/Giap/#10 - We Won't Back Down - 14 settembre 2003

0 - A Johnny Cash (1932 - 2003)
1 - Autocritica sull'andazzo di Giap... e mozione d'ordine
2 - Scadenze: Nandropausa + La ballata del Corazza
3 - Ambiente, alimentazione, vegetarianesimo - Erika, WM1, WM5, WM4
4 - La "new economy" inquina e consuma di meno? - Vin, WM1
5 - Sul riciclaggio, gli inceneritori e certe pseudo-ricerche - Paolo, WM1
6 - Non cancellate il rosso mattone - Un appello da e su Bologna
7 - Nota sulla falsa raccolta differenziata a Bologna

 

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"C'era una volta un uomo che non riusciva a piangere,
non piangeva da anni e anni.
Nemmeno i bimbi bruciati dal napalm
o i film d'amore
potevano muoverlo a lacrime.

Da piccolo aveva pianto, come tutti i bambini
ma poi i condotti si erano chiusi.
Quando fu grande, gli andò tutto in merda,
le cose andarono sempre peggio, eppure non riusciva a piangere.

Il cane gli finì sotto una macchina,
sua moglie prese e lo lasciò
dopodiché fu licenziato.
Perse un braccio in guerra,
fu preso in giro da una puttana,
ma non singhiozzò, non tirò nemmeno su col naso.

Il suo romanzo fu respinto, il suo film fu bloccato.
Il suo grande spettacolo a Broadway fu un flop.
Finì in galera, e... avete indovinato: niente cauzione.
Eppure, zero lacrime, neanche un filo di bava.

In prigione fu picchiato,
maltrattato, inculato
e messo a fabbricare targhe d'automobile.
Pane e acqua
era tutto ciò che gli davano
ma il suo viso non si bagnò mai.

Chiamarono dei dottori, e anche degli scienziati,
persino dei teologi.
Furono tutti d'accordo, più o meno:
non era una mezza sega,
anzi, era una bestia insensibile.

Così lo tolsero di prigione, e lo misero in un posto
per gli insensibili e i matti.
Si fece molti amici, giocava tanto a scacchi
e piangeva ogni volta che pioveva.

Una volta piovve per quaranta giorni,
e piovve per quaranta notti,
e lui piangeva, piangeva, piangeva e piangeva...
Al quarantunesimo giorno passò a miglior vita:
era rimasto disidratato, e morì.

Bene, arrivò in paradiso, ritrovò il suo cane
ritrovò persino il proprio braccio.
Giù sulla terra, i critici si rimangiarono tutto,
e il cancro derubò la puttana del suo fascino.

L'ex-moglie morì di smagliature,
l'ex-datore di lavoro finì sul lastrico,
i teologi furono smascherati,
il vecchio carcere andò a fuoco, non ne rimase niente,
e la terra fu preda della siccità.
"

Johnny Cash, The Man Who Couldn't Cry
(scritta da Loudon Wainwright III°,
traduzione non autorizzata di Wu Ming 1)

 

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AUTOCRITICA SULL'ANDAZZO DI GIAP... E MOZIONE D'ORDINE

Dunque dunque... Qui dobbiamo metterci d'accordo. è vero, lo scorso Giap era troppo lungo (49.000 battute!), con testi troppo densi e incatorzoliti. Ci hanno fatto notare che la discussione su memi, Dawkins e biologia era una grandissima rottura di frenulo. D'accordo, la tronchiamo. Erano arrivati commenti interessanti: risponderemo in privato. Chiediamo scusa all'eroico Massimo, a cui avevamo chiesto di "asciugare" il primo testo che ci aveva mandato ed era riuscito praticamente a zipparlo (da 13.000 a 6.000 battute). Un Eroe del Lavoro, un esempio da seguire :-)
Il rischio è che Giap diventi difficile ed elitario, quindi diamoci tutt* una calmata. Nel corso del 2003 abbiamo assecondato un certo andazzo, è stato tutto molto graduale e abbiamo avuto i riflessi lenti: negli ultimi mesi ci arrivano scritti sempre più lunghi, brigosi e ipotattici, a volte sono testi teorici appena camuffati dall'apertura "Cari Wu Ming" ("Veniamo noi con questa mia...") o da una domanda finale di quelle che ti lasciano in braghe di tela, tipo "...e voi che ne pensate?" ("Ehm...")
Sono testi anche interessanti, non diciamo di no, ma sono "pezzi di bravura", di gente che vuole sfoggiare il grado d'istruzione conquistato grazie al culo quadro che si son fatti mamma e papà. è vero, noi come pulpito non siamo proprio credibilissimi... :-) Solo che è meglio non farlo qui, quel tipo di sfoggio, non è la sede adatta.
Capiamoci: il bello di Giap è proprio l'alternarsi imprevedibile dei toni, dei registri e dei contenuti: a volte sembra la posta dei lettori di "Linus" degli anni Settanta, altre sembra una lista di filosofia, altre ancora sembra... la newsletter di Wu Ming. Per fortuna, al contrario di altri spazi e mezzi d'espressione, non sembra mai il muro di un cesso d'autogrill.
La costante è il tono "pop", è il taglio divulgativo, e il sapersi fermare un secondo prima di avere spaccato i maroni...
Ecco, a volte non ci siamo fermati per tempo.
Quindi, invitiamo a non esagerare, a spedirci contributi più veloci, paratattici e che non richiedano un sapere iniziatico. è colpa nostra anche in un altro senso: con la cadenza troppo dilatata, si accumula per forza più materiale. Meglio preparare numeri più concisi e spedirli un po' (tranquilli, solo un po' ) più spesso. Questo è ancora abbastanza corposo, ma è veloce, e ci piace molto. Senza nulla togliere agli altri giapsters, ci piace molto lo stile di Erika.

