GENOVA: una narrazione corale

Queste sono le testimonianze e le considerazioni spediteci da iscritti/e a /Giap/ (nonché da amici e amiche). Alcuni testi sono scritti a caldo, altri a commento del primo numero di /Giap/ nuova serie (26/07/2001). Poiché le nostre frequentazioni personali coprono l'intero, vastissimo arco del movimento (dalla rete Lilliput ai centri sociali), le opinioni sono diversissime tra loro, e la narrazione è contraddittoria,  il che non dissolve - anzi permette di inquadrare meglio - la visione d'insieme della strategia repressiva messa in campo a Genova. Ma il bello di queste testimonianze è che vanno oltre il ricordo e la cronaca, e sono proiettate verso i "che fare?" dell'indomani (cioè dell'oggi).

"Perché con i miei compagni voglio cucire un grande patchwork. Che venga disteso sotto gli occhi di tutti e che appaia nella sua evidenza." (Dejan, 27/07/2001)

Testimonianze di:
Tommaso --- Giovanni --- Dejan --- Tony --- Klimt Eastwood --- Katarina --- Alessandro P. --- Gabriella --- Andrea --- Alessandro G. --- Sasa --- Bruno --- Claudio --- Enrico --- Gabriele --- Serge Quadruppani (in francese)

...e altre seguiranno.
 
 

Tommaso (e altri):

19/7- Arrivo tardi allo stadio Carlini, allestito dai disobbedienti, per l'occasione senza tuta bianca per un motivo di immagine: nel movimento non ci sono avanguardie, rifiutiamo categoricamente la divisione criminale tra buoni e cattivi, che autorizza a parlare con i primi e ad manganellare i secondi. Tale divisione da sempre autorizza i "cattivi" a cercare soluzioni personali di presenza, mancando il terreno della legittimazione per un confronto politico e non militare.
Non a caso la lotta del movimento nel suo insieme non è contro la polizia, ma oltre, gli sbirri si autodelegittimano come soggetto politico ogni volta che pestano un manifestante a terra o lanciano lacrimogeni tra la folla o sparano in faccia a chi dissente.
Questa delle tute bianche è l'ennesima prova che spiazzare una campagna di stampa talmente autoreferente da aver perso ogni contatto con la realtà è un gioco da bambini. Ora in piazza saremo quasi tutti uguali, chi additeranno i velinari di regime? Gli unici riconoscibili, cioè i black e la polizia. QED (o "come volevasi dimostrare" per gli antilatinisti ;-) ).
Il Carlini è sotto il diluvio, piove sul G8 degli alberghi di lusso e piove sulla tensostruttura adibita a campeggio collettivo sul campo di gioco, che siccome ha il tetto a due cuspidi (cioè così: ^^) ci piove pure dentro, lo spalare nel fango dighe e canalette di scolo per evitare di essere inondati fa molto formiche, ed è bello socializzare così, con le mani "nella" madre terra ed il cervello che vola.
Ai megafoni si susseguono interventi più o meno teorico - concettuali sui massimi sistemi, più qualcuno tecnico sul da farsi. Un barbuto del Bulk traccia scenari futuribili, se piove, se c'è il sole, se va nel peggiore dei modi ci blindano qui dentro e non ci fanno uscire, allora facciamo così e così, nel migliore dei modi usciamo col sole ed il venticello, facciamo il corteone da 10.000 persone sul quale si vocifera speranzosi da sempre, arriviamo vicino al muro, pestiamo i black e li riduciamo all'inattività nel caso avessero velleità distruttive, la polizia ci carica tutta assieme, teniamo per ore, alla fine loro sono cotti e noi passiamo, scavalchiamo il maledetto muro tutti assieme, e poi. qui ci sono diverse soluzioni prospettate: facciamo una croce per terra, ci giriamo intorno e torniamo a festeggiare allo stadio, arriviamo dove si tiene il vertice e (non visti) distruggiamo i documenti prodotti fin lì, li sostituiamo con i nostri, imitiamo le 8 firme e, sempre non visti, torniamo fuori a cantare, ballare e farci le canne, perché uno dei documenti appena prodotto dal G8 rende legale e consigliabile l'uso della cannabis a scopo ricreativo e medico, oppure mangiamo Bush, oppure chi lo sa.
Si dorme poco, si ride molto, l'atmosfera è tranquilla e densa di aspettative per il giorno che verrà, si sta veramente bene, e ovviamente non ci sono telecamere, quelle bisogna tenerle da conto per filmare le violenze del giorno dopo. la teoria sulla criminalizzazione dei movimenti su questo è chiarissima:

1. MAI mostrare immagini di attivisti allegri & giocosi, devono essere cupi, atti al vandalismo costante e carichi di odio anche vicendevole.
2. MAI lasciare la protesta in mano solo a chi non è criminalizzabile con immagini televisive di scontri violenti da ambo le parti
2.bis    Questo vuol dire che le tute bianche vanno fatte arrivare sul luogo della protesta solo e solamente allorquando ci sia già abbastanza materiale di distruzioni gratuite perpetrate dai fidi black
2.tris   Vuole anche dire che se la presenza di TB fosse tale da appannare i gesti violenti con le loro manifestazioni pacifiche, le suddette Tute Bianche devono ad ogni costo essere fermate prima di giungere alla meta. Si impari a riguardo dall'ottimo operato svolto dalla polizia a Xxmiglia in occasione del vertice di Nizza. In quel caso ci siamo addirittura mangiati un trattato internazionale pur di tener fuori dalle scatole  chi non garantiva un numero di vetrine spaccate (giustamente recepito dal pubblico come indice unico del grado di civilizzazione di un popolo) adeguato.

20/7 - Ci svegliamo presto, qualcuno spara la "cavalcata" di Wagner dalle casse del sound system, c'è il sole e c'è anche il venticello, già pregustiamo il gusto della carne di Bush sotto i denti. C'è tempo per fare colazione in uno dei bar della zona, tutti aperti, perché ai commercianti genovesi deve ancora nascere il giornalista che la da a bere, si sono guardati intorno pensando alle immagini di belve schiumanti ed al popolo di barbari dipinto dall'amorevole TG4 & Co. , si sono guardati in faccia due secondi, sono scoppiati a ridere ed hanno alzato le serrande ancora ridendo. Hanno fatto milioni.
Vedere più di 5.000 persone che si alzano assieme è già di per se un'esperienza, vederle unite da uno scopo ha dell'inimmaginabile, impossibile descriverlo raccontando. Citando forse ci si arriva vicino:

STIAMO CAMBIANDO IL MONDO !
Vista su un cartello appeso alla tribuna dello stadio Carlini a Genova GE la mattina del 20 luglio 2001

Intorno alle 9:00 come se una mano invisibile avesse premuto un qualche pulsante chissà dove, scatta l'operatività, si portano lungo la pista di atletica tra il tendone e le gradinate le protezioni e le varie attrezzature di difesa, da quello che si vede e da come sono strutturate le "esercitazioni" si può abbozzare una probabile composizione del corteo dei disobbedienti. Avanti a tutti, i cosiddetti "muri" , rettangoli di plexiglass larghi 4 m e alti 2 m montati su trespoli con rotelle, dietro a questi il gruppo di pressione, fatto di gente con casco integrale e protezioni ovunque (e se dico ovunque.) che avrà il compito di tenere materialmente i muri sù durante le eventuali cariche.
Oltre il gruppo di contatto il corteo è incordonato orizzontalmente, prima quelli con gli scudi individuali e dietro il resto. Altra "esercitazione" riguarda il gruppo anti-lacrimogeni, dotati di maschera anti-gas, guanti da lavoro per raccogliere i candelotti incandescenti e, se possibile ritirarli indietro verso i poliziotti, o almeno buttarli nei bidoni pieni di acqua e bicarbonato.
 Ci mettiamo quasi 2 ore ad uscire tutti, siamo tantissimi, quanti non ne ho mai visti ai cortei delle tute bianche, arriviamo allo stradone (Via Gastaldi per la cronaca) largo abbastanza per completare il dispiegamento del corteo e mi guardo intorno. Niente di nuovo, l'impressione è sempre la stessa: siamo davvero ridicoli!! Neanche la tuta bianca a uniformare superficialmente i corpi, solo le protezioni in bella vista che così "nude" sono proprio da ridere. 15.000 (perché tantissimi altri si sono aggregati) sognatori che sfidano 18.000 robocop, che per mestiere sono armati e addestrati alla repressione anche militare, difesi da strati di materassini di gomma e da bottiglie  di plastica vuote, il tutto tenuto insieme quasi per miracolo da giri di carta gommata.
Voilà les terroristes!

Il corteo vero e proprio era guidato dagli  "strumenti di offesa", gli unici che aveva: 8 enormi teste di maiale fatte  di gomma piuma, gente che indossava pettorine gialle e verdi di carta velina  con una "D", che stava per disobbedienti, ritagliata sul petto. Al loro  fianco mostri transgenici, sempre di gomma piuma: una grande carota  modificata geneticamente e una locusta colorata. Offesa dunque, ma non certo  fisica. Subito dietro, grandi scudi di plastica, quattro metri per due,  montati sulle rotelline dei carrelli da supermercato, erano spinti da  quattro o cinque persone. Sarebbero dovuti servire per proteggere la testa  del corteo nel suo avvicinamento alla zona rossa. Dietro di loro gli scudi  più piccoli, portati a mano dalla gente bardata di gomma piuma, di bottiglie  di plastica vuote, scotch, casco, ginocchiere e protezioni di questo genere.  L'assalto pacifico alla "zona rossa" partiva così, come una squinternata  armata brancaleone, senza nessuno strumento di violenza fisica (gli appelli  a non portare niente di pericoloso si erano ripetuti per tutta la mattina)

Sono circa le 13.30 e dalla città non arriva notizia alcuna.
Via Gastaldi dopo passa sotto l'edificio della RAI e si dipana in un'ampia curva a destra, percorre un pezzo di sopraelevata e stringe di nuovo a sinistra affiancando lo scalo merci Terralba, alle porte della stazione di Brignole. Da lì si vede tutta la zona nord della città e la prospettiva del vialone porta in fondo alla discesa che il corteo si accinge a percorrere, quando via Gastaldi diventerà via Tolemaide e incrocerà Viale Torino nei pressi del tunnel sotto i binari.
Lo spettacolo è agghiacciante, mai visto dal vivo niente del genere, solo al TG quando si parla di medio oriente: tre distinte colonne di fumo nero si levano da altrettanti punti distinti della città si capirà in seguito trattarsi di Marassi, Piazza Manin (dove c'erano i pink, lilliput, mani tese etc.) e piazza Paolo Novi, da dove sarebbe partito il corteo dei COBAS, Arci et similia.
I 4 elicotteri che fino ad allora erano stati solo una fastidiosa presenza lassù in alto ora sono bassi e minacciosi proprio sopra le zone che il fumo stesso segnala "calde". Uno è dritto sulla perpendicolare dell'incrocio tra via Tolemaide e Viale Torino.
Aspetta noi.
 

L'ALTRA MATTINA

La cronaca della mattina del 20 luglio dovrebbe ormai essere roba nota al grande pubblico, l'80% dei filmati che si riferiscono a questa giornata sono stati filmati di mattina.
In ogni piazza tematica organizzata da qualsiasi associazione, come dal nulla spuntano cellule dei black bloc, gruppetti di giovani col volto coperto, neri dalla testa i piedi assaltano i cantieri aperti, prendono tubi innocenti, assi di legno, spranghe di vario materiale, martelli che servono a distruggere marciapiedi e pavimentazione viaria trasformando il tutto in proiettili da lancio, le azioni sono fulminee, il "branco nero" (così li chiama La Repubblica) si arma in 2 minuti, ed in meno di 3 passa all'azione diretta sotto gli sguardi sgomenti di lillipuziani & Co. Reazione da parte delle forze dell'ordine: zero.
Questo succede in 3 piazze distinte, ed in particolare a Marassi i black assaltano il carcere, lanciano molotov che incendiano portone e tapparelle, mettono in fuga i poliziotti del presidio a sassate, bruciano un po' di macchine e si dileguano lasciando i poliziotti intossicati dai loro stessi lacrimogeni a cercare di capire cosa è successo. Tempo totale aggressione al carcere: non più di 7 minuti. Reazione da parte delle forze dell'ordine: zero.
A questo punto comincia la festa dei neri, solo COBAS e Arci reagiscono e salta qualche naso dei black, per il resto: zero.
Per tutta la mattinata il black bloc (o presunto tale.) gira tutta la città meglio che se fosse in taxi. Sotto gli occhi vigili (verrebbe quasi da dire amorevoli.) dei carabinieri non più distanti di 50 metri (fonte: Giornalista La Repubblica) distruggono una filiale della banca popolare, il cadavere del bancomat giacerà sulla strada tutta la giornata, con le budella di fili elettrici tristemente sparse attorno. Reazione da parte delle forze dell'ordine: zero.
Dopo ore di riot indisturbato parte la prima carica dei carabinieri, violentissima, sulla piazza dove quelli della rete Lilliput stanno amabilmente disquisendo dei cavolacci propri con tipi di centinaia di altre associazioni (acli, donne in nero, mani tese, botteghe del commercio equo e solidale etcc.) e dove sono stati letteralmente accompagnati dagli sbirri.
I black ovviamente sono già altrove ma la carica non ci fa caso, e pesta coscienziosissimamente i segnalativi manifestanti violenti, per uno strano scherzo della piazza genovese trasformatisi d'un tratto in gente a mani alzate o in terra in preda al panico, intossicate dai lacrimogeni copiosamente distribuiti così democraticamente da fare invidia. I feriti sono una ventina, i fermati un paio. Black block fermati, feriti o altro: zero. Ci sono in compenso attivisti non - violenti della rete lilliput, gente delle Acli (chirichetti, per intenderci), gasati e manganellati, donne in nero e suore.

Poi, in pochi attimi, la devastazione. Ho visto del fumo in fondo alla piazza, poi sono arrivati una quantità enorme di lacrimogeni. I BB che sembravano pochi si sono moltiplicati  fino a sembrare essere 100-200, sono filtrati agevolmente tra le nostre mani bianche alzate, le nostre menti stordite. In una frazione di secondo, quindi, i lacrimogeni, il loro passaggio, e tra il fumo la visione dei celerini che ci caricavano a manganellate! noi, ragazze e ragazzi,  signore, signori, tutte persone con le mani alzate, pitturate di bianco, noi!  non hanno seguito i BB. Si sono accaniti su di noi. Io, con altre persone mi ero rifugiato su un lato della strada dove  c'era una scanso per un portone. Il fumo dei lacrimogeni era densissimo, non  si respirava, gli occhi lacrimavano, il naso grondava; ho fatto in tempo a  dare un po' di acqua e limone a un mio amico, per respirare attraverso la bandana, o una maglietta. Poi, ci siamo stretti verso il portone.  Stefano era ad un metro da me, è stato preso a manganellate, così come GIanni. Io, le persone intorno a me, tutti eravamo impauriti; alcuni avevano attacchi di panico: perchè Tutto questo, perchè????   Due mie amiche mi hanno raccontato di aver visto un celerino che aveva  messo lo scarpone sul petto di una ragazzina di 16 anni, tenendola a terra, picchiandola con il manganello e urlano "sei una puttana! stai zitta  troia!!!!".

Le devastazioni si spostano a sud, puntano su piazzale Kennedy, i black spaccano allegramente quello che vogliono andando su e giù tra piazza Manin e piazza Kennedy, non sono mai più di 30 persone insieme e fanno da lepre alle cariche della benemerita sul convergence center.
 

INCISO SUI "NERI"

Il leit-motif della giornata (ma anche il giorno seguente porterà poche novità.) sarà il seguente: le forze di polizia (ma quasi sempre si tratta dei carabinieri.) da distanza di sicurezza accompagnano e, facendo "tappo", indirizzano i nerovestiti verso le piazze tematiche ed i cortei non violenti del GSF, aspettano che salti il giusto numero di vetrine, aspettano l'indignazione della piazza circostante, aspettano che i black scompaiano e poi caricano con lacrimogeni e camionette a dar man forte ai manganelli (quelli dei caramba non sono di gomma ed a differenza di quelli della polizia non hanno bisogno di essere impugnati al contrario, la tecnologia.), la carica arriva puntuale appena i cosiddetti black spariscono e ne completa le distruzioni, perpetrate dai primi sulle cose quanto da questi ultimi sulle persone.

"Per tutta la giornata di venerdì i carabinieri hanno ACCOMPAGNATO i devastatori, senza mai caricarli, e questo non perché questi fossero troppo mobili e informali, come qualcuno ha detto o scritto: costoro hanno avuto il tempo di entrare in alcune banche e metterle a ferro e fuoco, rimanendo all'interno per più di un quarto d'ora mentre i carabinieri li aspettavano all'esterno per RIPARTIRE insieme e raggiungere i luoghi dove il GSF manifestava con altre modalità. Lungo il tragitto sono stati attaccati negozietti, incendiate auto che sicuramente non appartenevano a miliardari, distrutte piccole pompe di benzina. I neri sono stati letteralmente SCAGLIATI contro il sit-in della rete Lilliput, i carabinieri hanno massacrato donne e bambini, scouts, dimostranti pacifici, tanto quanto i tizi in nero hanno distrutto vetrine, macchine etc. , poi sono ripartiti INSIEME ai neri." (WM1)

Ragioniamola in termini tecnici: presto nella mattina del 20 chi c'era in giro a Genova? I disobbedienti dormivano e/o facevano colazione e/o training con gli scudi. Idem i COBAS, gli autonomi (nella più vasta accezione del termine) gli anarchici del network, e gli anarchici tout court. Guess what: altrettanto faceva il black bloc VERO, quello presente a Genova per la 3 giorni di manifestazione anti G8 e proveniente da Germania, Olanda, Spagna, nord Europa e Anglofònia in generale. quello che è andato tutti i 3 giorni in giro chiedendosi chi fossero quelle teste di kazzo vestite di nero.
Nel periodo iniziale dell'azione diretta dei "Neri", prima dunque del contatto sensibile con altri manifestanti, nessuno ha contato più di 20 di questi signori insieme, alti, atletici, capelli cortissimi, volti seri, piglio militare, sguardo attento a tutto quello che succede intorno, ricerca puntuale di un punto di vista rialzato per tenere il polso della situazione. Quando entrano in azione poi fanno quasi impressione, in 30 secondi ripuliscono un cantiere aperto da tutto ciò che possa essere usato come arma, rovesciano un'auto in 4, sanno dove colpirla con le molotov perché non esploda. O perché esploda solo dopo il loro passaggio, si muovono in gruppetti agili e veloci, comunicano continuamente via radio e cellulari, prendono ordini disciplinatissimamente, hanno regolarmente la meglio nei corpo a corpo e nei rarissimi scontri ravvicinati o meno con la polizia. Questa è gente preparata, per fare le cose che fanno, devono provarci e riprovarci indisturbati, devono potersi esercitare senza che la polizia sequestri tutto, e dato che "tengono" la piazza meglio di quanto qualsiasi poliziotto o tuta bianca si sognerà mai di poter fare, hanno un'evidente addestramento paramilitare o militare punto.
Allora, in Europa nel 2001, chi è che può ricevere addestramento militare continuativo, tanto da essere una "professione", viene palesemente ignorato da tutte le questure del mondo, è simpatico ai carabinieri, un po' meno a polizia e G. di F. ? ?
Se avete una risposta che credete più attinente alla realtà o solamente più confortante, vi prego di farmela sapere, perché a me vengono in mente solo i ROS.

A stringere, funziona così:
· C'è questo manipolo di stronzi che per ore fa esattamente quello che vuole di tutta una città e nessuno gli dice neanche buh!
· Ci sono decine di cortei pacifici che sono stati caricati da polizia e carabinieri solo perché erano lì.
· I messaggi che passano fortissimi sono 2: se fate come loro, vi lasciamo perdere, nessun rompimento di palle, zero. Mentre se invece state qui buoni e calmi seduti con le mani alzate, vi massacriamo.
· Secondo voi, quanti scemi disposti ad accettare questo sillogismo ci sono in mezzo a quasi 30.000 manifestanti?
· Secondo voi, la rabbia, l'impotenza ed il terrore di ore di carica rabbiosa ed ingiustificata da parte delle forze dell'ordine calmano gli animi o li esacerbano ancora di più?
· Ed i pestaggi su gente inerme?
· Secondo me lì abbiamo visti uno per uno in televisione in questi giorni, i sedotti dal nero sono quelli con le spranghe all'opera, quelli col sasso facile e quelli delle sassaiole e delle coraggiosissime ritirate in mezzo al corteone il giorno 21 luglio.
· Uno in particolare lo abbiamo visto riverso sull'asfalto di piazza Alimonda con un proiettile in testa.
 

CONTINUIAMO

Una giravolta  porta tutti quelli in nero (carabinieri in tenuta anti-sommossa e ROS vestiti da black bloc) all'imbocco di viale xx settembre, che porta in zona rossa, lì i poliziotti sono già schierati, prendono un paio di sassate e rispondono con 2 (due) lacrimogeni tirati alti a parabola. Uno dei black urla "off off !!" e i fidi compagni scompaiono. Girano di nuovo giù da via Torino, poi a sinistra, dritti attraverso piazza Alimonda fino a confluire a metà corteo dei disobbedienti, immune fino ad allora da contaminazioni "nere", anche e soprattutto perché i black (che, penso sia utile ricordarlo, tutto sono meno che stupidi, e tengono la piazza molto meglio della celere.) delle tute bianche hanno un sano timore. Un conto è distruggere la piazza dei chirichetti, un conto è provocare  la reazione rabbiosa di + di 10.000 disobbedienti con i caschi e gli scudi, che sanno perfettamente (sono anni che se ne prendono in collo tutte le conseguenze) quanto cara costa in termini di credibilità e di immagine una sola vetrina incrinata.

