Indice di Giap #1 IVa serie - Numero speciale d'inizio anno e inizio serie - 21 gennaio 2003


01- La visita imperiale di Bill Gates, americano a Roma - di Wu Ming 1
02- L'azione anti-copyright di Babbo Natale - di Copy Invaders (Bergamo)
03- I Quindici: resoconto dei primi 4 mesi di lavoro
04- A marzo l'antologia "Giap!": un libro scritto da tutt* voi!
05- Siamo ancora vivi, bastardi! - Nota sulla dichiarazione d'intenti di 3 anni fa
06- "La quarantesima notte", seminario coordinato da Wu Ming, marzo/aprile 2003
07- Pseudonimi e mito dell'autore - discussione con un giapster
08- Giuseppe Genna ci chiede scusa su clarence.com
09- on line nuovi commenti sull'annosa questione
10- Don't Forget Nandropausa



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La guerra che stiamo vincendo / prima parte
LA VISITA IMPERIALE DI BILL GATES, AMERICANO A ROMA

di Wu Ming 1

Il 31 gennaio 2003 il magnate dell'informatica Bill Gates sarà in Italia e interverrà in una delle conferenze sulla Globalizzazione promosse dalla Presidenza del Senato presso la Sala Zuccheri di Palazzo Giustiniani.
Chi scrive non ha elementi per sostenere che gli accordi per tale "qualificante" iniziativa siano stati presi dopo l'istituzione della commissione ministeriale "per l'open source nella pubblica amministrazione". Malignamente, aggiungo che quel "dopo" significa in realtà"a causa di".
Quel che è certo è che l'annuncio è stato dato dopo la bocciatura di un emendamento alla Finanziaria 2003 presentato dal DS Pietro Folena, che riguardava proprio eventuali incentivi all'introduzione di software libero nell'amministrazione. Ed è altrettanto certo che, nell'imminenza della visita, il ministro per l'innovazione Lucio Stanca - parlando anche a nome della suddetta commissione - si è sperticato in lodi nei confronti di Gates, mostrando di bersi in una sola sorsata le fole di Microsoft sul suo progetto di "code source sharing" (ne parliamo sotto).
Saranno solo coincidenze, ma è già successo che Bill Gates si recasse in visita in un dato paese (o avesse un incontro immancabilmente "franco e cordiale" col suo presidente) subito prima o subito dopo la rinuncia ad adottare il software libero. Durante tali visite e incontri, Gates ha ricompensato il paese di turno con cospicue donazioni. Nel giro di pochi mesi, è toccato al Perù (50 milioni di dollari in denaro, licenze e servizi di assistenza) e all'India (100 milioni di dollari per la ricerca sull'AIDS).
Ciò non è servito a fermare l'effetto-domino dell'adozione di sistemi Gnu/Linux da parte delle istituzioni pubbliche di diversi paesi. Questo processo - già in fase avanzata nel Brasile di Lula - è ormai ben avviato - o comunque all'ordine del giorno - in Norvegia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Finlandia, Messico, Corea, Thailandia, Filippine, Taiwan, Cina e Giappone.
Recentemente, la tendenza ha avuto un riconoscimento ufficiale da parte della Commission on Intellectual Property Rights, organismo indipendente nominato dal governo britannico: nel suo rapporto ufficiale, la CIPR ha criticato tutte le nuove leggi europee e nordamericane sul copyright digitale, facendo notare che la "pirateria informatica" è favorita proprio dalle eccessive rigidità e chiusure, indicando l'Open Source come alternativa credibile e concludendo: "Protezioni più forti e sviluppo di normative sul copyright possono ridurre l'accesso alla conoscenza necessario nei paesi in via di sviluppo per sostenere la formazione e la ricerca, e l'accesso a prodotti protetti come il software. Questo avrebbe conseguenze dannose per lo sviluppo delle loro risorse umane, delle capacità tecnologiche, e per la povera gente".
Proprio qui sta il punto: i paesi poveri non possono più permettersi di pagare le licenze a Microsoft, stornando riorse che potrebbero essere investite in programmi di inclusione sociale. Da qui l'adozione di software "aperto", che in genere costa molto meno, può essere sviluppato e modificato in loco e corrisponde anche filosoficamente a un'idea di comunità, inclusione e partecipazione sociale.
E' innegabile che GNU/Linux si stia facendo strada in tutte le direzioni: ormai il 70% dei server di Internet "girano" su Apache, affidabilissima piattaforma GNU/Linux; nel mentre, sempre più singoli utenti adottano soluzioni open source: per chi ancora non "osa" cambiare sistema operativo, sono comunque adottabili valide alternative libere, programmi gratuiti e auto-installanti, altrettanto completi e meno ingombranti dei loro corrispettivi Microsoft: senza sforzo si può passare da Office a Open Office (http://www.openoffice.org/) e da Internet Explorer a Mozilla (http://www.mozilla.org); infine, sono in via di sviluppo sistemi operativi open source per beni di consumo elettronici come palmari, telefonini, televisori, lettori DVD, forni a microonde...