 

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Ricordiamo ancora che alla fine del mese vorremmo spedire il numero #4bis di NANDROPAUSA, coi commenti dei lettori ad alcuni dei libri di cui abbiamo scritto a giugno. Se avete apprezzato (o detestato) Il fasciocomunista di Pennacchi o Gli ultimi giorni di Masterson, o American Nightmare di Sbancor, o Mumbo Jumbo di Ishmael Reed, buttate giù qualche riga e contribuite al nuovo numero della New Giap Review of Books :-)

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Il progetto di Racconto Open Source "La Ballata del Corazza" è ormai agli sgoccioli. Domenica 21 sarà l'ultimo giorno utile per spedire contributi, poi il tutto verrà frullato per la seconda volta, e il testo definitivo raggiungerà l'Istituto Trentino di Cultura in vista della serata al Castello del Buonconsiglio (di cui forniremo presto maggiori dettagli).
Questo ulteriore invito a partecipare al progetto [http://www.wumingfoundation.com/italiano/comunitari.htm], è rivolto in particolare alla piccola legione di iscritti a Giap durante la pausa estiva (circa 400). Proprio da queste forze fresche, infatti, sono arrivati i contributi più recenti, con molte proposte e sviluppi interessanti.
In attesa di ritardatari e nuovi arrivati, un grazie a tutti quelli che hanno partecipato, con dubbi, perplessità e suggerimenti, al dibattito sull'iniziativa, sui suoi aspetti ludici e su quelli più "filosofici".
Nel riproporre l'esperimento, cercheremo di tenere conto di tutte le modifiche proposte e dei molti consigli che ci sono arrivati per facilitare la partecipazione di ciascuno.
Per il momento, stiamo a vedere cosa salta fuori...

 

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Erika, da Bologna, 5 settembre 2003:

<<Posso permettermi un'aggiunta? Questo mondo è alla rovina anche grazie ai nostri consumi alimentari esagerati. Siamo tremendamente carnivori (io non più, ma insomma), mentre solo 40 anni fa la carne, nella maggior parte delle famiglie, si consumava 1 volta la settimana e 1 volta il pesce (se andava bene), adesso si consuma tutti i giorni e questo significa: 1) necessità di allevamenti intensivi perché quelli "bio" non riuscirebbero mai a sfamare l'abnorme esigenza di carne; 2) necessità di spazi enormi per l'allevamento (spazi immensi per piantare cereali per fare i mangimi alle bestiole); 3) somministrazione alle bestiole di ormoni per farli crescere più in fretta (e altre torture simili: una mucca, per farle produrre latte al massimo, viene messa incinta ogni 9 mesi (!) senza mai allattare il vitello che viene alimentato artificialmente).
Non faccio la partigiana vegetariana, ma se tutti/e facessimo la nostra parte diminuendo drasticamente l'uso di carne e latticini, un passo avanti si farebbe.
Il consumo abnorme di carne ha causato un aumento dei tumori: tanto per dirne una, non è vero che il fumo fa venire il cancro, o meglio è vero perché si combina con degli acidi presenti nei polmoni e derivanti da un consumo esagerato di proteine animali che non vengono smaltite, così pure il cancro al colon.
Se poi tutti i cereali utilizzati per nutrire tutti questi animali venissero utilizzati per nutrire persone, ne avremmo d'avanzo.
Lo so che suona molto spot pro-vegetarianesimo, ma è indecente tanto quanto le luci delle banche, a mio avviso. Per non parlare del caldo di quest'estate e dei condizionatori accesi nei negozi che facevano 15 gradi in meno. Per fare quelle temperature questi marchingegni immettono nell'atmosfera quantità assurde di aria calda. Ora: fino a 10 anni fa moriva qualcuno se entrava in un negozio di vestiti e non c'era il condizionatore? Devono essere proibiti, punto. Non è mai morto nessuno senza condizionatore, e sono rari i casi in cui questo è essenziale.
Il problema è un altro, è che i 4/5 della gente che fa politica non pensa a queste cose, punta o al lato mediatico o a quello burocratico-massimi-sistemi-del-mondo, se fai questi discorsi sei lillipuziano, moderato e ingenuo. Finché questa prospettiva non viene accolta dalla parte radicale del movimento con serietà e coerenza, stiamo freschi, rimane scelta individuale. Purtroppo non c'è storia, il movimento si è impallato, non riesce a proporre un sistema alternativo e forte, si limita a dire a cosa è contrario. Chi si occupa di alimentazione, sostenibilità e ambiente è quasi emarginato, quante volte viene indetta un'assemblea su questi temi? Un'assemblea che non sia dettata da emergenze, da fatti contingenti, da esigenze politiche (il traffico è un problema, dobbiamo vincere le amministrative, parliamo di traffico).
è
già molto che l'abbiate detto voi, anche all'ultima presentazione della rivista Frame alla libreria Modo [in via Mascarella, Bologna], ma purtroppo restano parole e iniziative come la petizione di Greenpeace che chiede l'utilizzo di carta riciclata in tutti gli uffici pubblici di Bologna e passa sotto silenzio, non viene vista come una battaglia da fare propria.
Perché nessuno dice qualcosa, a livello politico, del fatto che in centro non ci sono i bidoni per la raccolta differenziata? Ci sono solo del vetro e della carta, la plastica non c'è. A Bologna tutto il centro storico non ricicla le bottiglie dell'acqua, quante migliaia in un anno? Il mio terrore nasce dal fatto che vedo questo movimento languire pericolosamente senza aver intaccato minimamente il modo di vivere della gente, ma intanto andiamo a fare a botte a Riva del Garda, senza nemmeno sapere cosa si sta discutendo (l'assemblea al TPO di lunedì scorso è stata penosa in quanto a contenuti).
Ripeto: sono felice di vedere che qualcuno si accorge di tutto questo.
ciao>>

***

[WM1:]

Ti ringrazio per l'integrazione, io del resto sono vegetariano da 15 anni (lo sono anche WM2 e WM5). Anche l'esagerazione carnivora fa parte del "desiderio feroce di consumare il mondo", inoltre il consumo di carni rosse rientra come concausa dei due macro-processi degenerativi, perché gli allevamenti di bovini producono effetto serra, e le foreste vengono abbattute per far mangiare i bovini.

