da l'Unità - Emilia Romagna, mercoledì 6 marzo 2002

I Wu Ming tra Cary Grant e Tito
In libreria (e gratis in Internet)* "54", il nuovo romanzo del collettivo bolognese ex "Luther Blissett"

Raffaella Agostini

 

670 pagine, un centinaio di personaggi, una superstar come Cary Grant e il presidente yugoslavo Tito: ieri è uscito "54" (Einaudi), il nuovo romanzo del collettivo Wu Ming, gli ex-Luther Blissett di "Q". Torna in libreria il collettivo di scrittori bolognesi che nel '99 rappresentò un vero caso letterario. Chi si celava dietro Luther Blissett? I suoi membri Giovanni Cattabriga, Roberto Bui, Luca Di Meo e Federico Guglielmi dissero "i nomi anagrafici non contano", rivendicando l'identità collettiva della scrittura e mettendo al bando il culto dell'autore. Ritornano con un nome che è una dichiarazione d'intenti: Wu Ming, appunto, che in cinese significa "nessun nome". Niente fotografie, niente riprese: la promozione di "54" sarà affidata alle parole e al loro ideogramma e il libro, scaricabile gratuitamente, uscirà libero da copyright.

Gli autori di "54" sono gli stessi di "Q" o altri nomi si sono aggiunti al collettivo? Vivete ancora tutti a Bologna?

Gli autori sono gli stessi quattro. Al momento, però, Wu Ming è un pugno di cinque dita. Wu Ming 5 si è aggiunto quando 54 era già in lavorazione. Per il futuro ci saranno progetti a 5, a gruppi ricombinati, nonché esperimenti solisti. Bologna è tuttora il nostro quartier generale.

Un salto di circa 400 anni da "Q": cos’è "54", com’è nato?

Ci interessava esplorare un anno del Novecento, dall’inizio alla fine. Né troppo ravvicinato, né troppo distante. Se vai in una biblioteca e ti metti a leggere un’annata a caso di un quotidiano, le storie e i personaggi ti saltano letteralmente addosso... Dentro 54 sono finite storie a sufficienza per scrivere dieci romanzi, selezionate e intrecciate in maniera da avvinghiare il lettore e suggerirgli qualcosa di interessante anche per l’oggi.

Cosa dovranno aspettarsi i lettori?

54 è una specie di vortice: all’inizio le storie sembrano scollegate, e bisogna lasciarsi trascinare dal piacere della lettura. Poi i cerchi si stringono, le onde si alzano, e il finale è un mulinello. Rispetto a Q, il tono è più leggero e la lettura ‘politica’, a una prima occhiata, può sembrare meno evidente.

Lo avete definito il romanzo più ambizioso e quello più difficile da scrivere. Perché?


La lettura doveva risultare scorrevole nonostante la trama molto complessa, più ancora che nei lavori precedenti. Si passa dagli States a Mosca, dall’Italia alla Francia alla Jugoslavia. Dall’Inghilterra a Città del Messico. Ci sono un centinaio di personaggi, sedici diversi punti di vista, tra cui quello di un piccione viaggiatore e quello…di un televisore. Abbiamo lavorato molto sulla lingua dei personaggi, specie per quelli italiani: volevamo che si sentissero le differenze regionali senza tuttavia affaticare il lettore...

Cosa c’entra Cary Grant con Tito?

Impossibile rivelarlo senza rovinare la sorpresa.

A quali fonti avete attinto?

Film. Libri di cinema. Tutte le biografie esistenti di Cary Grant. L’annata 1954 di Carlino, Unità, Corriere e "Il Piccolo" di Trieste. Il film di Francesco Rosi Lucky Luciano e svariati libri sul crimine organizzato. Decine di libri su Tito e la Jugoslavia. Un libro sui piccioni viaggiatori, uno sulla boxe bolognese, uno sulla filuzzi. I ricordi di nonne, zie e parenti vari. Dizionari di dialetto bolognese, siciliano e napoletano.

Il Luther Blisset Project è terminato nel 1999. Perché questo nuovo battesimo?

Eravamo Luther da cinque anni e ci andava di cambiare. Poi non volevamo che LB venisse per forza identificato con gli autori di Q: noi eravamo soltanto un granello di sabbia sotto l’unghia del pollice destro dei piedi di loto del Multiplo.

Sul vostro sito usate lo slogan "Revolution is faceless": cosa pensate dei movimenti no-global e di chi li rappresenta?

Non esistono movimenti "no-global", fatta eccezione per qualche nazista. Si tratta di un'etichetta sciagurata che purtroppo qualcuno ha finito per auto-affibbiarsi. La globalizzazione è anche un risultato delle lotte che nel corso dei decenni hanno messo in crisi il vecchio stato-nazione e l'imperialismo classico, non si può rifiutarla univocamente, occorre sottrarne il controllo al capitale e ai progetti di guerra stabilizzante permanente. Quanto alla rappresentanza, questo movimento non ce l'ha e non la cerca nemmeno.

In questo momento molti intellettuali italiani stanno scoprendo o riscoprendo l’impegno, escono allo scoperto, bacchettano i politici, vengono acclamati nelle piazze: risponderete all’appello?

No. In primo luogo perché non ci consideriamo intellettuali, almeno non in quel senso. Disprezziamo le baronìe universitarie, la produzione di dissenso salottiero e qualsivoglia forma di discorso "ex cathedra". Per quel che ci riguarda gli intellettuali con la bacchetta, che si svegliano solo perché sconfitti e minacciati nei loro privilegi di casta, possono tornare sottocoperta. Noi sul ponte ci siamo da sempre, come persone e come scrittori, al centro della burrasca popolare. Quanto ai politici di sinistra, li bastoniamo da molto prima che perdessero le elezioni.

Avete scritto che "il futuro della comunità umana dipende in larga misura da ciò che succederà e sta succedendo sul versante del Pacifico", cioè in Cina e nell’Estremo Oriente. In questo momento sembra però il Medio Oriente, il vero enigma per il futuro…

Il Medio Oriente, purtroppo, produce solo cancrena, disfacimento, apocalisse... Il futuro o il collasso del pianeta dipende da quale modello di sviluppo e consumo sceglierà il miliardo e mezzo di cittadini della repubblica popolare cinese. Là, ogni scelta è "costituente", fondativa.

Nel manifesto di Wu Ming scrivete: "Il termine multimedialità è vecchio perché pleonastico": con quale lo sostituireste?

Un pleonasmo non va sostituito, va evitato.

 

* [non subito, come si evince dall'articolo, bensì - come è nostra prassi - 6-8 mesi dopo l'uscita in libreria]