 stronzi che non hanno la minima idea di quello che accade per strada, ma davvero Carlo stava dicendo a tutti quello che accadeva per strada? E non intendo per strada in piazza alimonda o nei pressi della zona rossa.
A me di quell'esigenza di liberare genova importa relativamente. Mi importerebbe capire queli sono le battaglie che avrei potuto combattere con carlo e su che premesse, su che punti di partenza comuni.
Certo che la forza del movimento sta nell'essere cornice per tutti, ma non basta una cornice a fare un quadro, c'è bisogno di un disegno, magari anche di molte figure giustapposte, contrapposte o armonicamente integrate. ma al momento ste figure non ci sono. Questo disegno non c'è.
Prendi l'esempio della Palestina. Certo si parla di guerra globale, si inscrive il medio oriente in un disegno geopolitico complesso (e dunque anche difficilmente analizzabile, si lo ammetto) eppure si dice poco di quello che si vorrebbe o non si vorrebbe per la palestina. nessuno esprime il desiderio, nessuno propone un volere preciso.
E non si tratta tanto di limitare la propria azione politica per dar modo alle parti in causa di esprimere il proprio di desiderio. In definitiva poi parti in causa siamo anche noi, non solo noi che viviamo in palestina, ma noi tutti che viviamo su sto pianeta terra come lo chiama wu ming.
Se di dialogo si deve trattare si deve poter dire: io la penso così, io non approvo questo oppure quello che fai mi sta bene perché anche io lo voglio.
C'e' quelcuno che sta dando delle ragioni per una palestina libera, oltre alle stesse che motivano le risoluzioni dell'ONU?
C'è qualcuno che chiede ai palestinesi di discutere sulla base di un disegno politico preciso?
E lo stesso per gli israeliani... Tutti fondamentalmente gridano slogan molto generici, alcuni anche molto radicali, ma che poco o nulla hanno a che fare non solo con la realtà, ma anche con il desiderio o la volontà politica di costruire un mondo diverso.
Davvero chi vuole oggi una palestina libera sarebbe disposto a condividere l'idea di stato che hanno i Palestinesi ad esempio? Gliel'hanno mai chiesto ai palestinesi che stato vorrebbero? Certo prima una palestina libera, ma poi?
Frammentare il conflitto a fasi non può equivalere a frammentare in fasi anche il processo analitico e politico.
Non credo che un altro mondo sia possibile se non si cominciano a delineare almeno alcuni profili. E qui la fantasia il desiderio e la creatività devono avere uno spazio infinito, quello spazio che poi i wuminghi verranno ad analizzarci e a raccontarci con la loro mitopoiesi.
L'agire politico è l'agire del desiderio, è inutile limitarlo alla contestazione dell'agire politico costituito e andare solo a fare i controgiottini no-global.
Al prossimo appuntamento magari stiamocene a casa a disegnare il mondo possibile che vogliamo.
La volta dopo invece andiamo e gli facciamo un culo così!!!
Baci,
Qq7, 27 luglio 2002>>


[WM1:] Pare che non ci siamo capiti. La mitopoiesi non l'abbiamo inventata ne' teorizzata noi: esiste da quando esistono comunità umane, non c'è mai stata collettività senza miti delle origini, miti di lotta, miti di trasformazione e palingenesi. La mitopoiesi non è teoria bensì prassi, è un "fare" [poiesis] e non esiste separata dalla prassi, non è un discorso separato né specialistico, è invece il modo stesso in cui le comunità  trasmettono, commentano, tramandano i conflitti che danno loro forma.
La differenza tra noi e i nostri antenati è che noi siamo passati attraverso un lungo stato di malattia delle narrazioni, quindi le abbiamo sottoposte a diverse analisi ed esperimenti, le abbiamo addirittura vivisezionate, e oggi abbiamo le idee molto più chiare su come funzionano e anche su come cessano di funzionare. Conosciamo bene il rischio della "lingua di legno" (*). Dunque possiamo riflettere su questa mitopoiesi con maggiore cognizione di causa, ma attenzione: dobbiamo farlo anche "in tempo reale", durante la prassi. Se non si unissero i due andamenti (sincronico e diacronico), non ci sarebbe mitopoiesi, ma discorso separato e specialistico.
Chiaramente, anche in un movimento che pare abbastanza consapevole della materia mitica che maneggia, plasma e scaglia contro il nemico, c'è chi - per diversi motivi - ci riflette sopra prima e più di altri.
Tutti raccontano, e lo fanno ogni giorno, ma esiste chi fa del raccontare la propria principale attività: siamo noi romanzari, bardi, cantastorie, griots, stand-up comedians, attori del teatro di narrazione... A volte sentiamo anche il bisogno di proporre meta-narrazioni, di "raccontare del raccontare". In quest'occasione ho raccontato di un "piccolo miracolo laico".
Non ho mai scritto che occorra celebrare, celebrare, celebrare. Ho anzi scritto che spesso le celebrazioni sono sclerotizzate e alienanti. Ma quando non lo sono, beh, quello è un momento magico. A Genova ne ho vissuto uno e ho cercato di raccontarlo.
Un'ultima cosa: in che senso "questo pianeta Terra come lo chiama Wu Ming"? Qualcuno gli ha cambiato nome senza farcelo sapere? :-)
Ricambio i baci.


[WM4:] Mi trovo d'accordo sulla questione del fare/immaginare/proporre/sperimentare praticamente, nello specifico, e non sono certo un patito delle analisi sul movimento. Credo che il bisogno di concretezza, di risultati, progetti, vittorie "parziali" sia oltreché sacrosanto anche ormai generalizzato.
Tuttavia [come ho già scritto a Neucosis] ogni tanto fa anche bene darsi degli appuntamenti e ritrovarsi insieme (per co-memorare e per manifestare) e sentirsi un po' meno soli quando si torna alle proprie lotte quotidiane. E' una cosa che solleva il morale.
Non sono d'accordo sulla diacronicità della mitopoiesi. La mitopoiesi non è un processo pianificato a tavolino, né che si dà una volta per tutte.
E' vero che molto spesso chi agisce non lo fa certo per amore di mitopoiesi, ma molto spesso però lo fa sospinto da miti precedenti, ovvero entra a fare parte di un flusso mitopoietico aggiungendovi un tassello (anche inconsapevolmente). Che Genova sia stato un momento mitopoietico è un dato di fatto acquisito. Quel momento continuerà a generare mito di lotta, ad essere percepito come uno spartiacque importante, come presa di consapevolezza per tanti che non l'avevano, e tante altre cose che hanno fatto crescere il movimento nel corso dell'ultimo anno, invece di deprimerlo. Insomma  non vengono prima "la fantasia, il desiderio e la
creatività" e poi l'analisi e la mitopoiesi dei "wuminghi". Le cose si danno insieme. Prassi e mito si compenetrano e si influenzano vicendevolmente. Inesorabilmente.
Rispetto alla Palestina invece sono completamente d'accordo con te e ho più o meno mosso critiche analoghe al movimento nei giorni di Pasqua, al tempo della spedizione Action for Peace (**).


(*) Il testo di WM1 "Lingua di legno" (novembre 2001) si trova qui:
<http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/languedubois.html>


(**) Il testo di WM4 "Disobbedienza, martirio e fine della pace" (aprile 2002) si trova qui:
<http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/action_for_peace.html>




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Iscritti/e a /Giap/ in data 29/07/2002: 2594
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