Sono le 15.15, la testa del corteo disobbediente è in fondo a via Tolemaide, davanti ci sono circa 150 poliziotti in tenuta antisommossa e secondo i giornalisti di Carta la situazione è questa:

Oltre le barriere multiple e oltre i container sembra di stare su un set cinematografico. In un teatro pieno solo di scenografie. Senza pubblico. La cavalleria, i blindati, gli idranti della forestale sono schierati in mezzo al nulla. Non ci sono persone senza divisa. Finanche i cavalli sono protetti e corazzati. Dalla cima di via xx settembre si vede una successione di barriere, presidiate da polizia e carabinieri in assetto antisommossa. Pronti a intervenire dovunque
 

AZIONE

Partono i celerini, siamo a 2 km dalla zona rossa e subiamo la prima carica. Volano a decine i lacrimogeni, standard ed a grappolo, di quelli nuovi nuovi, urticanti, partono tutti lunghi verso la pancia del corteo, i primi li neutralizziamo ma poi sono troppi e rimangono lì, il corteo sbanda ma regge, ci siamo già passati ed abbiamo la forza mentale di resistere, davanti i muri tengono 1, 2, 3, 5 lunghissimi minuti durante i quali non passano 2 secondi senza un lancio di lacrimogeni, tantissimi dritti sugli scudi collettivi, rimbalzano fin dentro lo scalo ferroviario decine di metri più in là, fino a che cede il primo muro, e i poliziotti dilagano dentro il corteo che nel frattempo è rimasto immobile, non un sasso, non un bastone in mano.
Dietro è il panico, la strada è troppo stretta per ritirarsi ordinatamente e solo mesi di training fanno sì che la gente sappia più o meno come muoversi, con calma ed in fretta all'indietro, mentre avanti quelli con gli scudi individuali rallentano la celere quanto basta per creare una zona cuscinetto tra la gente che indietreggia e la linea degli scontri. La polizia li massacra, partono botte da orbi sui dimostranti isolati mentre i muri ancora in piedi vengono palesemente ignorati.
Fermati: nessuno, feriti tra i poliziotti: nessuno, tra i manifestanti, circa 25, qualcuno molto grave. La prima linea riesce a portarsi di nuovo tra la polizia ,che ormai tira proprio sassi, ed il grosso del corteo ed a indietreggiare con loro 5, 10, 20 metri e la polizia non insiste. Momenti di calma. Forse 2 minuti.
Dalla coda del corteo, il Black Block riparte , si intrufola nelle stradine laterali a Via Gastaldi e incendia 2 auto, svariati cassonetti ed un'agenzia di auto in affitto. Punta dritto verso il cordone di carabinieri che nel frattempo hanno aggirato un distributore di benzina e hanno cominciato il lancio dei lacrimogeni pre-carica contro il fianco della testa del corteo delle tute bianche.
E' lì che comincia la follia. In un incrocio convergono poliziotti, carabinieri, black e tute bianche. Partono le cariche, i neri come sempre sgattaiolano via (ma c'è anche chi li ha visti dar il loro piccolo contributo di botte picchiando le tute bianche) ed il corteo si polverizza, le strade lì attorno per le due ore che seguiranno saranno un inferno di fiamme dai cassonetti messi a mo di barricata e fumo delle centinaia di lacrimogeni che arrivano da ovunque. Un cellulare dei carabinieri tarda a far manovra, viene bersagliato da sassi e sprangate, si ferma in mezzo all'incrocio e poliziotti e carabinieri attorno arretrano, gli occupanti scendono di corsa e vengono investiti da una violentissima sassaiola, mentre qualcuno dà alle fiamme il cellulare.
Manifestanti e Black Block si sparpagliano ulteriormente, con gli scudi i primi, con sassi e bastoni i secondi, caramba e celerini arretrano ancora e continuano a lacrimogenare ovunque. La tattica è ora "mordi e fuggi". Partono i black a sassate, i poliziotti arretrano, partono i lacrimogeni, su gli scudi delle tute bianche, carica con i manganelli e pestaggi indiscriminati di chiunque si trovi in mezzo. Chissà com'è nessuno dei black viene mai fermato o ferito.

(cfr. qualche riga più su "L'altra mattina".).
 

IL MORTO

Intorno alle 17.20 parte una carica in corsa di un gruppo di carabinieri spalleggiati da 2 jeep, passano una traversa e neanche si accorgono infilandosi nel budello di piazza Alimonda che da quella traversa arrivano urlando una cinquantina di persone urlanti, se ne accorgono alla prima bottiglia che arriva a segno ed è troppo tardi, si fermano di botto, azzardano una formazione in linea ma sono troppo vicini ai manifestanti per tentare nulla di serio messi così, arretrano, all'inizio compostamente, poi allo sbaraglio, via di lì verso un cordone di Polizia che risale al passo da una strada che sbuca in piazza sparando lacrimogeni ad alzo zero su manifestanti e carabinieri.
Le due camionette faticano molto di più ad invertire la marcia, tant'è che una delle due si incastra tra il muro ed un cassonetto. Il resto è da giorni su tutti i TG, la marea nera che si riversa sulla camionetta ed il carabiniere di 20 anni sul sedile posteriore che mette il colpo in canna e spara 2 volte in faccia a Carlo Giuliani che di anni ne ha 3 di più.

Non in aria, non alle gambe, non a casaccio tra la folla, ma in faccia ad uno che gli stava tirando contro un estintore.

I 2 spari congelano la piazza per mezzo secondo, la differenza di "botto" tra lacrimogeni e pistolettate si sente benissimo. I black scompaiono, due con il casco e le protezioni si avvicinano al corpo rimasto in terra, arriva un altro botto, e la gente si allontana maggiormente; la camionetta fa marcia indietro, poi marcia avanti e raggiunge il resto della truppa passando 2 volte sopra il cadavere in terra. I primi che si avvicinano a questo punto sono due fotografi che faranno i primi piani, venduti in seguito a peso d'oro a tutte le testate giornalistiche del pianeta, si avvicina un gruppetto di ragazzi "colorati", uno si inginocchia e mette una mano sul collo del ragazzo in terra, si avvicina ancora qualcuno e subito arrivano un nugolo di lacrimogeni, ma non alti, non a caso in mezzo alla folla, ma dritti sul corpo. Fuggono tutti quanti ed arrivano di corsa forse 50 poliziotti, fanno un blocco oltre il corpo e tempestano di lacrimogeni il circondario fino all'arrivo di due cellulari di carabinieri che danno man forte al blocco della polizia.
Solo un'ora più tardi il corpo sarà rimosso, coperto da un telo bianco e portato via da un carro funebre candido anch'esso scortato da due volanti della polizia.
A questo punto parte la contro-carica dei manifestanti che erano lì attorno, una donna di 50 anni circa, bei capelli biondi e occhi pieni di lacrime si china a raccogliere un pezzo di porfido, si guarda attorno e dice "prendete le pietre" con la voce rotta dal pianto. Appena il carro funebre accende il motore, la prima pietra è la sua e ne seguono alcune decine, alcune lunghe, quasi tutte corte, qualcuna a segno sugli scudi degli sbirri. Carica & lacrimogeni, feriti, fermi e sulla piazza rimane solo la chiazza di sangue coperta a stento dalla segatura, verso la quale comincia adesso un pellegrinaggio silenzioso. La segatura si coprirà dei fiori rossi strappati alle aiuole della piazzetta, qualcuno lascia una maglietta con scritto "Respect", qualcuno una poesia, qualcuno un bossolo di lacrimogeno ed un cartello con scritto "Made in G8".
 

I DISOBBEDIENTI

. sono ancora lungo via Gastaldi, si stanno ritirando. Carta la vede così:

La polizia ha caricato e lanciato lacrimogeni contro qualche migliaio di persone che stavano tornando, tutte insieme e in corteo per proteggersi, verso lo stadio Carlini. La situazione è così grave che un posto della Croce rossa, che affaccia sulla strada, ha aperto le sue porte e sta proteggendo un centinaio di persone

Passo dopo passo tornano indietro verso il Carlini, saranno sotto la carica continua da parte di un plotone congiunto di polizia e Carabinieri per 6 ore, durante le quali il lancio di lacrimogeni non cesserà per più di 30 secondi di fila, e per la prima volta nella loro onorata carriera di disobbedienti, le tute bianche verranno caricate con gli idranti. Continuerà così fino a 5oo metri dallo stadio, dove sotto una caserma dell'arma si sentiranno distintamente 3 spari in aria in risposta al coro "assassini, assassini!".

E' stato sfortunato, Milesi Luigi, classe 1980, nato il 19 dicembre a San Giovanni Bianco. Il suo portafogli, con la tessera di allievo carabiniere della scuola di Torino è stato trovato e filmato da un videoreporter della Tv di Carta. Accanto alla tessera, la foto di Benito Mussolini. Dotazione standard?

Le prime conferme della morte di uno o più manifestanti arrivano all'incirca in questo momento, chi ha un computer ed una connessione di rete legge veline via via di tutte le agenzie di stampa.

L'ANSA dirà: "G8: ucciso un manifestante" intorno alle 19.30.

Al Carlini l'aria è di piombo, si fa crocchio intorno alle radioline o fuori intorno alle poche macchine parcheggiata lì con sportelli aperti e autoradio accese. Le notizie sono poche e contraddittorie, prima il morto è uno spagnolo ucciso da una sassata, poi è una ragazza travolta da una camionetta, poi sono entrambi, ma la ragazza uccisa da un'arma da fuoco ed il ragazzo schiacciato da un blindato.
Piangono in tanti, distrutti nel corpo, nella mente e nell'anima, dopo ore di lacrimogeni, fughe, manganellate, getti d'acqua ad alta pressione. Dopo il terrore, di essere soli perché già si parla del Carlini assediato e di come la polizia pesti ed arresti chiunque  incroci la loro via, dopo il terrore delle cariche, della sensazione di impotenza che viene dai tantissimi, troppi racconti di gente pacifica massacrata a terra ed a mani alzate. Il terrore dei giovani, che in tutto questo leggono solo la mancanza di riferimenti logici ai quali attaccarsi: Perché picchiano tutti, uomini donne e bambini, suore e chierichetti?
Perché arrestano chi sta solo dimostrando e non fa male a nessuno?
Come è possibile rifiutarsi di farsi portare all'ospedale perché si ha paura di essere ulteriormente bastonati dagli sbirri ed arrestati? Il terrore dei meno giovani, che questa cosa l'ha già vista, e non avrebbe voluto vederla più.
Un incubo, uno di quelli che prima o poi abbiamo fatto tutti, quello di correre e fuggire da qualcosa di orribile, che non vediamo ma sappiamo essere vicino, sempre più vicino, mentre le gambe si fanno sempre più pesanti ed il fiato + corto.
Un giorno nell'incubo, che a guardarlo così ad occhi aperti, con tutti i sensi accesi e la coscienza mai così presente non fa paura, la paura (il terrore) è quella cosa calda, appiccicosa e pesante che senti addosso quando vuoi svegliarti e svegliarsi non si può.
La paura (il terrore) è quella cosa che capisci di avere ricordando, che torna ogni volta che torna il ricordo, che non finisce mai perché il ricordo non finisce, neanche volendolo, e non lo voglio, non adesso, adesso non si dimentica. Adesso l'incubo è sveglio.

Non si dimentica il fumo del lacrimogeno che allontano con un calcio,  non si dimentica il battere dei manganelli sugli scudi al ritmo dei  passi mentre il cordone di polizia si avvicina, non si dimentica il  poliziotto che rompe i vetri del furgoncino sanitario del corteo. Non si cancellano le colonne di fumo nero che si alzano nel cielo   sopra i tetti di Genova, non si cancella il volto rosso e intriso di terrore  del ragazzo che torna al camion del corteo per raccontare che nella  piazza accanto la polizia ha sparato e uno forse è rimasto secco.

Non si dimentica quando non si dimostra più solo per il diritto di esserci, per protestare, per un mondo migliore, etc. ma perché sono i nostri diritti ad essere calpestati, ma non alla prima-plurale-generica, la persona delle masse, il noi in bianco e nero, bensì in migliaia di prime persone singolari insieme, quelle che coniugano le moltitudini.

Non si può dimenticare il momento in cui sai che se corri troppo piano il prossimo che ci lascia la pelle magari sei proprio tu.
 

La gente che c'era:
Testimonianza N. 1
Generica sul grande corteo del 21 luglio

"Dovrà essere il giorno del grande corteo pacifico, ma il ricordo del ragazzo morto è ancora presente. Liberazione e il Manifesto titolano a caratteri cubitali "G8 Assassino", l'umore non è certo dei migliori. Ci godiamo il tepore del sole mattutino fino alle 11 dopo una notte passata all'aperto, poi ci incamminiamo verso il concentramento del corteo. La partenza è fissata per la 14,00. Siamo davvero in tanti, tantissime bandiere di Rifondazione, poi quelle del Pmli, dei compagni inglesi e greci, qualche basco e addirittura un paio dei Ds, quasi timorose di mostrarsi ai manifestanti. In effetti molte colpe ricadono anche su di loro, ma questo è un altro discorso. Partiamo in leggero anticipo, metà del tragitto fila via liscio, anche in questo caso non c'è traccia della Polizia. Verso le 14,30 ci fermiamo per circa mezz'ora, e si inizia a parlare nuovamente di scontri. Le tute nere iniziano ad infilarsi tra di noi, il servizio d'ordine cerca di allontanarle, ma invano. Una banca inizia nuovamente a bruciare, e il corteo viene deviato. Quando stiamo per passare noi, la situazione è delicatissima: il servizio d'ordine ci invita a fare presto, quasi corriamo, ma tutto è inutile, ci arrivano i primi lacrimogeni dalle spalle. Tentiamo di restare uniti al resto del corteo, ma da un avia laterale arriva un'altra carica e finiamo intrappolati, chiusi davanti e dietro. Dopo circa un minuto, forse anche meno, non riusciamo più a vedere niente e quasi non riusciamo a respirare: fortunatamente troviamo una scalinata che conduce fuori da via Rimassa, la strada del corteo, e per il momento ci salviamo. Con noi ci sono i compagni di Rifondazione di Ravenna e la delegazione del Pmli: c'è chi vorrebbe scendere per unirsi al resto del corteo, che sta quasi per arrivare a destinazione, poi arriva la notizia che il corte è stato di fatto sciolto dalle cariche della polizia e quindi restiamo in attesa di novità. Siamo presto informati: a Marassi, vicino allo stadio, punto d'arrivo, sono segnalati incidenti, in Corso Sardegna e Corso Torino, le due vie principali, sono in corso violenti tafferugli, alla stazione di Brignole dove alla sera avremmo dovuto prendere il treno stava succedendo il finimondo, a piazzale Kennedy è in corso una battaglia campale. Dall'unico corteo di 200 mila persone in poco tempo si formano gruppetti di qualche centinaia di persone che incominciano a girovagare senza meta, puntualmente la Polizia li carica, e loro ripondono. Passiamo il pomeriggio a spostarci da una strada all'altra cercando di evitare Polizia e tute nere; infine ci rifugiamo in collina, vicino allo stadio Carlini, dove attendiamo la fine degli scontri. Alle 8 di sera ritorniamo a Brignole, la situazione è calma, ma il clima è surreale. Ci si racconta a vicenda dei pestaggi della Polizia e delle scene di guerriglia urbana. Verso le 9 riusciamo a salire primo treno speciale per Bologna dopo la riapertura della stazione, e un'ora dopo lasciamo Genova. Ce ne andiamo tristi e con la morte nel cuore, ma era un appuntamento da non mancare e anche in futuro non mancheremo."
Stefano
 

Testimonianza N. 2
Generica sul grande corteo del 21 luglio

Sono uno dei tanti, uno di quelli che giravano a mani alzate per l'enorme corteo di sabato pomeriggio  per corso Italia e V.le Sardegna. Ero lì a ricevere acqua e saluti dai pochi genovesi rimasti intrappolati  in città che ci guardavano curiosi...noi li salutavamo e cantavamo applausi. Io sono SCONVOLTO, AFFRANTO. Lasciamo stare per ora le questioni di merito che riguardano le  ragioni per cui cotante persone sono arrivate a Genova... Ma quello che è successo... Noi (eravamo un gruppetto di sette contenti e impauriti dall'essere presenti) abbiamo percorso tutta la  manifestazione, in breve ciò che abbiamo visto:

1. ci siamo aggregati fin da lontano (ca. Sturla), al corteo di Rifondazione, Verdi, Umanisti, Greci  ("KKE) che si snodava già da mezzogiorno circa.
2. arrivati a un primo punto di stallo, sopra un  grosso ponte prima di dirigerci verso C.so Europa,  abbiamo notato un primo gruppo di "anarchici" (chiamiamoli così anzi chiamiamoli "tute nere" mi  sembra più appropriato) che si stava formando.
3. erano sempre di più, spesso giovani (18-23 anni), italiani, bardati di nero, muniti tranquillamente di  spranghe, bastoni, caschi...avranno occupato circa 500m di corteo, saranno stati almeno un migliaio.  Qui la manifestazione era ancora ferma.
4. si stavano raggruppando, non avevano sguardi feroci, ma totalmente indisturbati si stavano  preparando alla guerra, chiaramente: che fare? non c'era un poliziotto in giro, tutti noi eravamo  spaventati di fronte a questa parata... nessuno osava neanche avvicinarsi a loro: agivano indisturbati e  sicuri di sé.
5. sopra le nostre teste elicotteri giravano da ore, tutto ciò è avvenuto sotto i loro occhi.
6. siamo tornati indietro (non volevamo stargli vicino), poi tutto il corteo li ha superati ai margini  lasciandoli alle spalle.
7. Noi lo sapevamo che loro erano alla fine del corteo, chi girava sopra le nostre teste pure...
8. sono arrivate le camionette con i bastoni, sono girate liberamente per ore, erano gli unici mezzi che  giravano in zona... non era difficile individuarle!
9. Abbiamo saputo, via telefonini, dei saccheggi ai cantieri di Quarto: sicuramente sarà successo  qualche ora prima, la polizia con gli elicotteri li avrà visti in diretta, non hanno mosso un dito... ma  come è possibile???
10. chi ha saccheggiato Quarto erano i Black Bloc, i veri "animatori" di questo festival dell'orrore,  hanno potuto raggiungere tranquilli la manifestazione senza che nessuno li fermasse... (e lo sapevamo  tutti che c'erano)
11. tutte le "tute nere" anarchiche del corteo erano ragazzi che si sono aggiunti sabato, incoraggiati e  spronati dall'esempio dei Black Bloc, sicuri di potere agire liberamente, non avevano alcuna  soggezione della situazione, non avevano nulla a che spartire con il popolo che è sceso in piazza a  Genova
12. abbiamo visto, a 300m dagli scontri di p.za Kennedy, alcuni ragazzi armarsi e prepararsi  tranquillamente, per andare a "dare battaglia". Questa non era la loro manifestazione.
13. una volta che siamo riusciti a passare indenni dalla curva di P.za Kennedy, il corteo si è snodato  pacificamente e gioiosamente fino all'arrivo al palco. ma siamo stati veramente fra i pochi e fortunati...
14. nel frattempo giungevano voci e fumi alle spalle di altri scontri... venimmo a sapere poi da altri  amici che il corteo, pochi minuti dopo che siamo passati noi, è stato caricato, così,  indiscriminatamente, dalla polizia... la tensione è salita a mille, la gente è scappata, gli scontri sono stati  furiosi, la gente è stata colpita e picchiata, le tute nere sono rientrati tra la folla
Uno dei tanti
 

Testimonianza N. 3
Generica sul grande corteo del 21 luglio
 

Le storie che sentiamo qui alla scuola Diaz hanno dell'incredibile, eppure sono tutte reali. L'infermeria è piena di gente, ogni tanto arriva un'autoambulanza che porta via quelli che è meglio siano curati in un ospedale vero, gli elicotteri continuano a volarci sulla testa e ogni tanto qualcuno lancia un nuovo allarme. Arrivano ragazzine in lacrime in cerca di un rifugio, che hanno visto scene che non dimenticheranno mai: persone con le mani alzate in segno di resa massacrate di botte, gli insulti dei poliziotti, le cariche di ore, i lacrimogeni che sono molto peggio di quelli cui qualcuno è abituato, bruciano la pelle, mozzano il respiro, fanno vomitare. Non è per gusto splatter che vi raccontiamo tutto ciò, ma semplicemente perché è bene che si sappia,che la polizia ha deciso sistematicamente di caricare persone assolutamente immobili, anche a gruppi di cinque-sei contro uno,di lanciare una pioggia di lacrimogeni tra la gente, in mezzo al corteo fermo, che uno di essi è infatti finito in faccia ad un giovane ragazzo che si chiama Thomas che se l'è bevuto e ha cominciato a tremare come in preda ad una crisi epilettica, che i poliziotti hanno fatto irruzione in uno dei campeggi dove dormono i manifestanti e l'hanno raso al suolo, che a via Forte di San Martino hanno preso un gruppo di 20 ragazzi, hanno separato gli uomini dalle donne e hanno picchiato i primi e rubato i documenti alle seconde, che hanno infilato a colpi di manganello e di gas centinaia di ragazzi in fuga dentro a un tunnel pieno di fumo, che hanno tenuto prigioniere 2000 persone intorno alla stadio Marassi non facendole muovere ...sono cose talmente orrende che ci si sente male anche a raccontarle. Perciò ci fermiamo qui, per ora.
Carta

Testimonianza N. 4
La coda del grande corteo del 21 luglio

Cari Amici, il 21 a Genova ero nello spezzone abruzzese (con Rifondazione, FIOM, WWF e altri) alla fine del corteo. Come ormai tutti sanno ci hanno caricato sul lungomare quando da ormai mezz'ora eravamo seduti e con le mani alzate (almeno la nostra metà di corteo, sul lato esterno del lungomare avevamo gli anarchici "ufficiali" che non mi sembra -non ci giurerei- si siano seduti. In ogni caso tra di loro c'erano diverse persone -una minoranza- con spranghe e volto coperto. Non mi sembrava il loro servizio d'ordine perché non erano sui loro lati ma sparpagliati in mezzo. Comunque tra di loro moltissimi erano a volto scoperto e tranquilli). Dietro di loro c'erano i COBAS, con un nutritissimo servizio d'ordine (OTTIMO!, altro che quello nostro fatto da persone che si tenevano mano nella mano mentre a dieci centimetri passavano sui marciapiedi spranghe di ogni tipo..), visto che il giorno prima erano stati pestati dagli sconosciuti neri. Comunque in quel momento anarchici e COBAS non stavano facendo niente, anche perchè davanti a loro c'erano manifestanti pacifici (bandiere dei verdi e LAV). L'elicottero della polizia ci vedeva benissimo e sicuramente ha visto tra di noi la carrozzina di un disabile.
Sono arrivati lacrimogeni dappertutto, anche dall'elicottero, a decine, e, mentre cercavamo di scappare, cadevano sia dietro che molto davanti a noi con il rischio di rallentare la fuga. Abbiamo rischiato di fare la fine dei topi perché molti sono stati spinti (anch'io e la mia ragazza) contro il muro laterale del lungomare. Ho visto arrivare l'autoblindo a lato e, sinceramente, per qualche ora sono stato in pena a pensare se il nostro amico disabile si era salvato. Poi ho raccolto le testimonianza di amici di WWF e Amnesty che erano davanti a noi (insieme a bandiere di LAV e Verdi) che hanno subito il pestaggio della carica. I ragazzi del WWF si sono salvati letteralmente buttandosi sulla scogliera (insieme al giornalista di Repubblica Curzio Maltese che ha raccontato tutto nel suo corsivo), da cui hanno visto picchiare a terra numerose persone. Tra queste c'erano almeno due attivisti di Amnesty (una di L'Aquila).

