da Il Corriere di Romagna, mercoledì 27 dicembre 2000:
 


Wu Ming, gli agitatori della scrittura
Un'impresa di produzioni narrative politica e autonoma:
è il nuovo progetto degli ex Luther Blissett
"Asce di guerra": gli anni '50, la guerra in Laos e  frammenti di Resistenza
Un libro che nasce a Imola: "Scrivere la storia è un atto politico"



IMOLA - Appena un anno fa si chiamavano Luther Blissett, erano, in quattro dietro un solo nome, il misterioso autore di Q (Einaudi, 1999). Poi Luther Blissett, incassati i successi del suo primo romanzo, è morto. Ed è nato Wu Ming. E dietro questo nuovo ma sempre unico nome, che tradotto dal cinese mandarino di fatto significa Nessun nome, si celano, ma ormai non più tanto, gli ex Luther Blissett, ovvero Roberto Bui, Giovanni Cattabriga, Luca di Meo, Federico Guglielmi, più un quinto elemento nuovo, Riccardo Pedrini.
Insieme tengolo le fila di un' "impresa di produzioni narrative", impresa che definiscono "politica e autonoma". A gestirla, rinunciando al copyright (i loro libri possono essere scaricati gratuitamente da Internet, ovviamente per uso personale e non commerciale) sono loro che si dichiarano "comunisti" e si definiscono "un collettivo di agitatori della scrittura".
Sulle orme di Luther Blissett, Wu Ming ha indagato di nuovo nei "coni d'ombra" della storia. E lo ha fatto andando a riscoprire guerre recenti: la guerra al confine tra Laos e Vietnam nella seconda metà degli anni Cinquanta, mischiata a frammenti di resistenza e di regolamenti di conti post bellici da parte di partigiani, poi esiliati clandestinamente nei paesi dell'Est.
Un libro che nasce... a Imola. Qui vive infatti Vitaliano Ravagli, coautore di Wu Ming di questa avventura narrativa, che nella sua memoria affianca paesaggi da giungla laotiana a scenari da Appennino romagnolo.
Un sodalizio nato grazie allo "zampino" di Carlo Lucarelli, che a Wu Ming ha presentato Ravagli con la sua storia incredibile, volontario fra i vietcong, contro i francesi imperialisti, dunque dalla parte dei comunisti, lui che per ragioni anagrafiche non aveva fatto la Resistenza e voleva prendersi così il suo spazio nella battaglia.
Inutile dire che la materia del libro è incandescente, soprattutto laddove si parla di Resistenza e dopoguerra. Dove si racconta di partigiani che regolano i propri conti a guerra finita, anche se una giustificazione per loro esiste sempre, perché Wu Ming ha una verità sola da ribadire: i buoni erano loro.
E alla presentazione "in casa" del libro, ovvero a Imola, la sera è diventata occasione per ricordare, e anche un po' per autocelebrarsi. Poi due Wu Ming, Roberto Bui e Federico Guglielmi [in realtà era Luca di Meo, N.d.R.], hanno accettato di rispondere a qualche domanda.

In prefazione a questo vostro ultimo romanzo dite di affrontare storie dimenticate o mai raccontate, il che secondo voi equivale a "disseppellire asce di guerra". Ma la lettura che voi date della Resistenza è davvero nuova?
"Dell'innovazione poco ce ne frega. Ci interessa narrare storie, cercare cose sepolte nei coni d'ombra. Sulla Resistenza si sprecano i memoriali scritti in prima persona da protagonisti che però spesso sono illetterati, oppure esistono saggi ponderosissimi o film o romanzi che sono datatissimi e nemmeno esaltanti. E poi ci sono opere incompiute come Il partigiano Johnny che Fenoglio ha avuto modo di terminare. Oppure oleografie da festeggiamento del 25 aprile. Perciò da un lato si legge la demonizzazione della Resistenza da parte della destra che dipinge i partigiani come mostri assetati di sangue, dall'altro c'e' chi li descrive solo come patrioti e liberatori, come se non avessero mai affondato le loro mani nelle frattaglie umane o non avessero addirittura mai sparato un colpo. Noi invece volevamo fare vedere i partigiani nella durezza della guerra e dello scontro, con particolari di lacrime, sudore, fango, dissenteria, freddo, in una chiave non antiretorica, perche' la retorica non e' sbagliata di per se', ma di certo non trombonesca e tronfia, ma dura, come piace a noi. L'obiettivita' la chiedano ad altri. L'operazione fatta con questo romanzo non riguarda rivelazioni storiografiche, vuole essere un'antologie schierata di storie. La nostra parzialita' non lascia ambiguita', ed e' rivolta a generazioni piu' giovani alle quali raccontiamo di donne e di uomini che hanno scelto in condizioni estreme. Cosa che oggi appare difficile soprattutto ai giovani. Perche' oggi sicuramente condizioni estreme non ce ne sono, almeno non per ora. I tempi a venire pero' lasciano aperte molte incognite e ci sara' forse di nuovo, c'e' gia' ora, necessita' di scegliere, altrimenti si rischia di rimanere totalmente schiacciati dagli avvenimenti."

