UN FULGIDO ESEMPIO DI "RIQUALIFICAZIONE URBANA"!
Nelle mani giuste

5 settembre 2007, Darsena di Milano. La giunta di destra fa cancellare il murale dedicato a Davide "Dax" Cesare, ucciso da neonazisti a 26 anni, il 16 marzo 2003. A dire il vero, l'odio per i graffiti è bipartisan: lo condividono amministrazioni di destra e di sub-destra. Un altro che ha annunciato di voler coprire tutti i graffiti in città è il sindaco Cosferatu. Ha ragione il nostro amico Leo: "In fondo, anche Hitler aveva cominciato come imbianchino..."
Giap #14, VIIIa serie - Due combattenti - 2 ottobre 2007


A Vittorio Caffeo, 1923-2007
A Umberto Fusaroli Casadei, 1926-2007
Ad André e Dorine Gorz
in memoriam


E al Comandante, nel quarantennale.



00. PREMESSA
01. IN MORTE DI DUE COMBATTENTI: VITTORIO CAFFEO E UMBERTO FUSAROLI CASADEI [WM1, WM2]
02. NESSUNO E' IMMUNE DAL DIVENTARE NAZISTA: SU LE BENEVOLE DI J. LITTELL [WM1]
03. PREFAZIONE A CULTURA CONVERGENTE DI HENRY JENKINS [WM2 & WM1]
04. IL DOCUMENTARIO DI GUIDO CHIESA E WU MING 3: LE PERE DI ADAMO
05. GENOVA: MENO SCERIFFI IN MUNICIPIO, PIÙ INDIANI PER LE STRADE
06. UN "GRAFFITO" A SAN FRANCISCO
07. TORNANO GLI YO YO MUNDI CON 54 E INOLTRE...
08. I CINQUE ANNI DE i15
09. RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO



PREMESSA

Come dicevamo, siamo a organico ridotto e in procedura d'emergenza. WM3 e WM5 sono in Canada (in questo preciso istante, il primo è a Kingston e il secondo a Québec). WM2 è appena tornato da un festival a Manosque, in Provenza, ma in compenso WM4 se n'è appena volato a Oxford, per le ultime ricerche necessarie a terminare il romanzo solista. In un modo o nell'altro, tuttavia, riusciamo a proseguire il tour di presentazioni, a lavorare sul prossimo romanzo del Trittico Atlantico e... a scrivere per Giap. Questo numero è denso, multiforme, transcontinentale, al contempo sereno e incazzoso (sono i miracoli di questa fase!).
Buona lettura.


DUE COMBATTENTI: VITTORIO CAFFEO E UMBERTO FUSAROLI CASADEI

Vittorio Caffeo, nome di battaglia Drago[WM1:] Abbiamo appreso soltanto pochi giorni fa della morte, risalente al 7 giugno scorso, di Vittorio Caffeo, nome di battaglia "Drago", partigiano nella 2a Brigata Paolo (attiva nella Bassa Bolognese), per lunghi anni esule in Cecoslovacchia, amico fraterno di Alexander Dubcek.
"Drago" è uno dei personaggi del nostro Asce di guerra (è dedicato a lui l'intero capitolo 27 della prima parte). Lo avevamo conosciuto per tramite dell'amico Mirco Zappi, anch'egli partigiano, infaticabile "operatore culturale" al servizio della memoria partigiana e dell'antifascismo.
Caffeo era persona di rara cortesia e sensibilità, un autentico galantuomo, mai sopra le righe. Spassoso ed efficacissimo narratore orale, aveva una voce tonda e robusta, di quelle che non si dimenticano. Nel corso del 2000 il suo apporto al nostro lavoro fu inestimabile, e anche negli anni successivi si presentò puntuale a ogni presentazione di un nostro libro tenuta nei paraggi di casa sua (= Casalecchio di Reno e dintorni).
Riporto qui stralci della biografia apparsa sul foglio Casalecchio News, organo dell'amministrazione comunale:

[...] Nel 1939, allo scoppio della guerra, Vittorio Caffeo, che aveva frequentato l'Accademia della Marina Militare, fu imbarcato su un cacciatorpediniere che nel 1943 venne bombardato dagli aerei alleati [a Taranto]. Rimasto ferito, egli fu ricoverato nell'Ospedale militare di Modena e quando l'8 settembre l'Italia firmò l'armistizio, raggiunse la famiglia [a Bentivoglio] e si collegò con le formazioni partigiane della Bassa Bolognese. Con il nome partigiano di "Drago", Vittorio Caffeo militò con funzioni direttive nella 2a Brigata Paolo fino alla Liberazione dell'aprile 1945. Nel dopoguerra egli fu, come altri, sottoposto ad accuse riguardanti vicende partigiane e nel 1949 espatriò in Cecoslovacchia, dove a Praga ottenne una laurea in scienze economiche e a Brno diresse un centro di ricerche del sottosuolo. Nel 1960, rientrato in Italia con l'amnistia concessa dal presidente Giuseppe Saragat, egli si stabilì dapprima a Bologna e poi a Casalecchio di Reno occupandosi di rapporti commerciali fra l'Italia e la Cecoslovacchia e coltivando rapporti d'amicizia con Alexander Dubcek, fautore della "primavera di Praga" e promotore del "socialismo dal volto umano", il quale risiedeva nella città di Trencin in Slovacchia. I funerali di Vittorio Caffeo si sono tenuti in forma privata come egli aveva espressamente richiesto. Oltre ai famigliari era presente una delegazione della città di Trencin della quale faceva parte Peter Dubcek, figlio di Alexander.