Siamo scappati indietro per un centinaio di metri quando una parte del corteo ha svoltato a sinistra su una grande laterale dove c'era da tempo (li avevamo visti quando siamo passati sfilando circa 45 minuti prima) un nutritissimo cordone di polizia. Era un'ottima via di fuga preventiva. Il motivo di questa chiusura laterale mi sfugge completamente, visto che prima nessuna strada laterale era stata bloccata prima lungo il corteo e che non vi erano scontri.  So solo che mentre eravamo fermi abbiamo deciso di non retrocedere perché avevamo paura di indirizzare il corteo verso quel cordone. Anche durante la fuga molti hanno proseguito indietro sul lungomare per paura di andare verso i colleghi di coloro che ci avevano appena caricati senza motivo.    La rabbia delle persone normali era tale che quando siamo passati a mani alzate accanto a centinaia di poliziotti schierati sulla questa via laterale molti da soli andavano comunque verso i poliziotti a gridargli insulti e a chiedere spiegazioni.      Dopo qualche tempo dispersi per Genova senza informazioni su dove andare ho visto passare una piccolo corteo a mo' di battaglione. Poi un mio amico mi hanno detto che erano i COBAS e che hanno provocato alcuni danni (bisognerebbe controllare - ora, luoghi- queste voci con testimoni diretti). Certo essere picchiati dai neri prima e poi in maniera ingiustificata dalla polizia....avrebbe fatto saltare i nervi a molti.

In ogni caso a Genova ho visto centinaia di migliaia di manifestanti pacifici ma anche qualche migliaio della peggiore teppaglia europea dello stesso vuoto interiore dei tifosi che gettano i motorini dagli spalti degli stadi. Tutti li abbiamo visti passare in piccoli gruppi sui marciapiedi ai lati del corteo fin dalla mattina.   Provvederò a raccontare a tutti i miei conoscenti (palazzo, lavoro, amici) quanto mi è accaduto. Fatelo anche voi. Se in 250.000 raccontiamo la nostra esperienza anche solo a 20 persone avremo fatto una grandissima contro-informazione (e vi assicuro: ci vuole).      FRA POCO VI INVIERO' LE MIE CONSIDERAZIONI FINALI MA DA ORA VI CHIEDO DI NON DIVIDERCI TRA CHI C'ERA E NON C'ERA A GENOVA. CERCHIAMO SOLO DI CAPIRE COSA E' STATA GENOVA PER IL MOVIMENTO, QUALI SONO LE STRATEGIE DEGLI ALTRI E SE ABBIAMO FATTO DEGLI ERRORI A CUI POSSIAMO PORRE RIMEDIO.
 

Testimonianza N. 5
Via da Genova, Brignole la sera del 21

I miei sono altri due occhi che hanno vissuto Genova in quei maledetti giorni e che hanno visto le cose che tutti voi presenti hanno visto. C'è una parte, però, che non è ancora stata raccontata. Quella dell'attesa alla stazione Brignole mentre giungevano le prime notizie del massacro. Eccovi la mia testimonianza.
Alla fine della manifestazione vissuta all'interno del servizio d'ordine di ATTAC, in testa al corteo (servizio d'ordine alquanto improvvisato ma che almeno è riuscito a contenere le infiltrazioni dei violenti - almeno tre volte persone armate di bastoni hanno tentato di entrare nel nostro spezzone di corteo) ci dirigiamo con gli autobus speciali verso Brignole e poi da lì, a piedi ed in gruppo (non è sicuro camminare da soli) verso piazza Palermo e piazzale Kennedy. Tutto attorno è devastazione. Stanchi decidiamo di passare un paio d'ore con Massimo che ci testimonia degli scontri avvenuti nel pomeriggio è che noi avevamo solo intuito dal fumo degli incendi che si alzava lontano. Verso le 11 lo salutiamo come salutiamo Lorenzo ed Angela che in bicicletta ritornano al furgone che avevano parcheggiato a Nervi. Decidiamo di andare in stazione e vedere se il treno speciale non è ancora partito. Ci sediamo sul treno e aspettiamo. Più tardi, Massimo che era rimasto al media center, ci chiama raccontandoci quello che sta succedendo alle scuole Diaz. Ci parla delle urla, del sangue, delle 23 barelle che ha contato uscire dalla scuola.

Sui marciapiedi, nella stazione, sugli altri treni ci sono circa 10 mila persone in attesa di partire. Molti hanno le radioline e stanno ascoltando la diretta di ciò che sta succedendo a circa un chilometro da qui. Nessuno parla. Vedo decine di occhi terrorizzati. Probabilmente i miei occhi esprimono lo stesso terrore. E il treno non parte. L'elicottero continua a volteggiare sulla nostra testa e la polizia ha circondato la stazione. Nessuno lo dice ma abbiamo tutti paura che i poliziotti entrino anche qui e ci massacrino. Mi siedo. Non riesco a stare seduto. Cerco di stare calmo e di tranquillizzare la mia compagna. Finalmente alle 2.30 il treno parte. Non siamo sicuri che fermi a Bologna ma avremmo preso anche un treno per Lecce pur di allontanarci da quell'incubo.

Nella notte non riesco quasi a prendere sonno. E la mia testa vaga, pensa. Pensa che un'azione da polizia militare sudamericana come questa è una cosa troppo grande, non può passare liscia. Non penso alle possibili dimissioni di De Gennaro, Scajola o Berlusconi. No. Penso che l'unica via d'uscita debba essere un intervento del Presidente della Repubblica. Penso che debba destituire il governo, prendere in mano il controllo della situazione e ristabilire lo stato di diritto. Che ingenuo che sono.

Alle 8.30 arriviamo a casa, a Bologna. Accendiamo subito la radio, compriamo i giornali. Non riusciamo assolutamente a dormire. Poco dopo chiamano Lorenzo ed Angela, preoccupatissimi perché la sera prima ci avevano lasciato proprio là, in piazzale Kennedy. "Dove dei? Sei a casa? Stai bene?" Al sentire la loro voce, finalmente scoppio in un pianto liberatorio.


Giovanni:

Lascio questa mia testimonianza perché, per motivi logistici, offre un punto di vista originale.
Siamo arrivati in tre, venerdì mattina intorno a mezzogiorno e mezza. Abbiamo parcheggiato la macchina a Marassi (lo stadio), e abbiamo puntato decisi verso via XX settembre, seguendo la sponda sinistra del fiume. Dopo duecento metri, a un incrocio, una massa nera. Sbirri, ho pensato.  Strano. Andiamo avanti. Non sono sbirri, ma quelli che poi sarebbero stati l'incubo della giornata. I black bloc: duecento, direi. Passamontagna e maschere, bastoni, bevevano vino. Si stavano riposando, ho capito poi. Passiamo, andiamo avanti. Non ci cagano; altri cento metri, il tunnel che
passa sotto Brignole, e al di là, polizia e carabinieri, schierati, tesi. Via di qui. Cerchiamo di andare dritti, non si passa. Facciamo il giro largo. Vediamo le tracce delle battaglie del mattino, ormai le conosciamo tutti, inutile descriverle. Superiamo la zona, passiamo un blocco di polizia che ci ignora, torniamo in su, siamo in via XX settembre. Con Ya Basta di Milano avevamo appuntamento qui, alle due. Non c'è nessuno, non c'è nemmeno la polizia. Cominciamo a capire. Raggiungiamo piazza Carignano, chiediamo informazioni, le otteniamo. Torniamo indietro. Attraversiamo una città deserta. Vogliamo assolutamente raggiungere il corteo dei disobbedienti. Mezz'ora dopo siamo di nuovo a Brignole, non ci fanno passare. Che cazzo fate qui, chi cazzo siete, perché non avete il pass? Rispondo io: "siamo disobbedienti, vogliamo raggiungere il corteo". Il maresciallo mi guarda, forse non capisce se lo sto prendendo per il culo, se sono matto, se non ho capito niente.
Se ne va. Ma ormai ho capito, abbiamo capito. Vediamo i blindati partire, il fumo lontano.
Vorremmo andarcene, andare via da questo fallimento politico, prendere la macchina e andare fuori dai coglioni, ma è inutile farsi più razionali o intelligenti di quello che siamo. Tutti e tre la sentiamo come una vigliaccata. Roba da conigli, diciamocelo, e quindi andiamo, andiamo a raggiungere il corteo. Non abbiamo ancora la percezione di quello che ha fatto la polizia, anzi, io sono più incazzato - in quei momenti - con il black bloc, con la disobbedienza civile che non ha retto, con l'idea di togliersi la tuta bianca. Ho visto ben di peggio, devo dire, da parte della polizia; vediamo arrivare arrestati, nel piazzale di Brignole, e li trattano bene, non li pestano, non li umiliano. Ci sono i giornalisti, del resto.
Sono le quattro, credo, quando decidiamo di puntare decisi verso il corteo, ma non ce la facciamo, non si passa da nessuna parte, la polizia chiude tutte le strade, al di là il corteo, cerchiamo di aggirarli, ma finiamo nei vicoli dove ci sono altri scontri, altre battaglie, poi c'è una carica dei manifestanti, la polizia che scappa, noi dietro, scappiamo anche noi. Questa mi mancava, scappare insieme ai poliziotti dai manifestanti. Il mio mondo alla rovescia. Poi risaliamo quello che resta della via dove era stato fermato il corteo, sempre dietro il triplo cordone di poliziotti (fila di uomini, blindati, fila di uomini). Il corteo se ne va di corsa, ma nella coda c'è un gruppo di duri, cento persone che non mollano, che vanno a  due metri dagli idranti a tirare molotov, scatenando di nuovo reazioni, e contro reazioni. Ci sono stati almeno due momenti in cui la polizia avrebbe smesso di caricare, credo, e loro hanno continuato. Poi, molliamo noi, anzi mollo, perché ci siamo persi, sono da solo. Era previsto, abbiamo appuntamento alla macchina. Mentre vado sento parlare di un morto, due morti, tre morti. Finisco in mezzo ad altre cariche, altri lacrimogeni. Mi fermo dove c'è una radio. Parlo con della gente, non so chi fossero, so che mi incazzo dopo un secondo, perché al mio tentativo di ragionare mi sento rispondere che sto dalla parte degli sbirri, e allora non ci vedo più, perché sono due anni che siamo tre stronzi a denunciare con nome e faccia quello che sta succedendo in Italia, che ci siamo esposti a denunciare violenze e bugie sentendoci rispondere da tutti, anche dal movimento, "siete solo ultrà, siete solo teppisti", e anche se non è elegante dire io l'avevo detto lo dico lo stesso, porca troia. Quello che è successo a Genova, ho pensato nei giorni seguenti, ascoltando le ipocrisie vergognose dei ds, di radiopopolare, di tutti, è già successo decine di volte, ma voi non c'eravate. Il GSF, caro WM2, è solo l'ultimo dei tanti venduti. Ma basta, non serve a un cazzo aver avuto ragione, e quando rifletto capisco che è anche una stronzata rinfacciaare agli altri di aver capito tardi. Meglio tardi che mai. Nei giorni seguenti, assisto alla mattanza, capisco la mattanza, ma presto si delinea una soddisfazione incosciente, perché già sabato comincio a pensare che stavolta pisciano fuori dal vaso, che stavolta c'è troppa gente, troppi media, troppi stranieri. Basta solo che non si cada nell'ennesima trappola dei ds, che non ci si arrocchi in una posizione antigovernativa, ignorando quello che è chiaro, ossia che le forze del disordine non rispondono più a nessuno, non hanno bisogno e non chiedono alcuna copertura politica, anche perché se si vuole ragionare sul mandante occulto, sul chi giova, bisogna ragionare sul serio. A chi giova il casino internazionale in cui si trova il governo Berlusconi? A chi giova che un'opposizione in ginocchio si ricompatti?
Poi ci sono le considerazioni sul movimento, sulle tute bianche, sulla disobbedienza: anche che si sia trattata di una trappola dall'inizio alla fine (cosa che personalmente non credo, credo più all'impreparazione violenta della polizia il venerdì, e poi alle vendette), esserci caduti dentro in questo modo non è meno colpevole, e la mia impressione di venerdì è che il corteo dei disobbedienti abbia ceduto subito alla violenza, che in troppi abbiano accettato lo scontro. Ma non c'ero all'inizio, lo ripeto, quindi questa potrebbe essere una grande cazzata. Ma quando alle riunioni di Ya Basta a Milano sentivo gente dire "riusciremo a sfondare" mi veniva freddo, e oggi mi vergogno di non aver avuto il coraggio di dire che non saremmo mai riusciti a sfondare, mi vergogno di non aver voluto fare lo spaccacazzo, che invece è la cosa che mi riesce meglio, evidentemente. E del resto anche qui non mi dilungo sulle tante cose buone che sono uscite
comunque: i duecentomila di sabato, le manifestazioni di lunedì e martedì, la stampa che finalmente denuncia la follia di questa polizia, e l'occasione buona di riportare questo stato nello stato sotto i vincoli della democrazia.


Dejan:

Siamo arrivati tra mercoledì e giovedì notte, sette ore di treno da Milano-Garibaldi a Genova-Quarto. Quelli di mercoledì sono entrati allo stadio Carlini annunciati dall'altoparlante, "salutiamo i compagni di Milano!", e sono partiti con 'Oh mia béla madunina' nella versione che si conclude con "terùn. Fischi da parte dei romani e, suppongo, dei napoletani. Peccato, mi sono perso la scena.
Faccio parte del servizio d'ordine del corteo della disobbedienza civile, volgarmente detto "delle tute bianche". Noi di Makaja, cioè i milanesi, ci siamo divisi in due squadre con il compito di proteggere il fianco destro e sinistro del corteo, subito dietro le file di scudi. Se al momento dell'impatto sarà necessario chiudere qualche varco tra gli scudi, ecco che arriviamo noi; usando semplicemente i nostri corpi come barriere. Abbiamo casco, mascherina e occhialini, protezioni di cartone e gommapiuma; nient'altro. Anzi, quattro o cinque caschi li abbiamo raccolti all'ultimo momento con un appello al Carlini, perché non ce n'erano abbastanza. Io sono nella squadra a protezione del lato sinistro.
Venerdì, ore 13 e poco più. Scendiamo con il grande corteo, sparando cazzate e abbaiando tra di noi perché non capiamo come è meglio disporci: in fila indiana parallelamente a quelli con gli scudi o in cordone, con l'altra squadra, pronti a schizzare a destra e a sinistra? Il risultato, come è ovvio in questi casi, è che ognuno se ne sta dove più gli pare. Il mio pensiero più ricorrente è uno stereotipo: "che cazzo di armata Brancaleone".
Scendendo da Corso Europa, quando la strada diventa via Tolemaide, vediamo i primi fumi neri che si alzano sulla città. Chi non è di Milano forse non può capire. Da noi non vedi mai la città dall'alto, è tutto piatto. Qui invece vedi dei quartieri , vedi degli scorci. E il fumo nero che si alza. Per noi di Milano non è reale. Per noi l'effetto è quello dei servizi da Sarajevo o da Baghdad, per noi è la tv. Stiamo andando in tv.
  Qualcuno dice che i "pink" sono stati caricati. Sensazioni cupe, ma forse è solo il senno di poi. Si va avanti. A sinistra le case, qualche distributore di benzina, qualche viuzza laterale. A destra il muro che costeggia la ferrovia.
Non so che ora sia, poi scoprirò che siamo attorno alle tre. Arriva la carica, violenta, improvvisa, annunciata da una pioggia di lacrimogeni. Succede questo: in dieci secondi al massimo, dieci secondi di numero, reali, cronometrici, mi trovo in prima fila, in posizione centrale, con uno scudo in mano. La mia posizione originaria era sul lato, trenta metri più indietro, con le mani libere. Lo scudo me lo ha mollato un compagno, credo di Roma, che non vedeva e non respirava più per i lacrimogeni.
Lì comincia un'altra manifestazione. Noi e gli sbirri ci fronteggiamo mentre tracce del gruppo di contatto annaspano tra i due schieramenti. Sciami di ragazzi cominciano a correre sui lati, nelle vie laterali e poi ancora fuori, tirano pietre. Le immagini: una fila di fotografi con gli occhi lacrimosi che ci fa il primo piano mentre siamo schierati come i legionari di Asterix. "Via, via, andate via!" Loro dicono di sì e scattano altre cinque o sei foto. Il vestito da prete di don Vitaliano che si agita da qualche parte; c'è uno schiacciato contro il cellulare, oltre la fila di sbirri, che si accascia lentamente sotto una gragnola di manganellate.
Caricano di nuovo. Patapum pum pum contro gli scudi. Uno mi punta. Prende proprio la rincorsa e si lancia contro il mio scudo. Io rinculo, inciampo, cado; un cazzo di scudo lasciato lì da qualcuno. Sento le manganellate sulla schiena e sulla testa ma ho le protezioni, non fanno male. Il casco è un AGV di quelli "anni sessanta", che scendono dietro fino alla base del collo, stile elmetto della Wehrmacht. Mortale negli incidenti stradali (una botta e ti spacca le vertebre), provvidenziale qui, perché il pulotto ce l'ho di sopra, io sono a gattoni, ma il casco finisce proprio dove inizia la gommapiuma. Mi alzo, mi metto in guardia con lo scudo in copertura, guardo indietro, non c'è nessuno, il fronte del corteo sta a venti metri, in mezzo due sbirri che manganellano qualcuno. Devo raggiungere gli altri, carico come un cinghiale per passare in mezzo ai due, sento ancora una pioggia di colpi ma passo. Sono con gli altri. Di nuovo cordoni, di nuovo fumo, sputi catarrosi e lacrime, ma riprendiamo ad andare avanti; strano, ma andiamo. Io ed E, l'unico di Milano che riconosco, ci guardiamo e ci assicuriamo protezione reciproca: "teniamoci d'occhio".
Si prosegue con continue scaramucce, solo che loro picchiano e noi no, noi siamo lì per prenderle, allenati, preparati, studiati per prenderle. Ligi alla consegna della disobbedienza civile. Solo che non riusciamo a tenere insieme il corteo. Si va avanti o si va indietro? Chi lo decide? Cosa dicono quelli dietro? Dobbiamo riprenderci gli scudi collettivi? I ragazzi sui lati tirano i sassi, io conto due crisi da lacrimogeni. Mi bruciano dentro, è come se due lavandaie mi torcessero la trachea per strizzarla come un asciugamano bagnato. La cosa più bella di questo pomeriggio è il servizio medico, sono sempre lì, sempre dietro, mi soccorrono ogni volta che sto male, nel giro di tre secondi al massimo: "non bere, manda l'acqua in gola e sputa", grazie compagni. Non sento la temperatura attorno, sono tutt'uno con il mio sudore non c'è più il clima, solo l'adrenalina.
Un gioco di ruolo gigante, con almeno cinque situazioni collettive in una, cinque velocità diverse: 1. Noi e gli sbirri che ci fronteggiamo, da vicino o a distanza a seconda del nostro avanzare e del loro caricare; 2. I ragazzi e gli sbirri che si inseguono; 3. Noi e i ragazzi. Cerchiamo di farli rientrare nei ranghi, loro ci mandano a fare in culo, noi ne pestiamo qualcuno; 4. La gran parte del corteo che se ne sta indietro (ma-che-cazzo-stanno-facendo?); 5. Gente sulla massicciata della ferrovia parallela a noi, guardano, chi sono?
Arriviamo all'incrocio Tolemaide-Torino. C'è un cellulare degli sbirri che i ragazzi hanno conquistato. Stanno cercando di ribaltarlo, ma le sospensioni sono toste e allora ballonzola a destra e a sinistra senza rovesciarsi. Allora gli danno fuoco. Gli sbirri stanno a cento metri di distanza. Cerchiamo per l'ennesima volta di fare un cordone in mezzo all'incrocio, mentre il grosso del corteo è ancora indietro. Sento uno che fa "ma se esplode?" e un altro che dice "no, è un diesel, non può esplodere". Arriva uno di Roma che probabilmente coordina una squadra e dice "occhio che può esplodere". Intervengo: "no, è un diesel, non può esplodere" - "Sei sicuro che un diesel non può esplodere?" - "C'era uno che diceva che non può esplodere" - "Compagni [con il megafono], niente paura, è un diesel, non può esplodere".
La testa del corteo, qualche centinaio di persone, ha superato l'incrocio e sta andando in direzione di Brignole. Il grosso è ancora indietro, è tutto incredibilmente sgranato perché non si sa se bisogna andare avanti o indietro. Il corteo è spaccato in due. Noi, siamo una decina, facciamo la spola tra la testa e l'incrocio, gridando "aspettate, aspettate, sono tutti ancora indietro, ci sono gli sbirri all'incrocio e dobbiamo ricompattarci". A un certo punto caricano di nuovo: un plotone di celerini contro il grosso del corteo, uno di carabinieri contro di noi. Già, noi. Noi siamo sei o sette e stiamo cercando di tirare su gli scudi collettivi abbandonati in mezzo all'incrocio. Loro sono a quindici metri, noi ci guardiamo in faccia, un attimo di indecisione, chi lo fa per primo?, via di corsa, a gambe levate senza voltarsi per almeno cinquanta metri. Poi, il coraggio di voltarsi. Si sono fermati. Ritornano indietro e si attestano di nuovo su corso Torino, a cento metri dall'incrocio. Torniamo indietro, sfoghiamo la nostra rabbia e frustrazione contro uno che tira sassi, lo appiattiamo contro il muro, pugni, calci. Sono ancora lì, dietro l'angolo Tolemaide-Torino che cerco di tirare su l'ennesimo scudo di plexiglass e sento due spari, molto vicini. Sono due suoni secchi, più un pam .... pam che un bang .... bang. Una voce di dietro: "porcoddio, sono spari". Penso: "cazzo dicono? Sarà qualcosa che esplode dentro al cellulare". Poi dimentico. C'è altro da fare.