[WM5:]

Cara Erica, sono d'accordo con te al 100%. Il romanzo solista che ho appena concluso ha a che fare proprio con queste preoccupazioni, e il nucleo centrale è stato concepito dopo aver letto Ecocidio di J. Rifkin. La nostra è una civiltà segnata dalla carne rossa, senza dubbio: tre su cinque di noi sono vegetariani, se non calchiamo la mano su questo punto è perché crediamo che una scelta simile non si possa imporre. è giusto in ogni caso fare tutto il possibile perché la consapevolezza delle implicazioni nefaste del mangiare carne raggiunga più persone possibili.


[WM4:]

Una precisazione da parte della minoranza carnivora di Wu Ming. Il mio consumo di carne (ma credo anche quello di WM3) è da anni '40 del ventesimo secolo, ovvero una o al massimo due volte a settimana (forse arrivo a tre durante le festività natalizie per non scontentare il parentado più anziano). Ho comunque smesso di acquistare carne nei supermercati o nei negozi alimentari (la carne bianca e rossa che mangio è letteralmente "del contadino", non proviene da allevamenti intensivi). Anche il pesce lo mangio assai di rado, soprattutto per via dei prezzi proibitivi.
Tutto sommato quindi non mi costerebbe granché passare al vegetarianesimo. Ma conservo delle titubanze che vorrei sottoporvi. Ovvero: non vorrei disabituare completamente il mio organismo alla digestione di carne. Credo che sia un vantaggio essere gastronomicamente adattabili anziché no. Mi è capitato spesso, in viaggio in paesi stranieri, di trovarmi a non avere alternative al mangiare carne. Rifiutarmi di farlo avrebbe significato: a) digiunare, oppure b) mangiare riso e fagioli per giorni e giorni, c) offendere i miei ospiti, d) complicare la vita ai miei compagni di viaggio.
Del resto gli uomini mangiano carne fin da quando dovevano cacciarsela nei boschi. Credo che il problema non sia tanto il consumo di carne in quanto tale, bensì il sovraconsumo spropositato nell'emisfero settentrionale del pianeta, cioè la dieta demenziale che i cittadini del nord del mondo seguono. Infatti la tendenza all'obesità in quella fascia di popolazione planetaria è in progressivo aumento. Già adesso un americano su tre ha problemi di peso. Ovviamente poi ne consegue l'esportazione dello status symbol carnivoro anche nelle altre zone del mondo. Ci auguriamo che la chiusura dei McDonald's sia l'inizio di una forma di reazione all'omologazione gastronomica. Infatti il problema del sovraconsumo di carne va di pari passo con quello dell'imbarbarimento delle abitudini alimentari e forse bisognerebbe leggerli in parallelo. Una volta si mangiava meno carne, ma la varietà di graminacee, legumi, erbe, che componevano l'alimentazione quotidiana era molto più ampia di oggi. L'impero della carne rossa è andato costruendosi insieme all'impero del grano (e in misura appena di poco minore a quello della patata).
Mi fermo qui perché la carne al fuoco :)))) mi sembra davvero tanta.

***

Erika, 6 settembre 2003:

<<Premetto che io sono d'accordo con te, non credo che si possa imporre di non mangiare carne (non è neanche giusto), il problema è proprio l'eccesso, il consumo spopositato. Riguardo le titubanze, io sto lentissimamente facendo il passaggio da vegetariana a vegana, e questo crea molti problemi ad andare in giro a mangiare, tuttavia credo che il problema sia "culturale". Siamo nella civiltà della carne, se tu vai in Italia (perché in Inghilterra mi dicono sia diverso) in un ristorante o in un bar, spesso non trovi da mangiare, o meglio: ti accontenti dei contorni; al bar se vuoi un panino raramente trovi quello vegetariano (io non mangio pesce, e mi propongono l'immancabile tramezzino col tonno! è l'alternativa più vegetariana che hanno). Culturalmente l'idea che si possa vivere senza carne (e peggio senza latticini) non c'è. Per cui la tua titubanza è fondata finché non ci sarà un cambiamento culturale per cui l'essere vegetariani sarà "normale". Se tu hai un figlio vegetariano a scuola è un casino, rischi che gli diano formaggi 5 giorni su 5 perché non è comune sapere come sostituire la carne e avere il giusto apporto di proteine. Inoltre ti vengono a dire che è sbagliato, che "non si può non far mangiare la carne ad un bambino". Pensa anche alla medicina tradizionale: ti dicono che se sei vegetariano non puoi stare bene, per cui se vai dal medico perché hai qualcosa questo ti dice che è perché sei vegetariano, non vale! è un preconcetto che non va a sanare il mio problema di salute.
Una cosa soltanto su quello che dici: "Del resto gli uomini mangiano carne fin da quando dovevano cacciarsela nei boschi".
Mica tanto vero, gli uomini sono stati per tantissimo tempo raccoglitori di ciò che dava loro l'ambiente. Parentesi: leggevo due giorni fa che l'allattamento col latte vaccino risale al 1793 ed è dannosissimo perché il latte vaccino contiene soprattutto calcio, adatto al vitello che cresce in fretta e sviluppa prima l'apparato scheletrico, quello umano contiene in prevalenza fosforo perché l'uomo sviluppa prima il cervello! Addirittura si pensa che il dilagare delle allergie dipenda da questo uso del latte perché non contiene le difese immunitarie che invece possiede il latte materno. Per non parlare del latte agli adulti: la capacità di digerirlo è una conquista talmente recente che alcune tribù isolate e sperdute ancora non ce l'hanno. Sono abitudini culturali, niente di più.
Adesso pensa: se si diffondono queste notizie quanto mercato entra in crisi? Latte, yogurt, dolci... Un casino. Intanto il latte di mandorla costa 2,40 euro quando è in offerta, così come gli yogurt alla soya. Adoperarci per la diffusione di un altro tipo di cultura alimentare, non prostituita agli interessi di mercato, credo sia una grande conquista, se non altro offrirebbe la possibilità di scelta.
Diventare vegani significa non trovare nulla o quasi ai supermercati normali e se lo trovi il prezzo è assurdo.
La cosa interessante è che cose così "vitali" come l'alimentazione siano snobbate, adesso il ministro della sanità fa la commissione taglia-porzioni e nessuno dice niente. Non bisogna tagliare, bisogna cambiare!
Concludo qua, se no la faccio troppo lunga (l'ho già fatta troppo lunga a dire il vero...) scusate
ciao>>

