da Carta, anno IV, n.14, 11/17 aprile 2002, pag. 67:

Wu Ming
SEPPELLIAMO LE ASCE DI GUERRA


Vitaliano Ravagli e Wu Ming
"Asce di guerra"
[Marco Tropea Editore, 375 pagine, 14,98 euro]

Non è fresco di stampa, anzi è uscito nel 2000, dopo "Q" e prima dell'ultimo libro di Wu Ming, "54". Però fa bene leggerlo adesso, "Asce di guerra [firmato anche da Vitaliano Ravagli, Marco Tropea, 14,98 euro]. Ora che "l'altro mondo possibile" è diventato un modo di fare le cose, per esempio gli scioperi "generalizzati"; così come, in una maniera similmente opposta, all'indomani della Liberazione, 1945, ex o aspiranti partigiani, in Romagna, credevano di averlo conquistato, quell'altro mondo, combattendo e morendo contro i tedeschi e i fascisti, anche se non era così. E ora che la Palestina, ma prima ancora il Messico, sono diventati la metafora pratica della globalizzazione che vorremmo, persone che stanno qui e là come a casa propria: una casa invasa dalla violenza dell'economico, dalla guerra civile globale.
Io, per esempio, "Asce di guerra" l'ho letto sull'aereo che mi portava a Porto Alegre, un paio di mesi fa, tredici ore senza fumare, scalo assai simbolico a Buenos Aires, e poi tuffo nelle decine di migliaia di folli [nel senso francescano] del Forum sociale mondiale. Poi, altre tredici ore per tornare. E mentre leggevo del partigiano, o quasi [era troppo giovane] Ravagli, e dei suoi compagni, e della sua decisione, o necessità, di andare a combattere per i Viet Minh, nella guerra indocinese contro i francesi, con il Sentiero di Ho Chi Minh, l'assedio di Dien Bien Phu e tutto quanto, mi veniva in mente quanto l' "internazionalismo" dei miei tempi, quelli del secondo Vietnam, quando i Viet Minh erano diventati Vietcong, si sia oggi tramutato appunto nell'essere qui e là, ovunque, in un mondo così piccolo.
E questa eco di piccolo disagio [la nostalgia è un buon sentimento] e di meraviglia [la curiosità è la qualità essenziale di chiunque voglia cambiare il mondo, altrimenti diffidatene, perché è il futuro padrone], queste sensazioni rimbalzavano all'indietro per lo spaesamento di quell'uomo giusto, rettilineo, che provava disgusto per la guerra, qualunque guerra, anche quelle che si ricordano con piacere perché erano giuste e le abbiamo vinte. No, disgusto non è la parola giusta. Piuttosto, si trattava dello stridore tra l'umanità piena, quella di chi ama gli altri, li vorrebbe, e vorrebbe se stesso, disperatamente migliore di quel che è e sono, e l'atto inspiegabile, letteralmente intollerabil, di spegnere una vita, foss'anche quella dei fascisti repubblichini torturatori linciati da una folla cui gli inglesi hanno fatto in modo di offrirli, perché così si sarebbero spenti i furori della guerra appena terminata.
Se "fare la storia" è una frase che ha un senso, anzi due [farla materialmente e raccontarla], "Asce di guerra" ne è uno straordinario esempio. Perché il "pacifismo senza pace" di cui parla Wu Ming 4 nella lettera aperta ai disobbedienti a Ramallah, è un parto doloroso, che ha richiesto un secolo, il Novecento, ha preteso massacri e genocidi. E ancora, come la Palestina ci racconta, quel secolo non è sazio. Ma l'importante è che noi, quelli dell' "altro mondo", ne siamo finalmente usciti. Questo libro di Wu Ming è una buona spinta in quella direzione. [Pierluigi Sullo]


Asce di guerra
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