Manco a dirlo, Caffeo era uno dei partigiani più presi di mira nelle "ricostruzioni" "storiche" del fascista Pisanò e, più di recente, di un tale Pansa. Commentava quegli attacchi in privato, con ironia e disarmante levità. Doveva pensare che era proprio il colmo: amnistia ad aguzzini e torturatori, mancata epurazione dei fascisti nelle istituzioni, persecuzione giudiziaria dei partigiani, esilio, mille vicissitudini e amarezze, suicidî... E il "sangue dei vinti" è quello dei repubblichini? Mo andè a fèr däl pugnàtt!

Partigiani della 8a Brigata Garibaldi[WM2:] Asce di Guerra era uscito da qualche mese. Giravamo l'Italia per parlarne e presentarlo ai lettori. Durante un viaggio in treno, ci venne l'idea di un'antologia di racconti, ispirati alle gesta di italiani che - come Vitaliano Ravagli - avessero combattuto "le guerre degli altri". Dai pirati mazziniani di Porto Alegre fino al Comandante Gonzalo [l'altoatesino Michael Nothdurfter, guerrigliero in Bolivia, ucciso in un blitz dei militari nel 1990].
Giorni dopo, parlando del progetto davanti a una birra, salta fuori la vicenda di un partigiano italiano che avrebbe combattuto per l'indipendenza del Mozambico. Unica fonte della storia è lo zio di un amico, Medico Senza Frontiere in Africa Meridionale.
Siamo nel 2000, i motori di ricerca sono molto più afasici di oggi e così la Rete non aiuta a pescare altre informazioni. Nel frattempo però l'amico contatta lo zio, lo zio trova una rivista - D di Repubblica - dove due anni prima è comparso un articolo. Si scopre che il partigiano si chiama Umberto Fusaroli Casadei, e questa volta Internet sputa fuori un indirizzo: via Fratelli Fusaroli Casadei, a Bertinoro, in provincia di Forlì. Un tiro di schioppo da casa nostra.
Mandiamo una vetusta lettera cartacea e una copia di Asce di guerra. Riceviamo una telefonata, fissiamo l'appuntamento.
Ci apre la porta un anziano signore distinto, sguardo e gesti vivaci, e subito si comincia a discutere di colonialismo, resistenza, morti ammazzati. Ancora oggi, quando parliamo tra noi di quell'incontro, il primo ricordo è per la serenità con la quale Fusaroli dichiarava di avere ucciso decine e decine di fascisti (italiani e portoghesi). Come un artigiano a fine carriera che si guarda indietro, soddisfatto per il lavoro delle sue mani.
Stronzate. E' evidente che il paragone non regge: via Fratelli Fusaroli si chiama così in ricordo di Antonio e Gaetano, il padre e lo zio di Umberto, ammazzati dalle Brigate Nere con il classico corollario di atrocità. Alle anime belle il compito di stabilire se abbiamo incontrato un boia dedito alla giustizia sommaria o un eroe vendicatore. Noi preferiamo ricordarlo con le sue stesse parole, quelle che usava per presentarsi nelle molte e-mail - alcune di 40 pagine - spedite a direttori di giornale e alte cariche dello Stato, ogni volta che una nuova polemica cercava di svalutare il significato della Resistenza o di rivalutare le scelte dei vinti.

Samora Moisés Machel, 1933-1986Sono nato il 25 marzo 1926, ex comandante partigiano, il Padre, lo Zio, un Cugino trucidati dai mostri repubblichini; tre ferite riportate in diversi combattimenti contro i nazisti, sei anni di carcere per avere continuato la lotta al fine di rendere giustizia ai nostri Caduti ed una infinità di persecuzioni poliziesche, tuttora perduranti; combattente contro il fascismo coloniale Portoghese, insieme al Presidente Samora Moisés Machel [nella foto, N.d.R.], ferito gravemente altre due volte quando esercitai le funzioni di amministratore giudiziario dei beni di due mafiosi in Maputo, dopo che il Presidente Samora fu assassinato e il marasma della corruzione travolse le istituzioni.
In Mozambico sono regolarmente iscritto negli albi dei commercialisti e degli avvocati.


