Indice di /Giap/27 - No-copyright, informazione e neoliberismo - 24 gennaio 2001
 

1. Asce di guerra: prosegue la "Campagna d'Inverno" + nuovi commenti dei lettori
2. No-copyright, informazione e neo-liberismo: un accenno di dibattito
 

Dedicato a Johnny e Luther Htoo, capi dell'Esercito di Dio, consegnatisi ai loro nemici dopo una lotta che ha lasciato il mondo a bocca aperta. Onore alla resistenza degli indigeni Karen contro la politica di annientamento della giunta militare birmana e delle multinazionali del petrolio.

Questo numero di /Giap/ viene spedito a 603 iscritti/e.
 

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Prosegue la campagna d'inverno


TORINO - 15 febbraio, h.21
circolo Fuori Luogo, Corso Brescia 14
info: <zip@ecn.org>, all'attenzione di Gian Marco

FIRENZE - 22 febbraio (ora da confermare)
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud
Viale Giannotti, 79
Info: Giovanni, <savia@dada.it>, tel. 055-2480850 (dopo le 20)
Edoardo, 055-686504 (di pomeriggio)

BRESCIA - 25 febbraio h. 17.00
Centro sociale Magazzino 47, via Industriale 10
Info: <urtobs@ecn.org>, all'attenzione di Thomas o Massimo.
 

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Nuovi commenti e recensioni dei lettori ad Asce di guerra (a volte anche polemiche), compresa una strana prosa poetica, "Tributo a Vitaliano Ravagli".
http://www.wumingfoundation.com/gallery/commentiAdG2.htm
 
 

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Il nostro comunicato sui pericoli che corre l'informazione on line in Italia (spedito agli iscritti a /Giap/ il 16 gennaio u.s. e riproposto qui sotto) ha stimolato due commenti interessanti: quello di Giovanni Francesio, che sicuramente farà discutere, e uno (polemico nei confronti di chi ha lanciato la campagna) a cui risponde Wu Ming Yi, parlando anche di no-copyright.
 

-A-

<<L'Ordine dei Giornalisti (istituzione la cui stessa esistenza è un'anomalia tipicamente italica) sta cercando di far estendere all'informazione telematica una norma della liberticida Legge sulla stampa (del 1948), quella che obbliga qualunque testata a essere diretta da un giornalista iscritto all'Ordine.
Scopo di quest'offensiva corporativo-mafiosa è tutelare i privilegi di un'istituzione che (proprio come la SIAE) si sente minacciata dal processo di "disintermediazione" di cui tutti siamo al contempo testimoni, beneficiari e artefici.
Se il Parlamento dovesse dare ascolto ai lobbisti, qualunque newsletter o webzine, anche diffusa senza scopo di lucro, dovrebbe cercarsi un direttore. Le pene per chi trasgredisce vanno dal mezzo milione di multa ai due anni di carcere. Di fronte a un simile rischio quanti eviteranno di adeguarsi?
Conseguenze possibili: la desertificazione del paesaggio informativo telematico, e un'inquantificabile dose di autocensura da parte di chi continuerà a operare.
Tutto ciò puzza di muffa, è obsoleto di fronte alle possibilità dischiuse dall'estendersi della comunicazione in rete.
Occorre agire.
Qui troverete maggiori dettagli e istruzioni:
http://www.peacelink.it/censura/>>
 