Qui si chiude il racconto e comincia il vortice.

Quei ragazzi non erano né sbirri né black blockers, quei ragazzi erano me stesso dieci anni fa, con un sasso in mano e una grande rabbia. Quei ragazzi erano la pura esposizione del loro corpo, non erano delinquenti, cattivi, teppisti. Quei ragazzi avevano ragione, solo che non avevano voce, né mai l'avranno, se non per articoli di folklore. Quei ragazzi erano anche un po' dei pirla, perché se io voglio provocare degli incidenti che giustifichino la repressione incondizionata, non faccio altro che formare un gruppo di parasbirri, parafascisti, parabastardi e li piazzo in strada a trascinare il testosterone di quei ragazzi. Quei ragazzi hanno avuto un morto.

Ma chi era invece quell'uomo di mezza età, pelato, con i baffi, che buttava giù i sassi dalla massicciata del treno in via Tolemaide, che incitava i ragazzi a caricare gli sbirri, che aveva gli sbirri di fianco, che non veniva né picchiato, né arrestato, né fermato?.
Chi era quell'uomo a cui noi, prima fila del corteo abbiamo gridato "vieni giù se vuoi caricare gli sbirri, bastardo provocatore" ed è scomparso?

 Perché gli sbirri hanno caricato un corteo pacifico, sparando lacrimogeni ad altezza uomo, nello stesso luogo in cui, un'ora prima, il cosiddetto Black Block aveva marciato, fatto scendere gente dalle macchine, sradicato semafori, incendiato le macchine, spaccato le vetrine, rovesciato i cassonetti, sotto lo sguardo impassibile delle forze dell'ordine?

 Aggiungiamo tutti i perché che ci frullano in testa e forse qualcuno dovrà dare delle risposte.

Ho scritto tutto questo perché sono tornato da Genova domenica 22/07/2001 e dopo due giorni mi è scesa l'adrenalina. Quando è successo, mi è rimasto dentro solo un odio sibilante. E' una cosa nello stomaco, quasi dolorosa, che ti piega. Mi fa fare dei pensieri strani e cattivi. Io non voglio vivere così. E allora scrivo il mio racconto, descrivo ogni cosa per buttarla fuori, piatta, nei fatti, cercando di evitare spiegazioni facili e dietrologie. Cerco di dare un nome alle cose. Scrivo un frammento che si va a unire alle centinaia di altri che circolano in questo giorni. Perché con i miei compagni voglio cucire un grande patchwork. Che venga disteso sotto gli occhi di tutti e che appaia nella sua evidenza.


Tony:

A Genova c'ero,
e forse ci sono ancora, ancora atomi dei miei respiri che continuano a singhiozzare, per il veleno dei lacrimogeni, per la rabbia.
Sono giunto la mattina del 20, in quello stadio Carlini in festa. La prima cosa che ho visto sono state le protezioni collettive nel campo, e le mille api operaie che con chimica coordinazione ruotavano intorno, ognuno con il prorpio daffare, ognuno e tutti in un unico pensiero. Mi si è gonfiato il cuore.
Presto, presto, fuori i plexiglass, si va!
Il caschetto, la mascherina, gli occhialini da piscina, i limoni in tasca, gli antistaminici, protezioni individuali di varia foggia e materiale. Tutti sapevamo che sarebbe stata un lunga giornata, ma nessuno pensava che quella giornata non sarebbe mai finita.
Si cari compagni, Genova 20-21 luglio 2001. Qualcosa è cambiato in questo paese, o forse nulla. Qualcosa è cambiato nei miei 25 anni, sicuramente molto. Analizzare, capire, fare strategie, "incanalare la rabbia in maniera intelligente". Io a quasi una settimana dal ritorno in quel di Bari, non riesco a fare il punto della situazione.
Vedo una divisa e vorrei aver in mano qualcosa di contundente, anche se a Genova non ho alzato neanche una pietra da terra.
Leggo i giornali ed una nausea claustrofobica mi prende lo stomaco. La TV...non l'ho ancora accesa!
Però, ho capito cos'è la repressione. Non è solo l'annullamento fisico-ideologico di un dissenso, è annientare la capacità di reazione. Smembrare pensiero ed azione in piccole schede da puzzle, e mentre tu cerchi di ricomporlo, cerchi di capire come devi
rispondere, loro fanno il blitz alla Diaz, ed intanto ti scaricano  merda addosso tentando di screditare il movimento.
Sicuramente la confusione che ancora avverto è dovuta alla mia scarsa esperienza. Negli anni settanta ero attaccato alle sacre mammelle della mamma, negli anni ottanta la mia infanzia e preadolescenza erano scandite dalle sigle dei cartoni animati, più che dai fragori delle bombe di stato.
Quindi, come reagisce un giovane militante, nuova carne al fuoco della brace liberticida? Come incanalare intelligentemente questa rabbia, quest'odio contro stato ed istituzioni montato in me? Prima c'era solo il disprezzo, la voglia di giustizia sociale. Ora il banner che lampeggia nel mio cervello dice "DESTROY!!!".
Beh, forse il modo c'è, ed è quello di guardarsi indietro. E guardo, i compagni, il Carlini, la nottata dell'assassinio passata in assemblea, con la voce della moltitudine al microfono, quella moltitudine che ci ha guidato fin qui, che si è cibata delle sue diversità e ne ha fatto anticorpi contro la furia cieca di chi la teme. La moltitudine che a Genova si è fatta onore, che i genovesi hanno aiutato e voluto bene, dissetata dall'acqua calata dai balconi.
La voce della moltitudine, quella notte io l'ho sentita, piangeva, si arrabbiava, si dava cazzotti, e poi si abbracciava, era pronta ad uscire in piazza ma ha preferito aspettare l'alba.

diventa anche TU Moltitudine

Tony


Klimt Eastwood

Genova 2001 d.C.

Via Tolemaide è immobile, non un rumore al di fuori dell'entusiasmo struggente che imbelletta questi momenti. Siamo teneri corpi che si immolano in prigioni di plexiglass. Disarmati, disarmanti procediamo: ci fondiamo in un unico corpo multiforme, una stupenda, colorata creatura fatta di spire, sudore ed entusiasmo.  Scatto qualche foto, mi sento
parte del silenzio, mi perdo in questa stupenda quiete di animi macilenti e mi rendo conto  che il tempo, in fondo, si è fermato: via Tolemaide scompare all'istante dalla mia vista, scompaiono la ferrovia, i palazzi eleganti alla nostra sinistra. Scompare Genova, scompare il duemilauno. Si sgretola il reale e ci ritroviamo, di nuovo, nel territorio di lotta  atemporale, nell'anomalia spaziale dei gladiatori del diritto e della sopravvivenza.  Genova dunque come la Sassonia del secondo secolo, come le desertiche pianure di Ctesifonte, come i regni del Ponto sul Mar Nero.  Siamo i Parti  dagli occhi lunghi e imbellettati, siamo i biondi Quadi vestiti di pelle di camoscio, siamo i temibili Marcomanni dalle barbe lunghe e ispide. Noi siamo i sopravvissuti di Teutoburgo.
Li, infondo alla strada sterrata, sotto il sole di luglio ci sono le legiones dell'impero. Oggi sono vestite in kevlar, non brandiscono lance ma manganelli, le loro catapulte si chiamano mortai e la loro pece rovente si chiama gas lacrimogeno. Ma sono sempre  loro, sono i difensori del limes,  le guardie pretoriane schierate davanti al Vallo
di Adriano.
Ci caricano quasi subito, senza lasciarci il tempo di ragionare. Alcuni candelotti piovono in mezzo alla folla dall'alto, forse addirittura dai balconi sovrastanti. Il fumo invade i corpi colorati dei miei fratelli.
In un attimo la calma si trasforma in panico e le nostre schiere si rompono in mille pezzi. Qualche centurione compare in mezzo al fumo dispensando manganellate. Il suo viso è coperto da una maschera nera.
Impossibile leggere la sua espressione di odio, il suo compiacimento, la sua segreta paura.  Noi, tribù imbellettate, affrontiamo la battaglia a viso scoperto. Qualcuno di  noi si è fabbricato patetici corpetti dalle vaghe sembianze pretoriane. Persino la nostra strenua tattica di guerra ricalca quella delle legiones. Ci trinceriamo a testuggine cercando di imitare le loro movenze. Siamo i  mezzosangue Quadi  figli delle foreste e dei soldati romani. Siamo i bambini dello stupro. Cesare è nostro padre,  l'impero la nostra prigione. Combattiamo per rompere l'argine, per riappropriarci della terra e dei campi.  Avanziamo per perire nei lacrimogeni, per torcerci nelle spire urticanti. Vengo preso dai conati, gli occhi urlano al cielo. Mi aggrappo con tutte le forze ad una cancellata  e cerco di resistere alla follia collettiva. Mi infilo insieme a pochi fratelli in un garage. L'aria è più respirabile e le convulsioni terminano lasciando spazio alla rabbia.  Alcuni soldati ci vengono dietro con i loro scudi luccicanti, i loro elmi, i loro bastoni neri che fanno roteare a lungo sui primi che gli capitano a tiro. Vedo una giovane marcomanna tedesca implorare pietà: ha la testa insanguinata e dal suo naso cola muco.  Vedo altri figli della foresta atterrati sul bitume. Ogni volta che qualcuno cade, gruppi di tre o quattro pretoriani si accaniscono sullo stesso corpo. Lasciano cadere persino i loro scudi per sfogarsi: "Pezzi di merda, pezzi di merda", questo è il loro peana.
Narra la leggenda che il divino Marco Aurelio, successore di Antonino, assistesse da lontano alla mattanza dei rivoltosi.  Elegante e compunto già a diciannove anni si professava  non violento. Ma il suo governo, durato ben diciannove anni, fu costellato delle più temibili e sanguinose repressioni dell'impero.
Più tardi quando ferito e indolenzito scaglio sassi contro le camionette delle legiones  scruto l'orizzonte e penso che lì, da qualche parte, su qualche tetto, c'è il loro Marco Aurelio, quello del 2001,  quello che segretamente assiste alla nostra disfatta. E' in piedi,  contornato dai suoi dignitari (sette dignitari). Il suo sguardo è compunto e  immobile.
Anche lui si professa non violento: é un sedicente democratico, é un tiranno sanguinario. Guarda la strada sconvolta dagli scontri, sorride compiaciuto ma non sa che questo è solo l'inizio.
"Noi siamo i superstiti di Teutoburgo, i figli di Giugurta" urlo a squarciagola. "Noi siamo i Marsi, i Sanniti, i Lucani, i Peligni. Noi siamo i seguaci di Mitridate Noi  veniamo da Corfinium e un giorno vinceremo".

Le strade, alcune ore più tardi sono diventate pietraie. I briganti dalle bende nere, gli oscuri Black Bloc nebulizzano acqua  e bicarbonato negli occhi dei bisognosi.  L.


Katarina:

Vilma di padova dice che noi siamo *donne_e_uomini*. Io_sono_una_donna. Importa?

A genova alla manifestazione migranti avevo vivo un giorno lontano: 24 ottobre 1998, trieste. Con la disobbedienza vestita in tuta bianca, con intelligenze consorziate, in tanti e diversi insieme eravamo riusciti a vincere. Avevamo fatto chiudere il cpt nel porto vecchio, un lager dove decine di persone erano imprigionate senza colpa alcuna - se non quella, terribile, di non avere il pezzo di carta giusto. Samet si, lui quella carta ce l'ha eccome! Provate a togliergliela che vi spacco i denti. Questo avevo in mente, e cioè che un altro mondo è possibile, ma davvero! Anche manuel aveva la tuta a trieste, manuel però arriva domani credo.

Qualche istante ancora ed è già domani. Chi negli antichi tempi che furono indossò lo strumento tuta bianca, il 20 luglio 2001 si è spogliato, e non per scopare né per lavarsi, ma per entrare a fare parte della moltitudine di eguali. Micidiale. Hai capito simone? Così ci piace, no?

Dal carlini si parte in 9mila dicono. In realtà, io lo so, eravamo almeno un milione. Si era tutti incicciottelliti dalla gommapiuma e/o da bottiglie di plastica vuote fissate con nastro adesivo. Eravamo così eleganti con quei gilet ricavati dai nostri materassini! Eravamo elegancia zapatista, altroché "esercito di straccioni". Ma tania è la più bella di tutte, ha solo il casco, è bella e lo sarebbe anche con una merda in testa.

Si parte e già non capisco un tubo. So che devo stare vicino a chi conosco, meglio se grande e grosso. Ci provo e all'inizio ci riesco, ho concittadini tuttoattorno, ma poi non ce la faccio più. Non ci sono file né cordoni, invece di camminare domandando rotoliamo annaspando. Mi vergogno dell'indisciplina, una casino così non si dovrà più ripetere. Gente seduta sui marciapiedi quando invece si era detto compatti. Se il corteo è pazzo impazzisce il serviziodordine, impazzisce chi ha il microfono, il pericolo si potenzia e le persone ci rimettono nervi denti ossa e quant'altro. Charles è alto, spero che ci ritroviamo. Con charles e con bove ci si ritrova sempre, è una legge cosmica.

Trovo un po' di 99posse e mi applico a camminare vicino a marco che invidio un po' perché penso lui con i chaos pad del signor korg ci può giocare quando gli pare, dita che musicano, io invece posso solo qualche volta dagli amici del cugino di un mio amico& Dove sarà andrea? Non devo preoccuparmi per andrea.

Mi ritrovo nuovamente circondata da persone mai viste prima, perlopiù ragazzine. Ne bacierei quattro o cinque, ma - merda! Non ora questi ormoni. La situa no me gusta. Poi sono felice quando trovo presto amici da proteggere perché si dicono disabituati alla piazza, sono le mie sorelle e i miei fratelli arrivati dalla slovenia. Stai con noi mi dicono. Io gli dicevo fate di tutto per stare insieme, guardatevi a vicenda, se uno fa pipì gli altri lo aspettano, e tu erik non andare avanti che non hai neanche il casco& guarda che i fumogeni li sparano bassi, non la guardi la tv? Cazzo schiavone, così piccolo e indifeso, vi stanno ammazzando lì a lilliput?

Il tempo scorre disturbato da un clima teso-teso. Si fa qualche metro, ci si ferma, ancora metri, e ancora fermi. Ma guarda 'sto pirla, Erik! dove vai?? Stai con noi vicino a camion! E' scemo?? Cosa fa? Va avanti e si fa aprire la testa da un fumogeno! Non ho parole. Cavoli sandron no sta farte mal.

Ecco, i fumogeni. Ho visto donne e uomini dai volti rossi con occhi ancora più rossi, ho visto cosa avevano mangiato a colazione, che schifo: il vomito che esce dalle maschere. Le maschere, anche quelle da 90, da 120mila, quei gas venefici col piffero che li filtravano! Donne e uomini soffocano e sbavano. Alfredo?

Per fortuna che io in quei momenti volavo libera e veloce e agile molti kilometri più in alto delle nuvole. C'erano buffi angeli dinoccolati che cantavano "&io vivo nella zona rossa&la zona rossa del combattimento&solo il conflitto&il conflitto&".

Comunque va detto che anche lassù nel cielo si tossiva non poco. Mitja lo so che sei davanti, io sto quasi bene.

A terra l'aria respirabile era poca. La scarsità di ossigeno non impediva però di guardarsi negli occhi scambiandosi quegli sguardi che chissà come sanno sostenere i corpi. That's incredible, but it is true! Matteo, lo sai tu dove sono i messicani? E tu dove sei?

Poi il corteo era diventato un enorme telefono senza fili che recitava "è morto uno, è sicuro, è morto uno, è sicuro, è morto uno, è sicuro". Chissà se la voce è arrivata fino a gabriele.

Altre cariche, puzza, prurito, altre cose confuse. Said, mi chiedo se le tue protezioni servono a qualcosa. A casa ti abbiamo picchiato con tubi di ferro e tu ridevi, ma questi mica ti picchiano con amore come noi&

Parentesi------Dal camion ripetevano andate su così i compagni davanti hanno spazio per ritirarsi. Sulla strada tarzan diceva la stessa cosa, altri volti noti da anni dicevano la stessa cosa. Conclusione: bisogna andare su così i compagni ecc. ecc. Ma chi è quel giovinotto con il megafono che dal marciapiede grida andiamo giù, andiamo giù contro la polizia?! Alcuni lo ascoltano e seguono le sue indicazioni, cose da pazzi. Questo ha il fazzoletto tirato sul viso, eppure si respira bene ora, e non vedo divise intorno. Chi è? L'ho anche gridato: "Chi è quello?". Non credo che qualcuno mi abbia sentita. Non insisto a sgolarmi. Insomma, chi cazzo è questo?? Perché non sei vicino qui gabriel? Ragioniamo: non l'ho mai visto né tra i romani né tra i bolognesi né tra i napoletani né tra i cosentini né tantomento tra i padovani o tra i margherotti& forse è di imperia& ma non credo. Mi ero detta "ragioniamo"? Puah! Nel dubbio mi avvicino alle spalle del sospetto e aspetto due secondi per vedere se si gira. Ma questo non si gira e io, non sapendo che fare, lo atterrò, e velocemente "vado su così i compagni ecc. ecc.". Non so se ho fatto bene o male, propendo cmq per la prima ipotesi. Diciamo che ho fatto benino.------Chiusa parentesi.

Era morto uno ed è morto tuttora, teniamolo a mente. Non è l'unica cosa da tenere in mente. Io ho riguardo a scrivere il suo nome. Per qualche motivo che non capisco non voglio scrivere il suo nome, forse per paura che muoia ancora. A genova il 20/07/2001 un uomo è stato ucciso. Dove caaaazzo sono gli studenti medi e i ragazzi del ricreatorio?

La sera si piangeva in tanti e sicuramente non solo perché *hanno assassinato uno*. Io piangendo ho pensato ci è andata bene, è morto solo uno, potevano morire 10, o 20, o 200. Quando si fuggiva dai gas era vietato inciampare. Se inciampavi e cadevi la calca era tanta che finivi schiacciato dai tuoi stessi compagni. Ci sarebbero potuti essere 80 morti e senza esplodere un solo colpo di pistola. L'impero del male cercava la strage, ma noi invece siamo ancora vivi, e soprattutto io e i miei amici siamo tutti vivi. Questo è tutto quello che sono riuscita a pensare la sera del 20 luglio 2001 allo stadio carlini. Mancano due studenti. Elisa? Cerchiamo elisa.

Il 21 è andata come è andata, ma eravamo proprio tanti, così tanto che eravamo tornati anche a ridere. Per un po'. Io ero nei "cordoni" a protezione del corteo. Ci tenevamo per mano, nulla più. Ogni tanto a lato passava un wumingo o due, luca di roma, altri volti che conosco. Ogni viso noto è una carezza. Nessuno entra nello spezzone e non facciamo entrare neppure due della fiom che volevano attravversare la strada. All'inizio ci restano male, poi si complimentano seri: brave compagne. Ma i monfalconesi? Qualcuno ha visto mamo?

Poi basta cordoni. Si scappava camminando veloci tra case popolari, salite discese e bei posti per evitare le cariche. Stavo tutto il tempo vicino al camioncino e camminavamo veloci nelle vie strette, scale su, scale giù, il camion ci aspetta sotto, dire agli altri di sbrigarsi, dove sei tania? Grazie genovesi delle indicazioni! Grazie per l'acqua e la frutta e grazie di tutto, ma grazie soprattutto per averci guidati! Battaglia, hai le prove? si?

Sapevo che non devo perdere tania, non devo perdere morgan, non devo perdere pari, non devo perdere quel 99 orsoso biondo con lo zainetto ma senza acqua, non devo perdere lucasarini, non devo perdere ciolli o come si scrive che ha la radio, e non devo neanche perdere tutti questi altri che non avevo mai visto prima ma che ora in questo momento sono i miei unici amici. Guai a perdere tania, guai!

Questo è quanto e ora la storia continua.

I miei ringraziamenti:

- a me
- a tutti quelli che sono andati a genova
- giornalisti e simili
- a chi ha deciso di andare a genova dopo la notizia dell'assassinio
- ai genovesi che hanno voluto guardare e vedere
- alla signora bionda della protezione civile
- altri vari ed eventuali
- ai commercianti genovesi pazienti
- alla signorina negozio di sport a trieste che mi ha consigliato gli occhiali da piscina più addatti a ripararsi dal gas
- alla mia famiglia
- alle famiglie degli altri


Alessandro P:

Devo dire che mi ha fatto piacere leggere le piccole riflessioni su Genova e su quanto in questa torrida estate d'inizio millennio sta retoricamente e drammaticamente accadendo. Mi ha fatto impressione constatare quanta e quale produzione di pensiero (instant ­ thinking?)
sia stata fatta in così poco tempo, meno di una settimana dagli eventi.
Spesso l'analisi lascia il passo al "giornalismo", al sentimentalismo. Ma certo, mi viene da dire, non poteva che andare così. Troppa emotività. Dopo che per due mesi ci siamo fatti una testa così su quest'appuntamento, è chiaro che le categorie d'analisi ce le eravamo già preparate in anticipo. Società civile. Violenza sì violenza no.

Io a Genova c'ero, ebbene sì. Ma non di tuta bianca/nera vestito, né di altra divisa. Ero a Genova per vivere sulla mia pelle, con i miei occhi, con i miei passi, con la mia testa una disfatta tristemente annunciata, un evento che era sui libri di storia paradossalmente ancora prima di essere progettato. Già. Perché non avevo fatto altro che dirmelo, non avevo fatto altro che pontificare nei giorni precedenti la mia dipartita, che sarebbe andata benissimo, o malissimo. Non potevano esserci mezze misure. Non poteva andare benino, malino. Certo l'ipotesi che tutto finisse a tarallucci e vino era alquanto remota, ma a prefigurare la possibilità di un finale in questa fallace direzione erano state rivolti i penosi tentativi di apertura e di finta
disponibilità dei vari Scajola e Ruggiero.