Microsoft (e con essa i potentati del "sapere chiuso") tentano in tutti i modi di tamponare e correre ai ripari, ispezionando di persona le contrade dei ribelli, sviluppando sistemi hardware anti-"pirateria" (TCPA/Palladium, che con tutta probabilità renderà la situazione ancor più intricata e precaria) o battendo la via degli escamotages giuridici (la totale brevettabilità di tutto ciò che concerna la programmazione, come se uno brevettasse l'alfabeto e pretendesse di percepire royalties ogni volta che lo si usa). Tuttavia il monopolista di Redmond non è mai sembrato tanto alle strette e in difficoltà. Ricorda un po' quel ragazzino olandese col ditino nel buco della diga, con la differenza che non sta cercando di proteggere un intero paese bensì' la propria posizione di dominio e privilegio.
Nuove cause giudiziarie anti-trust si affiancano a quella - celeberrima - intentata dalla Netscape e non ancora giunta a termine: una corte federale di Baltimora ha da poco costretto Gates & compari a includere la tecnologia Java in Windows XP, dando ragione alla Sun Microsystems, che quella tecnologia ha inventato e che ha subito danni per via dell'incompatibilità col sistema operativo più diffuso.
Dal canto suo, l'azienda inglese Sendo - ex-partner di Microsoft nello sviluppo di nuove tecnologie per cellulari super-intelligenti (gli "smartphones") - ha intentato una causa presso una corte federale texana, accusando Microsoft di aver messo in atto un "piano segreto" che prevedeva il sabotaggio e lo strangolamento del socio più piccolo, con accaparramento finale delle sue conoscenze (cfr. http://punto-informatico.it/p.asp?i=42610).
Per far piovere sul bagnato, basta aggiungere che il famigerato Digital Millenium Copyright Act, - legge ultra-repressiva entrata in vigore negli USA quattro anni fa - non ha ottenuto alcun risultato significativo nella lotta alla "pirateria" e anzi, i più strombazzati processi intentati a "pirati" sulla base del DMCA si sono risolti con assoluzioni ed effetti-boomerang mediatici (ne parleremo in seguito). In compenso, il DMCA ha diffuso paura, malessere e risentimento nelle comunità di utenti, aumentando a dismisura l'odio per le grandi corporations (tra cui Microsoft) che avevano scatenato i loro lobbisti per farlo approvare.
La più recente mossa di Microsoft per allentare la stretta è il progetto di code source sharing, con cui si vorrebbe dare l'illusione di "andare incontro" al software libero/open source, ponendo l'accento sulla pubblica utilità: Microsoft ha annunciato che renderà "trasparenti" a istituzioni accademiche e statali i codici sorgenti dei suoi programmi, e che la nuova release di Microsoft Office comprenderà il formato XML, formato aperto e non proprietario.
Da un lato si può parlare di una prima, parziale vittoria del movimento open source, che conquistando postazioni nelle pubbliche amministrazioni e nelle reti universitarie di molti paesi ha costretto Microsoft a scendere dal piedistallo e misurarsi su un terreno scivoloso; dall'altro lato, se si va oltre la retorica e il sensazionalismo di tali annunci, si vede che c'è una forte componente di bluff.
Leggendo con attenzione si scopre che le pubbliche amministrazioni potranno vedere il codice sorgente ma non "alterarlo". La solita idiomatica montagna dà alla luce i soliti roditori, e Lucio Stanca si dà all'alpinismo. Quanto al formato XML incluso in Office, con tutta probabilità si tratterà di una versione riadattata alle esigenze Microsoft, resa quindi "opaca" per limitarne la funzionalità su altri programmi (cfr. http://www.apogeonline.com/webzine/2003/01/07/01/200301070101).
Ma torniamo alla visita di questo "americano a Roma" ("Macaroni... m'hai provocato e io te distruggo, macaroni! Io me te magno!"), a questo imperatore i cui "vestiti nuovi" sono ormai non-visibili a tutti: mentre le comunità dei programmatori di software libero stanno organizzando iniziative di protesta e contro-proposta, il senatore dei Verdi Fiorello Cortiana ha scritto una lettera aperta a Pera, Casini e B. chiedendo che - se la par condicio non è solo questione miserella di cronometri e bilancini - si organizzi anche un incontro con Richard Stallman, fondatore del Free Software Movement e tra gli inventori di GNU, che sara in Italia a marzo. All'indirizzo <http://www.quintostato.it/htmlstatic/080103gates/> è possibile compilare un modulo per associarsi a questa richiesta.
Vogliamo accogliere l'imperatore con atteggiamento da sudditi? Perché il "macaroni" dovrebbe lasciarsi magnare? E soprattutto, perché assistere da semplici spettatori al trapasso di un'era, quando chiunque di noi può parteciparvi in prima persona, dando un piccolo contributo? Parafrasando Zarathustra, a ciò che sta per cadere bisogna dare una spinta, e mai come in questo momento i razziatori del sapere diffuso sono apparsi pericolosamente in bilico.