-B-

<<Giusto, siete i secondi che denunciano questa infamia; il primo è stato Daniele Capezzone, su radioradicale, tre settimane fa. E la cosa è già molto avanti, da un punto di vista legislativo. E il rimando ai radicali non lo faccio a caso, perché dovrebbe far riflettere, e soprattutto dovrebbe indurre una certa parte della sinistra ufficiale italiana a rivedere certe posizioni sul mondo del lavoro. La battaglia contro gli ordini professionali - sulla quale in Italia si spendono i soli radicali, mi pare - fa parte di una battaglia più ampia per defeudalizzare il mondo del lavoro, sindacato compreso. Certo che gli ordini sono un'istituzione più deteriore e mafiosa del sindacato, ma è anche certo che le reazioni isteriche di Cofferati, D'Antoni e Bertinotti agli ultimi referendum radicali sono servite da puntello a chi aveva tutto l'interesse a mantenere il mondo del lavoro in Italia così com'è oggi.
Occorre agire, dite: bene, io credo che la prima cosa da fare sia liberarsi di tutta questa fuffa, che non vuol dire - obiezioni stratrite - lasciare campo al liberismo o peggio al thatcherismo, ma andare a lottare contro le istituzioni superate in modo globale, cosa che, alla fine della fine, non può non portare a rivedere un po' le idee su cosa è soprattutto su chi è di sinistra oggi.
L'ordine dei giornalisti, dei giornalisti liberi che guadagnano minimo cinque milioni al mese tre dei quali pagati dalla pubblicità, e che infatti poi finiscono in televisione a mangiare panettoni, dicevo quest'ordine dei giornalisti è lo stesso che, ad esempio, sta cercando oggi di far pagare alla collettività il fallimento di un giornale - l'Unità - dove evidentemente chi ci lavorava, a tutti i livelli, non ha fatto un cazzo per anni al punto da ridurre sul lastrico una testata che poteva contare su finanziamenti di tutti i tipi e su un pubblico certo e fedele. E oggi, "salviamo la prestigiosa testata", "tuteliamo i diritti dei giornalisti", ma per piacere.
Se c'è qualcuno, e penso ovviamente ad alcuni centri sociali, penso a Casarini, che ha voglia di fare davvero qualcosa di sinistra in questo paese, credo che in primo luogo dovrebbe affrancarsi psicologicamente da tutto questo ciarpame, da questo potere sindacale o partitico o lobbistico che si dice di sinistra e poi se ne frega degli stranieri, garantisce prebende ai propri dirigenti, ostacola qualsiasi forma di iniziativa giovanile che si stacchi dal suo abbraccio e dal suo controllo.
Scusate la foga, ma rassegnarsi è dura.

Giovanni Francesio>>

-C-

<<Credo che il tutto sia una bufala. Da tempo il G.A.T. ha stabilito che ciò che esiste è solo "business" (Società di engineering, stampa etc.). Che l'Ordine dei Giornalisti sia un cascame del passato è quindi solo ovvio, come è altrettanto noto che da noi nulla viene mai chiuso in nome della tutela dei diritti acquisiti e di un luddistico populismo, vedasi ciò che accade per  migliaia di enti quali quelli per i reduci della prima guerra mondiale, per quelli delle guerre d'Africa etc.
Credo che il capitalismo sia fin troppo capace da solo a garantire la deregulation senza bisogno di campagne allarmistiche in puro stile giornalistico.
Ma il vecchio Guy non lo legge più nessuno e anche l'antagonismo è spettacolarizzato e spara stronzate a titoli cubitali in rete.>>
 

-D-

[risponde Wu Ming Yi:]