A Genova io c'ero, e ho documentato e vissuto una situazione molto chiara e preoccupante, anche se le speculazioni sociologiche s'intrecciano all'emotività dell'esperienza diretta. La valutazione oggettiva si accavalla a quella soggettiva, corroborata da questo "io c'ero" che ti fa alfiere e latore di mala novella di fronte a quanti non c'erano (con tutto ciò che la narrazione di un ­angelo comporta: infioramenti, distorsioni, riduzionismi vari tipici dell'approccio, diciamo, epico/narrativo).

Genova [perché naturalmente è già "Genova", come Seattle è "Seattle", Berkeley ecc. (avrete notato il mesto neoappellativo "giottini" che ricorda tanto un crostino ormai demodé:-)] segna a mio parere in modo netto una cesura chiara e forte (in senso eventuale) lungo quel
gradiente sfumato e fuzzy che è il guado tra i due secoli ­ millenni: una specie di storica, lunga, spossante, lenta deriva dei continenti.
Sociologicamente parlando, riferendosi a certi approcci relazionali (!!), la distinzione di tipo funzionalista luhmanniano (sistema/ambiente) va interpretata come continuum: tra i due poli la
relazione è distinzione (e viceversa), e invece che dividere postula la possibilità di un meticciamento delle posizioni, un doppio legame tra le due collocazioni. Naturalmente postula una prassi dell'incontro più che una prassi dello scontro. Tuttavia.
Genova lungo questo continuum si colloca come fine del processo di morfogenesi socioculturale; e come potrete naturalmente immaginare, è proprio in virtù del suo carattere di fine/conclusione/compimento, che non vuole essere affatto "lusinghiero" o "altisonante" (tipo "niente sarà mai più come prima"), che acquista anche quello di inizio, in un'ottica temporale e ciclica della società, di un nuovo corso storico.

Bifo in proposito ha parlato d'inizio della fine della dittatura neoliberista. Può sembrare una vaga previsione senza fondamento, un delirio post-marxista nell'era dell'accesso cognitario e ricombinante. Non è così, a mio parere. Come dicevo, Genova in quanto tale sancisce un
point break secco all'interno del processo di risemantizzazione postfordista (semiocapitalista, dopolavorista :-) della società. La crisi ontologica autoreferenziale (direi quasi il corto circuito) in cui versa, da Genova, la distinzione pubblico/privato (accompagnata dalle altre distinzioni ­ guida del momento: profit/non profit, global/noglobal, ecc.) è totale, ed è questo che segna definitivamente il passo.

La città, Genova, ne è stata la chiara metafora: una decisione politica tradotta in decisione tecnica ha predisposto un apparato repressivo tipico dello "stato di polizia". E come sappiamo (Berlusconi dal basso della sua viltà ha più volte dichiarato che non è stata una decisione
sua, e ha fatto bene a ricordarlo.dispiace ammetterlo) non si tratta di una decisione di un determinato colore, come il vecchio codice moribondo della politica parlamentare vorrebbe farci credere. La partita la si gioca su un piano che è profondamente diverso da quello del teatrino Italia, profondamente più complicato. L'interesse europeo e non solo, in questi giorni, per le efferatezze compiute dalla polizia testimonia che la posta in gioco è d'altro spessore, e sarebbe ora di finirla di trasformare tutto in merce di scambio per i vecchi partitucoli.
La Genova metafora della cesura storica, che si profila oggi, è quella città divisa in due. Idealmente e, in modo spudorato, fisicamente.
Quella "zona rossa", che a vederla faceva venire i brividi, era il segno impazzito di una cittadella dell'impunità e dell'illegittimità. Gli 8 hanno voluto fare quello che era stato deciso, o meglio una loro mezza consuetudine, un incontro informale, incuranti di una tale quantità di
lesioni dei diritti civili, che la metà, come si dice, sarebbe bastata.
E dall'altra parte? Dall'altra parte non un settore, non una non meglio identificata "società civile" (salvo poi la possibilità di sistematizzarne il concetto come segue), non una classe, non un partito, non una cosa. Dall'altra parte tutto il mondo, e non è uno slogan. Anzi lo ridico. Dall'altra parte tutto il mondo de­differenziato, incalderonato e banalmente meltingpottizzato idealmente (si badi non ideologicamente).

Questa crisi, questa Genova che è già evento psicopatologico di massa, lo è almeno per due motivi. Primo, perché il meccanismo di difesa dei G8 innescato dalla presunta minaccia del movimento fa di quest'incontro informale qualcosa di assolutamente inadeguato insensato
sovradimensionato in tutti i sensi. Davvero è incredibile come certa gente (parlo del governo) possa parlare di Genova come di un successo, quando è chiaro che da adesso o incomincia una lunga serie di inverni (come diceva Dal Lago domenica sul manifesto) o una nuova, ma più
improbabile, lunga primavera.

Secondo, perché la risposta del movimento non ha saputo coerentemente organizzare un alternativa al vertice dei G8. Il cosiddetto movimento purtroppo continua a vivere in uno stato di subordinazione totale alle logiche ad esso avverso, se n'è già parlato naturalmente. Mai più
controvertici, si dice. E mi sembra il minimo, dato che agire in ottica di scontro subendolo sempre e comunque unilateralmente conferisce apparentemente all'"aggredito" di ragionare sui temi dell'ordine pubblico, delegittimando i veri motivi della protesta che naturalmente
un senso ce l'ha, sospendendo i diritti civili e costituzionali nel nome di una supposta (:-) legittima difesa.

Io credo fortemente nelle istanze di fondo del movimento. Ed è per episodi come Porto Alegre (parlo della città con il suo bilancio partecipativo e del Forum Sociale Mondiale) che si può costruire, con la politica dei piccoli passi, un'alternativa seria, democratica. C'è poco
da fare: a Genova i G8 potevano ad ogni buon conto dirsi le vittime di un assedio. Questo in termini logici.

Alessandro Pirani
27/07/01


Diario di Gabriella V., residente nella zona rossa, 19-20 luglio 2001:
 

Elicotteri come sveglia del mattino e il grigio-blu a riempie gli occhi  da due giorni: comunque e ovunque, esercito. 19 luglio 2001, rapporto da residente in Zona Rossa G8. La barricata a ridosso del mio portone è presidiata da due giorni da unità dell'esercito e della finanza, il vicolo è a dieci metri da palazzo san Giorgio e a una cinquantina dalla zona Expò, è diviso tra la Gialla e la Rossa, il portone è nella Rossa, quindi posso aver accesso, mostrando pass e documenti, alla zona più blindata che ospiterà le sedi degli incontri 'determinanti'. Le linee autobus del centro sono state cancellate, tranne quelle che conducono, percorrendo vie a monte, ai due principali ospedali cittadini; non si può depositare spazzatura, i tombini saldati, si scongiurano allagamenti. Ore 9.00: voglio comunque uscire, voglio giornali, colazione e avvicinarmi al mare, all'aperto. Gli abitanti della zona Gialla non possono accedere alla Rossa, e il 'mare del centro' è nella Rossa. I residenti in Rossa invece possono transitare ovunque, ma non ci sono mezzi pubblici, non ci sono taxi e non esiste la possibilità di accedere o uscire con automobili: parcheggi e moli sono stati sgomberati, automobili e barche allontanate, anche quelle dei residenti.

Bloccati via mare! c'è 'qualcosa' in tutto questo che sa, un po', di 'intollerabile'; inevitabile rassegnazione negli occhi dei pochi residenti rimasti che vagolano in silenzio, come in 'ora d'aria' da
carcere. Le stazioni, si sa, sono chiuse. Ho il permesso di accedere all'Expo e transitare nella zona di svolgimento degli eventi più 'importanti'. Caselli dell'autosdrada bloccati: domani tutte le delegazioni in arrivo. Mia sorella...pensava di poter venire a trovarmi, illusa lei risiede persino fuori dalla Gialla. Piazza Caricamento deserta, edicole chiuse, entro in Porto antico tra le nuove palme egiziane, mi viene da sorridere: percepisco il deserto e.sembrano cecchini, quegli uomini sui Magazzini del Millo. Grigio-blu e basta, quello delle divise, il primo controllo: "Pass, documenti e mostri il contenuto dello zaino", confermata, posso passare. Non c'è nessuno tra questi spazi nuovi, di fretta ristutturati, nessuno e la sfera di vetro di Piano, nessuno e il Bigo, nessuno e uno spazio ancora più ampio del solito, spianato al mare, interrotto solo da tristi e insulse palme, conficcate a fatica, qualche giorno fa, nel cemento nuovo dei moli.antichi; nessuno e l'esercito. Sopra .a tutto, elicotteri. C'è metafisica-realista, oggi, in questa città, è' vero' questo 'surreale': Sironi e De Chirico, Savinio e 'L'invasione degli ultracorpi'! E'
fresco, nuvoloso e sospeso: una calma particolare, quella che, inevitabilmente, pare precedere eventi, forse pesanti. In questi giorni, un insieme eterogeneo di regole -fatto di suggerimenti, blocchi,
percorsi deviati e divieti- modifica la vita dei cittadini; le regole sono incongruenti: regole 'belliche' da presidio -da base militare- coesistono con improbabili regole 'estetiche', con regole di cerimonia:
'no' alle "brutture" del bucato steso alle finestre, ritenuto "sconveniente" dal Berlusconi in pre-visita e 'si', invece, a centinaia di barriccate, palizzate di ferro e acciaio a tappare, decisamente 'di brutto', vicoli e vie d'accesso alla Rossa. Se fossimo fuori, se non fossimo 'dentro' a vivere tutto questo...potrebbe anche scapparci da ridere, ma è che..ci siamo, dentro e scongiuriamo incendi o altre
emergenze: faremmo la fine dei topi, ma con i panni 'stesi in casa'! Le precarie condizioni igienico-urbanistiche della città sono rimaste invariate: fatiscenza profonda ed estesa, le zone di degrado sono, ovviamente, rimaste tali, ma abbiamo messo i 'fiori alle finestre' che affacciano sulle vie che saranno inquadrate dalle telecamere...Scenari provvisori, alcuni poco più che di cartapesta, come quelli di via Gramsci dove in due giorni sono state dipinte 'alla buona' e 'alla veloce' tutte le facciate cadenti -gli operai scuotendo la testa dicevano "speriamo che non piova e che il colore tenga almeno fino a domenica". Forse 'deportati' o 'autoestinti' centinaia di sudamericani e nordafricani presenti abitualmente in Sottoripa o in zona Expò, scomparsi, probabilmente anche dalle loro abituali residenze nelle zone di Pré o san Bernardo dove il 'pittoresco' degrado è stato però conservato. Scomparsi spacciatori, prostitute e vari colori, non si vedono nemmeno cinesi ed è, oggi, pure nuvoloso. Scomparso anche il 'mio' cassonetto dell'immondizia, scomparso però anche l'odore di urina che ci accompagna abitualmente per buona parte del centro storico -scomparso almeno all'interno della Rossa-  fino al portone di casa, persino nel vicolo in cui abito, non si sente più: quattro agenti, posti
lato piazza Bianchi e due carabinieri lato Sottoripa, in questi giorni, inconsapevolmente, ne hanno impedito la formazione. Senza l'odore di urina...la metafisica trascende al sublime in maniera più rapida! E piazza De Ferrari è proprio da De Chirico, oggi, e va verso il sublime!
Unici movimenti quello marziale e scuro di giovani militari compatti a 'blocchi' di dieci e i nuovi zampilli della fontana ristrutturata. Sto percorrendo via XX settembre chiusa al traffico e la percorro stando nel
mezzo, fiancheggiata da automezzi della polizia, negozi sbarrati, pochi superstiti-residenti in clima 'magrittiano'. Laggiù, alla fine della via nero lucido da asfalto nuovo,  lo sbarramento massiccio a bloccare il previsto 'sfondamento' da piazza Verdi, zona Brignole: probabile zona di
'meta-guerra' -uno dei varchi da "sfondare"- spero che "l'attacco" non sia proporzionale alle misure di sicurezza, se così fosse...potrebbe essere una probabile 'carneficina'...confusa, che nessuno vuole.
Attonita, tra il meta-reale della mia città, fotografo. Via san Lorenzo, accesso a Matteotti -sede del summit- è più che blindata, ogni accesso -o uscita- al fitto del centro storico, è sbarrato. Quelli della Gialla sono davvero in difficoltà: liturgie deviate, amici della Gialla non possono venire a cena, due vecchie in San Matteo si parlano attraverso le grate di ferro, non ho più voglia di fotografare. Gli agenti delle forze dell'ordine, si lamento per gli alloggi a loro destinati sui traghetti, altri sono insediati in zona fiera nei padiglioni del Nautico e Euroflora adibiti a 'cittadella delle forze dell'ordine', pare che lì
si trovino meglio. E' la quinta volta che mostro il pass in cinquanta metri; come la tinta posticcia sui palazzi di via Gramsci, dubito possa resistere sino a domenica: è già tutto ciancicato. Incrocio alcuni della Rossa: hanno lo sguardo sconsolato, comunque stupito. Sono le 17.00, rientro, i Carabinieri fissi al portone, riconosciuta e sorrisi.
Un'emittente locale informa che a Brignole è arrivato il primo treno di dimostranti, direzione: stadio Carlini. Scrivo due cose e vado a vedere, esco dalla protezione, provo a uscire dalle 'mura'. Stasera il Manu Chao in concerto; ma ho fame e cerco...un fritto di pesce. ll varco di salita Pollaioli-Matteotti è sbarrato, il terzo controllo effettuato percorrendo 150 metri da casa, il fritto è in San Bernardo, ma non mi fanno passare: "Deve tornare indietro e entrare (o uscire?) da San Giorgio"
-"Ma... ho il pass per la  Rossa" "..senta, la vede questa porta? Bene, se la immagini come muro" . Indietreggio. Forse da 'Vittorio' ...poliziotti in borghese occupano completamente il locale. Forse da
Emma, porta d'acciaio numero '96', sbarrata, forse dal 'Veliero'...accesso di piazza Fossatello sbarrato. Riesco a sedermi ad un tavolo, quello del 'Veliero' alle 22.00: pesce, ma non fritto. Marchi
Rai su felpe blu affollano il locale, qui solo giornalisti, tecnici e alcuni della stampa americana, ci sono anche i giapponesi, globalmente si cibano, sereni e sorridenti. Fuori dal locale il deserto di
Caricamento, automezzi grigio-verdi dell'esercito, sullo lo sfondo le palme, più in là sfera di Piano e la Lanterna ineditamente illuminata.
Sono nel 'centro' del centro e ho l'impressione di essere nella periferia degli 'eventi'. Vedere quelle barriere massicce e riconoscere un fuori e un dentro, inquieta; in fondo a via Gramsci uno sbarramento
imponente, la Sopraelevata è chiusa e c'è silenzio. E' tardi: rientro, in san Lorenzo un metal detector in allestimento...disarmante. Tutti via, quasi impossibile lavorare, muoversi... difficile persino mangiare.
Una emittente locale, da tre giorni, 24 ore su 24, impiega operatori e giornalisti per il G8, intervista alla Foce: i sorrisi dei ciclisti venuti dal nord, ne intervistano uno -che a dire il vero sembra scemo- è
esaltato dall'impresa "Ci hanno fatto passare straordinariamente sulla Sopraelevata....siamo passati sopra la zona Rossa!!" Come se qui, nella fatidica zona Rossa ci fosse chissà cosa, ci abito nella Rossa, ho visto tirar su le barricate d'acciaio di notte, i poliziotti arrivare, gli autoblindo e man mano scomparire "irrelogari", spacciatori e prostitute, non c'è niente qui. Proprio nel senso che c'è il vuoto, un centro vuoto, pieno di giornalisti e poliziotti che si aggirano a riprendere e a difendere un Vuoto. Ma cosa vogliono sfondare?! Ci saranno pure anche loro, gli otto padroni, ma saranno comunque di passaggio, tra le tende di Palazzo Ducale e viluppi barocchi delle nostre ville migliori, vuoti,
parole vuote, tra gli ori di Palazzo del Principe, inutili agli effetti, ormai 'inutili' -a noi- qui, come nelle loro sedi. "Assalto", "sfondamento simbolico" e tutto sembra un circo mediatico, costruito, come costruiti sembrano gli head-line. Stando in galera capita, a volte, di pensare, e qui sembra galera, una bella galera nuova, in certi settori persino elegante, elegante come i genovesi, i pochi rimasti che
in silenzio osservano e che forse pensano ad una probabile neo-coscienza di classe o... di città. Lunedì sarà tutto come prima. Le immagini si accavallano, per strada la Metafisica, sugli schermi Tv, facce e
"posizioni", visti da fuori stando dentro: tute bianche, simboli, tenute da combattimento, Manu Chau, suoni pessimi e parole banali, forse passa Bono in fuga da Torino, giovani, polemiche sulle metodologie di manifestazioni, i Ds in corteo o meno, Berlusconi che parla di fame nel mondo, inconsapevole del suo potenziale 'surrealista', ciclisti, gay e donne iraniare; tutto questo è fuori, fuori di qui, dalla zona Rossa.
Infatti il 'campo', il 'centro' è fuori, i Contenuti sono, comunque, fuori. Sulla faccia tonda di Pericu che appare tra le pagine e gli schermi, sembra ci sia un "speriamo che finisca tutto presto.."
Che senso ha "assaltare" questo vuoto? Qui non c'è nessun Dibattito vero, qui non si Decide e tanto meno si Costruisce qualcosa di Utile: solo immagini, solo telecamere, solo residenti straniti, giornalisti, palme insulse e sotto-simboli, solo simboli, vuoti. Vuoti come i due vuoti che compongono un otto...forse un rapporto di proporzione simmetrica tra Potere e Dissidenza...ogni potere ha la dissedenza che si merita e viceversa e, questa dissidenza, quella che stiamo vedendo dalle telecamere di qui, costruita e montata, in mesi di quotidiane interviste ai responsabili dei centri sociali che puntualmente, inconsapevoli anch'essi del loro potenziale surreale, ci informano sulle metodologie di "attacco" e di '"intervento" in zona Rossa e relativi aggiustamenti e modifiche, come se fosse la questione 'contenutisticamente' più importante,  francamente... Forse siamo in 'Brazil'. Guardate che qui c'è proprio il Nulla, nulla di Utile, nulla di Reale, nulla di Importante, solo il deserto..con le sue palme nuove. Ancora qui, ma siamo ancora qui?Ai Simboli? Ma non ce ne sono già abbastanza?! E poi questi presunti simboli non sono Significati e Funzioni, forse Simulacri! E poi quelli che sono qui, i Simboli di passaggio nella Rossa, i Vuoti-pesanti, tuttalpiù sono 'solo' i Simulacri di un mega-potere che fa pensare ad una malattia autoimmune-globale, agente-vittima, che ingloba e che sovrasta, da un pezzo, persino loro, gli otto Simulacri, persino più grande di loro che simulano di poter 'gestire' la Malattia, enorme ed estesa che si nutre e si autoalimenta, formando un unico mostro globale che è a scadenza, a esaurimento, proprio, da globalizzazione. Un sistema le cui cellule - quelle dell'Esso o delle altre sei, non fa differenza- compongono i polimeri dei cellulari o il tessuto delle tute bianche o del policarbonato degli scudi o nel carbonio delle tecnobike, sin qui arrivate, in discesa allegra! e si associano con i polimeri e...interagiscono, epidermicamente -e non solo- con le cellule di tutta questa gente che è qui, con le nostre cellule! E in tutto questo 'caos' di simboli , come se non bastasse, ce ne inventiamo di nuovi?! e di Vuoti? Tra telecamere e giornali, tra interviste, tutti, nessuno escluso, nelle reciproche schizofrenie, tutti nel circo dell'apparire, affannati a giustificare le proprie esistenze...anche per mezzo dei Mezzi. Beh, da qui, si avverte in questi giorni una nausea globale, la nausea, da sospesa attesa, da nausea per quelli che 'parlano', per quelli che scrivono, per quelli che riprendono, per quelli che sbarrano...per quelli che vogliono 'sfondare', ma cosa sfondi?! Qui, c'è solo un quartiere fatto 'bello' a settori, non c'è neppure l'Africa clandestina che da lunedì tornerà a insediarsi nel proprio degrado, non ci sono nemmeno le contraddizioni dei genovesi, tutti via, c'è solo un simbolo, oggi, del Niente-globale a forma di otto. Genova...medaglia d'oro per la Resistenza...forse ci scappa la seconda! Ma cosa sfondi?! Un immenso 'gioco' virtuale, finto persino come gioco, stiamo facendo persino finta di giocare al padrone e all'arlecchino, nel gioco che si vede e si legge da qui...E da qui, oggi il 'mostro' sembra ancora più vuoto e più pesante. Forse è meglio il silenzio. Meglio le Carmelitane in Africa -ammesso che ci siano- a ciò che stiamo vedendo da qui, dalla Rossa... meglio il silenzio, meglio il 'cimentarsi', fuori dalle parole e dalle immagini, fuori da clamori vuoti, fuori dai marchi e dalle icone, fuori dai mirini delle telecamere nei centri sociali, fuori dagli stadi e dai sorrisi, magari in silenzio,
fuori dai simboli e dentro, semplicemente, ad un ospedale africano, uno dei pochi, uno qualunque...meglio niente, meglio l'estetica metafisica di questa città vuota...tanto bella da fotografare. Sta succedendo qualcosa, allarme attentato a Cavour, La Ruggieri canta per la stampa sotto il Padiglione delle Feste e ...percepisco 'moti' -non sò se del corpo o della ragione- o assieme, che possono covare anche per anni, in distrazioni da "sopravvivenza". Ci sono moti, anche per noi  -chiusi  e 'aperti' nelle nostre schizofrenie- che lavoriamo nella comunicazione visiva, nel design e nel Sistema dell'arte...in nutrizione reciprocra di 'globalizzazione', che come singhiozzi di rimasugli d'anime, tornano su -non vorrei somigliassero a ...- si, tornano sù, passano per le vene, credo, del cervello; tornano su davanti a queste barricate, che, giorno dopo giorno, sembrano più alte, più massicce, più assurde in attesa di una guerra che non c'è. Tornano sù davanti alle donne iraniane e a una parola che 'esiste' in Iran e nel 2001 e la parola è 'lapidazione'. Non ce niente da fare, tornano su, non serve il degistivo...e nemmeno l'estetica; forse quella nausea era il preavviso. Tornano su davanti al mare dei Bisogni, quelli Primari, tornano su davanti ai 600 milioni di lire spesi per VB 48 di Beecroft... (una delle poche risposte "artistico-culturali" per il G8 nella nostra città) solo la settimana scorsa al Ducale e la relativa  polemica, davanti a migliaia di poliziotti a difendere questo deserto, diventato simbolo vuoto, appare come un mare di stronzate. La galleria Rebecca Container, in zona Gialla, tiene aperto e in ironico ricordo al Manzoni, il Piero, vende un kit firmato Container: 'Saluti da Genova', contenente il necessario per
sopravvivere al G8 + qualche cartolina, costa sulle duecentomila lire, Kaimanart e i suoi ospiti, fanno quello che possono e fanno 'bene' e c'è Villa Croce fuori dalla Gialla con 'Globe: la torre di Babele, otto artisti 'sulla-nella' globalizzazione. Non c'è nulla da fare, tornano sù e mi trovo in questo circo mediato della dissidenza, con loro, ad andare a Babele, in questa moltitudine di linguaggi e bisogni, dove i linguaggi sono molti, in movimento e in movimenti, cangianti, magari sfumati, a volte persino 'ridicoli' o 'ingenui', comunque, speriamo più forti.
Tornano sù...inizia così, sotto pelle, magari cova per anni, ma finisce con riconoscere -al di là delle immagini e delle contraddizioni, dei marchi e dei loghi- il voler perseguire un probabile senso, un senso, un moto, che chiama ancora, semplicemente, giustizia. Che entrino...avremo un pò di colore tra questo grigio-verde deserto...anche un circo mediatico confuso può ...Ops! E' venerdì, ormai 20 luglio e... piove a dirotto!