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Vin, 6 settembre 2003:

<<Nella prima parte dell'ultimo giap parlate dello spreco dei led accesi di tv e sterei.
A me però non mi convince molto questo discorso, cioe': perché non puntare su forme ecologiche di energia? Altro che ritorno al nucleare! Puntiamo sull'energia solare, eolica ecc.
Sono d'accordissimo sull'uso delle auto elettriche e del biodiesel, e magari in un futuro (nemmeno poi tanto remoto se solo lo si volesse) dell'idrogeno; ma in questo caso a differenza del mio led-scetticismo sono piuttosto radicale, per farla breve: a che cazzo servono le auto? Con l'intensificazione dei mezzi pubblici e considerato il sempre maggior numero di aree pedonali (che però come sappiamo hanno aspetti molto ambivalenti/ambigui) il numero di auto in città potrebbe essere fortemente abbattuto.
[da questo punto di vista la follia in America dilaga, ne parlava Mike Davis sul Manifesto qualche mese fa:classe media bianca che vive in quartierìsotto-vetrò e che usa mega-jeep (prodotte in origine per l'esercito) a volte anche blindate (BLINDATE!): un consumo stratosferico di carburante solo per fare casa-lavoro, casa-centro commerciale]
Forse il mio approccio è /può apparire troppo 'futuristicò e poco efficace nell'immediato, ma credo si debbano offrire valide alternative a questo modo di ri/produzione e non appellarsi/attaccarsi a una sorta di rigore (chiedo scusa ma in questo momento non mi viene in mente la parola appropriata) leninista (perfettamente descritto nel personaggio del generale Serov in 54) e/o terzomondista. Sono arci-convinto che non sia questo il vostro atteggiamento, ma sono anche arci-convinto che sia proprio questo lo spirito di certi settori del movimento.
Leggendo l'ultimo e il penultimo numero di giap la situazione è davvero deprimente (ancor più deprimente del solito perché sulle questioni ambientali ci si sente ancor più impotenti che su quelle politiche,ed anche se forse è tutto il contrario di fronte ai grandi numeri ci si demoralizza molto...); però bisogna esser consapevoli di ciò che possono fare le municipalità nel riciclaggio,che l'abbattimento dell'uso della carta è possibile sia grazie all'uso di quella riciclata sia grazie all'avvento dell'informatica, che iniziare a lavorare seriamente sull'uso dell'idrogeno è solo una questione di volontà.
Volontà, già...
Sono d'accordo con Formenti e col suo sito Quintostato su di una alleanza progressista* della new-economy con i Democratici [o come si fanno chiamare qui in Europa socialisti (ma ancora per poco pare)], ma, aggiungo io, quest'alleanza deve allargarsi all'aspetto ecologico: il discorso economico e quello ecologico sono indissolubilmente collegati (lapalissiano, banale): come si fa a sconfiggere il cartello petrolifero(-militare) senza un'alternativa materiale (che non ci può essere offerta dalla new-economy) al modello che ci impongono?
N.B. non ti sembri troppo verticistico il mio modo pensare: la pressione (e 'produzione') dal basso sono/saranno cruciali.
Fantapolitica? è meglio darsi all'ippica, anzi al fantacalcio?
P.S. Per quanto riguarda i negozi illuminati di notte, lì, forse, andrebbe fatto anche un discorso sulle città-vetrina, sui non-luoghi che sempre di più stanno diventando le nostre città (forse si ricollega anche al discorso sulle aree pedonali).
*quando parlo di alleanza progressista il pensiero va subito al New Deal (allenza tra elite' liberal e rappresentanze operaie), forse oramai si è un po' stanchi dei compromessi e certamente il nuovo proletariato (spero non ti scandalizzi questa parola) è in grado di incidere direttamente sul reale, ma credo che nessuna ipotesi vada scartata a priori anche considerando l'attuale situazione storica...
(ed ho ben presente, è ovvio, che certe cose non si decidono a tavolino: anche il piano del New Deal non era così chiaro come ci appare ora mentre lo si compiva).>>

***

[WM1:]

Sull'energia eolica e solare: sempre di energia elettrica si tratterà (l'eolico e il solare servono a ottenere elettricità), e visto che non sarà sufficiente a coprire un fabbisogno "drogato" come quello attuale, sarà ancora più importante esortare a evitare sprechi insensati come quello degli elettrodomestici in stand-by, dei condizionatori d'aria sparati per avere 0°, delle luci accese di notte etc.

Sull'abbattimento del numero di auto private in città: parlavamo di "veicoli elettrici", quindi includevamo i mezzi pubblici. Il punto è che in Italia questa lotta la stanno portando avanti solo pochi privati, osteggiati in tutti i modi da burocrazie di ogni tipo. Visto che in genere le amministrazioni comunali sono sorde e cieche (e i governi non parliamone nemmeno), l'unico modo per diffondere la cultura del trasporto alternativo è portare il numero delle auto elettriche private a una massa critica sufficiente a produrre un effetto contagio (e un abbassamento dei prezzi, oggi molto alti).

