La Valsusa brucia, e stavolta non è una metafora. Contro le «grandi opere», per l’Unica Grande Opera

L’incendio sopra Bussoleno stamattina alle 7:00. Fotografia di Cinzia Richetto.

Un enorme incendio sta divorando i boschi della Val di Susa, dai fianchi del Rocciamelone ai dintorni di Bussoleno, da Foresto a Caprie.

Preparato da un lungo, estenuante periodo di siccità e ora spinto dal forte vento, da due giorni il fuoco si alza, avanza, estende il proprio fronte e costringe a evacuare borgate, mettendo all’ennesima dura prova una valle già troppe volte aggredita.
E la valle resiste: ancora una volta, non ha alternative alla lotta.

E ci si sente, anche da lontano, come se le fiamme fossero intorno a casa, perché quella valle per molte e molti di noi è ormai casa, perché aprendimos a quererla, e non possiamo fare a meno di tornarci, coi ricordi e col corpo, ogni volta che possiamo.

Non è l’unico incendio grave di quest’anno, di quest’estate che a fine ottobre non vuole ancora diventare autunno: c’è stato il rogo di Messina a luglio, quello al parco della Majella ad agosto… Incendi dolosi, ma resi quasi indomabili dalle condizioni climatiche.

Gli incendi non sono l’unica conseguenza della siccità: fiumi e torrenti in secca, falde acquifere basse, il cuneo salino che entra nel Po, lo smog che affoga le città…

Né, tantomeno, la siccità è la sola conseguenza del cambiamento climatico: “bombe d’acqua” e trombe d’aria colpiscono le coste e i vicini entroterra, e le città si allagano perché la cementificazione ha reso i terreni impermeabili.
[La cementificazione ha anche effetti più profondi: se la pioggia non penetra nel suolo, le falde acquifere stentano a rialimentarsi, con conseguenze ben più vaste.]

Cambiamento climatico. Si calcola che nel giro di pochi decenni potrebbero scomparire sott’acqua non solo Venezia e il suo entroterra (il MOSE è già ora un inutile relitto), ma anche il litorale friulano, Trieste fino al Carso, il Polesine e il Basso ferrarese, la Riviera romagnola…

Già adesso, come si ricordava sopra, l’Adriatico sta risalendo il Po. Quest’estate il cuneo salino è arrivato dodici chilometri a ovest della foce, con la conseguente crisi idrica, perché se c’è acqua salata al posto di quella dolce non si possono irrigare i campi, né si può ottenere acqua potabile per il territorio circostante.

Lo studio linkato poco sopra prevede, nel caso di innalzamento dell’Adriatico di poco meno di un metro, un’ingressione nell’entroterra di circa trenta chilometri entro il 2100. Proviamo a calcolare quanti profughi potrebbe produrre un evento del genere.

Il 2100 è subito dietro l’angolo, e il processo è già cominciato. Eppure, avete mai sentito qualcuno dei politici che affollano telegiornali e talk show dire una sola parola su questo?

Se il livello dell’Adriatico si innalza di un metro. La situazione nel 2100. Molti bambini di adesso saranno vivi. Clicca sull’immagine per aprire la mappa interattiva.

Tutto ciò dovrebbe costituire il problema politico, la questione n.1, la cornice entro cui svolgere ogni altro discorso, e invece rimane chiacchiera, al massimo diventa – come lo smog in questi giorni – effimera “emergenza” da affrontare con l’improvvisazione, le “toppe”, i mezzi raccoglitici.

L’abbiamo già scritto
, e non siamo certi stati i soli a farlo: anziché sperperare miliardi di euro in “grandi opere” inutili e imposte che vanno ad aggravare la situazione, bisognerebbe lavorare all’Unica Grande Opera – UGO – indispensabile e urgente: la messa in sicurezza del nostro territorio in vista dei prossimi sconvolgimenti, la riparazione del dissesto idrogeologico. Riparazione, manutenzione, prevenzione, liberazione dal cemento del maggior numero possibile di terreni, e degli argini dei corsi d’acqua.

La lotta contro le “grandi opere” è già ora parte della lotta contro il riscaldamento globale. Lo è sempre stata, perché contrasta il consumo di suolo, l’aggressione ai territori, lo spreco di risorse pubbliche, la sopravvivenza del vetusto paradigma cementizio-sviluppista. Per questo ce ne occupiamo così tanto, da anni: lo riteniamo il terreno strategico. Ed è evidente il collegamento tra la lotta No Tav che la Val di Susa porta avanti ormai da quasi ventisette anni, e la lotta contro l’incendio che in quella valle ora divampa.

Discorsi più approfonditi seguiranno. Adesso invitiamo a seguire quel che sta accadendo in Val di Susa.  #Valsusa

Noi, per quel che vale, ci rendiamo sin da ora disponibili per qualunque aiuto ed evento benefit si voglia fare in valle.

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37 commenti su “La Valsusa brucia, e stavolta non è una metafora. Contro le «grandi opere», per l’Unica Grande Opera

  1. Quasi-blackout dei media nazionali sull’incendio che divora la #Valsusa. La valle è notiziabile solo quando si tratta di biasimarne gli amministratori No Tav, di additarne gli abitanti «retrogradi» e «facinorosi», o di magnificare la “grande opera” che dovrebbe aggredirla.