[Continua con "La guerra che stiamo vincendo / parte seconda: la fine dell'industria discografica"]

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[Stralci del nostro "Copyright e maremoto" sono stati usati per il volantino distribuito da alcuni goblins durante l'azione raccontata in questo pezzo che volentieri pubblichiamo]

L'AZIONE ANTI-COPYRIGHT DI BABBO NATALE
di copy_invaders & c.s.a. Paci' Paciana (Bergamo)

Lo sberluccichio delle vetrine natalizie, le insegne a forma di renna, le luminarie un po' kitsch come solo a Bergamo ci possono essere [e forse in tutta la Valle Imagna] avevano stordito il buon Natale. Che (sfiga + genitori di rara crudeltà') di nome fa Babbo. Babbo inteso come "babbo di minchia", "babbeo" e tutta quell'area semantica che indica (in ambiente lombardoveneto) una persona sfavorita dagli eventi e dal proprio gusto. Quel gusto un po' naif che lo porta ad aggirarsi per il mondo intero [o perlomeno per il PRIMO mondo, quello ricco, quello che fa le guerre, per intenderci] con uno strano cappello a punta, vestito di rosso che sembra il Gabibbo.
Di lavoro fa il corriere espresso, porta i pacchi ai bambini. Lavora poco e per un'agenzia interinale, lavora solo verso la fine dell'anno e gli fanno fare dei record mondiali: non gli danno in dotazione il solito furgoncino ma una vetusta slitta trainata da ruminanti più o meno rassomiglianti a delle renne, con la quale deve raggiungere circa 300 milioni di bambini [stima approssimativa], calarsi dal camino e mettere sotto un albero di natale sempre più' sovente di plastica dei regali, ovviamente il tutto a sue spese...
Anche quest'anno si preparava a ripetere la solita solfa, le solite scenette della serie "siamo tutti più buoni", i sorrisi, le carezze ai folletti che in realtà odia per un atavico razzismo che nutre verso i "diversi" con le orecchie a punta, i regali... Non ci dormiva la notte, tutt* che gli chiedevano regali, regali, regali e il suo budget ridotto all'osso come quello di una squadra che riceve pochi soldi dalle pay per view. Nel mentre di questi sogni sudati e agitati (complice la bottiglia di amaro braulio che Natale beve prima di andare a dormire) ecco la folgorazione che dimostra che Babbo Natale non è poi così babbo come sembra: perché non regalare a chi mi richiede dei cd con della musica spesso di bassa qualità delle copie identiche dell'album stesso? Tanto la musica è sempre quella e spesso i cd mainstream non hanno dei libretti interni che ti cambiano la vita - e comunque li si può' fotocopiare.
<dettaglio> Babbo Natale, ridendo grassamente, è in una stanzetta e masterizza dei cd. Lo si vede un po' più rilassato rispetto allo stress pre-regalo.

24 dicembre. Babbo Natale - nei giorni precedenti - ha preparato un sacco pieno di cd masterizzati, preparandosi a regalarli. Ha scelto il 24 dicembre come data nella quale recarsi presso il Virgin MegaStore di via XX Settembre a Bergamo [scelta simbolica ed evocativa, quella di Bergamo: la prima città al mondo ad essere costruita su 7 colli, prima di Roma...]. La renna è stanca, e quindi, sigaretta in bocca, al posto di trainare la renna decide di guidare il furgone che porterà Babbo Natale e i folletti presso il luogo prefissato, che da ora in poi, per comodità, chiameremo luogo X in modo anche da sembrare membri dei servizi segreti deviati.
Il viaggio verso il luogo X è breve, Babbo Natale si trovava già in provincia di Bergamo [da anni ha abbandonato la Lapponia per il più comodo paese di Sant'Omobono Imagna], il problema incombente è uno solo: il parcheggio - èla vigilia della Natività, il centro città è invaso, la renna abbandona il furgone metà su di un marciapiede e metà alla fantasia e guida il team verso il luogo X. Le legioni follettiche avanzano come un sol uomo, compatte, belle da vedere; la renna fuma e si distrae spesso, ma il percorso è breve e subitaneamente Babbo Natale irrompe nel Virgin Megastore...
Passo indietro <rewind> perché ha scelto il Virgin Megastore? Perché è il più grande negozio di supporti audio, pieno zeppo di cd originali, è il nemico.
La gioiosa macchina da guerra varca i confini della zona rossa, entra dalle porte elettroniche del nemico, mischiandosi alla folla che fa acquisti.
L'aria è calda, puzza leggermente di sudore e dopobarba. Babbo Natale inizia a portarsi avanti con il lavoro ed elargisce ai presenti dei pacchettini contenenti un cd a testa. La folla [anzi, la moltitudine, fa più impegnato] è attonita: a loro nessuno aveva mai regalato nulla, soprattutto per quello che riguarda la musica: leggi direttamente Ventennio style, società per autori che "sì-insomma-la-siae-è-tutto-un-magnamagna", case discografiche sempre più ricche... e invece ora la tecnologia per potersi permettere di copiare e diffondere la musica è sempre più a basso costo, quasi quasi...
Stupiti anche i dipendenti del negozio che accettano di buon grado le caramelle che un Babbo Natale sempre più grasso e bolso offre loro mentre i folletti, finiti i cd, iniziano ad uscire, pronti ad attraversare ancora le strade piene di gente in fibrillazione per l'acquisto natalizio...

I dettagli tecnici di questa giornata li trovate qui:
http://italy.indymedia.org/features/lombardia/
http://italy.indymedia.org/news/2002/12/140376.php

Il video di Babbo Natale che masterizza cd lo trovate qui:
ftp://wopr.autistici.org/pub/filmati/babbo2.avi