Quasi in contemporanea con Vitaliano [cfr. la postfazione all'edizione 2005 di Asce di guerra] - e con le elezioni del 2001 - anche Umberto Fusaroli si ritrovò al centro di uno "scandalo" giornalistico con annessa denuncia.
Stefano Zurlo de "Il Giornale" pubblicò una presunta intervista, nella quale il nostro sosteneva di aver partecipato all'eccidio di Schio. Nell'articolo, Zurlo cita due passaggi della chilometrica autobiografia di Fusaroli (2000 cartelle di Word, tuttora inedite). Il primo racconta di come Rumba - il protagonista della storia - fu invitato a partecipare a quell'azione. Il secondo la descrive nel dettaglio. Il primo c'è davvero, il secondo no. Nel dicembre 2003, il GIP del tribunale di Vicenza ha archiviato la procedura, "potendosi ragionevolmente escludere che l'indagato fosse anche solamente presente a quei tragici fatti". Tra l'altro, Rumba è un nome di fantasia, da molti scambiato per il nome di battaglia di Fusaroli, che invece era chiamato semplicemente così, "Fusaroli", dai compagni partigiani dell'Ottava Brigata Garibaldi.
Nel frattempo, il 6 agosto 2001, un pacco bomba destinato a Fusaroli era esploso nella sede del corriere SDA di Forlimpopoli.
Chissà se qualche pubblico ministero ha provato a rintracciare gli autori della spedizione, magari tra i tanti fascistelli che si aggiravano per la Rete dichiarando di voler fare un salto a Bertinoro, vista la breve distanza da Predappio...
Umberto Fusaroli Casadei è morto per aver mancato una precedenza, in un incrocio che già anni prima gli era costato un incidente.
Ai complottardi piacerà sapere che già nel passato i freni della sua automobile gli avevano dato qualche grattacapo.

"Ora ho valicato gli 80 ma il cervello funziona ancora e se posso servire a qualcosa, nella morta gora in cui vegetiamo..." (Umberto Fusaroli Casadei)

LINK SU FUSAROLI CASADEI
La notizia della morte, da Romagna Oggi
Licenza di uccidere (articolo uscito su D nel '98)
Lettera autobiografica inviata al quotidiano "La Stampa" nel 2006
Memoriale autografo scritto nel 2003 (PDF)


NESSUNO È IMMUNE DAL DIVENTARE NAZISTA

Impressioni dopo la lettura del romanzo Le benevole di Jonathan Littell

Le benevole, di Jonathan LittellPremio Goncourt 2006. Monumentale opera prima scritta in francese da uno statunitense. Caso editoriale in diversi paesi. Oggetto di stupore, shock e ammirazione. Alzate di polveroni a destra e a manca da parte di storici e critici, di ebrei e gentili. Perché?
Perché è chiaro fin da subito (dal lungo prologo intitolato "Toccata") che Le benevole di Jonathan Littell vuole imporsi come il romanzo supremo e definitivo su Germania nazista e sterminio degli ebrei.
Di questa ambizione, questa hybris che fa scavalcare ogni argine e sfidare ogni precedente narrazione sull'argomento, ho un'esperienza diretta di molti giorni. Leggere Le benevole è ritrovarsi testimoni, percossi e attoniti, di un tracimare: goccia dopo goccia, rivolo dopo rivolo, il fiume di dati, episodi, conversazioni, ricordi, sogni e citazioni si compone, si allarga, si alza, si gonfia finché non esonda. Arriviamo sul fronte russo sospinti da un'alluvione, immane ondata che spazza via interi mondi e innumerevoli vite, finché non impatta con la resistenza di Stalingrado, inattesa, inspiegabile. Le giornate di Stalingrado scavano un momento di "vuoto" nel romanzo e nella vita del protagonista, Maximilien Aue, ufficiale SS. Il vuoto si riempie di follia, follia per una volta non sistemica né organizzata, follia non burocratica bensì singolare e selvaggia. L'accerchiamento sovietico apre un crepaccio nel tempo e la psiche devastata di Aue produce visioni e fantasticherie. I passaggi sono fluidi, non più scanditi da cifre, date e acronimi, tutto è bianco e non si sentono rumori... E' a questo punto che l'onda s'incurva e volge indietro, con violenza moltiplicata. L'Armata Rossa e il Generale Inverno annichiliscono la Sesta Armata. Aue si salva, lo riportano a Berlino.
Una volta respinta, la piena - che, ripeto, è una piena di informazione - copre altre direzioni, invade altri campi. Le acque brune e scure trasportano nuovi dati, episodi, conversazioni, reminiscenze di incesti e sodomie, incubi e rimandi ad altre opere (drammi, romanzi e saggi, film e documentari). Personaggio, autore e libro s'impantanano nell'asfissiante burocrazia dell'universo concentrazionario, della Endlösung, dell'Olocausto. Che è ormai soprattutto amministrazione: se le spaventose Aktionen, i massacri di ebrei nell'Ucraina occupata, avevano smosso la coscienza del protagonista sferzandolo con dubbi e rimorsi, la "soluzione finale" lo trova...
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PREFAZIONE A CULTURA CONVERGENTE DI HENRY JENKINS