20.07 - Oggi gli elicotteri  volano ancora più bassi . Sotto casa rumori di saldatura: operai rinforzano ulteriormente le barricate, ora sono doppie, cioè a due strati di griglia d'acciaio. Monitorata come all'aereoporto, passo. Il colore delle facciate di Gramsci ha resistito e la pioggia ha tolto pure i rimasugli di sabbia e cemento dei frettolosi cantieri: oggi è tutto ancora più 'bello'.
Banchi è deserta, qualce cane a giocare. Scendo e tutti i negozi sono chiusi , chiamo E: "Ma la Coop è aperta?" "Proviamo".
Una signora vedendomi telefonare mi chiede "Ma il suo funziona? ... il mio no e ho già incontrato due persone che non riuscivano a telefonare.."
"il mio funziona" (forse la leggenda metropolitana dell'oscuramento dei cellulari non è tanto leggenda) Anche per noi della Rossa raggiungere i 'punti di rifornimento' è faticoso. Ci incamminiamo...a Campetto un supermercato aperto, Campetto è nella Gialla. Scaffali vuoti e manca il pane, manca ormai pure l'ironia, quella che ci ha sostenuto da lunedì, scomparsa ieri, in serata. Prendiamo il cibo che c'è, anche della birra, in questi casi si compra più del dovuto, ci limitiamo, tanto gli amici non possono venire a cena...Da E mi divido in Orefici per ritornare a casa, Banchi, il centesimo varco: pass-documenti-registro dei nomi-metaldetector, ho borse della spesa tra le mani, un carabiniere mi aiuta, sono dentro.
Fuori di qui, il 'variopinto' accampato, chissà come se la sono passata stanotte. Avremmo dovuto andarcene, ma siamo rimasti, rimasti a vedere.
A vivere questo isolamento che in diversi modi ci ha scomposto l'animo.
Sola da tre gioni, vedo solo E che ha il pass per la Rossa, F è nella Gialla e non ho voglia di fare percorsi alternativi per andare a trovarlo: se è nella Gialla è nella Gialla e ce ne stiamo. Per lui la vita è 'difficile' in questi giorni, non può raggiungere il 'mare del centro'e le solite cose assumono strade lunghe e diverse.
Ce ne stiamo isolati, ognuno diversamente impegnato a guardarsi e a guardare. Bisognerebbe anche registrare i suoni: motori di elicotteri, saldatrici, radio delle forze dell'ordine, automezzi militari e porca puttana, basta! elicotteri!
Da sotto, nella piazza, una voce di donna:"Stanno arrivando!", mi affaccio e vedo una poliziotta che parla in una radio ma, non vedo nessuno oltre ai soliti dieci poliziotti compatti che scherzano, insolitamente affettuosi tra loro.
Un elenco di vie..piazze, varchi, porte e sbarramenti: una 'quarantena' assurda, assurdo persino che idefessi titolari abbiamo fatto lavorare fino a ieri E come altri. Oggi invece è tutto fermo, ogni attività professionale bloccata, qui nella Rossa e la Rossa porca puttana è estesa.
Ieri, Gallanti il presidente del l'Autorità portuale si è visto negare l'accesso a casa sua: il porto; l'hanno bloccato all'ingresso dei magazzini del Cotone, "mi spiace, non può passare"...'incidente diplomatico', era furioso.
Bloccato in tentato accesso alla Rossa, ieri, anche Pierantoni..il nostro assessore alla cultura: non abilitato.
Riscendo per i giornali, forse a san Lorenzo l'edicola è aperta. Forse oggi pomeriggio ci annetteremo.

20.07 ore 12.45
.........


Andrea:

Quelle che seguono sono alcune considerazioni e una breve cronaca di una parte del corteo dello spezzone della Rete di Lilliput Trentino basate su quanto gli occhi hanno potuto vedere, e il corpo toccare.

Innanzitutto due parole sul cosidetto black bloc, nome mediatico così simile a uno snack e, come gli snack, non sai mai quello che contiene: groppucoli di chasseurs D.O.C., ma, secondo molte testimonianze, ci dicono anche filmate, veri e propri infiltrati al servizio delle forze dell ordine, con l ovvio scopo di dividere i manifestanti, creare incidenti allo scopo di giustificare una brutale repressione poliziesca su tutto il corteo (come è accaduto), screditare il movimento globale fatto di centinaia di migliaia di persone venuto a Genova per manifestare contro una politica economica, in gran parte USA, che nel mondo provoca milioni di vittime e disastri ecologici. Ed in effetti alcuni tic di questi disfattivisti rivelavano per lo meno qualcosa di strano: a cominciare dal look mediatico così troppo preciso e omologato a un luogo comune: berrettino similana nero, fazzoletto tipo bandana che da metà naso scendeva fino alla gola, camicia o maglioncino rigorosamente nero, un po di libertà lasciata ai pantaloni, scarpe o tipo anfibio o agili nikers, tra le quali perfino qualche paio di Nike. In mano, come da copione, bastoni, assi di legno. Un rigoroso cliché estetico che prendeva poi forma nell infrangimento di auto e qualche vetrina di banca, come se i crimini di queste (speculazione sulle spalle dei paesi più poveri, amplissimi finanziamenti al mercato delle armi, eccetera) si potessero annientare distruggendo loro un vetro uno sportello bankomat, tutte cose tra l'altro coperte dalle assicurazioni che queste banche sicuramente avranno.

Ma anche dando per buona la genuinità di questi folkloristici personaggi, nulla giustifica la violenza delle forze dell'ordine su TUTTI i manifestanti, dai più pacifici dei pacifisti agli autonomi, agli anarchici, passando per partiti politici, i sindacati, i lavoratori curdi, greci, i gruppi tematici italiani e stranieri, e tutte le centinaia di realtà diverse che animavano il corteo. E così, non si possono che pensare due cose: o le forze dell'ordine erano impreparate, inesperte, emotivamente fragili, disordinate e scoordinate, o, cosa più probabile, hanno seguito un preciso progetto politico all (illusorio) scopo di fermare un movimento globale sempre più numeroso, motivato, forte, appoggiato nelle critiche e nelle proposte da gran parte dell opinione pubblica. Ed è così che si possono spiegare le due situazioni di cui siamo stati testimoni fisici. La prima c'è stata quando il lunghissimo corteo stava percorrendo il lungomare. In testa al corteo si vedevano fumi di cassonetti bruciati e molti lacrimogeni che disegnavano in cielo linee curve di fumo, per poi ricadere sui manifestanti in prima linea. Il corteo si ferma, aspetta che gli scontri finiscano prima di ripartire. Qualche passo in avanti, poi molti indietro perché i lacrimogeni sparati dalle forze del (dis) ordine sembrano avvicinarsi. Si indietreggia lentamente, per evitare la calca, perché la situazione sembra governabile: nelle prime linee ci sono scontri, la polizia vuol far desistere i facinorosi coi lacrimogeni, basta indietreggiare un po , aspettando che i tafferugli finiscano. Del resto il corteo, decine, centinaia di migliaia di persone, era lontano da queste zone di crisi, sul lungomare, incolonnato. Il nostro spezzone era circa a metà di questo corteo, in un blocco compatto di trentini. Improvvisamente i lacrimogeni sparati sembrano avvicinarsi, si avverte il loro odore, la loro presenza, e s indietreggia in modo più rapido, finché la situazione degenera in una calca generale, provocata dalle forze dell ordine che continuavano a lanciare i candelotti sul pacifico corteo che stava indietreggiando per allontanarsi. E il chaos, la fiumana di persone rende vano ogni tentativo di spostamento incontrollato, i lacrimogeni cadono dal cielo sempre più numerosi, sempre più vicini, indietro, avanti, in mezzo a noi.  La pelle brucia, gli occhi bruciano, il fumo blocca il respiro, qualcuno cade a terra, non si sa che fare, dove andare. Una decina di minuti d inferno. Usciti non so come da quel chaos , siamo rimasti in due, in attesa della prossima sventura nella terra di Colombo. E l uovo della violenza premeditata delle forze dell ordine arriva poco dopo, quando parte del gruppo si era ritrovata e attraverso una piccola stradina tremendamente in salita, tipica del paesaggio urbano di Genova, stava cercando di raggiungere gli altri compagni attraverso una via apparentemente sicura. Giunti in cima alla salita, vediamo arrivare correndo un paio di giovani con caschetto in mano che gridano "Sparano! Sparano!" dopo qualche indecisione, iniziamo a correre, ma dopo qualche istante arrivano a pericolosa velocità due camionette della polizia che inchiodano davanti a noi. Da esse balzano fuori un gruppo di Rambo armati e imbottiti d ogni genere di protezione che ci fanno inginocchiare. Uno di loro grida (ogni cosa che dicevano era un grido animalesco, invasato) in una sorta di romanesco "Adesso vi facciamo vede quanto siamo fascisti!". Molti di noi gridano "Ma siamo pacifisti, non potete prendervela con noi", o cose inutilmente simili. "Ma che pacifisti di merda!" è una delle risposte, ci accusano di aver distrutto la città, ci gridano che il compagno morto il giorno precedente l avevamo ucciso noi. La loro maschia cavalleria risparmia per fortuna le donne, dalle quali ci fanno separare, anche se uno di loro stava iniziando a porgere fiori manganellanti al gentilsesso. "No, le donne NO!", lo ferma il meno peggio del gruppo. Il che ci fa capire che per noi estremisti violenti di Lilliput la sorte era segnata. A turno ci manganellano ordinatamente sulle braccia, qualche democratico calcio con gli anfibi sulle costole, giustizievoli colpi col parabraccio. Qualche ragazza piange, ma per chi si gira la manganellante democrazia è più solida. Le bandiere multicolori con la scritta "PACE", sullo sfondo, sembrano guardarci grottescamente. Ci perquisiscono gli zaini, chiedono i documenti ma poi neanche li guardano. Intanto arriva un altro gruppo inseguito da un altra camionetta. Questi, ahimè, erano per giunta stranieri, e subiscono sorta ben peggiore della nostra, perché tentano di scappare. Li buttano sul muro, facce sbattute sul cemento calci che non si contano. A uno di loro viene trovata una maschera antigas (ce l avessimo avuta anche noi, quando i lacrimogeni piovevano in mezzo al corteo!), i calci lo colpiscono in faccia, il manganello sembra un battipanni sui capi che a Genova non si potevano stendere. Un ragazzo reo di avere i capelli rasta viene sollevato per i capelli e preso a calci da tre di questi robocop statali, al grido di "Questo è da parte di Genova". Un altro viene trovato con un oggetto atto ad offendere, ovvero una maglietta di Che Guevara: "Hai la maglietta del Che, eh?" e giù altre prove di democrazia e di controllo della situazione. Ringrazio l ignoranza di questi bambocci che non si sono accorti che la mia maglietta, in inglese, era contro McDonald s. E così, sotto la minaccia di un altra carica, e forse grazie alle grida di alcuni abitanti ("Bastardi picchiatori!", simili) accorsi al balcone, ci lasciano fuggire. E chissà quante situazioni simili o peggiori in giro per la città, pensiamo. Al di là delle manganellate d occorrenza, la cosa che più ci ha lasciato stupefatti, era l odio che portavano dentro, la rabbia, gli occhi fuori dalle orbite con le pupille ristrette, in una situazione non certo di guerriglia urbana. Ci piacerebbe sapere qual è il training di questi personaggi così simili a cocainomani, a buttafuori di discoteca imbottiti di anfetamine. Ci piacerebbe sapere come lo stato, le forze dell ordine, li addestrano, li istigano a simili stati alterati di coscienza. Speriamo che qualcuno, da qualche parte, abbia documentato queste gratuite violenze. Ad alcuni di noi, pur non avendo fatto fotografie, è stata presa la macchina fotografica, tolto il rullino, gettato via l'apparecchio.

Ma cosa rimane, dopo aver fatto questo rendez-vous con la  democrazia del governo Berlusconi fatta di lacrimogeni e manganellate? Da una parte amarezza, perché sia che si sia trattato d imprudenza, esaltazione, impreparazione, che di astuta e vigliacca premeditazione, si tratta comunque di una sconfitta per la democrazia. D altra parte, la certezza che non sarà qualche livido color mare o un po di bruciore agli occhi a cambiarci la testa. La manifestazione di Genova ci ha fatto capire due cose: che siamo in tanti e che da parte degli stati non c è volontà di dialogo, al di là di un nauseante buonismo di facciata fatto di vuote parole o sterili discorsi sui poveri. I lacrimogeni disperdono un corteo, ma le idee e la determinazione sono sempre al loro posto. I morti e gli sfruttati nel sud del mondo, la distruzione di natura e cultura sono sempre in atto, e vivono nei sorrisi inebetiti degli "otto grandi" inebriati dai flash e dei grandi , e unici, interessi economici che difendono. A loro la triste constatazione che per tutti noi (tranne ovviamente che per i finti black bloc visti dare ordini alle forze del (dis)ordine ) il controvertice non era che un appuntamento. Il nostro terreno, imbattibile, è l azione quotidiana. Ad essa brindiamo.


Alessandro Grazioli:

Sono indignato, al limite delle lacrime, al limite del vomito.

Premessa.
Sono cattolico, ex capo-scout, non violento di natura e di fatto.
Non ero a Genova.
A Genova c'erano però un sacco di miei amici, amici cari, chi capo scout, chi della rete di lilliput, chi di qualche organizzazione sindacale.
Ho provato paura, fino a ieri, paura di vederli tornare stroncati.
Perché dei 600 finiti all'ospedale nessuno dice che dovranno fare i conti con i loro traumi, gambe, spalle rotte, legamenti fratturati, traumi cranici.
E volevo credere all'incompetenza delle forze dell'ordine, al disordinato caos tipico degli italiani, che portava i poliziotti ad attaccare fuori tempo, colpendo solo chi non dovevano colpire, e duramente.
Ho voluto crederci.
Poi ieri notte [tra il 21 e il 22, N.d.R.] tutto è stato davvero chiaro, oltre i limiti di ogni
simulazione.
Un incubo.
Sudamerica italiano.
Sono un "tecnocrate", padroneggio da anni i mezzi "internettiani" e ciò mi ha consentito di seguire minuto per minuto l'evoluzione degli eventi, sempre più sgomento.
Polizia che entrava, feriti che uscivano.
Deputati manganellati, responsabili riconosciuti manganellati.
Interventi senza mandato.
Violazione di ogni diritto.
Avvocati a cui non era permesso di entrare.
Confusione volontaria e assoluta fra la scuola occupata da chiunque passasse
di li e il centro operativo del GSF.
UNA RADIO IN CUI SENZA ALCUN MANDATO IRROMPONO FORZE DI
POLIZIA ARMATE E INTERROMPONO LE TRASMISSIONI.
Teste rotte, facce sfracassate.
L'ho visto in TV, e non oso immaginare quello che non hanno fatto vedere.
I giornalisti non avevano parole.
I poliziotti si coprivano le facce.
Computer sfasciati, hard disc prelevati.
Incredibile hanno trovato nella scuola di fronte (non nella sede del Social Forum) -CHE ERA UN CANTIERE- alcune mazze e spranghe, degli striscioni anarchici, dei coltellini svizzeri di libera vendita in ogni tabaccaio, e dei temibili occhiali da saldatore.
60 feriti per questo.
Ma non è questo, è veramente un fatto di concetto, di profonda mancanza di democrazia.
NESSUNO PUO' IRROMPERE NELLA SEDE LEGALE DI UNA ASSOCIAZIONE
RICONOSCIUTA MENARE GIORNALISTI SFASCIARE TUTTO NEL CUORE DELLA NOTTE,
BLOCCARE TRASMISSIONI PORTARE VIA MATERIALE SENZA MANDATO E SENZA CHE
SIANO PRESENTI I LEGALI.
E' diritto.
Da oggi, inutile dirlo, mi sento in uno stato identico alla cina, al cile dei peggiori ricordi, all'argentina.
Ma torniamo agli amici, quelli a Genova.
Telefono in mattinata, per sincerarmi dell'accaduto.
Non sanno quasi nulla, hanno dormito altrove, hanno solo visto elicotteri ogni dove.
Mi hanno raccontato delle cariche assurde della polizia - ricordo sono capi scout etc non black bloc ma neanche appartenenti a nessun centro sociale anarcoinsurrezionalista - fatte sempre troppo tardi per fermare i facinorosi e sempre giusto in tempo per beccare perfettamente il corteo.
Sconvolti, delusi, atterriti, sostenuti solo dalla forza estrema e coraggiosa delle loro idee di fronte alle violenze contrapposte e forse parallele dei BB e della Polizia.
Poi accendo ancora la tv.
E NON VOGLIO CREDERE ANCORA DI AVER SENTITO QUELLO CHE HO SENTITO.
Il primo ministro.
Conferenza stampa ufficiale di chiusura G8.
Domanda di Curzi "era informato di quello che sarebbe avvenuto nella notte, il fatto più grave che abbia mai visto in tutta la mia vita giornalistica?"
nicchia. "no"
Un giornalista di Repubblica incalza "non avevano mandato. L'articolo 41 (40?) si usa solo in casi di terrorismo."
Berlusconi afferma che il MINISTRO DEGLI INTERNI HA DETTO CHE IL GSF AVEVA CONNIVENZE CON I BB E CHE NON C'ERA ALCUNA DISTINZIONE.
E' la fine.
Berlusconi (ma poteva essere chiunque, tanto non me lo leva dalla testa nessuno che queste cose sono decise da altri e non da burattini del genere) ha detto che I MIEI AMICI, TRA I PROMOTORI DELLA RETE LILLIPUT, SONO TERRORISTI.
Piango.
Di rabbia, di sconforto.
E' vera angoscia e non mi abbandona. Mio padre mi guarda, capisce e vorrebbe urlare.
Siamo oltre, mi sento in guerriglia. Guerriglia, sì, guerriglia informativa, nonviolenta, decisa, urlato giorno dopo giorno alle orecchie di chi non vuole sentire, di chi parla a vanvera, di chi offende le idee dei miei amici, idee di pace, di amore...
Sia chiaro non provo e non chiamo odio.
Sconforto, tristezza, rabbia, vomito, non odio.
Ma urlerò sempre più forte.


