da "L'unità" di venerdì 8 marzo 2002:

 

1954 - Le profezie di Wu Ming
Tra gli Usa della guerra fredda e l'Italia di Fanfani: un altro romanzo storico del collettivo bolognese

 

Antonio Caronia

Millenovecentocinquantaquattro: volge al termine il maccartismo, uno dei periodi più oscuri e deprimenti della storia degli Stati Uniti del secolo XX. 1954: la guerra di Corea è appena finita, ma il fronte indocinese è rovente. I partigiani vietnamiti di Ho Chi Minh e di Giap espugnano Dien Bien Phu, la Francia si ritira dall'Indocina sostituita dagli USA, la conferenza di Ginevra sancisce la divisione in due del Vietnam. 1954: si risolve la questione di Trieste: la città all'Italia, l'Istria alla Jugoslavia. 1954: dopo la morte di Stalin, Kruscev conquista il potere nel PCUS e tenta cautamente di ricucire lo strappo con Tito avvenuto nel 1948. 1954: la Germania federale riarma e si appresta a entrare nella Nato. 1954: la brillante carriera di attore di Cary Grant è ferma, e lui non sa se aderire all'invito di Hitchcock di recitare nel suo prossimo film con Grace Kelly. 1954: in Italia, in attesa della morte di De Gasperi, si scatena la guerra di successione nella Dc; il dinamico Amintore Fanfani, accreditato come "sinistra" democristiana, utilizza abilmente un episodio di cronaca nera, il "caso Montesi", per far fuori il suo più pericoloso concorrente interno, Attilio Piccioni. 1954: da Napoli Salvatore Lucania, alias "Lucky" Luciano, arrivato da New York, organizza le tradizionali attività illegali della malavita organizzata, tra cui il traffico di droga. 1954: in Italia arriva la televisione. E permettete che il recensore aggiunga: 1954, sei anni prima dei fatti del luglio 60 a Genova, otto anni prima degli scontri di Piazza Statuto a Torino, quattordici anni prima del Sessantotto.
Tutti gli anni, a modo loro, sono cruciali nella storia, ma qualcuno - anche se non diventa una data strica - può servire meglio di altri a mostrarne (a posteriori, certo) le tendenze. E ad ambientare più efficacemente una narrazione come quelle che piaccioni a Wu Ming, il nome collettivo dei cinque scrittori bolognesi che hanno fatto parlare di sé nel 1999 con Q (scritto da quattro di loro e firmato Luther Blissett): narrazioni avventurose e ritmate, che parlano di gente comune, delle loro esperienze, delle loro gioie e dei loro dolori, dei desideri e delle delusioni, gente comune che fa la storia senza sapere di farla (come sempre accade), ma la cui storia privata è incomprensibile e scialba se non la si legge sullo sfondo della storia collettiva. L'anno 1954 è dunque lo sfondo di questo romanzo (54, Einaudi, 676 pagine, euro 15, in libreria da oggi), in cui le storie individuali di alcuni personaggi di fantasia si intrecciano con quelle di personaggi storici: un romanzo corale (come peraltro già era Q), alla maniera del 42° parallelo di John Dos passos o di molti romanzi di Dick. Ma un romanzo in cui la storia "ufficiale" non la fa da padrona, e viene usata come collante degli eventi privati che concatenano intrighi politici, servizi segreti, contrabbando, traffico di droga, corse di cavalli truccate, amori impossibili, serate al Casinò, scazzottate e sparatorie, e la vita sociale quotidiana di un'umanità minuta ma descritta con grande affetto, a volte in modo un po' caricaturale ma in genere con grande vivezza. E che è, a mio parere, il pregio maggiore del libro.