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I QUINDICI: RESOCONTO DEI PRIMI QUATTRO MESI DI LAVORO



Esiste un filo logico che unisce l'attività de "i 15" a Wu Ming e alle pratiche culturali da questi espresse.
Innanzitutto chi sono i 15, cosa fanno e perché.
Siamo un gruppo di persone, iscritti a Giap riunitisi intorno al progetto dei Lettori Residenti concretizzatosi, sempre su Giap, ai primi di settembre dello scorso anno (e quindi poco più di 4 mesi fa). La paternità del nome "lettori residenti" è dello scrittore svizzero Peter Bichsel intervenuto (virtualmente) in questo dibattito.
I L.R. leggono, recensiscono e discutono tra loro del valore delle opere che ricevono, coordinati da un Segretario.
Tutto questo per sollevare i Wu Ming dall'onere improprio di lettori di romanzi e racconti inediti di scrittori loro ammiratori nella logica che "se l'autore è multiplo, ancor più giusto è che il recensore/commentatore sia multiplo."
Dopo un sorprendentemente breve periodo dedicato all'organizzazione, grazie soprattutto alle capacità di uno di noi, Ampex (abile programmatore), abbiamo avuto l'opportunità di cominciare la nostra attività..
A questo punto la sorpresa: eravamo tutti convinti di doverci sorbire una gran quantità di pessima letteratura con la speranza di trovare piccole e sparse pepite di buona qualità, invece sono arrivati degli ottimi lavori, fino ad ora almeno tre romanzi di buona fattura e alcuni più che dignitosi racconti e, sinceramente, poca roba di cattiva qualità.
La diffusione di nuovi autori tramite la rete ha lo stesso valore delle storie narrate dai "narratori professionisti" che diffondevano le opere di chissà chi tra villaggi e città dando origine, col passare degli anni e con migliaia di revisioni, a opere-simbolo della nostra civiltà della parola.
Ovviamente il processo non solo è appena iniziato e non si sa se mai andrà in porto, ma le esperienze robuste del progetto Gutenberg, di Liber Liber e infine dell'esperienza di Bookmobile appena narrataci da Wu Ming ci fanno ben sperare. Le attività dei LR non sono che una goccia in questo mare, ma la goccia scava la roccia.
Allo stato attuale delle cose il nostro obiettivo e augurio è quello di essere utili a dei futuri autori in qualità di rappresentanza semi-randomizzata di un pubblico che fruisce della parola scritta.
Per semi-randomizzata intendiamo dire che in ogni caso una cernita a monte c'è, dato che dei Quindici si è parlato soprattutto in Giap.
Vorremmo essere per un autore un'opportunità per misurarsi con una fetta di potenziale pubblico, con tutte le differenze e le contraddizioni potenzialmente insite in questo, infatti siamo un gruppo costituitosi in circostanze semi casuali, degli sconosciuti finiti quasi per caso nello stesso treno, "costretti" a frequentarsi dalla stessa passione.
La nostra modalità operativa prevede che ogni lettore riceva tre opere ed ogni opera tre lettori, non vi sono obblighi se non rendere partecipe il gruppo, il segretario e l'autore di cosa il Lettore pensi di cio' che legge.
Non e' nemmeno indispensabile portare a termine la lettura (anche se e' auspicabile), ma solo spiegare: spiegare cosa e' piaciuto e dispiaciuto senza ergersi a giudici ma con l'umilta' del lettore: Lettori Residenti disponibili per autori orfani di pubblicazione.
Da poco abbiamo trovato ospitalità sul server di Wu Ming. E con il nuovo server i grandi progetti: raccogliere le recensioni, cercare di pubblicare - almeno sulla rete - gli scritti unanimemente considerati meritevoli, provare a divenire occasione per promuovere (informalmente se non nel mondo editoriale) gli autori che hanno qualcosa da dire.
Eh si: perché come si diceva sopra, tra le 26 opere finora recensite, in mezzo al mare magno di testi buttati li per il solo sfogo dell'autore, sono state trovate anche vere e proprie perle. Perle che meriterebbero dei lettori se non proprio la fortuna, ed i nostri 15 fremono per l'impossibilità di dare loro il giusto sfogo, la notorietà relativa, il pubblico; ma continuano (continuiamo) a non essere un editore, anche se la tentazione di fughe in avanti a volte c'è, immediatamente frenata dai più saggi tra noi (o semplicemente i più pragmatici, i più cauti?).
Dunque proseguiamo a leggere e a commentare, senza tirarci indietro di fronte agli svarioni di scrittori di vane speranze, inviando commenti a cui a volte nessuno risponde, a volte rispondono gli insulti di autori che si ritengono incompresi geni, a volte la gratitudine o lo stupore di chi magari non sperava più di essere apprezzato da qualcuno che non appartenesse alla ristretta cerchia dei suoi amici e parenti.
La nostra speranza è che un giorno un editore ci dica: "ma voi che leggete tutte queste nuove cose non potreste propormi...."
Quel giorno "I Quindici" potranno finalmente sfogare la loro passione frustrata elargendo al fortunato editore il materiale per comporre un'antologia di talenti sconosciuti: chissà mai se questo giorno arriverà, noi ci speriamo e nel frattempo invitiamo altri autori a condividere con noi la loro avventura.

I Quindici (manoscritti_ai_15@yahoo.it)