Cultura convergente, di Henry Jenkins[Da tempo vi parliamo di Henry Jenkins, docente al Massachusetts Institute of Technology e autore di alcuni dei più importanti saggi degli ultimi dieci-quindici anni sull'odierna cultura pop, soprattutto nei suoi aspetti di partecipazione e creazione di comunità. Abbiamo fatto talmente tanti riferimenti al suo lavoro che, in occasione di alcune presentazioni di Manituana, i presenti ci hanno fatto domande sui suoi libri (finora mai tradotti in italiano) anziché sui nostri!
Ebbene, finalmente il più importante libro di Jenkins, Convergence Culture, è stato tradotto nella lingua di Petrarca (cioè, più o meno), ed esce in questi giorni per le edizioni Apogeo. La prefazione l'abbiamo scritta noi. Eccola.]

Nel migliore dei mondi possibili, la pubblicazione di questo libro scuoterebbe come un terremoto il dibattito italiano su Internet e le nuove tecnologie di comunicazione. Se non produrrà nemmeno uno scarto, significa che quel dibattere è una parvenza di vita, finestre sbattute dal vento in una villa disabitata, mortorio al cui confronto un poltergeist è il Carnevale di Rio.
Cultura Convergente è un saggio rivoluzionario per molte ragioni. La prima è un marchio di fabbrica anglo-sassone: l'essere comprensibile, appassionante, farcito di prove ed esempi. Nel testo si fa spesso riferimento ad autori europei, capaci di brillanti costruzioni teoriche, ma molto meno dotati nel tradurle in un linguaggio immediato e in pratiche sociali osservabili. Come per magia, nelle pagine di questo libro ogni oscurità concettuale si fa cristallina.
Il secondo merito è che il professor Jenkins si immerge nella cultura popolare del nostro tempo, fotografa in che modo le nuove tecnologie la stanno cambiando, poi torna in superficie e ci mostra un reportage che in realtà non è sui mezzi di comunicazione ma su coloro che li usano per comunicare. Nelle sue foto ci siamo noi.
A questo proposito, occorre fare subito una precisazione importante.
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IL DOCUMENTARIO DI GUIDO CHIESA E WU MING 3: LE PERE DI ADAMO

Guido[Infatti. Si chiama Le pere di Adamo ed è il documentario scritto da Guido insieme a WM3, e a cui hanno lavorato tre anni.
Di cosa parla? Di movimenti sociali e meteorologia. Di caos e determinismo. Di scienza e di amore.
Qualche mese fa Guido ha spiegato il progetto in un'intervista a cinecitta.com.
Sul sito di Orione Film, la casa di produzione, si trova una scheda del film.
Le pere di Adamo verrà proiettato sabato 20 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, h.20:30, Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica, Viale Pietro de Coubertin.
REPLICHE:
Domenica 21 ottobre
h.14:30, Teatro Studio dell'Auditorium;
Venerdì 26 ottobre
h. 22:30, Cinema Farnese Persol, Piazza Campo De' Fiori 56.
Le informazioni per i biglietti si trovano nel pdf del programma della Festa.
Qui di seguito, un pugno di pensieri di WM3, scritto prima della partenza per il Canada.]

[WM3:] Lavorare con Guido, ancora una volta "con lentezza", è stato un onore, un piacere, e come sempre una lezione.
Abbiamo cercato di fare un viaggio, leggero, aereo, dentro la complessità, toccando temi sensibili, seppur all'apparenza distanti, del nostro tempo e della società contemporanea. Procedendo per analogie azzardate, provando ad accostare ciò che era separato, quasi per definizione.
Il clima, i fenomeni meteorologici, la precarietà, il confine tra scienza e discipline umane, i movimenti sociali e la percezione che ne abbiamo.
Convinti come siamo che, oggi, per raccontare bisogna correre rischi, battere sentieri non segnati, provare a inforcare occhiali nuovi. Fare ipotesi, cercare di verificarle. In pubblico, in campo aperto.
Tentare significa anche, non di rado, poter sbagliare, e in tempi abbastanza pavidi mi sento di sottolineare questo aspetto con un pizzico d'orgoglio. A Guido il coraggio non manca, no davvero, credo che ogni scelta della sua vita professionale, e non solo, lo dimostri. Per cui, bene l'azzardo, molto bene. A maggior ragione in un momento, e in un paese, che sembra avere in spregio la complessità come una malattia grave, ed è disposto a concedere non più di trenta secondi a qualsiasi ragionamento, ad ogni problema..
Ebbene, siamo chiari, le cose non stanno così. Le soluzioni non arrivano mai in un minuto. Non è mai "buona la prima".
Dunque, beccatevi Le Pere di Adamo, viaggio che parla di nuvole, precari e matematici.
Vedete voi cosa pensarne, che connessioni vi scattano, che domande vi si spalancano nella mente. Il giudizio poi, come sempre, anche quello sarà solo vostro.
Questo mi sentivo di dire alla vigilia di un altro viaggio, stavolta fisico, che mi porterà di là dall'Atlantico, e non mi resta che dare il mio abbraccio e in bocca al lupo a Guido, e al film, che sarà alla Festa del Cinema di Roma, e alla cui proiezione non potrò assistere.
I miei occhi, comunque, saranno lì.