    Quando pochi anni fa fu bruciacchiato un compressore, senza conseguenze per l’incolumità di alcuno, si sprecarono i titoli nazionali e le accuse di terrorismo (poi smontate più volte dalla Cassazione). Ora che un fronte di fiamme si estende per decine di chilometri, è al massimo una curiosità locale. È evidente che c’è “incendio” e incendio.

    Solo le narrazioni in cui i valsusini sono colpevoli di qualcosa si avviano in automatico. Per le altre, si valuta prima l’opportunità. Mostrare i valsusini mentre con tutta evidenza si difendono da una catastrofe potrebbe far pensare, per analogia, che anche nelle ben note circostanze si difendono da una catastrofe, e lo fanno dal 1991.

    • Ma dimmi tu… io che abito a Torino vengo a sapere dell’incendio in Val di Susa da Giap… Sono andato a vedere su Repubblica.it : è il quinto o sesto titolo nella cronaca locale.

      • Cosa vuoi mai che siano centinaia di sfollati, mille ettari di bosco in cenere e il fumo dell’incendio che è arrivato quasi a lambire la Ligura… Son mica notizie che possano interessare i torinesi, queste… :-/

      • Se vivessi o lavorassi nei quartieri ad ovest (io ad esempio lavoro a Madonna di Campagna) lo avresti sentito letteralmente a naso. L’odore di bruciato l’ho sentito io che ho un olfatto davvero scarsissimo

        • Stamattina l’odore ha raggiunto quartieri ben dentro la città, come Cenisia, dove vivo io. Mi ha colpito quanto sia diverso dall’odore di un falò, pur provenendo dalla stessa fonte, è una puzza orrivìbile che basta annusarla un secondo per capire che qualcosa non va. Evidentemente le redazioni dei giornali hanno ottimi filtri per l’aria.

          • Tra l’altro fino a una settimana fa si parlava molto di inquinamento a Torino, era una notizia nazionale. Polemiche per il blocco del traffico e per l’invito della sindaca di chiudere le finestre. Tra ieri e oggi il PM 10 ha toccato livelli (quasi) mai visti, circa il doppio del massimo della settimana scorsa, e non si parla di blocco del traffico, né di chiudere le finestre. Sembra quasi che l’inquinamento da solo meriti la prima pagina, gli incendi, invece di rafforzare la notizia, quasi lo derubricano a robetta da cronaca locale (vedere repubblica.it per credere).

  2. Terzo giorno di incendio in #Valsusa, centinaia e centinaia di ettari di bosco andati in cenere, gente che fugge dalle proprie case, ma non è ancora notizia nazionale. Non è sulle homepage nazionali di nessun grande quotidiano, e In TV solo rapidi accenni.

  3. L’ipotesi che gli incendi in #Valsusa siano dolosi, che nel post qui sopra era lasciata implicita (si vedano i riferimenti a Messina e alla Majella) troverà o meno conferme nelle prossime ore e giorni, intanto però c’è un grosso indizio: è stato trovato un innesco nel territorio di Giaveno, sulla strada che porta alla Sacra di San Michele, per fortuna prima del suo utilizzo. Non è ancora chiaro se sia collegato agli incendi già in corso, o se fosse un tentativo di approfittare di questi ultimi (o emularne i responsabili).

    Quel che è certo, dal mio punto di vista, è che in questa fase ogni incendio in montagna è doloso, e ogni incendio doloso lo è doppiamente. È già doloso ignorare lo sconvolgimento climatico. È dolosa la negligenza nei confronti dell’ambiente, del capitale naturale, dei territori. La siccità apre la via, e un potere criminale la percorre. L’innesco accende, la siccità propaga e rende le fiamme più voraci e indomabili. E la Valsusa sta andando a fuoco a fine ottobre, non scordiamoci mai di farlo notare.

    La valle, poi, soffre sia il problema generale, sia aggressioni specifiche. Ricordiamo anche che in Valsusa opera da decenni la ‘ndrangheta. Pure il movimento No Tav se l’è trovata contro. E si è sospettata la matrice mafiosa anche per gli attentati incendiari che negli anni scorsi hanno distrutto i presidii No Tav di Borgone (2010), Bruzolo (2010) e Vaie (2013), oltre alle automobili di alcuni attivisti. Di sicuro era mafioso il metodo.

    Se è presto per dire che gli incendi sono dolosi, è presto anche per indicare un movente. Di certo, c’è chi avrebbe tutto l’interesse a danneggiare la valle, a demoralizzarne gli abitanti, a generare caos, a distogliere energie.

    I valsusini non si sono mai fatti intimidire.