Sasa, 25 luglio 2001:

Non ci sono parole per descrivere tutto quello che è accaduto a Genova e le sensazioni provate, sono ancora molto agitato, avvilito, shockato, e cercherò di raccontare le cose con un po' di ordine, ma capisco che oggi la cosa è molto difficile, non sarà un racconto chiaro, ma vorrei che vi passasse tutto il mio dolore ed il mio sgomento.
Vi scrivo perchè penso che sia un mio dovere di testimone raccontare le cose viste e quelle che i miei amici hanno vissuto in questa vera e propria guerra di Genova.
Sono partito per Genova con gli altri ragazzi e ragazze del CAG8 veneziano (Coordinamento Anti G8), circa una trentina di persone. Abbiamo preso il treno speciale delle tute bianche mercoledì 18 (alcune centinaia di persone) e siamo arrivati a Genova di sera verso le 20:00. Abbiamo deciso di andare a dormire a Sciorba, in un campeggio allestito ad hoc dall'organizzazione che ci aveva destinati lì; un po' fuori mano, ma lo abbiamo preferito allo
stadio Carlini dove erano ospitati i centri sociali per evitare eventuali possibili casini.
Siamo partiti allegri, certo un po' preoccupati per il massiccio dispiegamento di polizia, però con molta voglia di cambiare questo mondo, di poter urlare e dimostrare che un altro mondo è possibile.
Ciò che è accaduto a Genova è di una gravità impressionante, non esistono parole per descrivere il clima di terrore che le forze dell'ordine (dell'ordine????) hanno creato tra le migliaia di persone tranquille persone che si erano recate a Genova pedr dire no a questa globalizzazione.
La manifestazione di giovedì 19 (quella in difesa dei migranti) si era svolta in modo pacifico, serano, allegro: all'urlo di "mutande, mutande" i pochi cittadini rimasti in città sventolavano la biancheria di casa, irridendo a quello stupido ordine di berlusconi e solidarizzando con noi,
con la nostra pacifica lotta.
Venerdì 20, invece, si è visto il vero volto delle forze armate: hanno lasciato liberi i Black Bloc (poche centinaia di persone), facendoli scorazzare per la città, quasi scortandoli e permettendogli di raggiungere le manifestazioni dei pacifisti, per poi seminare terrore tra le persone inermi, incredule per ciò che stava accadendo.
Io ero in piazza Manin, una piazza da cui era partita la manifestazione della rete di Lilliput (il massimo del pacifismo e della non violenza) che aveva "assediato" con un sit in una parte della zona rossa. Il sit in era praticamente finito e le persone, (donne, bambini, migliaia di
persone con le mani dipinte di bianco per dire che noi avevamo le mani pulite, che rifiutavano con fermezza la violenza) tornavano verso la piazza alla spicciolata.
Ad un certo punto una decina di ragazzi del Black bloc si sono fatti avanti, ed abbiamo creato un blocco pacifico, per impedirgli di andare nella strada da dove stavano tornando gli altri manifestanti, per impedirgli di portare la violenza nei luoghi che noi avevamo scelto per
manifestare.
Paradossalmente stavamo noi difendendo la zona rossa, stavamo difendendo la nostra natura di persone non violente, difendevamo con la fermezza di chi vuole combattere il G8 con determinazione, ma senza la violenza.
Era una bellissima immagine vedere 100-150 persone con le mani bianche alzate di fronte alla strada che portava alla zona rossa, respingere passivamente questi ragazzi e la cultura (?) che portano con loro. La situazione sembrava relativamente tranquilla, non avevamo informazioni degli scontri che c'erano nelle altre zone della città, tutto sembrava andare per il verso giusto, visto che i BB si erano fermati e restavano una sparuta minoranza (10-15).
Poi, in pochi attimi, la devastazione. Ho visto del fumo in fondo alla piazza, poi sono arrivati una quantità enorme di lacrimogeni. I BB che sembravano pochi si sono moltiplicati fino a
sembrare essere 100-200, sono filtrati agevolmente tra le nostre mani bianche alzate, le nostre menti stordite. In una frazione di secondo, quindi, i lacrimogeni, il loro passaggio, e tra il fumo la visione dei celerini che ci caricavano a manganellate! noi, ragazze e ragazzi, signore,
signori, tutte persone con le mani alzate, pitturate di bianco, noi!, non hanno seguito i BB.
Si sono accaniti su di noi.
Io, con altre persone mi ero rifugiato su un lato della strada dove c'era una scanso per un portone. Il fumo dei lacrimogeni era densissimo, non si respirava, gli occhi lacrimavano, il naso grondava; ho fatto in tempo a dare un po' di acqua e limone a un mio amico, per respirare attraverso la bandana, o una maglietta. Poi, ci siamo stretti verso il portone.
Stefano era ad un metro da me, è stato preso a manganellate, così come Gianni.
Io, le persone intorno a me, tutti eravamo impauriti; alcuni avevano attacchi di panico: perchè tutto questo, perchè????
Due mie amiche mi hanno raccontato di aver visto un celerino che aveva messo lo scarpone sul petto di una ragazzina sui 16 anni, tenendola a terra, picchiandola con il manganello e urlando "sei una puttana! stai zitta troia!!!!".
Capite?
Capite cosa significa questo?
Ci hanno fatto uscire dallo scanso, minacciandoci con i manganelli, ci hanno intimato di metterci verso il muro con le mani alzate, di non parlare, di stare fermi.
Urlavano.
Un ragazzo era a terra grondante di sangue e non permettevano a nessuno di avvicinarsi per soccorrerlo, per alcuni minuti quello è dovuto stare là, solo. L'ambulanza è arrivata dopo circa 10 minuti.
Un'altra ragazza era a terra e due signore sono riuscite a tirarla su, a farla appoggiare verso il muro. Queste due signore, entrambe sulla sessantina, erano tutte e due con la testa sanguinante; una di questa era un medico e cercava di calmare le persone in difficoltà. Ho dato una mia maglietta (quelle con scritto "voi G8 e noi 6.000.000.000 di persone") per
tamponare le ferite, ho quindi saputo che una di loro è parlamentare di PRC, si chiama Elettra [Elettra Deiana, NdR.]
Siamo stati 10 minuti circa in piedi , appoggiati al muro, con i poliziotti che urlavano davanti; nel frattempo erano arrivati alcuni ragazzi/e inglesi, anche lor malmenati, con un responsabile che gli rassicurava e gli diceva come comportarsi (sedersi dove diceva la polizia, stare immobili, non parlare con  loro).
Durante quei 10 minuti ho cercato di mantenere la calma e di rassicurare le persone che ci stavano a fianco, di unirci, di stare vicino. C'era una ragazza che aveva visto picchiare le sue amiche e che non le trovava più; sono stato con lei e poi l'ho portata dove c'erano i nostri amici, finchè non si fosse calmata.
Capite?
Purtroppo le cose le ho scritte in fretta, mancano ancora mille altre cose da dire. Ad esempio delle camionette dela polizia da cui scendevano i poliziotti per manganellare persone che semplicemente camminavano verso il loro campeggio. O degli insulti che gli stessi tutori dell'ordine rivolgevano in corsa alle ragazze (!).
Capite?
Dopo gli scontri ci siamo rifugiati in alto, su una collina vicino ad un castello. Abbiamo appreso dell'uccisione del ragazzo genovese. Quel giorno, così come il giorno dopo abbiamo sempre ragionato in questi termini: come possiamo raggiungere il campeggio  (o il corteo, oppure la
sede del GSF) in modo sicuro, senza essere presi e pestati gratuitamente dalla polizia.
Capite?
Abbiamo dovuto raccogliere informazioni diverse per scegliere che percorso fare per raggiungere la sede del GSF, e da là per andare il campeggio ci veniva detto di non allontanarci da soli e nemmeno in piccoli gruppi, perchè nessuno poteva garantire per la nostra incolumità. Siamo andati al campeggio solo quando e' stato organizzato un apposito servizio navetta concordato col sindaco e la prefettura.
Capite?
Restano moltissime domande.
Perchè non siamo stati difesi? la polizia sapeva benissimo dove i BB stavano andando, li controllava con gli elicotteri. Perchè non si sono messi tra noi e loro? perchè non ci hanno protetti? perchè ci hanno colpito, terrorizzato? chi gli ha detto di farlo?
Capite?
Capite che tutto quello che hanno fatto a noi lo hanno fatto anche a voi?

Un abbraccio. SASA
 


Bruno:

l'ultima volta che ci siamo scritti, si discuteva di voi, dei vostri libri. come vorrei scrivervi ancora di queste cose..
ahimè i tempi sono diversi eppure terribilmente gli stessi.
ma il dolore che provo è incommensurabilmente altro da ogni dolore provato
all'inizio era rabbia.
sapevo, per i racconti di chi a genova c'è stato, immaginavo, per la razionalità e lo spirito critico che ritengo di avere, ma non vedevo, non sentivo la maggior parte delle pagine quotidiane tacevano quando non mentivano.
perchè?

poi
un po' alla volta sono emerse le prove
dapprima timide, un po' impacciate
poi sempre più implacabili, conscie della propria importanza.
testimonianze che gridano
trasformano quello che avevo immaginato in semplici carezze
inorridisco
vomito e
vomito ancora
mi volto
cercando una reazione
nei gesti nelle parole di chi negava e di copriva

ed è la loro non-reazione
il loro gelo,
il loro continuo giustificare
questa freddezza disumana,
che di colpo mi gettano in uno stato apparentemente apatico.

non riesco a sorridere di nulla
non riesco a pensare a nulla di altro
la rabbia ed il dolore sono così inossidabili
che non riesco a vedere un momento in cui scompariranno
e per la prima volta
da quando la mia memoria è capace di raccontarmi
per la prima volta
la mia razionalità vacilla al mio corpo, alla mia fisicità.

osservo inebetito una televisione
parlano di democrazia e di giustizia
e poi di anarchici
io mi chiedo
quando mai le parole sono state così lontane da sè stesse,
dalla propria anima semantica

ad un tratto
il giornalista che conduce
ne completa lo scempio
mi guarda
mi sorride
ed esclama
"e adesso consoliamoci con l'enalotto"


Claudio:
 

Quello che vedo è vero.
Vedo mazzate sulla testa di ragazzi, sento il rumore del cranio che si spacca, il sangue. Vedo anziani che scappano caricati dalla polizia, e donne e bambini.
Alcuni li incontro più tardi che zoppicano, pieni di bende.
Vedo accampamenti distrutti, gente inerme massacrata mentre si coricava.
Vedo le speranze deluse dei pacifisti increduli e immobili, i volti sfiniti, la rabbia e il  valore dei
disobbedienti civili.
E tamburi e bandiere nere sfilare indisturbati per la città portandosi dietro distruzione. Filiali di
banche, auto, piccoli negozi. Le fatiche di una vita annientate dal fuoco e dalle spranghe.
Penso: troppe coincidenze.
Vedo le scie dei lacrimogeni che mi sfrecciano contro, il sapore acre. Soffoco, piango. Vedo qualcuno che viene verso di me con l'acqua. Mi fa un mezzo gavettone, scoppiamo a ridere.
Vedo un ragazzo che muore.
Non me ne vado. Non ce ne andiamo.

Ero arrivato a Genova da solo, e mi sono ritrovato tra migliaia di compagni. Nessun casco, maschera, occhiale. Prima manifestazione.
La mia macchina fotografica, quella si. grazie a lei ho potuto fare ordine nella mia testa, e anche nella testa di chi a Genova non c'era. Raccontare ciò che accade, depositarlo nella Memoria. Questo *io* posso fare.
Certo, i pestaggi su inermi dei macellai bluvestiti, lo spavento, i lacrimogeni ad altezza d'uomo, ma ancor di più il racconto della MOLTITUDINE. Varia, ospitale, *intelligente*. Immensa.
Soltanto se non abbracci questa moltitudine puoi sentirti solo.


Enrico:
 

Sono reduce dalla manifestazione di martedì sera, a Torino eravamo secondo la questura 10.000, ma al di là delle cifre penso che sia più importante considerare il fatto che nella mia città erano anni che non si assisteva ad una manifestazione tanto eterogenea. Il sindacato quando scende in piazza riunisce alcune migliaia di metalmeccanici, cha a Torino
sono oramai una specie di dinosauri in via di estinzione, fra 4-5 anni alla fine della dismissione dell'ultimo stabilimento, Mirafiori, saranno solo prepensionati oramai irrimediabilmente rincoglioniti dalle mazzate del padrone e dei sindacati istituzionali.
Ieri sera invece c'erano tutti: i centri sociali, i vecchi militanti di rifondazione, gli studenti medi, gli operatori della sanità, impiegati, liberi professionisti, sindaci intelligenti (infatti Chiamparino non c'era) con la fascia tricolore. Ma soprattutto non c'erano gli sbirri e quindi è stata una manifestazione pacifica. C'è stata insomma una spontanea reazione ai fatti di Genova, che secondo me esulano dal problema G8, impero mondiale ed economia sempre più omicida.
A mio avviso si apre un altro fronte. Alle medie mi hanno insegnato che l'italia è una democrazia costituzionale. Dopo Genova mi chiedo cosa sia diventata questa nazione. La costituzione è stata violata, secondo me, negli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 21 e 27 da un apparato repressivo che viene utilizzato dalla destra al potere in modo assai simile alle
squadracce di sudamericana memoria.
Non credo a questo punto che vi sia altra scelta, se ancora possibile, che quella della difesa della democrazia e della costituzione. Non farlo, aspettare un altro G8, significherebbe accettare e approvare de facto un regime.
Mi rendo conto che ormai il reato d'opinione ritorna clamorosamente ad esistere, tale per lo meno mi sembra il senso del blitz di sabato sera ai danni della scuola Diaz, e quindi aspettiamoci reazioni poliziesche ad ogni manifestazione di dissenso compresi quelle su internet.




Gabriele:

Trovare il mio messaggio nel I° numero della nuova serie di Giap, insieme ai vostri testi e alle drammatiche testimonianze su Genova, mi ha stupito davvero. Non pensavo assolutamente di essere preso in considerazione, spettatore lontano di un evento di cui ignoravo la grandiosità.
Questo mi stimola a continuare a riflettere ed inviarvi le mie considerazioni (semprechè siano gradite e le riteniate sensate.)

Sussumere: v. tr. Nella logica, ricondurre un concetto nell'ambito di un concetto più generale nella cui estensione esso è compreso. [dal lat. Sumere 'prendere', col pref.. sub-] (Dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli - Le Monnier, Firenze)

E' questo, secondo me, il concetto cruciale del numero 1/ns di Giap del 26/07/01.
Non la repressione, non l'infiltrazione, non devastazione e via di questo passo ma sussunzione.

"Nel momento in cui le pratiche del Black Bloc sono state sussunte dallo stato e usate contro di noi, dobbiamo dire con forza che oggi costoro sono a tutti gli effetti politicamente morti" (Repressione e geometria euclidea, Wu Ming 4 - Giap n.1 NS 25/07/01).

Rispetto alle logiche degli anni 70 (né con lo stato né con le BR) intravedo un concetto nuovo.
La dicotomia violenza-non violenza non è messa in discussione in sé, ma solo in relazione al concetto di sussunzione. Se una pratica politica viene svuotata di significato e "presa" dal potere tale pratica va abbandonata.
Nella sua essenzialità è un concetto devastante.

Più difficile diventa immaginare e realizzare forme di antagonismo, da abbandonare magari non appena hanno successo, come difficile è capire in tempo il momento della sussunzione (se mai si riesce a scoprirlo prima che sia troppo tardi).
Ne è un altro esempio il linguaggio: i capi di governo e i media si appropriano delle terminologie dei movimenti di protesta senza spostare di un millimetro la sostanza delle loro azioni. Come si fa a combattere una battaglia sul linguaggio?

Altro aspetto molto interessante dell'ultimo numero della rivista è la considerazione che l'unica sinistra presente oggi in Italia è il GSF. Ci vuole una bella dose di faccia tosta, ma tant'è ..sono perfettamente d'accordo.
Un movimento che martedì 24 luglio, dopo tutto quello che è successo a Genova, riesce a manifestare in 20 città italiane per un numero complessivo di 300.000 persone è se non altro un soggetto politico ormai non più riducibile a folclore o disprezzo ma con cui tutti dovranno (dovremo) fare i conti.

Genova ha indubbiamente rappresentato uno spartiacque; gli elementi di riflessione e di analisi sono e saranno innumerevoli: la contiguità tra il comportamento delle forze dell'ordine a Goteborg e a Genova impone una considerazione più globale e non solo in termini di politica interna; la continuità tra i governi che in Italia si sono succeduti nella gestione del G8 lascia intravedere complementarietà piuttosto che contrapposizione.

E' certo che per il partito DS, il GSF rappresenta un concorrente temibilissimo e più preoccupante di una sconfitta elettorale: un soggetto che erode il consenso ancora presente nei confronti di questo partito; non voglio essere lungimirante ma da qui penso partiranno i prossimi attacchi alle tute bianche.
La richiesta di una commissione parlamentare di inchiesta si inscrive in questo scenario: recuperare il consenso clamorosamente precipitato mettendo il cappello al movimento: un pò come i pulmann che vi hanno offerto, ad arte, per arrivare a Città del Messico e nello stesso tempo distruggervi.

Credo proprio che la commissione verrà istituita ed anche il governo ne uscirà rafforzato, in termini di democraticità e volontà di non nascondere la verità. Se poi i risultati della commissione arriveranno (se arriveranno) e sanciranno la responsabilità oggettiva delle tute bianche.......

Riporto per concludere un brano sul funzionamento delle commissioni parlamentari tratto dal capitolo 14 del seguente libro: Il vizio della memoria, Gherardo Colombo (chi si ricorda più di costui?) - Feltrinelli, Milano 1996

<<[...] La complessa struttura della commissione parlamentare [...] sembrava essere stata messa in piedi, più che per raggiungere i propri fini istituzionali, per macinare acqua, perché nulla fosse portato a termine e tutto perennemente in corso [...] Sembrava che non importasse a nessuno il risultato delle indagini. Che gli improvvisi coinvolgimenti e i subitanei
disamoramenti per questo o quell'argomento, che le emergenze parziali, e però significative, che le scoperte rilevanti, sebbene di piccoli particolari, fossero tutti strumentali a giochi che si conducevano da un'altra parte, su altri tavoli, in un rapporto di dare e avere in cui le
notizie, gli accertamenti, le conoscenze, le indiscrezioni, i segreti appresi fungessero da pedine di scambio da barattare con altri beni e valori nel più grande e complicato mondo della gestione politica e delle sue mediazioni. E che le accelerazioni e i rallentamenti, la messa da un canto o la ripresa dell'approfondimento di questo o quel tema costituissero
contemporaneamente una specie di avvertimento inespresso. [...] Messaggi indiretti nella forma ma estremamente espliciti nella sostanza, che altrove potrebbero forse chiamarsi ricatti[...] E la mancata individuazione degli autori delle stragi, e lo stato del terrorismo, e i moltissimi punti oscuri del sequestro Moro? E la fine dell'aereo di Ustica? E i sotterfugi , gli accordi, le palesi violazioni della legge che hanno consentito la liberazione di Ciro Cirillo? E le
decine, le centinaia di morti, i cittadini che attendono di sapere come tutto ciò è potuto avvenire?
Si rivolgano ad altri poteri, si rivolgano alla magistratura.
Qui, noi, dobbiamo lavorare, dobbiamo fare politica.>> (pag. 121 e 122)
 


Gênes 2001, les multiples visages de la révolte globale
et la face assassine de Big Brother

par Serge Q., marcheur de Gênes
 

Une image pourrait rester comme un symbole de qui s¹est passé à Gênes du 19 au 22 juillet : à un moment de la manifestation dite des immigrés (où l¹immense majorité des manifestants n¹en étaient pas), la foule qui défilait dans une rue descendant d¹un coin de la vieille ville vers le front de mer s¹est mise à taper contre un de ces murs de containers dressés par Big Brother en de nombreux points de la ville (il s¹agissait en l¹occurrence, de " protéger " les installations de la foire où logeait l¹armée policière).
C¹était joyeux et triste à la fois. Joyeux parce que tout le monde, punks à crinières et profs à lunettes, vieux représentants de la culture ouvriériste et jeunes ultrapiercés, porteurs de banderoles et individus sans appartenance revendiquée, tout ce monde qui parlait tant de langues d¹Europe et d¹ailleurs, en avait trouvé une commune : frapper en c¦ur ce symbole de la paranoïa des puissants. Tous ensemble, on cognait, et il n¹y avait pas encore eu de mort ni de sang sur les murs ni de tortures dans les commissariats, pas une seule lacrymo tirée et les premières appréhensions, la peur que pas assez de monde n¹arrive, l¹annonce de trains annulés et de bateaux grecs refoulés, tout cela s¹était dissipé, il n¹y avait que des chants et des drapeaux, et le plaisir d¹être si nombreux.
C¹était triste parce que nos poings cognaient du fer, du fer inébranlable.
Trois jours plus tard, quand nous avons retrouvé à Lyon Aris qui avait dû partir en pleine nuit avec la vaillante équipe de samizdat par crainte d¹une de ces perquisitions search and destroy qui ont animé notre dernière nuit gênoise, quand nous nous sommes retrouvés à une terrasse de café où des gens sirotaient, détendus, devant une place ensoleillée grouillante de promeneurs, nous avions l¹impression de débarquer de la lune. Pour bien comprendre ce qui s¹est passé à Gênes en ces jours de colère, il faut essayer de se représenter une ville aux avenues immenses et vides, avec une population réduites à quelques unités apparaissant fugitivement aux balcons ou, plus rarement, au coin des rues, avec tous les commerces fermés, pas un bistrot, pas une alimentation, très peu de voitures : un après-midi du quinze août imposé pendant quatre jours par l¹arrivée des chefs du monde.
Avec le défilé incessant des véhicules de police de tout type, blindés compris. Avec les grilles de type New Jersey (appellation officielle) et les flics en robocops barrant les rues de la zone rouge. Avec, obsédant, nuit et jour, le bruit des hélicos au-dessus de nos têtes. Avec, partout où se pose le regard, des caméras, des appareils-photos et des micros : ceux des médias mondiaux, ceux des flics, ceux des manifestants s¹entre-filmant et s¹entre-photographiant.
C¹est sur ce grand théâtre vidé par le battage sécuritaire-médiatique, dans ce loft paranoïde aux dimensions d¹une ville, dans ce haut lieu d¹expérimentation des techniques de surveillance, de répression et de terreur, que se sont déroulées les scènes retransmises par les écrans planétaires. On ne pourra en saisir le sens qu¹après les avoir replacées dans ce cadre.
 