GENOVA: MENO SCERIFFI IN MUNICIPIO, PIÙ INDIANI PER LE STRADE
Travestiti da indiani e Manituana alla mano, occupano per protesta la sede del municipio Genova centro est

Aldo Siri sfoglia Manituana[Il 19 settembre scorso Aldo Siri, presidente di centrodestra della circoscrizione centro-est di Genova, ha presentato un esposto in procura contro gli occupanti del laboratorio sociale Buridda, sito in via Bertani presso i locali dell'ex facoltà di Economia, nel quartiere-bene di Castelletto. La risposta degli occupanti è stata un'occupazione pacifica con "mascherata indiana" della sede del municipio. Riportiamo la notizia perché i pellerossa di Castelletto hanno recato in dono al tollerante-zero una copia del nostro Manituana. Qui di seguito, la lettera aperta consegnata a Siri e a tutti i presenti. A destra, Siri sfoglia perplesso l'arcano oggetto testè ricevuto (clicca sulla foto per vedere altre immagini dell'evento). Proprio al Buridda domani, mercoledì 3 ottobre, noialtri presenteremo il libro anzidetto. Hoka hey!]

Presidente Aldo siri, se lei fosse il Generale Custer avremmo già disseppellito l'ascia di guerra, ma lei è soltanto uno sceriffo di contea. E questa contea ha bisogno di meno sceriffi in municipio e di più indiani per le strade.
Avremmo preferito non dover arrivare fino a questo punto. Avremmo preferito trovare un governo del territorio responsabile, che si facesse carico dei difficili problemi di questo municipio, e non uno sceriffo che amministra scompostamente la sua contea del centro est.
Sappiamo che la politica delle volte parla con lingua biforcuta quando generata dal rifiuto delle differenze, dalla paura, dall'ignoranza, quando non offre soluzioni. E' questa la politica dello sceriffo che spera nell'arrivo della cavalleria per curare i fenomeni sociali che non capisce, che parla di cose che non conosce, che alla mediazione politica sostituisce un'azione della magistratura.
Sceriffo e indiani difficilmente si capiscono. Perché mentre lo sceriffo parla solo a chi come lui ha paura, gli indiani parlano a tutta la città che ha bisogni e desideri, voglia di incontrarsi, voglia di lottare, voglia di costruire una città migliore.
Dallo sceriffo non pretendiamo che dia cittadinanza ai progetti culturali e sociali che crescono dentro il Laboratorio Buridda. Questi progetti già vivono dentro la città e sono attraversati da migliaia di persone, giovani, anziani, bambini, donne e uomini, altri indiani e indiane come noi. La legittimità di fare tutto questo ce la siamo già presa. Dallo sceriffo però pretendiamo il rispetto, per noi, per il Laboratorio Buridda, per questa contea.
Rispetto per il nostro attivismo radicale contro lo spaccio di sostanze fatto di consumo consapevole e informazione scientifica, seminari, educazione. Rispetto per i progetti di accoglienza, di integrazione, di incontro fra le culture che coinvolgono diverse comunità migranti. Rispetto per i ragazzi e ragazze che gratuitamente ogni giorno da 4 anni rendono migliore l'ex facoltà di economia facendo lavori strutturali di recupero di un immobile che l'incuria aveva lasciato ai topi e non alla cittadinanza.
Rispetto di tutti i gruppi musicali genovesi, italiani e internazionali che si sono esibiti davanti alle decine di migliaia di giovani che per pochi euro hanno ascoltato musica dal vivo, merce che si paga a caro prezzo nel resto della contea dello sceriffo.
Rispetto per la palestra popolare, rispetto per tutte le compagnie teatrali, rispetto per le associazioni che hanno sede nella Buridda. Rispetto per le decine di produttori di vini di qualità che sono passati per le edizioni di critical wine, rispetto per tutte le persone che ogni pomeriggio trascorrono qualche ora nel nostro giardino pubblico visto che l'altro parco della contea, villetta Dinegro, anche grazie allo sceriffo è praticamente inagibile.
E infine pretendono rispetto tutti gli indiani e le indiane che da tutto il mondo ci hanno espresso vicinanza e dei quali abbiamo raccolto e stiamo raccogliendo le firme. Da Manu Chao ai docenti dell'università di Genova, da Daniele Silvestri alle donne indigene di Oaxaca, da artisti, musicisti, storici e insegnati di filosofia di Città del Messico a Fredrika Newton del Black Panther Party da San Francisco passando per tutti i genovesi, impiegati, operai, casalinghe, studenti che ci stanno sostenendo.
Sono centinaia, migliaia. Perché ci saranno sempre più indiani che sceriffi.
E per questo andremo avanti, cercando nella politica la parte che offre il dialogo e un riconoscimento giusto e dignitoso per tutti gli indiani, e non piegandoci alla politica delle sceriffi che parlano con lingua biforcuta.
Presidente Aldo siri, se lei fosse il Generale Custer avremmo già disseppellito l'ascia di guerra, ma lei è soltanto uno sceriffo di contea. E questa contea ha bisogno di meno sceriffi in municipio e di più indiani per le strade.