  4. Concordo con quanto scritto nel post e nei commenti, però mi piacerebbe che per una volta il discorso si spostasse un passo avanti ovvero, dato che

    1) il capitale non vuole occuparsi del cambiamento climatico se non per lucrarci sopra,

    2) la lotta al cambiamento climatico è invece un’urgenza estrema da affrontarsi senza perdere altro tempo perché già potrebbe essere troppo tardi ma,

    3) non si intravedono movimenti politici prossimi a sottrarre al capitale il potere (sia di mezzi materiali che di controllo di grandi territori) necessario ad attuare questa lotta,

    come dobbiamo fare per vincere questa lotta? È una domanda che mi porto avanti da quando ho finito “Un viaggio che non promettiamo breve”, lo stato attuale del movimento viene descritto come se avesse già vinto ma il capitale non può ammetterlo e quindi mantiene la militarizzazione del territorio, il cantiere, ecc. però non ci si pone per nulla la domamda ” come si fa a vincere definitivamente?”. Ovviamente non pretendo la risposta, chiedo solo che si cominci ad affrontare il discorso perché ad oggi l’unica opzione che abbiamo è sperare che nascano movimenti come i notav in tutti i territori ma, a parte il fatto che quel movimento non è replicabile in tutti i territori e che se è nato e vive da tanto in quel territorio è anche per via di contingenze storiche particolari ben descritte nel libro, se anche fosse non otterremmo che di costringere il nemico in un angolo senza però la speranza di vincere questa guerra.

    In soldoni: penso che abbiamo bisogno a più di un secolo di distanza di tornare a chiederci “Che fare?”, altrimenti non vedo vie d’uscita.

    • Questo è *il* dibattito, non solo in Italia ma a livello mondiale. Basti dire che l’ultimo numero di Jacobin (lettura mooolto interessante) è interamente dedicato al tentativo di rispondere alla tua domanda. Cito dall’editoriale di Alyssa Battistoni:

      —-

      If capitalism is driving climate change, does that mean we need a revolution to stop it?

      We should hope not. The Left’s vision of radical transformation can seem like an obvious match for the climate challenge. But the Left remains historically weak and a return to real power on the scale required isn’t likely anytime soon — certainly not on the timescale we need to start taking serious action. We can’t shortcut the long-term project of building socialism — but nor can we sideline climate action along the way. Otherwise, even in the best-case scenario, the Left will win power only to manage a state of increasing climate breakdown.

      So no matter how necessary a break with capitalism is, for now we’ll have to settle for addressing climate change as best we can within it. That means pushing hard to decarbonize as rapidly as possible in ways that set the stage for a sustainable socialist society.

      We’ll only be able to do that if our movements have a strong anticapitalist core. Fortunately, climate movements have been steadily moving left, foregrounding climate justice and building alliances with communities on the front lines of both fossil fuel extraction and climate impacts. Indigenous movements have led the way in waging battles in places like Standing Rock that have called global attention to the rapaciousness of fossil fuel companies and articulated connections between the wellbeing of human communities and the ecosystems they depend on. Socialists must join these struggles fighting the inequalities that prefigure eco-apartheid while continuing to build a mass movement fighting to lay the foundations we’ll need to go beyond fossil capitalism.

      Climate change more than any other issue demonstrates the need for socialism. It points to the need for more democratic political control over industry, technology, and infrastructure; more conscious intention about how we build our world, why, and for whom.

      —–

      Per quanto riguarda le vittorie del movimento No Tav in valle, vorrei chiarire: il movimento ha già vinto molte volte, nel senso che ha bloccato e fatto ritirare interi progetti, come nel 2005, e poi “smontato” progetti fino a farne emergere l’insensatezza. Del progetto attuale restano ormai solo pochi elementi, quelli che il capitalismo italiano considera irrinunciabili: il tunnel di base, la megastazione “internazionale” di Susa, forse (non è detto) il tunnel sotto la collina morenica tra Rivoli e Rivalta. Di fatto, la Nuova Torino Lione non c’è più, non è in nessun programma di spesa, per la tratta francese non si sa nemmeno se arriveranno al progetto preliminare. È chiaro che non è la vittoria definitiva, tantomeno quella sistemica, ma è la dimostrazione che la lotta paga.

  5. Chi sta intervenendo in loco sul fronte delle fiamme? Con quali mezzi? La protezione civile torinese e/o piemontese ha il know how e gli strumenti fisici per rispondere a una tale calamità?

    Lo chiedo, perché ho idea che siamo tutti per lo più largamente impreparati ad affrontare le conseguenze dell’antropizzazione.

    Purtroppo, qualche esperienza di incendio devastante ce l’ho (come qualsiasi sardo). Il problema è enorme perché sta cambiando (è già cambiato) il tipo di incendio con cui ci si trova ad avere a che fare. I mezzi consueti – quand’anche ci fossero – sono sempre meno efficaci. Bisogna entrare in quest’ottica, o le conseguenze saranno sempre peggiori. Altro che Grandi Opere!

    A parte queste annotazioni, è angosciante assistere a eventi del genere. Quando colpiscono luoghi così emblematici, così densi di suggestioni e significati e richiami anche affettivi, fa ancora più male, ovviamente.

    Per il poco che vale, e confidando che lì sapranno rispondere alla loro maniera, esprimo tutta la mia solidarietà alla Val di Susa.