 Approfitto di questa risposta per andare un po' oltre e "togliermi qualche sassolino dalle scarpe", come disse Cossiga nell'esternazione con cui iniziò il suo surreale ultimo anno di Presidenza. Scusate se sarò un pò lungo.
 Mi sembra insensato paragonare l'Ordine dei Giornalisti, una delle lobbies più potenti e ammanicate del paese, con le associazioni di reduci delle guerre d'Africa.
 La "deregulation", poi, non so nemmeno se possa definirsi tale: non c'è mai stato un pensiero economico piu' assistito di quello neo-"liberista". Il fatto che ad assisterlo siano organi sovrastatali e sovranazionali non fa nessuna differenza, tanto più che lo stato nazionale esegue gli ordini di quegli organi.
 Intendo dire che antitesi come questa (da un lato lo Stato coi suoi "cascami del passato", dall'altra il capitalismo con le sue esigenze di liberarsi di lacci e lacciuoli) ci sono solo nella propaganda della Bonino, di Martino etc. Anche il Berlusca, che si spaccia per liberista, non sarebbe quello che è se lo Stato (nello specifico rappresentato dal suo amico Craxi) non gli avesse dato le frequenze televisive in concessione gratuita.
 "Privatizzare i profitti" non sarebbe possibile senza uno Stato che, in un modo o nell'altro, "socializza le perdite" e le carica sulla schiena di tutti i contribuenti. Quest'inglorioso  caposaldo della Filoso-Fiat stava per essere ufficializzato a livello mondiale dall'Accordo Multinazionale sugli Investimenti (MAI), che per fortuna non è passato. Il MAI prevedeva che se una multinazionale investiva in un tal paese e ci perdeva dei soldi (ad esempio, per una qualche protesta della popolazione contro produzioni nocive per l'ambiente), poteva chiedere un risarcimento al governo di quel paese. Che grandi liberisti si può fingere di essere, quando "paga Pantalone"!
 Ad ogni modo, il capitalismo non è un sistema coerente con sé stesso, né quello capitalistico è un punto di vista unico sviluppatosi linearmente. Non sempre la sezione di capitale più "avanzata" è quella che fa l'interesse del sistema, ci sono resistenze, attriti, lotte interne...
 Vedi l'esempio del copyright: oggi la sezione più avanzata di quella che i giornalisti chiamano new economy (mi riferisco più o meno alla "GNU economy", cioè le imprese di software libero, "open source") ritiene il copyright uno strumento obsoleto, un ferrovecchio la cui esistenza limita lo sviluppo del capitale cognitivo, sviluppo che oggi richiede cooperazione sociale in rete, brainstorming a tutto campo. Per essere produttive, le idee devono essere libere di circolare.
 Forse la migliore enunciazione di questo principio è quella dell'americano Benjamin R. Tucker (1854-1939), precursore del cosiddetto "anarco-capitalismo":
 

 "Siamo stupidamente e frettolosamente saltati alla conclusione che la proprietà nelle cose concrete implicasse logicamente la proprietà nelle cose astratte, mentre, se avessimo avuto la premura e la perspicacia di fare un'accurata analisi, avremmo scoperto che la stessa ragione che detta la convenienza della proprietà nelle cose materiali nega la convenienza della proprietà nelle cose astratte [...] con la proprietà delle idee otteniamo di annullare [...] la possibilità incommensurabilmente fruttuosa, per un numero qualsiasi di persone, di usare le cose astratte nello stesso tempo in innumerevoli luoghi diversi".