Gli indiani e le indiane del Laboratorio sociale Buridda

via Bertani 1, Genova, pianeta t/Terra
www.buridda.org

banner manituanaGià che ci siamo, due notizie riguardanti Manituana:
- Il calendario delle presentazioni di ottobre ha subito qualche modifica. Ad esempio, la presentazione al Rebeldia di Pisa è stata spostata da mercoledì 24 a martedì 23. Nei prossimi giorni pubblicheremo anche i dettagli della doppia data all'Università di Urbino (25-26 ottobre). In caso di dubbi, fa sempre fede la versione del calendario su manituana.com.
-
A proposito del sito, c'è una sezione nuova di zecca, si chiama "Visioni".


Sezione del Market Street Railway Mural di Mona Caron, San Francisco
UN "GRAFFITO" A SAN FRANCISCO

Clicca su questa foto per ingrandirla e guarda il cartello appeso sulla destra.

Si tratta di un murale, il Market Street Railway Mural, che l'artista svizzera Mona Caron ha dipinto nel periodo 2003-2004 a San Francisco, all'incrocio tra Church Street e la 15esima Strada.

Il soggetto è la storia del trasporto tramviario in Market Street dall'inizio del XX° secolo a oggi.

Qui c'è un video dell'artista al lavoro.

E qui c'è una descrizione dell'opera fatta dalla stessa Mona Caron, con tour guidato scena per scena.

Siamo caduti dalle nuvole (forse le stesse nuvole del documentario di Guido e WM3) quando, fotografando l'ottava sezione del murale, un'amica di passaggio a San Francisco ha scoperto quel dettaglio.

Più di questo, al momento, non sappiamo. Pare comunque che Mona Caron sia una nostra lettrice. Non poteva farci omaggio migliore.



TORNANO GLI YO YO MUNDI CON 54 E INOLTRE...

Per la verità la band non aveva mai smesso di portarlo in giro, ma le date di questo specifico concerto-spettacolo si erano rarefatte, dovendo - com'era giusto - lasciare il posto ad altri progetti, uno su tutti Resistenza. La banda Tom e altre storie partigiane. Tuttavia, dopo l'uscita di Manituana l'intero catalogo dei nostri libri è in subbuglio, nuovi lettori entrano in contatto con 54, riprende spinta il passaparola e quindi anche gli Yo Yo Mundi ricevono nuove richieste.
Ecco due date prossime venture:

Mercoledi 24 ottobre 2007, Brescia - Teatro Comunale (ore 21.30)

Giovedi 25 ottobre 2007, Macomer (NU) - Padiglione Filigosa, Ex Caserme Mura "Mostra del libro 2007" (ore 21.30)

yo yo mundiPER FARTI UN'IDEA DEL CD E DELLO SPETTACOLO LIVE

Scarica il brano "Ettore, Stella Rossa vince", letto da Fabrizio Pagella (mp3 zippato, 224 kbps, 8,8 mega

Scarica il brano "KGB", live at Sala Estense, Ferrara, 28/06/2002 (mp3 zippato, 128 kbps, 2,.3 mega)

Ascolta il brano "Se muoio stanotte", registrato dal vivo nel dicembre 2004

Ma non è tutto. A Trento c'è una band che suona un noise-metal sui generis, infetto e truculento. Si chiamano Animavana e il loro motto è: "Un'esperienza di basso profilo". Il testo di un loro pezzo, "Imperatore", è ispirato a un passaggio di 54. Potete ascoltarlo cliccando qui.


I CINQUE ANNI DE i15

logo i15[Nel periodo settembre-ottobre di cinque anni fa si costituiva il primo nucleo de i15, il comitato di lettura inediti nato dall'iniziativa di alcuni iscritti a Giap. Buon compleanno ai nostri "cugini". Qualche giorno fa gli iscritt* alla newsletter Inciquid hanno ricevuto il dodicesimo numero, che contiene una sorta di discorso "state of the union". Ne riportiamo un ampio stralcio.]