  6. Sul fronte delle fiamme ci sono vigili del fuoco, AIB e carabinieri forestali. Pur rifuggendo la retorica degli “eroici volontari” o “eroici pompieri” (anzi, la trovo proprio nauseabonda ) devo dire che é personale molto preparato con dotazioni di livello, le squadre AIB sono poi in gran parte composte da valligiani, quindi particolarmente motivati e con buona conoscenza del difficile territorio; sono formati tecnicamente e con esperienze di operazioni in varie emergenze in giro per l’Italia; data la gravità dell’evento hanno anche avuto celermente elicotteri con vasche e due Canadair (questi dalla liguria che ve ne sono pochi in giro, tirano di più i bombardieri), oltre a numerose autobotti e mezzi di intervento.
    Il problema nello specifico é la triplice combinazione di vento, siccità esasperata e conformazione del territorio. Il problema generale é la scelta di come si spende, UGO per l’appunto; con piste tagliafuoco ben tenute e bosco pulito sarebbe stato certo un evento meno impattante, ma nella miopia dei nostri timonieri la messa in sicurezza viene considerata non redditizia…

  7. Il silenzio dei media sull’incendio in #Valsusa, anche dopo la perdita di mille ettari di bosco e lo sfollamento di centinaia di persone, anche dopo il ritrovamento di inneschi, è davvero impressionante, anche a chi si credeva “rotto” a ogni esperienza di disinformazione.

    Oggi La Stampa, che sarebbe il giornale di Torino, non dedica a questo disastro nemmeno la prima pagina della cronaca locale.

    Sarebbe una notizia da prima pagina *nazionale*, e invece nessun mezzo di informazione nazionale sta dando nemmeno un barlume del rilievo che la storia meriterebbe.

    È talmente eclatante, questa situazione, e tanto persistente da non poter essere derubricata a mera “disattenzione” o “sciatteria”.

    Centinaia di pompieri (quasi tutti valligiani) e volontari lottano da giorni contro le fiamme, dando l’ennesima prova di coraggio e attaccamento alla loro terra. In qualunque altra occasione e in qualunque altro territorio si sarebbero scritti articoli su articoli “edificanti”, pistolotti sulla semplicità e “normalità” di questi “eroi”, sul loro impegno civico ecc.

    Qui, per farlo, si dovrebbe parlare anche della Valsusa ribelle, di un territorio già più volte aggredito, di una popolazione che si ostina nella sfrontatezza di opporsi a una grande opera che vede d’accordo PD, destra, Confindustria, banche e tutti i poteri dello Stato.

    Bisognerebbe, in parole povere, dire che questi volontari sono in larga parte sempre i terribili No Tav. Il loro impegno è poco notiziabile e molto imbarazzante, perché la copertura giornalistica non potrebbe essere scevra di collegamenti (anche sottaciuti, ma percepibili da chi legge) all’altro loro impegno.

  8. Un approfondimento su come “La Stampa” si sta occupando dei roghi in #Valsusa e su come la loro public editor (in teoria rappresentante dei lettori) e un loro giornalista, Paolo Baroni, stanno rispondendo a critiche e sollecitazioni.

    I primi roghi sono di sabato notte. Oggi è mercoledì. Dall’inizio dell’incendio sono uscite quattro edizioni cartacee del quotidiano. Quattro prime pagine, e in nessuna c’era il minimo accenno a quanto stava accadendo a pochi chilometri da Torino. Una notizia di grande rilievo nazionale è stata relegata nelle pagine locali dell’edizione della provincia. Nell’edizione locale della città non è mai arrivata nemmeno in prima pagina, se non con un mezzo titolo, o meglio, un titolo “in coabitazione” con lo smog di Torino: “Smog, settimana senza blocchi. / I roghi assediano la provincia”.

    In tutto questo tempo, il grande incendio che sta divorando la Valsusa non è mai stato sulla homepage de lastampa.it. L’assurdo è che in questo momento c’è la notizia di un incendio a Sanremo.

    A tutt’oggi, per quanto possa sembrare incredibile, molti lettori di Torino non sanno perché in città si senta odore di bruciato (letterale, non metaforico).

    Di fronte a queste constatazioni, che concernono il mancato *rilievo* dato a una tragedia che avrà conseguenze per *decenni* su un territorio che va da appena fuori Torino quasi al confine con la Francia, Anna Masera ha risposto su Twitter linkando i pezzi usciti in cronaca locale e postando lo screenshot della prima pagina locale dell’edizione della provincia. Ma è proprio questo che viene contestato al giornale: di avere derubricato una notizia nazionale a notiziola di provincia, che interessa poco persino nel capoluogo (tant’è che nemmeno oggi la notizia è in prima pagina torinese).

    Poiché le sue “controargomentazioni” avevano poco effetto, Masera ha deciso di attaccarci, dandoci dei “complottisti” e dei “troll”.