Su quale sia l' "atteggiamento giusto": secondo me a sinistra e nei movimenti certi discorsi sul fatto che "il problema è politico", "il problema è più generale", "non si deve agire sul consumo ma cambiare il modo di produzione", "non c'è ecologia senza superamento del capitalismo", etc., pure basati su assunti che condivido, si sono rivelati quel che probabilmente erano fin dall'inizio: alibi per non fare un cazzo (non mi riferisco a te). Difatti, si sono fatti ben pochi passi avanti, e a sinistra e nei movimenti predominano comportamenti quotidiani non meno ecocidi di quelli diffusi nel resto della società. Alle feste dei partiti di sinistra o a certe feste di movimento c'è spesso una produzione di pattume e uno spreco di carta e plastica che ha ben poco da invidiare a quella del Motor Show. No grazie, preferisco partire da me stesso, preferisco l'austerità.

Su informatica, uso della carta e raccolta differenziata: nella maggior parte delle città italiane la raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio è una truffa. Qui a Bologna si sta scoprendo in questi giorni che, una volta raccolte, le diverse tipologie di rifiuti (secchi, umidi etc.) vanno a finire nello stesso camion e nello stesso inceneritore [*] Anche gran parte della carta straccia raccolta finisce che viene incenerita, perché molta non corrisponde alle tipologie accettate dalle cartiere. I cittadini vengono presi per il culo, questa è la verità. Quanto all'informatica, da quando si è affermata (cioe' negli ultimi vent'anni) l'utilizzo di carta è cresciuto del 49%. Non possiamo confidare né nelle amministrazioni né nella spinta inerziale di macro-tendenze presuntamente progressive: possiamo confidare solo in noi stessi.

Infine, sulla "new economy": apprezzo molti aspetti del lavoro di Formenti e seguo quintostato.it, però è tutto da dimostrare che l'impatto ambientale della "new economy" fosse effettivamente minore di quello della "old economy". Mi permetto di avere dei dubbi,
- visto che la "new economy" non potrebbe esistere senza le basi materiali procurate dalla "old", che a sua volta ha raggiunto il limite di sfruttabilità dell'ambiente (il Veneto post-fordista e dell'impresa a rete, il Veneto benettoniano tanto decantato da Negri & Co., lavora grazie all'energia fornita dalla centrale idroelettrica di Porto Tolle, che però a luglio e agosto ha rischiato di fermarsi per via del Po in secca);
- viste le migliaia di tonnellate di computer (vecchi, ma anche nuovi) periodicamente rottamati per mantenere in movimento il mercato (e vista la non biodegradabilità di quei materiali) [Non si tratta solo di PC: si pensi all'obsolescenza programmata dei cellulari, e a dove mai vadano a finire tutti quei rottami (il cosiddetto "e-waste": secondo il WWF, in Italia se ne producono ogni anno 6 milioni di tonnellate)].
- vista l'illusione della ricchezza facile e delle risorse infinite che sicuramente negli anni Novanta ha portato a comportamenti ancor più ecocidi (e autodistruttivi, se si pensa all'abuso di farmaci alteratori della personalità per mantenere alto il "rendimento" e il livello di autosfruttamento);
- visto l'aspetto glamorous della subcultura legata alla "new economy" che porta riviste come Wired a stampare su carta ad alto impatto ecologico e, dulcis in fundo...
- visto il fatto che i vertiginosi successi di borsa delle start-up si basavano comunque su una ricchezza prodotta grazie alla divisione globale del lavoro e allo scambio ineguale. Sarebbe ora di demistificare ciò che è stata la "new economy", riportando di peso nel quadro tutto ciò che era stato rimosso per motivi ideologici. Non si basava per niente su lavoro "immateriale": molto semplicemente, le brutali ricadute materiali di quel tipo di capitalismo sono state nascoste. Un lavoro "immateriale" non esiste.


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Paolo, 7 settembre 2003:

<<Apprezzo molto l'iniziativa sulla carta ecosostenibile, in particolare l'analisi del ciclo di produzione-riciclaggio su Giap #8 che finalmente mette in risalto la variabile energia. Dico finalmente perché sono cresciuto con slogan ecopubblicitari tipo *salva un albero: compra carta riciclata* che mette in relazione diretta disboscamento e riciclaggio della carta. Una relazione impropria perché , lo saprete meglio di me, la produzione di legname da carta avviene quasi esclusivamente nei paesi industrializzati, in foreste caratterizzate da un forte intervento umano e che proprio per questo sono in aumento. Per come funziona il capitalismo, se si aumentassero le quote di carta riciclata, queste foreste sarebbero incapaci di produrre profitto e probabilmente inizierebbero veramente ad essere in pericolo.
Per questo motivo ho apprezzato un po' meno l'introduzione di Giap! #9 che attribuisce una parte di responsabilità degli effetti catastrofici della deforestazione all'industria cartiera, e si scandalizza per le dichiarazioni di Matteoli.
Alla luce di recenti e ignorati studi si nota che riciclare non significa automaticamente inquinare di meno se si prende in considerazione l'intero processo con il complessivo dispendio di energia - e non solo di teneri alberelli. Perciò occhio a non perdersi dei pezzi importanti nel ridurre la complessità: se è una gran cosa la carta ecosostenibile è invece da prendere con qualche distinguo quella riciclata (che fra l'altro stimola appetiti non troppo casti visto che la fetta di mercato che ora è in mano ai paesi produttori ed esportatori di carta come il Canada finirebbe nell'industria nazionale del trattamento dei rifiuti).

P.S. Vi allego un frammento di articolo che scrissi qualche anno fa a proposito di una ricerca che purtroppo non ebbe una grande eco mediatica.