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Dopo mesi di lavoro finalmente l'annuncio ufficiale.
Tommaso De Lorenzis, critico "maledetto" salentino, ha scartabellato nella produzione di un triennio e selezionato quello che secondo lui è "il meglio di Giap". Ha diviso il tutto in sezioni tematiche, scritto un saggio introduttivo e confezionato il tutto come antologia che uscirà' per Einaudi Stile Libero a primavera, col titolo Giap! (sottotitolo da definire).
Un progetto "cugino" dell'antologia spagnola Esta revolución no tiene rostro [Questa rivoluzione non ha volto], curata da Amador Fernandez-Savater per le edizioni Acuarela, uscita in Spagna da pochi giorni.
Entrambi i libri raccolgono una produzione difforme e quantomai eterogenea: racconti, articoli, brevi saggi, scambi epistolari, polemiche e dibattiti con giapsters, lettere a giornali etc. Giap! pone l'accento sulla comunità che si è' formata intorno a Wu Ming, grazie al sito e alla newsletter. E' un libro scritto da tutt* noi e voi.
Un breve stralcio dall'introduzione di TDL:
"Questo libro propone una parte del materiale redatto dal collettivo Wu Ming nel corso degli ultimi tre anni. Si tratta in prevalenza, anche se non esclusivamente, di brani selezionati da /Giap/, la rivista telematica dell'atelier, nata nei primi giorni del gennaio 2000.
Ideato come bollettino virtuale a sostegno della nuova campagna di letteratura-guerriglia, /Giap/ eccedette ben presto la funzione di strumento informativo e si ridefinì' come vettore di socializzazione stilistica. Potente amplificatore di tecniche, pratiche e moduli di intervento sui linguaggi.
Il coro, emerso dalla progressiva aggregazione dei giapsters, è amministrato con estrema cura, mediante un criterio che coniuga agilità' della comunicazione e qualità' degli interventi. Una pratica più affine alla buona attività' redazionale su carta, che alla presunta orizzontalità comunicativa di molte mailing-list, anche di movimento, ridotte, troppo stesso, ad ingestibili sfogatoi.
Rilievi stilistici, libere interpretazioni, contestazioni, apprezzamenti, aperte prese di posizione costituiscono il prezioso patrimonio portato in dote dai giapsters. Niente è' stato posto al riparo da un intensissimo feedback sulla forma e la sostanza della scrittura, e su niente l'autore Senza Nome ha fatto valere un giudizio insindacabile.
Molte parole sono state spese ed un rilevante deposito di riflessioni, resoconti, reportages, risposte a domande ed ulteriori domande che aspettano risposte, è andato costituendosi. Proporne una selezione significa rimettersi in marcia sulla via del racconto. Consapevoli che la scelta di un criterio non può' fare a meno di rispecchiare approcci ed obiettivi particolari e che di criteri se ne possono trovare tanti. Tutti legittimi, tutti determinanti, tutti perfettamente complementari."



05------------------


[Nel rileggere il materiale affastellato da TDL, abbiamo trovato la spinta necessaria a compiere una scelta non più' procrastinabile: liberarci di una palla al piede, di un'incudine appesa allo scroto, di un vincolo non più' tollerabile.
Fare autocritica e prendere le distanze rispetto ad alcuni punti dell'ormai vetusta "dichiarazione d'intenti" del gennaio 2000.
Il biologo libertario Henri Laborit ha coniato il termine "prossimologia" (da contrapporre alla futurologia) e ha scritto: "La prospettiva... non è il mio forte. Io sono convinto che si debba sperimentare per capire cosa succederà. Si può' immaginare qualcosa, proporla, cercare di realizzarla, ma di solito non si riesce. Si scopre qualcosa d'altro. Ecco perché' è' importante l'immaginazione (...) La prossimologia è' possibile solo passo per passo, anno per anno, vedendo come si evolve la situazione e cercando non di correggere, ma di capire, di inserirsi in questa evoluzione." (Claude Grenié, Conversazioni con Henri Laborit: la libertà come fuga (Eleuthera, Milano 1997).
Ecco la nostra autocritica sulla vecchia Dichiarazione. Buona lettura!]

SIAMO ANCORA VIVI, BASTARDI!

Sono passati tre anni da quando abbiamo reso pubblica questa dichiarazione d'intenti, ed è almeno dal Gennaio scorso che ci interroghiamo sulla necessità di scriverne una seconda, per fare il punto, ridefinire le coordinate, confermare o smentire alcune affermazioni, valutare i pro e i contro di certi percorsi. Risultato: ci siamo convinti che è' molto meglio non dichiarare alcun intento, che ancora una volta sono le opere e la prassi a dover occupare tutta la scena, non le facce né le idiosincrasie né le intenzioni dell'autore.
Tuttavia, nel momento fondativo di questo nuovo progetto, era difficile tenersi alla larga dalla tentazione del 'manifesto programmatico' (per quanto piuttosto anomalo). Ed è' quindi impossibile, oggi, sfuggire ad alcune considerazioni.

1) Tra gli intenti iniziali - en passant - si cita anche lo scouting, l'editing, il lancio di prodotti 'esterni' al collettivo. Pura illusione. A meno di essere 'organici' (leggi: stipendiati e attrezzati all'uopo) a qualche collana o casa editrice è molto difficile dedicarsi a un'attività simile. Le caselle di posta si riempiono di scritti, racconti, romanzi e il tempo per leggerli diminuisce in proporzione. Se escludiamo i libri autobiografici di Vitaliano Ravagli, confluiti dentro Asce di Guerra, in nessun altro caso finora ci è capitato di 'far pubblicare' qualcuno. Consci di quest'insuccesso, abbiamo cercato di risolvere il problema 'dal basso', sollevando la questione direttamente su /Giap/. E da alcuni giapsters, puntuale, è arrivata una soluzione possibile: I Quindici, un comitato aperto e autogestito di 'lettori', una ventina di persone disponibile a ricevere testi, commentarli, dare feedback dettagliati. Un piccolo 'campione' di un pubblico più vasto. Le cose giudicate migliori, a loro volta, ci vengono segnalate per un'ulteriore lettura. E da qui, si stanno pensando nuovi sbocchi.. Forse Internet e la tecnologia p2p per la condivisione di file, possono essere la risposta adeguata per chi meriterebbe di farsi leggere ma non trova il modo di farlo. La comunità degli utenti può lavorare per lui/lei, e diventare un vero e proprio canale di distribuzione alternativo, capace di imporre uno scrittore all'attenzione di un pubblico interessato a leggerlo..
Ma per tutto questo, siamo ancora agli albori [...]