    Peggio ha fatto Paolo Baroni, coi seguenti tweet:

    “bugiardo, oggi c’è una pagina i teta in cronaca.La 47” (no, non era un tweet ironico)

    “wu ming che ti sei fumato? compra il giornale e sfoglialo”

    Troppo facile rispondere che sono loro, a Torino, a respirare uno strano fumo: quello della Valsusa che va in cenere. Quella Valsusa a cui hanno dedicato per anni paginate e titoli a caratteri cubitali quando si trattava di attaccarne o irriderne gli abitanti perché si opponevano al Tav.

    Quel fumo possono anche tenerlo ben lontano dalle prime pagine e dalla homepage, ma ce l’hanno vicino a casa.

    A un certo punto, oggi, “La Stampa” ha pubblicato on line un nuovo pezzo sull’incendio, sottodimensionato e largamente insoddisfacente, ma lo abbiamo commentato dicendo che è già qualcosa, siamo stati in tanti a spingere perchè se ne occupassero (un pochetto) di più.

    Sì, è qualcosa. E in fondo, l’incendio dura solo da quattro giorni abbondanti, ci vuole tempo. Oggi è solo mercoledì, ci vuole il giusto passo.

    Magari, chissà, l’incendio meriterà la prima pagina la settimana prossima.

    Nel Giorno dei Morti.

    • Dopo le numerose e ripetute critiche coram populo, “La Stampa” ha messo l’incendio in homepage nazionale: un piccolo box, molto in basso nella pagina. Dopodiché, la public editor lo ha screenshottato per dire che avevamo torto. Un bel modo di imparare dalle critiche: recepirle (molto parzialmente…) nella prassi al contempo negandone a parole la legittimità, poi usare retroattivamente la prassi modificata contro chi ne chiedeva la modifica.

      • «Buongiorno! Ecco la #primapagina di oggi in edicola!» dice stamane “La Stampa”.
        Quinta prima pagina di fila senza un solo accenno a quello che è forse il più grande incendio (per giunta “fuori stagione”) mai scoppiato sulle Alpi. Brucia non solo la Valsusa, ma vaste zone dell’intera provincia torinese occidentale. Nemmeno il morto, che c’è già stato ieri, scuote il signor Molinari e i suoi redattori.
        Buongiorno, sì.
        Ignominia eterna.

  9. Io devo dire che sono stato informato tramite una pagina di Facebook dedicata alla Val Susa e alla Val Sangone già dall’inizio quando si vedeva il “fumo” ma non si capiva se fosse parte della cappa di smog che avvolgeva il Piemonte o un incendio.
    Gli autoctoni stanno monitorando tutto, e so che in molto si chiedono cosa possono fare per aiutare protezione civile e vigili del fuoco (il territorio è molto vasto e come intuibile di non facile pattugliamento).
    E ho visto tante foto terribili.
    Mi ha fatto venire in mente quando quest’estate alcuni gentiluomini hanno devastato i terreni sul crinale del Vesuvio…

    • Un modo per aiutare è, ad esempio, fare una donazione agli Amici dei Vigili del Fuoco. Abbiamo appena diffuso via Twitter un appello della sindaca di Almese. Io ho appena fatto una donazione, facciamolo tutt* (chi può). Ricopio l’appello anche qui sotto:

      C’È BISOGNO DI AIUTARE I VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI DI ALMESE e ora facciamolo sul serio:
      Abbiamo urgente bisogno del vostro aiuto economico sul conto intestato
      ASSOCIAZIONE AMICI DEI VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI DI ALMESE
      IBAN: IT98W0200830030000100655593
      Mandate subito i vostri bonifici su questo conto, per acquistare delle attrezzature che mancano e una pompa che si è bruciata in questi giorni ed è quasi inservibile!!
      I nostri Vigili del Fuoco sono ancora lì nell’inferno di fiamme, sentite le sirene… sono tre giorni che non si fermano e oggi li ho visti stanchissimi ma stavano ripartendo. Brucia ancora Caprie e anche Rubiana, e ci sono focolai dappertutto. Sono insieme agli AIB, la Forestale e con l’aiuto della Protezione Civile a proteggere borgate, case, gente che non vuole sfollare per non abbandonare le proprie cose.
      Spero che Marco Barone mi perdoni per aver preso in prestito le sue fotografie ma sono impressionanti e rendono un po’ l’idea di quello che i vigili del fuoco vivono, avvicinandosi a quelle fiamme tremende che ti bruciano la faccia e dove respiri cenere che danneggia i polmoni. Ma è il momento che tutti i ringraziamenti, tutte le belle parole che ho visto scritte dappertutto (e che condivido!) su questi VERI eroi diventino qualcosa di più!!!
      Ognuno versi quello che può ma non lasciamoli soli, sempre soli, a fare tutto e a non ricevere che pacche sulle spalle. È finita l’ora delle parole, e visto che lì davanti al pericolo e ai muri di fuoco gente come noi potrebbe solo dare fastidio ai soccorritori o scappare, facciamo quello che possiamo e diamo la nostra donazione per non mandare i guerrieri senza armi davanti all’inferno!!
      #ancheioaiutoivigilidelfuocodialmese
      Fate girare l’appello!
      IL SINDACO
      Ombretta Bertolo

  10. Nel frattempo lo scandaloso commissario governativo per la Torino Lyon, Paolo Foietta non perde occasione per dare prova di cattivo gusto proponendo che
    “una parte delle risorse destinate ai territori interessati dall’Asse Ferroviario Torino-Lione, possa essere utilizzata per le necessarie azioni di ripristino e ricostituzione del patrimonio forestale e per gli interventi di prevenzione, atti a ridurre il rischio del ripetersi di tali eventi”
    Trad0tto: se volete i soldi per sistemare la montagna accettate la Torino Lyon, altrienti son c…i vostri
    Rischia che stavolta gli tirino le orecchie persino i suoi, troppo esplicito. D’altronde se l’han tenuto vent’anni in terza fila un motivo c’era.
    Qui il testo competo della sua lettera.