[...]Secondo un non più recente studio di Matthew Leach, analista di politiche energetiche all'imperial college di Londra, una delle più profonde convinzioni degli ambientalisti potrebbe rivelarsi priva di fondamento scientifico.
Si è soliti fare riferimento ad una gerarchia secondo cui è preferibile nell'ordine: limitare i consumi, riutilizzare le risorse ed infine riciclare i rifiuti anziché incenerirli o smaltirli nelle discariche. L'indagine di Leach dimostra che se si considera di primaria importanza l'impatto ambientale, l'incenerimento è la soluzione migliore mentre se si considera di più il fattore economico l'opzione più conveniente è il riciclo, almeno per quanto riguarda la carta. La novità della ricerca sta nel fatto di attribuire nell'analisi del ciclo del rifiuto un maggior peso ai costi ambientali nascosti chiamati "esternalità" (dovuti alla produzione di anidride carbonica, anidride solforosa, ossidi di azoto e altre sostanze inquinanti) ed al risparmio di energia che comporta l'incenerimento, dal momento che gli inceneritori possono generare elettricità per alimentare la rete nazionale.
Un fattore molto incisivo tra le ricadute ambientali è la produzione di CO2 dei camion adibiti al trasporto della carta alle stazioni di riciclaggio; di norma, infatti gli inceneritori sono molto più vicini ai centri di raccolta e comportano viaggi più brevi. Un'altra "esternalità" considerata è il grande dispendio di energia che comporta il processo del riciclaggio, il trattamento di deinchiostrazione produce, fra l'altro, un residuo melmoso altamente tossico. Mattew Leach osserva inoltre che una maggior richiesta di legname da carta, aumenterebbe il manto forestale che ridurrebbe la quantità di CO2 nell'atmosfera. [...]
>>

***

[WM1:]

Non capisco come fai a scindere in due il discorso che abbiamo fatto. Abbiamo individuato (mica per primi, per carità) due problemi: 1) la grande maggioranza della carta proviene dall'abbattimento di foreste, 2) per produrla si ha un impatto ambientale enorme. La carta ecosostenibile risolve *parzialmente* il primo problema, ma non il secondo, in quanto ha esattamente lo stesso ciclo produttivo di quella non ecosostenibile. L'unico modo per non liberare così tanta diossina nell'ambiente e non sperperare quantità inimmaginabili di acqua è ottenere carta dal riciclaggio al 100% a ciclo chiuso. Questo ragionamento mi pare difficilmente smentibile. Anche per quanto riguarda il primo problema, è importante capire che non si possono continuare a sprecare risorse. I dati del 2001 dicono che in Italia si sono consumati undici milioni di tonnellate di carta: da un albero di medie dimensioni si ricavano circa 70 kg. di carta. Fai un paio di conti e avrai una buona approssimazione del numero di alberi abbattuti per permettere tale spreco [quasi 158 milioni di alberi, N.d.R.]. Chiaramente non stiamo facendo l'apologia dell'industria del riciclaggio come funziona adesso, anzi. Qui c'è da fare una rivoluzione culturale.

Tu scrivi: "Per come funziona il capitalismo, se si aumentassero le quote di carta riciclata, queste foreste sarebbero incapaci di produrre profitto e probabilmente inizierebbero veramente ad essere in pericolo." Questo ragionamento è meccanicistico, non tiene conto dell'esistenza (rilevata persino da marxisti ultra-hardcore, ad esempio il Bordiga di *Proprietà e capitale*) di spazi non-del-tutto-capitalizzati e capitalizzabili, di proprietà pubblica, public domain, preservati dal capitalismo stesso, che possono essere vieppiù ristretti (come negli ultimi vent'anni di neoliberismo) ma non eliminati del tutto. Secondo la tua logica, non si capisce come mai non vi siano politiche di sterminio col gas dei disoccupati, come mai negli ultimi secoli non siano stati aboliti per decreto l'ospitalità, il dono, il sesso gratuito etc. Il ciclo di valorizzazione del capitale ha comunque dei limiti riconosciuti, di ordine culturale e antropologico, dimensioni "non rappresentabili in partita doppia e in attivo di bilancio" (A. Bordiga). Esistono dei tabù che limitano o quantomeno modificano l'estrazione di plusvalore. La tesi secondo cui "tutto è capitalismo" è sbagliata. La collettività percepisce come un diritto/dovere fornire e fornirsi di servizi per cui si paga tutt'al più un'imposta ma non un prezzo (c'è una bella differenza), e il capitalismo non può estirpare questa dimensione pubblica, anzi, a malincuore deve fare investimenti a fondo perduto, a rientro remoto etc.
Bisogna far sì che la preservazione degli alberi divenga una regola di convivenza non trasgredibile, un dovere implicito e immediatamente percepito come il fatto di spegnere gli incendi o soccorrere un ferito (o evitare di fare sesso con la propria figlia o il proprio figlio). L'abbattimento insensato di alberi deve divenire un tabù.
[Bordiga scriveva che i veri elementi di potenziale comunismo nella nostra società non sono le nazionalizzazioni anzi, le "statizzazioni", bensì cose come il bere l'acqua alla fonte stradale!].

Quella dell' "impatto ambientale nullo" è un'utopia anche pericolosa, perché secondo i principi della termodinamica non si può *non* dissipare energia. Il punto è limitare tale dissipazione. I dati sulla differenza d'impatto ambientale tra la produzione di carta dalla cellulosa vergine e la produzione di carta da scarti e maceri (mi riferisco sempre al riciclaggio al 100% nelle migliori condizioni ottenibili) mi sembrano chiari. Per ogni chilogrammo di carta ottenuta col riciclaggio anziché da cellulosa vergine si risparmiano 6 etti di anidride carbonica. Moltiplica per i soliti undici milioni di tonnellate.