2) "Impresa politica autonoma" era un concetto ancora piuttosto trendy, nel movimento 'centrosocialista' degli anni Novanta. Oggi nemmeno sotto tortura useremmo lo stesso slogan. Vanno benissimo i due aggettivi, "politica" e "autonoma", rispetto ai quali non c'è molto da aggiungere. Ma l'impresa cognitiva, con l'attuale depressione economica, ha finito per mostrare i suoi limiti. I tempi della new economy sono un ricordo sbiadito, quando i lavoratori del cervello potevano trasformare la grande disponibilità di capitali inflattivi (comunque risultato di speculazioni e super-sfruttamento) in un'opportunità di redistribuzione del reddito, facendosi largo a colpi di neuroni per evitare che i soliti oligopoli si spartissero la torta. Lo spazio c'era, i soldi sembravano veri. Da qui l'opportunità di tanti assalti stile Q, dalle secche dell'underground a una piena visibilità, dal 'dilettantismo' al professionismo.
Al momento, l'aria è cambiata e la crisi affida i capitali nelle mani di pochi signori della guerra. I lavoratori del cervello vedono erodersi possibilità di reddito, garanzie illusorie, effimere conquiste. Altro che farsi 'impresa' - col rischio, peraltro sempre in agguato, di un terribile autosfruttamento, in cui si diventa 'padroni di se stessi', senza essere meno stronzi di qualsiasi altro padrone. La sfida è semmai la "lotta di classe", che al momento si presenta in una forma piu' "classica" e vintage: lavoro vivo versus capitale, lavoro mentale versus capitale parassitario.
La sfida non è 'imprenditoriale'. La sfida è vitale, dimensione che contiene tutto: fa parte della vita cercare di dare il meglio in qualunque situazione. Bisogna rimanere in piedi.
Raymond Carver lavorava in segheria e scriveva di notte.
Stephen King batteva sui tasti di una Remington poggiata sulle ginocchia, mentre il traghetto su cui faceva il cameriere solcava le onde.
Dalla notte dei tempi i cantastorie consumano le suole (quando le hanno) spostandosi da un villaggio all'altro, tamburi e chitarre portati a dorso di mulo.
Henri Charrière detto "Papillon" contava il ciclo delle onde in attesa di quella che lo avrebbe portato al largo, aggrappato a un sacco, sibilante: "Sono ancora vivo, bastardi!".
Non siamo certo qui per farci spaventare.

3) Per finire, l'elenco degli obiettivi 'toppati' sarebbe incompleto se, a proposito di quanto appena detto, non si parlasse anche del famigerato 'rapporto da impresa a impresa' che Wu Ming si prefiggeva di instaurare con i propri 'committenti'. Nulla di più illusorio.
Da un lato, perché il nostro voler essere impresa si è scontrato con le difficoltà di cui sopra, trasformando spesso quel rapporto in battaglie sindacali senza sindacato, comuni a tanti lavoratori atipici, con l'unico vantaggio di un certo 'potere contrattuale' e di un ottimo agente, il celeberrimo Heriberto Cienfuegos.
Dall'altro, se definire Wu Ming un'impresa è stato senz'altro azzardato, non è che il termine si adatti meglio alla maggior parte dei soggetti che dovrebbero produrre cultura in questo paese. I veri 'imprenditori' si contano sulla punta delle dita. E non tanto per via di vacche magre, chiari di luna e altre miserie. Piuttosto, perché la logica del profitto, con la quale pensavamo di doverci scontrare, è davvero merce rara, della quale si finisce addirittura per avere nostalgia. Idem per l'efficienza, il tempismo, la produttività, il marketing. Magari dall'altra parte ci fossero 'spietati capitalisti', una controparte definita: almeno i giochi sarebbero chiari. Molti di questi 'produttori', invece, non hanno nemmeno lontanamente il compito di produrre ( e guadagnare). Piuttosto, dislocano, ricollocano, bruciano capitali. Sono pochi i soggetti con cui è possibile lavorare, per vendere buoni libri e girare film che escano nelle sale. Per molti altri è l'ultimo dei problemi.

Questi, dunque, gli errori di prospettiva, le cantonate e gli ostacoli del percorso. Ovvero le valutazioni che ci sentivamo in dovere di condividere con i lettori.
Quanto ai punti di forza, alle azzeccate tendenze, ai rifugi sicuri costruiti su impervie montagne, non spetta a noi decantarne le virtù.
Giudicheremo dagli sviluppi, presentandoci alle dogane del futuro con un sorriso malizioso, i documenti falsi e un "niente da dichiarare".



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La Pluriversità dell'Immaginazione "Grazia Cherchi",
diretta da Stefano Benni, presenta:

LA QUARANTESIMA NOTTE
Storie per attraversare il deserto
Seminario coordinato da Wu Ming


5 incontri dalle ore 20.30 alle ore 22.30 ogni giovedì pomeriggio dal 13 marzo al 10 aprile 2003.

Sala Sirenella, via Andreini 4, Bologna (Tel. 051 502053)
Contributo: euro 40,00
Sconto giovani under 30: euro 20,00

13 marzo
Wu Ming
Presentazione: "La quarantesima notte"

20 marzo
Wu Ming e Valerio Evangelisti
"Questa terra è la mia terra: America e anti-americanismo"

27 marzo
Wu Ming e Jacopo Fo
"Epidemie. Antrace, Aids e altre truffe. Polemiche a manetta"

3 aprile
Wu Ming e Mauro Bulgarelli
"Enduring War - La guerra come ambiente"
(cfr. http://www.dalbasso.org/)

10 aprile
Wu Ming e Franco ‘Bifo' Berardi
"Terra di nessuno. Europa ed europeismo"


per info e prenotazioni:

Associazione Culturale Italo Calvino
Via San Felice, 11 - 40122 Bologna
Tel. 051.224039 - FAX 051.266402
calvino@iperbole.bologna.it

Sulla Pluriversità dell'Immaginazione:
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PSEUDONIMI E MITO DELL'AUTORE
Discussione tra Sergio Soriani e Wu Ming 1

FATTO: siete accusati di usare gli pseudonimi. Gli argomenti a suffragio di questa accusa sono vari. Me ne ricordo 2: infantilismo e viltà. Si pongono rispettivamente sul livello psicologico e su quello morale.