  11. È dilaniante vedere la #Valsusa arsa viva, offesa dall’arroganza dei disinformatori, ricattata dalla lobby del TAV… Eppure è rincuorante vedere che, persino nel mezzo di un tale disastro e sottoposte a una tale prova, a una tale offensiva concentrica, le reti sociali e di resistenza umana create in oltre 25 anni di movimento No Tav reggono, rispondono, continuano a organizzarsi.

    Ho passato anni a ricostruire la genesi di quelle reti, a mapparle, a cercare di capire perché funzionano a dispetto di tutto, e perché si sono formate proprio in Valsusa. Dal 2012 faccio ricerca, inchiesta, sopralluoghi. Il libro è stato sì un approdo importante, ma ho solo fatto scalo in un viaggio che è ancora lungi dal finire. Tutto prosegue, ci sono ancora tante cose da raccontare. Questi incendi, l’establishment del capoluogo che fa lo gnorri nonostante il fumo raggiunga da giorni le periferie, la stessa sindaca Appendino – sindaca di un’abnorme città metropolitana che include anche tutta la Valsusa – che non dice niente e guarda da un’altra parte… Tutto questo andrà raccontato. A mente più fredda.

  12. L’informazione non ignora solamente la Val di Susa. L’informazione ignora tutto ció che è periferico. Le vallate alpine Cuneesi bruciano da giorni e settimana. La siccitá è un problema da mesi. I montanari ed i cittadini si attivano, l’apprensione e le preoccupazioni sono tante. Ma per il profondo Ovest, ma varrebbe lo stesso credo per il profondo Sud, Est o Centro non c’è spazio.

    • Vero. Però la #Valsusa è un caso molto peculiare: nel libro dico che, se guardiamo la situazione con la lente del conflitto sociale, la Valsusa è centro e molti centri sono periferia. E anche i media le hanno riconosciuto questa centralità. La Valsusa è stata per anni – e a cicli torna a esserlo – illuminata da riflettori potentissimi, abbaglianti, e lenti deformanti che trasformano i petardi in pericolosissimi ordigni, e la lotta politica in terrorismo. I TG hanno dedicato alla Valsusa migliaia di servizi, i talk show hanno dedicato alla Valsusa centinaia di ore, i giornali hanno riempito per anni pagine su pagine. Quando serve rappresentarla in un certo modo, la Valsusa è centralissima. Quando fa comodo ignorarla, abbandonarla, impedire ogni empatia coi suoi abitanti, ecco, torna a essere trattata da periferia.

  13. Siamo alla fine del 6° giorno di incendi in #Valsusa e dintorni. La novità è che oggi i media nazionali se ne sono accorti, e se ne sono occupati, seppure con notevoli sbavature, con errori, e con effetti involontariamente comici.

    Ad esempio, “La Stampa” che solo oggi mette la notizia in prima pagina, quando da giorni a Torino non si respirava per il fumo.
    Non solo: articolisti e titolisti che si arrabattano con ogni sorta di perifrasi e circonlocuzioni pur di non usare il nome «Valsusa» (anche questo pare incredibile, e suona paranoico, ma provate per credere!).
    Infine, il quotidiano torinese scrive che nel complesso il Piemonte «brucia da 15 giorni», e giustamente qualcuno sui social domanda: «E voi ne scrivete dopo 15 giorni?!»

    Questa storia andrà studiata, e a fondo. La Valsusa sovraesposta per anni e poi cancellata da ogni resoconto, e magari un domani di nuovo sovraesposta… Avviene per calcolo, a seconda delle convenienze del momento, o c’è qualcosa di più profondo, che andrebbe indagato con strumenti psicanalitici?

    Ripeto: lo so che può suonare paranoico, ma provate per credere. Cercate il toponimo «Valsusa» nella copertura che La Stampa ha dato oggi agli incendi. Lo cercherete invano. Sul perché ciò avvenga, il dibattito è aperto.

    • Un poscritto sui «15 giorni». È un altro frame tossico. È vero che ci sono stati focolai già prima, ma il vero inizio del grande incendio del Piemonte occidentale è stato nella notte tra sabato 21 e domenica 22 ottobre. Gli incendi che stanno devastando (soprattutto) la Valsusa e altre zone del torinese sono scoppiati quasi tutti nell’ultima settimana.