Les tute bianche

Mouvement très peu connu en France (on avait du mal à faire comprendre aux militants français et même à ceux de No Pasaran qu¹il fallait dire tute bianche, combinaisons blanches et non tuti bianchi, " tous blancs "), issu de ces Centres Sociaux dont la société officielle italienne ne parle que rarement, et pour les caricaturer, les tute bianche ont démontré leur capacité de mobilisation, en agrégeant autour d¹eux les organisations de jeunesse de Rifondazione communista, Sud Ribelle (surtout Napolitain, issu du mouvement des chômeurs et de l¹autonomie), pas mal d¹étrangers (Reclaim the street, basques, et beaucoup de petits groupes, dont la cinquantaine de membres de No Pasaran...). J¹avais aimé la poésie millénariste de leurs proclamations d¹avant le G8 (voir texte joint), inspirée par Luther Blissett et les zapatistes, l¹habileté tactique de leurs rapports avec les médias, leur recherche d¹un accord au sein du GSF, leur façon de faire respecter leurs propres principes en respectant ceux des autres. Le vendredi 20 vers midi, dans le stade Carlini qu¹ils avaient obtenu de la municipalité, ils se préparaient pour la manif, avec leurs casques, leurs masques à gaz, leurs boucliers à bras et leurs boucliers roulants, leurs rembourrages plus ou moins pittoresques, en tapis de sol, en mousse, en bouteille de plastiques et ils se livraient à des répétitions qui n¹étaient pas sans évoquer
Intervilles. Dans une agréable ambiance de bordel organisé, le sérieux à la fois dérisoire et impressionnant avec lequel ils s¹accoutraient en Supermen ou en joueurs de foot-ball américain exprimait avec force une volonté et une intelligence collectives : il s¹agissait de montrer qu¹on peut désobéir aux interdits étatiques, ne pas respecter les zones rouges décrétées par les Etats, sans tomber dans les pièges de la violence spectaculaire. Quand le moment du départ est arrivé, le mégaphone répétait qu¹on ne sortirait pas si quelqu¹un avait une arme défensive, il s¹agissait seulement d¹ " utiliser son corps " et de le protéger des coups.
Le vendredi, jour où les différentes composantes devaient approcher, chacun suivant son parcours, de la zone rouge pour tenter d¹y entrer, la manif dite des tutte bianche a sûrement été la plus nombreuse. En fait, les combinaisons blanches avaient été retirées pour manifester que le mouvement ne se posait pas en avant-garde, qu¹il n¹était qu¹une partie de la "multitude ", suivant le terme mis à la mode par Negri (dès que j¹ai cinq minutes, promis, j¹essaie de comprendre en quoi ça apporte du neuf par rapport à la théorie du prolétariat). Le cortège regroupait  dix à quinze mille personnes, avec plusieurs milliers en tenue protégée et quelques centaines dans cette formation en tortue (boucliers de tous côtés et sur le dessus) reprise aux légions romaines : les jeunes de Rifondazione y tenaient leur place, mêlés à ceux des centres sociaux. Des têtes de cochon en plastique mou et des boucliers peinturlurés marchaient devant. Il y avait des équipes extincteurs pour les lacrymo, beaucoup de gens munis de gants pour les renvoyer. Et un long camion plateau pour la sono, qui transmettait les consignes. Il était réjouissant de voir la délégation de la LCR, de ces trotskistes français qui, en leur temps ont tant cogné sur les autonomes, à la remorque d¹une manif issue de cette mouvance. Par la suite, ils eurent d¹ailleurs l¹occasion de démontrer ce qu¹ils savent le mieux faire : reculer en scandant " ce n¹est qu¹un début continuons le combat ".
Notre grand cortège résolu, rembourré et festif a descendu une large avenue (Corso Garibaldi-Via Tolemaide) longeant les voies de chemin de fer en surplomb, dans l¹intention d¹entrer sans frapper dans la zone rouge. En fait, un énorme dispositif policier l¹a été arrêté bien avant, près de la piazza Brignole et nous ne sommes jamais allés au-delà. Pendant plusieurs heures, on a avancé, reculé beaucoup et avancé un peu pour reculer encore, tandis que les premiers rangs subissaient l¹assaut et les grenadages. Des groupes du " Black Block ", après avoir pas mal cassé et brûlé sur leur passage ont collé à la tête de la manif. C¹est là, à la jonction des dispositifs policiers, des tute bianche et de certains black blocks qu¹il y a eu les heurts les plus violents. Un car de carabinier a brûlé dans une rue adjacente, tandis que, abrité derrière un premier rang de boucliers de tute bianche, des blacks blocks bombardaient les flics. Toute la zone baignait dans les lacrymos. C¹est là, sur une petite place voisine du point d¹impact, que Claudio a été tué.
Le cortège a fini par rentrer au stade, tandis qu¹en son sein, de violentes algarades à la limite des coups éclataient entre des gens de Sud Ribelle et des tute bianche. La tentative d¹intrusion avait échoué. Nous ne sommes pas des petits soldats, et ce n¹est donc pas d¹un strict point de vue militaire que je ferai deux types de remarques à propos de ce relatif échec.
D¹abord, nous avons constaté qu¹une partie des gens bardés de rembourrages, munis de casques, masques et boucliers, se trouvaient très loin en arrière du " front ", mêlés aux manifestants sans protection. A quoi ça servait de se la jouer superman si c¹était pour défiler comme tout le monde ? Ni spécialement courageux, ni particulièrement peureux, habillé en touriste, sans lunettes ni casques ni rien, je me suis approché avec un petit groupe de copains au plus près du point d¹impact, là où des boucliers des tute bianche brûlaient, non loin de l¹endroit où des fourgons de flics avaient foncé délibérément, à trois de front dans la foule, blessant grièvement, semble-t-il, une manifestante. Pour s¹en sortir, il suffisait d¹un peu d¹habitude, de ne pas suivre tous les mouvements de panique mais de comprendre à quel moment il vaut mieux se retirer. J¹en ai vu assez pour penser que tous les gens équipés qui s¹ennuyaient à l¹arrière auraient été bien utiles à l¹avant. On objectera que dans toutes les armées du monde, il y a des planqués mais c¹est justement ce que ça ne voulait pas être : une armée. Au départ, la théâtralité des tute bianche ne m¹a pas gêné, ni même
le fait qu¹elle fût si photogénique. Cependant, on aura vérifié que le danger de ce type de pratique, hypermédiatisée, est que certains s¹y adonnent pour le côté ludique mais sans aller jusqu¹au bout, jusqu¹à se mettre vraiment en danger. Une dose de théâtre a toujours existé dans tous les mouvements, y compris les plus radicaux. Mais ici, pour beaucoup, le théâtre l¹a emporté.
Ensuite et surtout, en entendant dans la semaine précédente les proclamations de Luca, le porte-parole des tute bianche, qui annonçait "
nous entrerons dans la zone rouge avec la seule arme de nos corps ", j¹avais fait confiance, comme beaucoup de monde, à leurs capacités imaginatives, je m¹étais dit qu¹ils devaient avoir prévu des tactiques inédites pour être à la hauteur de ce défi. Installés depuis une semaine au stade, ils devaient avoir eu tout le temps de nous concocter des surprises. Eh bien, la surprise, c¹est qu¹il n¹y en avait pas ! Apparemment, tout ce qui était prévu, c¹était des meules pour découper les grilles de la zone rouge. Or, il a suffi à la police d¹élargir de fait, sans crier gare, la zone rouge (dans la nuit, les rues menant à la place Brignole, dont celle où je logeais, furent bloquées par de nouveaux containers) et d¹arrêter le cortège bien avant l¹objectif, pour qu¹il n¹y ait plus rien eu à faire. A l¹évidence, le défi médiatique qui était jusque-là une réussite (puisqu¹il a réuni le plus large consensus et le plus gros cortège) s¹est retourné contre ses auteurs: les tute bianche ont été incapables d¹imaginer d¹autre objectif que d¹entrer dans la zone rouge. Il n¹était pourtant pas bien difficile de comprendre que si l¹Etat y mettait les moyens, on ne passerait pas, c¹est tout.
Avec l¹importante logistique dont nous disposions, nous aurions pu nous assigner d¹autres objectifs de rechange, dévier la manif par les rues transversales et aller, par exemple, occuper un bâtiment officiel comme il n¹en manquait pas dans le quartier, en proclamant, pour rester dans la rhétorique choisie " la zone rouge est partout " ou en déclarant que le
bâtiment était pris en otage et que nous ne le libérerions qu¹en échange de la zone rouge... Obsédées par l¹imagerie de l¹assaut à la forteresse, les tute bianche auraient pu prendre des leçons de mobilité auprès du black block.
Surtout, elles n¹ont pas su utiliser à fond leur principale ressource, leur imagination, terrain sur lesquelles elles pouvaient battre l¹Etat, et elles
ont été battues.
Dans la mesure où je n¹ai pas pris, moi-même, les moyens d¹influer, ne fût-ce qu¹un peu, sur ce mouvement, et où j¹ai seulement essayé de le
suivre, je ne voudrais pas que ces critiques résonnent comme la plainte d¹un consommateur frustré. Elles ne visent qu¹à faire avancer la réflexion collective pour la suite.
 

Le Black Bloc

Après la mort de Carlo, comme la télévision avait lancé le faux bruit d¹une imposante manifestation de protestation, nous nous sommes rendus sur la placette où il avait été tué. Là, nous (cinq individus) avons trouvé une dizaine de personnes regroupées autour de l¹emplacement de son corps, marqué par un tapis de fleurs rouges. Aux deux bouts avaient été disposés de ces bacs à fleurs qui servent à délimiter les terrasses de café, décorés par une réclame pour une marque de glace. Les gens présents disposaient des bougies sur le sol. Pathétique et dérisoire. Impression de solitude écrasante. Nous aurions voulu partager notre tristesse et notre rage avec des milliers de gens. Avec un ami, j¹ai marché jusqu¹à l¹espèce de Fête de l¹Huma que formait le " point de convergence " avec ses guinguettes sous tente et ses boutiques d¹organisations. Autour de la scène des concerts se déroulait une sorte d¹assemblée permanente, peu nombreuse. Nous sommes montés sur la scène pour attendre notre tour de prendre le micro. Devant moi, un type haranguait la petite foule sur un ton de tribun. Il disait que la zone rouge, critiquer la zone rouge, tout ça, c¹était de la politique, qu¹il ne voulait plus faire de politique et il renvoyait dos à dos les flics et les teppisti (les voyous) qui avaient brûlé des voitures. J¹avais envie de lui balancer un coup de pied au cul mais l¹assemblée, à cette heure essentiellement composée de pacifistes de l¹espèce bêlante, l¹a applaudi. On s¹est barré dégoûtés. Ce type était un ennemi, comme ceux qui l¹approuvaient.
 Pour moi, deux préalables s¹imposent, avant toute discussion sur les black blocks. D¹abord, le rejet radical de l¹obscène discours sur la " violence ", qui réunit sous le même vocable la casse des choses effectuée par des manifestants et les cassages de gueule forcenés pratiqués par les forces de l¹ordre, qui met sur le même plan le bris de vitrine et le bris des os et le meurtre pur et simple qui furent l¹¦uvre des flics. Ceux qui accordent autant d¹importance à la destruction des biens qu¹à celle des personnes, montrent de quel côté de la barricade ils se trouvent : c¹est justement contre ce gouvernement des choses que nous (des milliers de gens) nous nous sommes insurgés.
Ensuite il faut bien dire que, face à cette ville qui semblait incarner comme un nouveau pas en avant vers la minéralisation du monde, devant le mufle casqué et blindé de Big Brother, la pulsion destructrice me semble plutôt une manifestation vitale. Plus généralement, je dirais que je n¹ai pas envie de parler avec ceux qui, en face de la vie qui nous est faite, n¹ont jamais ressenti l¹envie de tout casser. En revanche, la discussion avec les black blocks doit avoir lieu, pour cerner les désaccords.
Reconnaître la légitimité de l¹envie de détruire ne signifie pas qu¹il faille s¹y abandonner n¹importe quand n¹importe comment. Les tutte bianche avaient cherché l¹accord avec les autres composantes du GSF sur la base de la " désobéissance civile ", en portant cette démarche jusqu¹à son extrême limite. Ils avaient notamment annoncé dans une proclamation aux habitants de Gênes qu¹ils ne voulaient faire aucun mal à leur ville, mais au contraire la délivrer de l¹occupant, le G8 et son armée de 18 000 hommes. Ils avaient pour principe de ne pas toucher aux biens privés des habitants. Cette volonté de chercher une alliance avec eux a démontré son bien-fondé : une bonne partie de la population qui n¹avait pas fui était très remontée contre le cirque militariste et les restrictions de son droit à la libre circulation. Du vieux Gênois que j¹ai entendu déclarer qu¹il avait plus peur que pendant la guerre, mais pas à cause des manifestants, à cause de "ceux-là " (il montrait un groupe de flics avec leurs blindés), à ceux qui nous jetaient de l¹eau du haut des fenêtres pour lutter contre la chaleur et les lacrymos, les manifestations de sympathie n¹ont pas manqué. Mais le sourire s¹était effacé sur le visage de ces habitants qui regardaient d¹un coin de rue quelques individus masqués en train de dévaster leur petit commerce de proximité et démolir la station d¹essence de leur carrefour.
Comme l¹a dit une manifestante gênoise, pacifiste pas vraiment bêlante, sur une télé locale : " bon, casser les banques, je comprends, mais le petit bar en bas de chez moi...".
Au carrefour du front de mer et de la via Torino, comme un jeune masqué s¹acharnait à tenter d¹ouvrir le rideau de fer d¹un tabac, un vieux prolo lui a lancé : " mais qu¹est-ce que tu veux ? Une cigarette ? Je t¹en donne une, moi ! " Et de joindre le geste à la parole. Le casseur n¹agissait pas sous l¹emprise d¹un manque vital, il n¹avait rien d¹un de ces émeutiers de la faim surgissant périodiquement au Sud du monde, ni même d¹un pillard des grandes métropoles occidentales exprimant la frustration des pauvres devant les vitrines marchandes : il ne pouvait donc être mu que par la mythologie du pillage, si pesante en milieu radical. L¹offre du vieux montrait seulement qu¹un dialogue entre eux, le jeune casseur dans son impasse théâtrale et le vieil ouvrier porteur de la mémoire de tant de défaites, aurait été infiniment plus prometteur que la répétition d¹un rituel creux.
Mais cette amorce d¹échange critique a été interrompue par la chute des premières lacrymos lancées depuis bien longtemps en Europe au c¦ur d¹une manif de masse...
Rappelons en tout cas qu¹une bonne partie des black blocks étaient opposés à la casse indiscriminée et partisans de s¹en prendre seulement à des symboles capitalistes évidents. Et reconnaissons que tout homme épris de liberté ne peut que saluer l¹attaque de la prison par certains de ces éléments et le début d¹incendie qu¹ils y ont provoqué.
La présence d¹infiltrés parmi les BB n¹est pas discutable : comme presque tout, ces jours-là, elle a été filmée. Et bien que vomissant les connards degauche qui voient un flic en tout casseur, je n¹ai pas manqué de remarquer un trio de types masqués, sportifs à la petite quarantaine qui s¹agitaient beaucoup et que les autres BB, manifestement, évitaient. En cela, les pratiques policières italiennes ne différent guère de celles de leurs homologues français, européens notamment. Il paraît vraisemblable que des petits groupes de casseurs ont été rabattus sciemment vers la tête de la manif des tutte bianche pour anéantir l¹originalité d¹une pratique purement défensive et faciliter sa répression. Mais tout comme l¹existence de provocateurs dans les manifs anti-CIP ne changeaient pas la portée de l¹authentique colère de classe qu¹y exprimaient les casseurs, les infiltrations chez les BB, les manipulations dont certains ont pu être l¹objet ne permettent pas de les réduire à une armée de marionnettes de la répression.
Une partie d¹entre eux ne s¹intéressent sans doute que de loin au G8 et à ses critique : pour eux ce genre de grand rassemblement n¹est qu¹une bonne occasion de casser. J¹ai pu autrefois me retrouver dans une attitude de parasitisme agressif par rapport à une grande manif quand cette dernière n¹allait pas plus loin qu¹un défilé de premier mai. Cela avait tout de même l¹inconvénient de me couper de milliers de gens qui ne méritaient pas tant de mépris. Aujourd¹hui, il me semble que se balbutie un mouvement de contestation du gouvernement mondial d¹un intérêt infiniment plus vaste que la satisfaction du légitime mais misérable besoin de tout casser.
Authenticité de leur rébellion, débilité de la plupart de leurs objectifs : cette double constatation doit servir de base au nécessaire dialogue à conduire avec les BB.
 

Les autres composantes

Les tutte bianche et les BB ne représentaient pas la totalité des manifestants les plus déterminés, loin de là. On était frappé, au contraire, de la détermination d¹une bonne partie des membres des différentes composantes à marcher sur la zone rouge. Les trois ou quatre qui ont réussi à y entrer n¹appartenaient pas aux tendances les plus dures. Agnoletto, le porte-parole du GSF incarne à mes yeux la confusion de la base de ces ONG au discours réformiste : capable du meilleur quand, entraîné par la recherche d¹une pratique commune, il soutient le principe de la désobéissance civile ou quand, dans les moments cruciaux comme la mort de Claudio, il trouve les mots justes pour dire la rage de la multitude, il est aussi capable du pire quand, cédant au bon vieux complotisme degauche, on l¹entend reprocher au gouvernement italien d¹avoir laissé les casseurs entrer en Italie (et à ce moment, un médiatique quelconque, amoureux des carabiniers, a beau jeu de lui répondre : " qu¹est-ce que vous auriez voulu, qu¹on instaure une police du type Gestapo ? ").
Parmi les choses vues, l¹une des plus impressionnantes aura été ce moment où quelques dizaines de membre du groupe anglais " Pink ", autour d¹une fille à longs cheveux rose vif et brandissant un c¦ur sur lequel était écrit " why did you kill our children ? ", ont réussi à faire reculer un énorme dispositif policier en parlant avec eux et en chantant. Le courage n¹est pas réservé à ceux qui jouent à la guérilla urbaine. Pour moi, la ligne de démarcation ne passe pas par le recours ou non à la " violence ", mais par l¹acceptation ou le refus de l¹illégitime légalité de l¹Etat capitaliste. Je crois que le plus grand acquis de Gênes peut se résumer à cela : des dizaines de milliers de gens déterminés à chercher une pratique de rupture avec l¹ordre mondial. C¹est sans doute aussi la principale victoire de la répression, que la nécessité de courir  pour échapper aux flics ou de marcher sur des distances interminables pour contourner leurs lignes, ait bouffé la plus grande partie du temps des manifestants et largement empêché les différentes sensibilités de se rencontrer en dehors des forums balisés par les organisations réformistes.
 

La sauvagerie de la répression et ses enseignements

Quoique connaissant plutôt bien l¹Italie et y vivant à mi-temps depuis dix ans, j¹ai été étonné par le caractère sauvage la répression : je croyais ce pays davantage avancé dans la normalité " européenne ". Couper en deux une manif pacifique de trois cent mille personnes, en grenader le c¦ur et s¹acharner à arroser de lacrymos les manifestants refluant en désordre dans des ruelles est une pratique assez inattendue, qu¹on imagine plutôt venir d¹une dictature en crise. Quand j¹ai vu les flics faire ça, j¹ai eu bien plus la trouille que la veille au plus fort de l¹affrontement : on avait l¹impression qu¹ils étaient capables de faire tout. De fait, à part tirer dans la foule, ils ont tout fait (comme par exemple, foncer à trois fourgonnettes de front contre les manifestants).
Ceux qui ont payé le prix le plus élevé à la répression, ce sont les centaines de personnes qui se reconnaissaient non pas dans les tendances les plus radicales, mais bien plutôt dans cette banderole vue à la manif du samedi, drôle quoique tragiquement fausse : " Mamma, non ti preoccupare, solo tu mi puoi menare " (" Maman ne t¹inquiète pas, il n¹y a que toi qui peut me frapper "). La confiance dans les règles minimales de la convivialité démocratique qui comporte que la police ne te cognera pas si tu ne l¹as pas vraiment cherché, cette confiance-là, pour des milliers de personne, a volé en éclats sous les coups de matraque distribués à l¹aveuglette avec une hargne inouïe. Avec elle, on espère que le citoyennisme aura du mal à s¹en remettre : l¹invocation de la citoyenneté, si chère aux penseurs d¹Attac suppose qu¹il existerait une idéale " cité " à laquelle chacun, celui qui me matraque et moi-même nous appartiendrions, une cité imparfaite, certes, et dont il faut changer les règles et " c¹est pour ça que nous nous battons ", mais une cité commune. Nous (mes alliés et moi) n¹avons rien de commun avec les assassins en uniforme et aucune réforme, ni taxe Tobin ni autre emplâtre sur une jambe de bois, à proposer à leurs chefs du G8, le tueur en série mondial.
Diverses particularités italiennes expliquent sans doute l¹ampleur et la sauvagerie de la répression. D¹abord, les flics de ce côté des Alpes n¹étaient nullement habitués aux casseurs. Depuis les années 70, ils connaissaient et savaient réprimer les manifs politiques avec rencontre frontale. Mais ils en avaient un peu perdu l¹habitude. Et surtout, ils n¹avaient pas l¹expérience de ces petits groupes de casseurs brisant des vitrines et renversant des voitures n¹importe où, sans objectif clair. Ils ont bel et bien été dépassés, à un moment, par le harcèlement du black block. D¹où une rage d¹autant moins réfrénée qu¹ils avaient la bride sur le cou. C¹est le deuxième élément d¹explication : il s¹est passé, à une échelle bien plus vaste ce qui est arrivé en France chaque fois que Pasqua revenait aux affaires et que cela se traduisait par une multiplication des bavures.
En prenant ses quartiers à la sous-préfecture, Fini, le vice-premier ministre post-fasciste, s¹est sans doute donné beaucoup de mal pour démontrer à mes amis ultra-gauche que facho ou pas facho, ça faisait quand même une différence. L¹interview d¹un flic présent au commissariat de Bolzaneto, récemment publiée par la Repubblica, montre la présence chez les flics de base comme chez tous les " spécialistes " anti-émeutes et autres supercarabiniers, du fascisme historique d¹appellation contrôlé. Mais on aurait tort de trop s¹obnubiler sur les particularités italiennes : il me semble que Gênes prouve qu¹aujourd¹hui, dans cette Europe qui prétend incarner le maximum de la civilisation droidlomiste, ce qui nous sépare de la barbarie a l¹épaisseur d¹une feuille de papier à cigarettes.
Le " renard " Berlusconi, comme l¹appelaient les tute bianche, et ses renardeaux du ministère de l¹Intérieur, tout en mimant une volonté de dialogue, n¹ont pas cessé de tenter de criminaliser le GSF. Ce fut évident dans la nuit du samedi au dimanche, avec le raid contre l¹école Diaz.
C¹était déjà très clair le samedi en début d¹après-midi quand un énorme et très voyant dispositif flicard a été placé tout contre le " Point de convergence " et ses guinguettes sous toile, à l¹endroit où la manif de 300 000 personnes arrivait du front de mer pour entrer dans la ville. Il était évident qu¹en mettant là, bien en vue, les forces de l¹ordre dans tout leur apparat, on allait attiser la fureur de bon nombre de manifestants et qu¹on pourrait bientôt grenader le camp de toile, et associer la casse avec le GSF. De fait, près d¹un millier de personnes s¹est bientôt détaché de la manif. Les BB n¹en constituaient qu¹une toute petite minorité. Les drapeaux des Cobas et des jeunes de Rifondazione étaient nombreux et le groupe des indépendantistes sardes a marché délibérément vers les premiers rangs de ceux qui scandaient : assassini ! assassini ! Mais on peut dire qu¹on y voyait toutes les sensibilités, toutes les nationalités. Cette foule qui, mise en fureur par la mort de Claudio, s¹est défaite de l¹emprise de ses organisations pour venir crier sa colère, représente l¹un des efforts balbutiants de constitution d¹une conscience réellement autonome et internationale, en rupture avec l¹ordre mondial mortifère. Il nous (des millions de personnes) appartient de faire en sorte qu¹une telle conscience se développe, se transforme en force sociale et ne débouche plus dans l¹impasse d¹un affrontement lacrymogène.