INTENZIONE: vorrei esprimere il mio punto di vista in merito.

FONTI: la fonte delle mie informazioni in questo caso è: Hauser, Storia sociale dell'arte, Einaudi.

PRECEDENTI DELL'ANONIMATO DELL'AUTORE: si collocano nell'epoca medioevale. L'autore, l'artista in nel Medioevo era anonimo e, anche quando non lo era, non rivestiva alcuna importanza. La ragione di questa automatica negligenza era il modello prevalente. Questo modello assegnava la priorità, direi la predominanza assoluta all'opera. La creatività individuale era sconosciuta. La creatività era predicata solo di Dio.

IL MITO DEGLI AUTORI: è nell'epoca umanistico-rinascimentale che nasce, si sviluppa e stabilizza il mito dell'Autore. Si arriva a ribaltare la prospettiva medioevale: l'opera è una funzione dell'Autore, è ciò che valorizza l'Autore. Questo punto di vista va collegato all'affermarsi definitivo del razionalismo e dell'individualismo borghesi. L'arte assume una piega individualistica in rapporto allo schema generale della società. L'individualismo dell'arte è un riflesso e un sintomo dell'individualismo che impregna l'economia e la società.

LO STATO ATTUALE: Il modello individualistico borghese permane. L'artista si muove all'interno di questo modello.

LA VOSTRA OPERAZIONE: La scelta dello pseudonimo collettivistico segna una presa di distanza critica rispetto al modello prevalente, il vostro rifiuto.

ASPETTI PROBLEMATICI: L'anonimato medioevale era coerente con la mentalità, la cultura e la società del tempo. Il vostro è incoerente. Sorgono però dei problemi:
a)La vostra presa di distanza per non essere interpretata come una bizzarria, una civetteria o peggio un individualismo ancora più radicale di quello normativo deve appoggiarsi a una concezione generale alternativa. Generale e quindi economica, sociale, politica e culturale;
b)La vostra presa di distanza è simbolica e non concreta. E' simbolica perché vivete in una società' in cui l'anonimato è di fatto impossibile. Esistono strumenti di identificazione che aboliscono alla radice la possibilità di essere anonimi. Infatti voi non siete di fatto anonimi;
c)E' possibile che una proposta di fatto solo simbolica fondi un piano concreto? A questa domanda, coerente con l'analisi, non so trovare risposta precisa allo stato attuale.

IL MIO GIUDIZIO SULLA VOSTRA SCELTA: secondo me la vostra scelta presenta degli aspetti di valore, dovuti alle seguenti ragioni:
a)Introduce una mentalità divergente in un contesto dove vige la conformità alle regole del gioco stabilite. La divergenza porta di per sé a iniziative di ricerca che mirano a soluzioni di tipo diverso;
b)Cerca di riportare il focus della comunicazione sui messaggi piuttosto che sugli autori, rompendo il carattere narcisistico e sostanzialmente acritico della cultura attuale.

Presenta però anche dei limiti:
a) E' una mossa avulsa: non è sorretta da un orientamento complessivo condiviso e concretamente operante che la giustifichi sul piano razionale e la renda comprensibile: ecco perché taluni possono tacciarvi di infantilismo e viltà;
b) E' una mossa che rischia l'inefficacia perché è definita: il sistema dei diritti d'autore potrebbe appiccicarvi l'etichetta di "coloro i quali sono contro i diritti d'autore" e disporvi sullo scaffale relativo. Siete suscettibili di integrazione, un po' come i testi anti-globalizzazione che vengono venduti nei supermercati. E' una mossa che sta dentro la Logica dello scontro. Sarebbe più efficace una mossa entro una Logica di processo. Ignoro d'altra parte quale potrebbe essere.

Ecco, questo è il mio punto di vista provvisorio in merito.
Vi ringrazio e vi saluto.

Sergio


***

[WM1:]
La tua analisi è interessante, ma qui c'è una serie di malintesi:

"Wu Ming" è il nome di un gruppo di cinque persone, di una band, come "The Rolling Stones" o "I Giganti" o "Premiata Forneria Marconi". Non mi sembra niente di strano, e mi sforzo di capire perché mai questo non venga percepito e venga costantemente equivocato. La risposta che mi dò è: in letteratura sono molto più diffusi e duri a morire i pregiudizi individualistici. Fatto sta che nessuno ha mai accusato di vigliaccheria una rock band perché usava un nome collettivo, sennò tutti dovrebbero fare come Emerson, Lake & Palmer o come Crosby, Stills, Nash & Young. Come lo vedi un libro firmato "Bui, Cattabriga, Di Meo, Guglielmi & Pedrini"? E i Centipede, gruppo jazz-rock degli anni Sessanta-Settanta? Erano in cinquanta, pensa se avessero usato tutti i nomi e i cognomi...

Il nome di questa band, in cinese, ha un significato, che è "anonimo", ma non vuol dire - letteralmente, banalmente - che noi stessi vogliamo essere paranoicamente anonimi, quanto dire che i nostri nomi e la nostra eventuale presenza nel misero stardom dell'italica narrativa non dovrebbero rivestire importanza né per noi né per i lettori. Se i nomi delle bands dovessero essere interpretati letteralmente, allora Sting, Andy Summers e Stewart Copeland dovrebbero essere considerati poliziotti a tutti gli effetti, e potremmo andare a comprare il pane alla forneria Marconi.