      Nell’espressione «15 giorni di roghi» ravviso un contenuto implicito: «Cos’ha di tanto speciale quel che accade in Valsusa quando altre parti del Piemonte andavano a fuoco già prima? Perché mai dovremmo riservare alla Valsusa un trattamento speciale?»

      Solo che – con tutto il rispetto e la solidarietà per gli altri territori – l’estensione e l’indomabilità dell’incendio in Valsusa si sono configurate sin dai primi giorni come *fuori scala*. A dispetto di questo, la Valsusa è il luogo che più si fatica a nominare, che più ci si ingegna per non nominare.

      Così, mentre si finge di prendere le distanze da un supposto eccezionalismo valsusino, come se i valsusini stessero chiedendo una copertura giornalistica privilegiata (!), si pratica un eccezionalismo reale, offrendo al territorio più colpito la copertura giornalistica peggiore.

      Detto questo, repetita iuvant: se il Piemonto «va a fuoco da 15 giorni», come mai hanno atteso 15 giorni per decidere che era una notizia da prima pagina anziché una sequenza sporadica e sconnessa di notiziole locali?

  14. Beati quelli che possono permettersi di scrivere «Cosa c’entrano i #notav??!»

  15. «Evacuato il Seghino». Stanotte. Le notizie dalla #Valsusa, dal fronte della battaglia contro l’incendio, si sovrappongono ai ricordi più cari della lotta No Tav. «Sul ponte del Seghino / non passa il celerino!» «Se arriva con l’affanno / picchetta con l’inganno». Anche il fuoco sta “picchettando” le terre, e lo fa con l’inganno. Il Comune di Mompantero è in questo momento il più in pericolo, e sta combattendo la sua battaglia più dura, privo di mezzi, oscurato. Bisognerà aiutarlo in special modo, finita questa tregenda, con sottoscrizioni, donazioni, iniziative, qualunque cosa.

    • Nella notte evacuate borgate anche più in basso del Seghino, fino a pochi metri dal corso del torrente Cenischia, che credo sia in secca. La situazione continua a peggiorare. E quando ieri si è guastato uno dei due canadair il rimpiazzo ha dovuto arrivare da Roma.

  16. Si fatica a pensare ad altro che la #Valsusa, mentre amici e compagni vedono le loro case andare a fuoco, mentre cresce la consapevolezza che i boschi della battaglia del Seghino non esistono più, mentre l’incendio entra nel territorio di Venaus e anche lì cominciano i primi sfollamenti di borgate, mentre tocca prendere in prestito Canadair dalla Croazia e dalla Grecia. La Grecia devastata economicamente ci presta dei Canadair…

    Siamo al 9° giorno di incendio, ieri sopra Susa c’erano fiamme alte decine di metri, qualcuno dice settanta. Eppure ieri mattina, sulle pagine torinesi de “La Stampa” si poteva leggere una grottesca, impudente intervista al governatore del Piemonte Chiamparino, dal titolo:

    «Sul fronte dei roghi cala la tregua del vento / Chiamparino: “Il sistema ha funzionato”».

    E meno male! Pensa se non funzionava, che casino!

    Mentre i torinesi leggevano tale portentoso nonsense, l’intero territorio del Comune di Mompantero andava in cenere. Ma la public editor Anna Masera ci assicura da giorni che la Busiarda sta facendo un lavoro encomiabile, eccelso…

    E poi, sarà solo una coincidenza, ma il giorno prima, alla sede AIB di Giaveno, Chiamparino si era fatto fotografare sorridente mentre brindava con noti alti papaveri dell’establishment SìTav.

    A me, e non solo a me, quei sorrisi hanno ricordato un altro episodio, gente che rideva durante una catastrofe… Certamente sto esagerando, ma siamo stati davvero in tanti a pensare: «A cosa brindano?» Come minimo, diffondere questa foto è un insulto a chi in queste ore sta perdendo tutto.

    • Fortunatamente nella notte la situazione è migliorata. Il fuoco è risalito lasciando intatte la maggior parte delle case a Mompantero, almeno quelle del fondovalle, gli sfollati ancora non possono rientrare perchè ci sono ancora dei focolai ma se non rinforza il vento dovrebbe essere questione di 1-2 giorni.
      Su Chiamparino invece non ci sono parole, anche la battuta saccente fatta al sindaco notav riportata nello stesso articolo dimostra tutta l’arroganza del personaggio, che diventato sindaco grazie ad un’assonanza crede di essere un genio della politica. In Piemonte non abbiamo Maroni o Zaia ma non siamo messi tanto meglio.

  17. Importante post su #Valsusa, #Chiamparino e “La Stampa”. #AlpinismoMolotov smonta la narrazione tossica sull’incendio che l’establishment torinese e sìTav sta già cercando di imporre.

    • Su «La Stampa» si cerca di dare ai sindaci la colpa del silenzio sugli incendi in #Valsusa.

      Su Chiamparino che dice al sindaco Chirio «più segnaletica, meno bandiere No Tav» ha già scritto Alpinismo Molotov.

      Contemporaneamente, usciva un altro articolo, posato e apparentemente assennato, dove si denunciava il silenzio intorno agli incendi in Valsusa.