Parlando di inceneritori, non mi pare molto ecologico né esente da *esternalità* inalare il particolato e la diossina, far precipitare nel terreno e nelle falde molecole di materiali cancerogeni, produrre quantità spropositate di CO2 etc. Ho scoperto, navigando, che Matthew Leach ha lavorato per la Banca Mondiale come consulente energetico tra l'89 e il '95. Scusami, ma viste le politiche disastrose incoraggiate da questo organismo (quel periodo rappresenta proprio il culmine dell'intossicazione neoliberista), mi permetto di coltivare qualche piccolo dubbio sul suo credo ideologico e sulle sue affermazioni. Ho letto il suo articolo sul riciclaggio come "vacca sacra degli ecologisti", e mi sembra molto limitato. Praticamente, l'unico beneficio ecologico ricavabile dall'incenerire rifiuti si ridurrebbe alla produzione di energia elettrica. Su tutti gli aspetti negativi si soprassiede. Parlando di riciclaggio, mi sembra che Leach generalizzi indebitamente alcune verità parziali: non prende in esame il ciclo chiuso e parte dall'idea che le politiche sul riciclaggio non possano in alcun modo migliorare, rimarranno eternamente identiche a quelle che ha studiato alla metà degli anni Novanta. è un punto di vista molto ristretto e conservatore.
Il New Scientist, riassumendo in soldoni, dice: "La lezione che si ricava dallo studio di Leach è che il riciclaggio risulta sensato dal punto di vista economico se si minimizzano i costi ambientali mentre, se si tiene all'ambiente, vincono gli inceneritori". Però se si va a vedere cosa intende Leach per vantaggi ambientali, la portata e la prospettiva della sua ricerca risultano molto ridimensionate. Io dico: se lavoriamo per minimizzare i costi ambientali e al contempo per favorire energia "pulita" come l'eolica o la solare, potremo fare a meno degli inceneritori e del loro devastante impatto sull'ambiente e sulla salute.
Oltre a ciò , pare che Leach si basi su assunti imprecisi, come ha fatto notare qualcuno (cfr. l'audizione di Mike Childs dei Friends of the Earth di fronte alla commissione parlamentare britannica sull'ambiente, i trasporti e gli affari regionali, 3 febbraio 1998).
Io propendo per la versione di Francesco Francisci di Greenpeace (intervista a "Tempo Medico" n. 587 del 4 marzo 1998):

<<"Siamo abituati a questo genere di studi, sfornati a intervalli più o meno regolari. E quasi mai convincenti". Il dilemma, sostiene Francisci, è sempre lo stesso: recuperare materiale o energia? E l'ago della bilancia va sempre cercato nei criteri in base ai quali si valutano queste famose esternalità. La produzione di energia elettrica da rifiuti, per esempio, è sostenuta da forti sovvenzioni governative. "Gran Bretagna e Italia sono proprio i paesi dove questi aiuti sono più consistenti" spiega Francisci. "Se un chilowattora costa in media tra 50 e 80 lire, una volta aggiunto il valore delle sovvenzioni il costo balza fino a 270-280 lire. Si capisce che la pressione per aprire nuovi impianti di incenerimento, in queste condizioni, può essere molto forte".
Secondo l'esperto di Greenpeace, l'analisi di Leach potrebbe essere facilmente ribaltata da una politica che premiasse davvero il riciclaggio, per esempio decentralizzando gli impianti. né bisogna dimenticare che l'intero processo, riciclaggio, incenerimento, industria della carta, si inserisce a pieno titolo nell'ormai arcinota economia globalizzata. Per cui può risultare molto difficile valutare non solo gli interessi in gioco, ma il valore stesso delle analisi tecniche.
"In Italia il riciclaggio della carta è ancora praticamente inesistente. Anche quando si effettua la raccolta differenziata, non esistono impianti che la lavorino. Ci sono cartiere a Lucca, per esempio, che non comprano carta usata in Italia perché ne ricevono, di pessima qualità ma gratuita, dalla Germania. Per i tedeschi, evidentemente, sobbarcarsi i costi del trasporto per collocare quella carta in Italia (siamo tutti il Terzo mondo di qualcuno) è comunque un'operazione in attivo" conclude Francisci.>>

Ribadisco i miei dubbi sul curriculum vitae di Leach, corroborati dal fatto che è un ex degli Amici della Terra. Ogni tot anni salta fuori qualche "ex-ambientalista" "revisionista" con nuovi presunti studi-shock che denunciano il "conformismo" e la "superficialità" dell'ecologismo. In Italia ora tocca al danese Bjorn Lomborg, "ex attivista di Greenpeace", che nel suo libro *L'ambientalista scettico* ci dice che le cose vanno benone etc. Peccato che un po' ovunque, a cominciare dal suo paese, le sue teorie siano già state smontate e sbertucciate:
http://www.wwf.it/news/812003_9105.asp
E a Oxford si è pure preso una torta in faccia:
http://www.anti-lomborg.com/press1.htm

***

Paolo, 7 settembre 2003:

<<Beh, mi hai convinto.
Mattew Leach come consulente per la banca mondiale mi era proprio sfuggito, sennò col cavolo che ci avrei scritto un articolo. Il punto è che all'epoca la notizia era fresca e le varie reazioni e controindagini non erano ancora in giro. Da quel momento non ho avuto più tempo per approfondire e ho archiviato il caso.
Grazie e ciao>>

 

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Testo pubblicato su L'Unità-Bologna giovedì 11 settembre 2003:

NON CANCELLATE IL ROSSO MATTONE

Pochi anni fa il Comune di Bologna decise di dare a tutti gli attrezzi pubblici, dai cassonetti alle pensiline, ai bus, un colore omogeneo e riconoscibile, consontante con l'immagine che Bologna ha e dà di sé.
Un bel colore, una gradazione del rosso mattone, integrabile positivamente con il timbro coloristico della città. Da qualche tempo, dai cassonetti ai cestini, a poco a poco, vengono sostituiti gli impianti con altri di colori diversi, dal bruno all'antracite, certamente più estranei ed esteticamente discutibili. Le motivazioni che sono date a questo cambiamento per lo meno non tengono conto di quanto aveva proposto la ricerca di soluzioni per rendere più bella Bologna. Una piccola cosa importante per la riconoscibilità di Bologna viene annullata, mentre affrontare anomia e degrado è sempre più urgente. Occorre riflettere. Anche il piacere di un colore nel suo contesto serve a star meglio. Se sono dettagli, d'altra parte, perché cambiarli? Aver cura dei colori, di ogni cosa pubblica, è aver cura di chi abita e attraversa la città, dei cittadini, delle persone.