All'interno di questa band, ognuno di noi usa una specie di "nome d'arte", che è composto dal nome del gruppo più un numero, seguendo l'ordine alfabetico dei nostri cognomi. Ora, di bands i cui singoli membri avessero un nome d'arte la storia del rock (e soprattutto del punk) è piena zeppa: nei Sex Pistols c'erano "Johnny Rotten" e "Sid Vicious", che in realtà si chiamavano John Lydon e John Beverley.

L'uso di pseudonimi, eteronimi, nomi d'arte, io lo vedo costante e onnipresente in tutte le epoche, non è esclusivamente medievale: oggi lo trovi nel rock in mille e mille casi, nella letteratura (Ed McBain ed Evan Hunter sono due scrittori diversi ma sono anche la stessa persona, per non parlare di Pessoa)... A quanto mi consta, nessuno ha mai dato del vigliacco a Bob Dylan perché non si firma "Robert Zimmermann" o a Woody Allen perché non si firma "Stuart Konigsberg".

Detto questo, come abbiamo già scritto molte volte (soprattutto in "Copyright e maremoto"), l'epoca dell'autorialità esasperata e certificata ossessivamente, del Grande Nome dell'Autore, è già in pieno declino, proprio come la proprietà intellettuale come l'abbiamo conosciuta negli ultimi secoli. Questo grazie soprattutto alla spinta della Rete. Ci vorrà un bel pezzo prima di togliere di mezzo i residui e le incrostazioni, ma la tendenza è ben evidente. Stiamo passando dalla cultura "di massa" a una cultura neo-"popolare". Non conoscerò mai i nomi di tutti quelli che hanno sviluppato e continuano a sviluppare il software libero. Non conoscerò mai i nomi di tutti quelli che ogni giorno su web, su usenet o via e-mail producono cultura, formano comunità virtuali, diffondono leggende metropolitane e modi di dire, testi anonimi, barzellette, favole...

Ragion per cui, non ci muoviamo nel "simbolico", ma nel grande fiume di un processo concreto e reale.


***


[Sergio:]

Ho letto la tua replica. Vorrei ora chiarire i malintesi del mio versante.

Primo: io non vi accuso di usare pseudonimi. Per me la questione non sussiste neppure. Sussiste il fatto che alcuni vi accusano di adoperarli; ho cercato di capire perché e di domandarvi se avessi ben capito. Mi ha sorpreso che taluni vi criticassero su questo.

Secondo: ammetto che la distinzione rigida fra piano concreto e piano simbolico è criticabile, come accolgo la vostra replica: non siete solo simbolici; tuttavia fra le produzioni artistiche e l'ordine socio-economico sussiste necessariamente un rapporto che varia a seconda delle epoche. Tu mi dici: in quest'epoca realmente avviene un processo di dissoluzione del diritto d'autore legato alla diffusione delle nuove tecnologie. Sì, senza dubbio, ma osservo anche questo: il processo avviene in un contesto economico e sociale di segno opposto, riscontrabile anche sul piano culturale: non stiamo forse assistendo alla più grande concentrazione dei mezzi di produzione culturale, scientifica e artistica mai avvenuta prima? Se oggi esiste un livello popolare progressivo e dinamico della cultura, esiste di sicuro un livello ufficiale, monopolistico e autoritario della cultura stessa. Come si mettono in rapporto questi due livelli? Tu rispondi così: i due livelli confliggono e l'esito arriderà al livello popolare ascendente. Io rispondo: non lo so.

Terzo: il rock è una delle mie colonne sonore più care, i Rolling Stones la band più amata (i Rolling dei '60 e '70), ero un sostenitore del Mucchio Selvaggio. Ci vado a nozze con il rock- ma il punto è questo: i punk inglesi erano reali, esprimevano un disagio concreto etc, ma non hanno intaccato nulla: la società inglese è planata tranquillamente nel liberismo selvaggio. Proprio questo genere di discrasie mi fanno sospettare. Ed esempi simili nella storia ce ne sono mille: se vivi nel 1927 a Parigi e leggi Breton rischi di abbacinarti perché la partita giocata non è quella fra la liberazione integrale dell'uomo e l'ordine borghese capitalistico, ma la partita tra l'ordine borghese capitalistico e i fascismi e in un attimo ti ritrovi nella IIa guerra mondiale.

Quarto: secondo me un ostacolo enorme è costituito dalla figura degli ESPERTI, versione secolarizzata dei pastori d'anime. Esperti che dicono come si deve pensare la politica, la società, l'economia, la sessualità, l'amore, la crescita dei figli, l'urbanistica e quant'altro. Gli ESPERTI stroncano alla radice sotto il pretesto della verità scientifica la legittimità dei desideri e delle esigenze concrete della moltitudine, impedendo di discuterli liberamente.

Ci sarebbero altre cose, ma ora devo andare. Ciao, grazie.

Sergio



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CURIOSITA':

Giuseppe Genna chiede scusa a Wu Ming

http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/000750.html#000750



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Altri commenti interessanti sulla questione "Lavorare con (il gruppo) Mondadori". Pareri di altri due scrittori (Dario Voltolini e il Genna di cui sopra), botte e risposte con Wu Ming 1 e Wu Ming 4.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/mondadori4.html




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Tra una settimana (max dieci giorni) spediremo il numero speciale "Nandropausa" (#3bis) coi vostri commenti sui libri che abbiamo segnalato nel n.3 - continuate a spedirci note, dubbi, mini-recensioni.
Nandropausa#3 è qui:

http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa3.html


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Iscritt* a /Giap/ in data 21/01/2003: 3352
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