...cinque anni di attività sono davvero tanti! Abbiamo dato un minimo di due pareri di lettura a circa 700 manoscritti, che non sono pochi, ma ce ne restano ancora circa 400, molti dei quali in attesa da un paio d’anni. Se da un lato siamo felici di avere ottenuto una così larga fiducia dai nostri lettori/scrittori, siamo però ovviamente dispiaciuti che sia stato impossibile leggere tutto in tempi più rapidi... Purtroppo (e per fortuna), intorno a maggio-giugno 2004, abbiamo avuto un’impennata di invii dovuta a una serie di articoli usciti su stampa e web "di peso" (Venerdì di Repubblica, Panorama, Repubblica online etc.) che ci hanno dato un’improvvisa notorietà. A questo si è aggiunta la lenta ma continua conoscenza di noi che i lettori/scrittori hanno avuto dai romanzi che abbiamo portato a pubblicazione. È tutto molto bello, ovviamente, anche se lo sarà ancora di più quando avremo smaltito l'arretrato e potremo quindi tornare ai nostri tempi di risposta iniziali, che erano di uno-due mesi. Il nostro obbiettivo è raggiungere il pareggio di letture entro 12 mesi. Ce la stiamo mettendo tutta!
È diventato sempre più difficile poi portare a pubblicazione i romanzi promossi su INCIQUID. Dopo un periodo in cui l'editoria pareva essere più ricettiva a nuove proposte, sembra ora che il mercato sia decisamente più cauto, quasi fermo, e persino romanzi che noi sappiamo essere veramente buoni non riescono a trovare carta. È un vero peccato, non solo per gli autori, o per noi, ma per l’editoria italiana, che in questo modo perde grandi occasioni...


RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO

CHE GENTE SIAMO
Memoriale di SachsenhausenSono stata in vacanza a Berlino in agosto. Città bella, particolare, carica di significati e di vita.
Ho trovato gente aperta, disponibile, accogliente. Mille locali in ogni angolo, ragazzi in giro a tutte le ore, mai una volta ho avuto paura. Trasporti pubblici eccellenti, e tanta, tanta storia che non basterebbe starci un mese.
Una storia ben presente in ogni angolo della città, dove se non esiste più l'edificio o il monumento in questione c'è comunque un pannello esplicativo che non ti permette di andartene con la curiosità del "chissà cosa c'era qui".
E poi centri di documentazione gratuiti su tutto: Gestapo, Resistenza, Olocausto, Stasi, Muro ...quante cose si possono imparare in un posto che non si vergogna della sua storia.
E in mezzo a tutto questo...noi, italiani brava gente.
Popolino senza dignità, mi viene da dire.
Museo Ebraico. Un luogo inquietante dall'architettura visionaria che ti fa girare la testa (in senso letterale). C'è un albero con foglie virtuali, formate da tanti pezzi di carta su cui la gente è invitata a scrivere un suo pensiero. Ho letto frasi bellissime in inglese ed in spagnolo (le uniche che riesco a capire) sull'inutilità della guerra, pezzi di poesie e di canzoni, pensieri rivolti alle vittime innocenti di stermini ed eccidi... e poi la nostra chicca : "DOVETE METTERE LE SPIEGAZIONI IN ITALIANO!!" Che profondità...
East Side Gallery, 1 km e mezzo di muro che corre parallelo al fiume Sprea. La parte più lunga del muro sopravvissuta in città è diventata una galleria dove artisti di tutto il mondo hanno dipinto murales coloratissimi. Anche qui scritte di ogni tipo, nomi, autografi, date, ricordi di chi ha perso la vita cercando di superarlo...e ad un certo punto questa frase: "SI SENTE PUZZA DI PESCE AVETE IL MARE INQUINATO BASTARDO BLUCERCHIATO BASTARDO BLUCERCHIATO. FORZA JUVE!" Poteva mai mancare la Juve?
Campo di concentramento di Sachsenhausen. Tragico e sconvolgente come ogni luogo come questo sa essere. Ben conservato e restaurato, con varie esposizioni al suo interno e spiegazioni fin troppo chiare su quel che accadeva in ogni singolo angolo ( in tedesco e inglese ). Anche qui un pannello su cui scrivere un proprio pensiero. Anche qui frasi bellissime, ringraziamenti, citazioni. Non potevo credere ai miei occhi quando ho letto:"POTEVATE METTERE I CARTELLI IN ITALIANO, SQUALLIDI." Firmato CAMPIONI DEL MONDO 2006. In un campo di concentramento, capite, questi scrivono una cosa del genere.
Lì mi sono vergognata di essere italiana. Lì mi sono chiesta davvero che gente siamo.
Cosa ci hanno fatto per farci diventare così.
Piccoli e, noi davvero, squallidi. 
Che non sappiamo fare altro che scrivere slogan calcistici (ne ho visti parecchi altri nei luoghi più impensati, come se l'aver vinto il mondiale là ci avesse autorizzato ad imbrattare tutti i muri di Berlino).
Che visitiamo luoghi carichi del dolore e del sangue di tanta gente  e l'unica cosa che ci viene in mente è lamentarci che non ci sono le spiegazioni in italiano, (piuttosto chiediamoci perchè non sappiamo l'inglese).
Che ci sentiamo i padroni del mondo e pretendiamo dagli altri quello che in casa nostra non esisterà neanche tra mille anni. Ci fosse un  centro di documentazione come quelli di Berlino a Fossoli o alla Risiera di San Sabba!
Perchè non tacere e andare oltre se non si ha niente da dire? Perchè ci dobbiamo sempre distinguere con queste finezze?
E poi ci offendiamo se ci considerano "italiani pizza mafia e mandolino". Non siamo poi molto altro, mi sembra, o almeno facciamo di tutto per dimostrarci tali.
Perché?
Che vergogna, e che tristezza...
Ciao, Annalisa- Forlì.