      E a chi dava la colpa di tale silenzio il giornale che nei primi cinque giorni, nonostante le numerose sollecitazioni e benché fosse evidente l’entità del disastro (forse il più grande incendio mai scoppiato sulle Alpi), si è rifiutato di portarlo in cronaca nazionale, relegandolo a notiziola di provincia? A chi ha dato la colpa “La Stampa”?

      Ma pensa un po’: agli amministratori di valle:

      «Hanno cominciato gli amministratori locali a non proporzionare le loro richieste di assistenza per i rischi che correvano i loro territori e i loro abitanti, forse un po’ per l’orgoglio di far da soli e un po’ per quella consueta ritrosia piemontese che rifugge il lamento […]
      Da una parte, la presunzione, alimentata da scarsa consapevolezza della gravità dei pericoli e delle enormi difficoltà di far fronte alla vastità del territorio devastato dalle fiamme, di possedere forze sufficienti per il controllo e lo spegnimento degli incendi. Dall’altra, il timore, del tutto incomprensibile, di esagerare un allarme che, invece, aveva tutti i motivi per essere gridato con quella forza che la situazione richiedeva.»

      Peccato che sia falso: i sindaci hanno fin da subito lanciato l’allarme e richiesto interventi proporzionati. Semplicemente, hanno fatto notare che mandare l’esercito sarebbe stato di dubbia utilità.

      L’articolo più avanti dice anche:

      «Da parte delle organizzazioni di volontariato, infine, che da Nord a Sud del nostro Paese si sono sempre mobilitate con grande entusiasmo, con grande senso di solidarietà, ma anche con grande capacità operativa, non sembra che, in questo caso, si sia avvertita la solita disponibilità a intervenire.»

      E così, quei volontari sia della valle sia di fuori, quelli che praticamente non hanno dormito per una settimana, hanno assistito in ogni modo i vigili del fuoco, hanno combattuto contro le fiamme senza che gli articoli de “La Stampa” (ricordiamolo, per giorni sempre e solo in cronaca locale) li nominassero mai, ecco, per “La Stampa” quei volontari non sono nemmeno intervenuti.

      L’articolo attribuisce le responsabilità di questo silenzio anche ad altri soggetti: alla Regione, al governo nazionale… Dà persino la colpa al riserbo e al “bon ton” piemontesi… Curiosamente, però, mancano i media.

      Se un fatto importante non diventa una notizia, di chi è la colpa principale, se non di chi si occupa professionalmente di prendere i fatti e farne notizie?
      E la più grande defaillance da denunciare, in questo caso, non dovrebbe essere quella di un certo giornale nazionale che ha storicamente sede a Torino?
      Un giornale che non metteva gli incendi in prima pagina nemmeno quando in città l’aria era resa irrespirabile dal fumo?

      Da Torino a Bussoleno ci sono poche decine di chilometri, chi avrebbe dovuto rompere il silenzio per primo?

      • Ancora #Valsusa. Mentre su un fogliaccio fascista un immeritevole opinionista calunnia i #notav dicendo che hanno ignorato l’incendio (!), sul fronte de “La Stampa” abbiamo la prova che protestare, fare pressione, a qualcosina serve. Oggi persino su quelle pagine, dopo le reticenze iniziali seguite da varie chiamparinate e pezzi vergognosi, qualcuno non può non scrivere papale papale:

        «La solidarietà nata in anni di lotta contro la Tav aiuta i montanari».

        Un pezzo di Domenico Quirico, che (dovesse mai scomparire…) precauzionalmente linko nella copia di Wayback Machine – l’impaginazione è in parte saltata, “scrollare” giù per leggere il testo – e di cui cito qui uno stralcio:

        […]

        Non trovi gente infanatichita dal pericolo corso e dai danni, che strepita e accusa, neppure quelli che sono in prima fila nei cortei No Tav; ma parlano dell’incendio come di un avvenimento doloroso della loro famiglia, non per cercare la nostra pietà ma per espandere la loro. E anche dei piromani, di cui tutti sono certi, dicono senza odio, come di qualcosa che bisognerà accertare, primo o poi.

        Centinaia di loro sono volontari del servizio antincendio: spesso sono arrivati da lontano, dove lavorano, alla notizia che la loro valle e il loro monte bruciavano. Hanno difeso le case, portato l’acqua con i trattori, i pick up, le auto, tagliando la vegetazione intorno, guidando i vigili del fuoco su per la montagna.

        «È la solidarietà che qui nella valle è rinata nella lotta contro un’opera che consideriamo inutile e dannosa, una cosa antica ricostruita per fili sottili, nell’aiutarci l’un l’altro, nel fare da soli, scoppia un guaio grosso come un incendio e ci rimbocchiamo le maniche senza aspettare che qualcuno venga ad aiutarci…».

        […]

  18. […] le persone guardano solo i propri piedi, inoltre media e istituzioni continuavano a tacere (Su Giap si è analizzata in tempo reale questa “lentezza di riflessi”, o reticenza, o malafede). Per assurdo invece chi si […]