Perchè certo, ci si diverte a spiare Cary Grant a colazione, o quando fa lezioni di eleganza e portamento al suo sosia, o quando, esasperato, spara un cazzotto sul muso a un buzzurro agente del Fbi; si apprezza la finezza della ricostruzione psicologica dell'incontro fra Cary Grant e Tito, o le considerazioni di don Luciano sulla differenza fra donne italiane e americane (che consisterebbe nell'assenza o nella presenza di elettrodomestici). Si vede che gli autori non hanno lesinato sull'accuratezza della documentazione, e hanno saputo immergersi "dall'interno" in personaggi che reputano (nel bene e nel male) interessanti. Ma più di tutto hanno saputo restituirci l'atmosfera di un'epoca che, per ragioni anagrafiche, nessuno di loro ha vissuto - e questo è tanto più ammirevole - e quest'epoca l'hanno descritta attraverso un ambiente particolare, il Bar Aurora di Bologna, con i due fratelli Capponi che lo gestiscono e la piccola corte degli avventori abituali che discutono di politica e di sport, di donne (con molta misura) e di salute, che litigano, brontolano, si sfottono, ma sempre con un affetto di base e una coesione virilmente sottaciuta che ha un solo nome: comunità. Per tutti loro, naturalmente, c'è una presenza ineludibile, amata e criticata, anche un po' temuta a volte, essenziale ma in fondo estranea alla comunità: quella del Pci. Non c'è un vero dissenso politico: tutti o quasi hanno la tessera, qualcuno fa anche vita di sezione, ma quando nel bar mette piede il segretario (di quella sezione) i discorsi non sono più gli stessi, in qualche modo ci si difende.
E le simpatie dei Wu Ming (che, non solo per ragioni anagrafiche, sono figli del 77) vanno palesemente a quelli più emarginati dal partito, al partigiano che ha fatto la battaglia di Porta Lame e poi è stato espulso e adesso fa il contrabbandiere, al professore di inglese antifascista ma "liberal", al padre dei due fratelli Capponi che nel 43, in Slovenia, ha disertato, ha fatto la resistenza con Tito e adesso non può più rientrare in Italia (e passa guai anche in Jugoslavia perché si è schierato con Djilas). E soprattutto al figlio minore di Vittorio Capponi, Robespierre detto Pierre, barista di giorno e scatenato (e ammirato) ballerino di filuzzi alla sera. Pierre attraversa tutto il romanzo, diviso tra la voglia di rivedere il padre, l'amore per Angela - sposata a un noto medico e dirigente del PCI - e un'inquietudine che ancora non capisce e gli si chiarirà solo alla fine del libro, dopo che tutti i nodi sapientemente aggrovigliati nel corso della narrazione si saranno (drammaticamente, come di prammatica) sciolti. L'eleganza del ballo e del vestire, per lui e per i suoi amici proletari, è una conquista sofferta (come lo è stata per Cary Grant), ed è il segno di un desiderio di liberazione che il partito (e il fratello maggiore) non capiscono, scambiandolo per arrivismo sociale. C'è un po' di anacronismo forse, ma Wu Ming (e non potrebbe essere altrimenti) legge il 1954 attraverso le lenti del postfordismo.
Se dovessi indicare i due temi del libro che meglio articolano il discorso su un dopoguerra che prepara altre guerre e altri conflitti (interni e internazionali), direi che sono il tema della paternità e quello dello specchio. La ricerca del padre da parte di Pierre è il segno dell'esigenza più generale di ricostruire il filo della propria storia, di salvare, insieme con la necessaria autonomia di una generazione rispetto a quelle precedenti, l'esigenza di trasmettere le lezioni e le esperienze di queste ultime. Quanto al tema dello specchio, esso è incarnato in un altro protagonista del libro, il più presente dopo Pierre: un lussuoso televisore McGuffin che passa da una mano all'altra, dall'America a Napoli a Roma e Bologna, senza mai funzionare. Ridotto quindi a fare da "muto testimone di squallori e violenze, senza nulla da opporre: vuoto davanti al vuoto". Al di là della sua funzione nel plot (che, trattandosi di una spy story, il recensore non può rivelare), direi che si tratta di una indicazione preziosa, specie in tempi, come i nostri, di telecrazia.