TRA SUD-EST ASIATICO, TRIESTE E MIO PAPÀ
partizane pensare che mi sono messa a leggere Asce di guerra perchè mi sto intrippando di storie dell'estremo oriente...
chissà perchè ci ho impiegato tanto ad arrivare a quel libro...
che mi ha riportato a mio padre
di storie simili a questa ne avrete lette molte
ma per me è stata una gioia
e quindi vi ringrazio
so veramente poco della partecipazione di mio padre alle attività partigiane locali
quando è morto, vent'anni fa, avevo diciott'anni e non dovevo essere un granché interessata a certi argomenti
ma forse più dei miei fratelli, più grandi, che ne sanno ancora meno e che se ne erano andati da casa molto prima
quella aria imolese di frustrazione del dopoguerra mi ha finalmente spiegato
alcune frasi buttate là, in discorsi generici e generalizzanti che si facevano a tavola..."alla fine degli Anni '40 stracciai la tessera del partito"...
quella atmosfera di dopoguerra mi ha fatto scorgere mio padre come non lo hanno saputo fare i libri di scuola o i testi documentaristici
pochi racconti ricordo: attività di staffetta, armi e nascondigli, infiltrati alla X Mas, la Todt e i lavori e le fughe. Volantini lanciati dai tetti, volantini su cui c'era scritto che in Risiera uccidevano uomini e donne; e nemmeno loro, i ragazzi che si arrampicavano sui tetti del cuore della città ci credevano e pensavano fosse propaganda per aumentare l'indignazione e lo sdegno. Una pensione simbolica dal neogoverno di Tito per i servizi resi alla liberazione che viene devoluta alle vedove dei partigiani caduti
solo frasi
niente di più
capisco ora che mio padre l'ascia l'aveva sepolta, e di certe cose non voleva parlare, come non voleva più parlare lo sloveno
ma l'amarezza e la disillusione dei suoi ventanni se le portata nel cuore tutta la vita
sparava a zero su tutti, non era tenero con nessuno, politici e politicanti, nazionali e internazionali,
di una cosa sono certa
con noi, suoi figli, e con i suoi nipoti non ha mai fatto proselitismo, di nessun genere, ci ha insegnato ad essere critici...o almeno ci ha provato
ma tutti, proprio tutti, in casa, verso i 5 anni, sapevano già "Bella ciao" meglio di qualsiasi canzone dello Zecchino d'Oro
un abbraccio
Giorgia

L'ULTIMO ANNO DEL NOVECENTO
FurioCiao, a proposito del presunto errore sul risvolto di copertina di Manituana ( vedi Giap n. 13): i puristi del millennio mi fecero sorridere già all'epoca del capodanno 2000, e li ringrazio perché, non dandosi per vinti, mi fanno sorridere ancora oggi. Mi fanno sorridere perché scatenano la loro pignoleria sul conteggio degli anni passati dalla nascita di un tizio che non si sa quando è nato. E anche perché, nello spazio di un respiro, ammettono che milioni (azzarderei, per restare in Italia, 59 milioni) di persone parlano del novecento come "il secolo dal 1900 al 1999" per poi sostenere che in italiano non si intende così, essendo evidentemente l'italiano la lingua parlata da Narno Pinotti & i 10.000 che la pensano come lui.
Chissà, per restare nello stesso ambito, se per amor di precisione il sig. Pinotti si riferisce agli anni non come "millenovecentonovantanove" ma bensì come "millenovecentonovantanovesimo". O se, quando gli amici gli danno appuntamento per la sera di capodanno, lui si presenta alla festa la sera del 1° gennaio, e sorseggia lo spumante da solo, ma felice perché sa di avere ragione :-)
saluti, Leo