da "Booklet", inserto mensile del Mucchio selvaggio, n. 484, 30 aprile / 6 maggio 2002:

LIBRO DEL MESE

Dopo Havana Glam, il nuovo romanzo siglato Wu Ming - questa volta collettivo a tutti gli effetti - tende decisamente verso il classico, dove un termine del genere non ha nessun sapore accademico o "rigido", ma piuttosto si riferisce alla maestria con cui gli incastri narrativi e i punti di vista sono stati messi insieme. Un'altra operazione di artigianato scrittorio che merita tutta la vostra attenzione.

Alessandro Besselva ***
Dopo l'esperimento un po' atipico, tra documento e fiction, di Asce di guerra, in compagnia del vietcong romagnolo Vitaliano Ravagli, e la prova dell'ultimo arrivo nell'atelier narrativo bolognese, Riccardo Pedrini alias Wu Ming 5, alle prese con un eccellente Havana Glam, ecco finalmente il vero e proprio seguito dello splendido Q: per inciso, uno dei pochi romanzi forti, ambiziosi e politici - ovvero con uno sguardo sul mondo e non sul proprio cortile - pubblicati negli ultimi anni in Italia. 54 mantiene le ambizioni del predecessore, scegliendo nuovamente la via dell'affresco storico, concentrandolo questa volta in un unico anno dell'immediato dopoguerra, momento chiave attraversato da vicende solo apparentemente distanti. Al sottoscritto è piaciuto in particolare - al di là dell'indubbia capacità di gestire una scrittura eclettica e polifonica: su questo non c'erano dubbi - il ricorso, equilibrato e incisivo, allo humour, scelta che smentisce una volta per tutte chi pensa che i cinque si prendano troppo sul serio.

Aurelio Pasini ***
Oltre seicento pagine, almeno - il conteggio è approssimativo - quattro o cinque sottotrame e ambientazioni che vanno da Bologna a Hollywood, in una mescolanza di storia e fiction, ma anche di generi e stili, che riesce nella difficile impresa di non apparire particolarmente pretenziosa, risultando anzi avvincente e persino emozionante. Insomma, i ragazzi terribili del collettivo Wu Ming colpiscono ancora, e si riconfermano come una delle realtà più affascinanti dell'odierno panorama letterario tricolore. Un racconto corale, in cui a un giovane barista emiliano può, più o meno verosimilmente, capitare di salvare la vita a Cary Grant sulle coste della Jugoslavia, mentre tutto intorno il mondo sta vivendo una fase importantissima, portatrice di profondi cambiamenti sia politici (una Guerra Fredda di cui ancora oggi appaiono evidenti i segni) che sociali e di costume (l'avvento della televisione). Tutti elementi che affiorano costantemente nell'opera, tanto che non è sbagliato individuare in essi i veri protagonisti di un romanzo destinato, crediamo, a far parlare parecchio di sé

Maura Murizzi ***
Immagino che tra cinquant'anni i miei nipotini, riforme Moratti permettendo, leggeranno di Wu Ming sui manuali di storia della letteratura. E seppure quasi certamente sarà scritto che Q rimane il loro capolavoro insuperato, a 54 sarà riservato uno spazio di tutto rispetto, con antologie di brani tratti dal bar Aurora di Bologna, dal Casinò di Cannes o dal confine italo-francese. E anche allora, i miei nipotini si divertiranno a scoprire le chiacchiere e le leggende del bar, il rito della schedina giocata in società, la battuta blasfema su padre Pio. E trepideranno per i destini di Kociss e di Robespierre, di Ettore e Cary Grant, per lo schiaffo a Lucky Luciano e per il televisore che non fuzniona, per la tresca tra Angela e Pierre, per la serata al tavolo da gioco in Costa Azzurra... Avranno nostalgia per quel mondo superato dai telefonini e dalle chat, dalle televendite e dai corrieri superveloci, e si chiederanno che razza di ballo fosse la filuzzi se era tanto difficile da poter essere praticata solo tra uomini. Lo crederanno un romanzo storico, tanta è la cura certosina della documentazione, ma finiranno per ricordarlo come una divertente e chiassosa epopea che avvicina Fidel Castro a Pierre Capponi, Hitchcock a Salvatore Pagano, Frances Farmer a Cary Grant, Lucky Luciano a Ettore Bergamini.

Carlo Viola ****
Non so dove andrà ancora a parare questo collettivo di "destrutturazione" letteraria, affabulatoria, a tratti pure politica. Di certo è riuscito a dare a noi lettori qualcosa di davvero godibile da leggere in un panorama che tante volte si rivela rigidamente accademico o comunque lontano dalle pulsazioni della realtà o dalle inquietudini che si respirano "in giro". Nonostante le apparenze, 54 è tremendamente attuale, trasmette passione e una visione "antagonista" che riesce a diventare una esperienza di buon profilo, soprattutto dal punto di vista artistico. Senza mancare di humour i cinque bolognesi rispolverano situazioni narrative senza tempo e incrociano i tasselli di una vicenda non solo documentata, ma anche fantasiosamente risolta e che fa venire voglia di frequentare più di una volta, Piacere e coscienza. Che volere di più?

 

BOTTA E RISPOSTA

WU MING
di Francesco Mazzetta

Inauguriamo un nuovo spazio per inquadrare, mensilmente (più o meno), un libro e/o un lavoro letterario che ci sembrano particolarmente significativi attraverso poche e precise domande all'autore. Il varo di questo spazio è dedicato al collettivo Wu Ming ed al recentissimo 54 (Einaudi).


Cos'è che vi ha spinto a scegliere il 1954 come periodo chiave del romanzo? Quali, se vi sono, le somiglianze o i rapporti col nostro 2002?