Firme:

Pietro Maria Alemagna (architetto); Stefano Benassi (docente universitario); Alberto Bertoni (docente universitario e direttore Associazione Primo Levi); Pino Cacucci (scrittore); Alessandro Castellari (direttore Associazione Italo Calvino); Giorgio Celli (docente universitario e parlamentare europeo); Giuseppe D'Agata (scrittore); Piero Dallocca (architetto); Carlo De Angelis (architetto); Valerio Evangelisti (scrittore); Marcello Fois (scrittore); Giulio Forconi (dirigente editoriale); Fioretta Gualdi (architetto); Marco Guerzoni (architetto); Niva Lorenzini (docente universitario); Giancarlo Mattioli (architetto); Milena Naldi (docente d'arte); Eugenio Riccomini (docente universitario); Gianni Scalia (direttore "In forma di parole"); Gregorio Scalise (scrittore); Stefano Tassinari (scrittore); Wu Ming (collettivo di scrittori).

 

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[*] dalla rubrica lettere delle pagine bolognesi de La Repubblica, sabato 6 settembre 2003 [N.B. Hera è la neonata mega-società di servizi energetici, idrici e ambientali nata dall'unione delle società operanti a Bologna e in Romagna, vedi http://www.gruppohera.it/ Tra le varie cose, si occupa dei rifiuti e della nettezza urbana]:

HERA INDIFFERENZIATA
Non mi è di certo sfuggita la segnalazione del 14 agosto riguardo la raccolta rifiuti Hera quando il sig. Mazzetti segnalava la raccolta indifferenziata di rifiuti differenziati, in quanto io stessa ero già stata testimone di fatto analogo; né mi è sfuggita la risposta del sig. Angelo Bruschi, direttore generale Hera Bologna, che cortesemente dichiara di non avere i mezzi per mettere in dubbio la parola del cittadino e quella dell'operatore Hera che nega il fatto. Caso vuole che il 2 settembre, alle ore 14.10, ancora una volta mi sia capitato di essere testimone di un caso identico - in via Raimondi poco prima dell'incrocio con via Ferrarese, il camion di raccolta n. 1279 ha svuotato sia il bidone grigio (raccolta indifferenziata) che quello giallo (rifiuti secchi). Nell'augurarmi che il progetto di monitoraggio in sperimentazione da Hera dia i suoi frutti, mi chiedo comunque se tale sistema, che immagino costoso e che senz'altro ricadrà sui già tartassati cittadini, fosse proprio necessario; se solo si chiedesse agli operatori Hera di avere la stessa sensibilità e spirito civico dei cittadini bolognesi, non sarebbe tutto più semplice?
Sheila Ferrari

Qualche giorno dopo,13 settembre, stessa rubrica:

SULLA RACCOLTA HERA
La lettera "Hera indifferenziata" pubblicata dal vostro giornale nella cronaca di Bologna il 6 settembre, a firma della signora Sheila Ferrari, mi ha fatto davvero sorridere nella conclusione, dove la signora auspica che gli operatori di Hera abbiano la stessa sensibilità e spirito civico dei cittadini bolognesi.
Ma davvero la signora Ferrari è così sprovveduta da pensare che lo svuotamento di cassonetti dei rifiuti di diversa tipologia nello stesso camion di Hera possa essere un'iniziativa del singolo operatore alla guida del camion?
Per quale motivo questo operatore dovrebbe caricarsi di ulteriore lavoro non richiesto dal datore di lavoro Hera, lavoro che tra l'altro comporterebbe un impiego di tempo maggiore. è evidente che se la raccolta rifiuti viene fatta in questo modo (non ho la possibilità di giudicare o esprimere un parere), questo acade perché all'operatore alla guida del camion è stato richiesto di operare in quel modo.
Poco importa poi la cortese e professionalmente inappuntabile risposta data dal direttore di Hera Angelo Bruschi. è logico che il direttore non potrà mai ammettere che Hera non utilizza la raccolta differenziata (se così fosse).
Claudio Petrucci

Come mai la redazione locale de La Repubblica, da un mese, ospita le segnalazioni dei cittadini nello spazio angusto delle lettere, senza che gli venga in mente di fare un'inchiesta, con cronisti che monitorino di nascosto l'attività di svuotamento cassonetti, altri che controllino come Hera gestisce il ciclo dei rifiuti, dove li porta, dove li smaltisce etc.? Si tratta solo di riflessi lenti, scarsa attitudine al giornalismo investigativo, o c'è dell'altro? Chiederselo è legittimo. Ai cittadini non resta che autogestirsi la cosa, come già stanno facendo. Giapsters di Bologna, se vi imbattete in un camion Hera nell'atto di svuotare i cassonetti della raccolta differenziata, tenetelo d'occhio, state pronti a segnarvi il numero (se per caso avete una videocamera o una macchina fotografica, meglio ancora). Dopodiché , segnalate il caso tanto a Hera (al sito di cui sopra) quanto alla stampa locale (tutti e quattro i giornali). Sono lotte anche queste, e più radicali di molte altre.

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Dati recenti sulle iscrizioni a Giap:
13 luglio: superata quota 4000
29 luglio: superata quota 4100
19 agosto: superata quota 4200
30 agosto: superata quota 4300
9 settembre: superata quota 4400

Iscritt* in data 14 settembre 2003: 4428
Iscritt* al Giap/digest in inglese: 219
Iscritt* al bolletino d'aggiornamento su WM in spagnolo: 200

Tutti i numeri arretrati sono archiviati qui .