 Sembra di sentir parlare di Napster (com'era), Gnutella etc. Proprio il caso montato su MP3 e masterizzatori è la prova che la Convenzione di Berna sui diritti d'autore è superata nei fatti, dalle stesse contraddizioni del capitalismo. In parole povere, non si possono vendere tecnologie come campionatori, computer, masterizzatori e poi inalberarsi perché la gente li utilizza nel modo "sbagliato". E' già stato così con fotocopiatrici e registratori.
 [N.B. Vediamo che il capitalismo, in tendenza, integra una visione tipica di molti dei suo avversari: non dovrebbe esserci proprietà privata dei prodotti intellettuali, le idee non sono mai prodotte da singoli. Questi ultimi sono solo i catalizzatori temporanei di flussi di informazione collettivi. L'unico creatore è la moltitudine, ed è giusto che ogni "prodotto dell'ingegno" sia a sua disposizione. Non ci sono "geni", quindi non ci sono "proprietari". C'è una grande ricombinazione, c'è lo scambio e il riutilizzo delle idee. Lo diceva già Lautreamont: il "plagio" è necessario perché le idee progrediscano. Per decenni questa trincea avanzatissima è stata difesa da esponenti delle correnti radicali e antagoniste: da Lautréamont ad Amadeo Bordiga, dai situazionisti all'underground degli anni '60, da William Burroughs al Punk al Neoismo, dai movimenti plagiaristi degli anni '80-'90 alle culture hip hop e techno, dal Luther Blissett Project a...]
 Eppure...
 Eppure l'interesse generale del sistema NON viene rappresentato dalla sezione più avanzata. Forse un giorno lo sarà, ma adesso non è così, anzi: assistiamo non solo a una resistenza feroce da parte dei potentati della proprietà intellettuale (dalla SIAE alla Business Software Alliance) e a un contrattacco repressivo, col peggioramento delle leggi vigenti, ma anche a un contro-movimento ben più devastante, che estende la logica della proprietà intellettuale a esseri viventi e sequenze genetiche umane.
 Da che parte sta la "deregulation" in questa contesa?
 E se lo stato difende il copyright lo fa perché è "arretrato" o per il motivo opposto?
 E cosa significa parlare di "avanzamenti" e "arretratezze"? E' più avanzato chi pensa allo sviluppo futuro o chi pensa al profitto di adesso?
 E' troppo facile sminuire come "spettacolo" queste contraddizioni: piu' reali e tangibili di così non potrebbero essere. Il "vecchio Guy", poi, sarebbe meglio lasciarlo perdere una volta per tutte, e con lui la "totalità" della dialettica negativa. Non serve a niente vedere il capitale come un Ente, un'astrazione unitaria.
 Tornando al tema specifico: abbiamo visto benissimo che più lo stato è "leggero", più si affida alla restrizione e alle misure poliziesche. Più l'economia è immateriale e soggetta a sbalzi, più si teme l'instabilità e si affida la prevenzione al gendarme (lo Stato). Mancando determinate negoziazioni del conflitto, tutto, ma proprio tutto, può diventare emergenza (cfr. il nostro saggio Nemici dello Stato, Derive Approdi 1999).
Internet è soggetto di emergenza da anni. A descriverla come covo di pedofili, trafficanti di organi, unabombers vari sono, pensa un po', gli stessi scribacchini dell'Ordine che ora vorrebbe imbavagliarla.
 L'ho già scritto ai tempi delle polemiche su Praga e l'FMI: è inutile andare a caccia di presunti utili idioti col retino per farfalle, pensare che ogni lotta concreta su obiettivi necessariamente parziali sia una trappola o un diversivo. Ogni lotta serve. Anche quella per riparare i danni causati dai situazionisti.

 By the way: riguardo all'importanza del movimento di cui Praga è stata una delle tappe fondamentali, riporto uno stralcio dell'intervista a Noam Chomsky apparsa su "Liberazione " di domenica 22 gennaio:
 

"[Queste manifestazioni] sono estremamente importanti. Nel terzo mondo, le proteste popolari di massa contro i programmi cosiddetti 'neoliberisti' si susseguono già da molto tempo. Benché non sia stato l'unico fattore, questo dissenso ha contribuito a indurre i potenti - la Banca Mondiale soprattutto - a modificare la loro retorica, e in parte anche i loro programmi. Anche nei paesi ricchi si sono avute delle opposizioni, che hanno ottenuto notevoli successi. La vittoria della campagna popolare contro il piano di Accordo Multilaterale sugli Investimenti (Mai) è stata un violento shock per il mondo degli affari e per gli stati potenti, come hanno rivelato le reazioni espresse in pubblico. A Seattle, la protesta ha assunto proporzioni impossibili da ignorare, e lo stesso vale per le manifestazioni successive. Si tratta di un movimento nuovo e importante sotto molti aspetti, come la sua composizione eterogenea e il suo carattere internazionale. Naturalmente, abbiamo assistito ai soliti tentativi di deridere o sminuire il movimento, ma non c'è dubbio sull'efficacia delle manifestazioni e sulle preoccupazioni che hanno sollevato tra i potenti. Questi ultimi cercano di contenere e di sventare le proteste crescenti, proprio perché queste vanno oltre un tentativo di perseguire forme alternative di integrazione economica, e arrivano a un'acuta e potenzialmente assai potente critica di tutto il sistema del dominio mondiale e del processo decisionale, attualmente così inaffidabile. Le conseguenze a lungo termine sono, come tutti gli affari umani, altamente imprevedibili: si tratta di fare delle scelte, non delle congetture."


 L'ultima frase, pur così semplice, mi sembra eccezionale.