All'inizio volevamo parlare del "caso Montesi". Ci siamo tuffati nei microfilm dei giornali d'epoca, e quelle pellicole graffiate, quei titoli un po' sfocati, quegli accostamenti tra notizie estranee l'una all'altra (Lucky Luciano, Trieste, i test atomici etc.), insomma tutta la catena di eventi di quell'anno... Un vero shock cognitivo. Il caso Montesi è arretrato sullo sfondo, ed è emerso tutto il resto. Il brainstorm - durato settimane - è partito dalla poderosa mole di appunti e dalla visione di decine di film di quel periodo, da Totò e Carolina a La tunica fino a "Caccia al ladro", che ha impresso *la* svolta, spostando l'azione nel Sud della Francia, trascinando nel plot l'Indocina, Marsiglia, Bao Dai e il suo codazzo. Quanto a Cary Grant, siamo suoi grandi ammiratori. Wu Ming 4 aveva un poster di Grant appeso sopra il letto, nella camera di quand'era teenager. Quanto alle similitudini, ogni anno ha qualcosa in comune con tutti gli altri. Non c'è un impianto allegorico coerente, se è quello che volevi sapere.


Spionaggio e "filuzzi", cinema e chiacchiere da bar, politica e adulterio. Ciò che sta in alto e ciò che sta in basso (per dirla alla Jodorowski) indissolubilmente mescolati. Eppure la storia (meglio: la "Storia") sembra passare alta sulle teste dei personaggi, siano essi poeti, campioni di ballo, gangster, stelle di Hollywood, spie russe o capi di stato. Sembra non sia possibile cambiare il destino, individuale o collettivo. E' convinto tale fatalismo? E' una visione del mondo o si tratta solo di un espediente narrativo?

Questa lettura ci lascia molto perplessi. Secondo noi sono "le storie" - le vicende delle moltitudini - il motore della "Storia", e riflettiamo questa convinzione nella - a volte esasperata - coralità dei nostri romanzi. La Storia non la fanno i poteri costituiti: in 54 non c'è una sola operazione dei servizi segreti che vada a buon fine (citiamo Q: "Non esiste un Piano che possa prevedere ogni cosa"), ogni volta c'è un'interferenza, una coincidenza, un nesso causale di cui non s'era tenuto conto, una cazzata che rovina tutto. Ogni complotto produce un effetto-farfalla che lo nega retroattivamente. Come ogni nostro libro, e al di là della nostre stesse intenzioni, 54 racconta la soggettività e i limiti che essa pone all'esercizio del potere, narra i "disturbi" nella ricezione dei diktat, le vie di fuga che cambiano i punti di vista sul mondo. In Q il potere produce una soggettività che diventa un limite imponderabile al compimento del Piano (la "defezione del miglior agente sull'ultimo miglio"), tutta la terza parte del romanzo (il "diario di Q.") è un'esplorazione di quella soggettività e delle sue trasformazioni. Asce di guerra parla di come la negazione di una trasformazione sociale in una parte del globo (la "Resistenza tradita") può rovesciarsi in un imprevedibile contributo a un cambiamento epocale (le rivoluzioni anti-coloniali). 54 è un romanzo sulla redenzione, singolare e collettiva, e sullo stile come àncora di salvezza, forma di resistenza, contributo a una mitologia positiva e fondativa. Tutti e tre i romanzi si chiudono con riflessioni sulla lotta che prosegue incessante e ogni volta schiude nuovi scenari. Qualunque "fatalismo" sarebbe totalmente in contrasto con quello che siamo, col marxismo autonomo del nostro background politico-culturale e con la nostra concezione della Storia.


Mentre Robespierre Capponi, e gli altri protagonisti bolognesi di "54", spiccano a tutto tondo dalla pagina come li avessimo di fronte in carne ed ossa, i personaggi più lontani, e su tutti Cary Grant, non c'è verso di riuscire a visualizzarli, di far coincidere l'immagine letteraria a qualla tramandataci dal cinema o dai libri di storia. Perché allora a questi personaggi "astratti" viene data nel romanzo tanta importanza, anche a scapito dell'intreccio bolognese (che fine fa, ad esempio, il dottor Montroni, membro influente di partito, cornuto, vendicativo e forse omicida)?

Anche stavolta, è una lettura che ci appare in contrasto con tutto il feedback ricevuto dai lettori e con quelle che erano le nostre intenzioni, quindi facciamo molta fatica a rispondere. Cary Grant ci sembra "a tutto tondo", la sua psiche è scandagliata in modo certosino, con tutta l'elaborazione dei lutti e del dolore. La sua immagine è coerente con quella emersa dalle migliori biografie, in particolare l'impegno profuso nel processo di "invenzione di Cary Grant" (per dirla col suo biografo Graham McCann) e la vera e propria arte marziale che gli permise di mantenere il personaggio. Più lettori ci hanno detto che nel leggere le sue frasi sentivano la voce del suo doppiatore. Che fine faccia Montroni non ci sembra una questione importante, anzi, lo stesso Montroni non è importante, è solo un pretesto, tant'è che non compare mai in scena. Molto probabilmente avrà continuato a dirigere il partito e a compiere abusi psichiatrici.


La divisione industriale all'interno del processo creativo letterario propugrata da Wu Ming come avviene in concreto?

Il metodo cambia a seconda del libro, comunque non c'è una divisione "industriale", in base alle mansioni. Tutti fanno tutto, dalla ricerca all'improvvisazione collettiva alla stesura della sceneggiatura alla stesura del libro fino alla revisione finale. La prima stesura di ciascun capitolo viene assegnata in base ai desideri dei membri del collettivo, ma tutto il materiale continua a ruotare e a essere ri-scritto da piu' persone, finché tutti non sono soddisfatti.