Vi interessa di piu' la storia o la politica?
"Non c'e' nessuna differenza. Coincidono comple6tamente, perche' raccontare il nostro passato significa schierarsi nel presente. Non esiste un modo amorfo e neutro di raccontare il proprio passato, ne' individuale ne' collettivo. Scrivere e riscrivere la storia e' sempre un atto politico."

Dunque ha sbagliato il lettore che da Asce di guerra si aspettava un atto piu' "risolutivo", sia pure in chiave romanzesca, sulla lettura della Resistenza. E a tratti ricompare la retorica, quella costruita dalla stessa sinistra sulla Resistenza. Retorica che col tempo, e oggi piu' che un decennio fa, presta il fianco alla stessa destra, che pretende di rileggere gli anni dell'immediato dopoguerra solo come quelli della vendetta "rossa".
"Uno spazio che la destra si prende senza appigli sostenibili. Le polemiche della destra di dieci anni fa erano finalizzate al proprio sdoganamento, quelle di oggi finalizzate a un altro avanzamento, intuibile in questa campagna elettorale. Rispetto alle responsabilita' della sinistra storica istituzionale, sicuramente ce ne sono. Ma non [in realta' era "noi" - la frase pubblicata ha il significato opposto di quella proferita, N.d.R.] crediamo che siano nell'agiografia della Resistenzae nel non aver fatto l'elenco di tutti gli episodi di regolamenti di conti."

Oggi l'impegno politico, secondo voi, in cosa consiste?
"Per noi impegno ad esempio e' creare 'strani vicinati', come abbiamo fatto in questo romanzo avvicinando la generazione di Vitaliano a quella dei trentenni di oggi, come il nostro avvocato Zani, che nella Bologna depressa e sottotraccia di quest'anno cerca segni di vitalita' che non lo ributtino solo nelle storie del nonno partigiano.
Politicamente ci sentiamo affini al movimento crescente di coloro che in questi giorni sono stati bloccati al confine con la Francia, che cercavano solo di arrivare a Nizza per manifestare per un'altra carta dei diritti europei. Per un altro tipo di globalizzazione, quella dei diritti e degli esseri umani e non solo della merce e del denaro."

Per voi globalizzazione e' la traduzione attualizzata di imperialismo. Non trovate che la lotta contro la globalizzazione, oggi, sia ampiamente incarnata anche da un'anima in larga parte qualunquista?
"Siamo per una globalizzazione dei diritti umani, non solo delle merci. Nella globalizzazione ci siamo cresciuti e ci stiamo dentro, usiamo internet, non siamo per le piccole patrie e siamo contro ogni forma di nazionalismo, in questo senso abbiamo una coscienza globale. E' vero che ci sono anche formazioni di destra contro la globalizzazione, ma loro propongono qualcosa di peggio. Poi c'e' la componente populista o qualunquista che dir si voglia che va crescendo e vive sulla base delle retorica della 'pummarola verace', quella su cui si basa il successo di Berlusconi che fa politica per analfabeti. Ma per questioni strategiche con i qualunquisti, non con la destra, un'alleanza e' possibile."

Nella vostra dichiarazione d'intenti (su internet, vedi soto www.wumingfoundation.com) date l'idea, per la verita', di essere piuttosto snob. Parlate di opacita' verso i media, di non apparire, condendo un gergo da collettivo anni Settanta con termini da new economy. Eppure siete diventati un caso letterario, i vostri libri vendono parecchio, non vi imbarazza la cosa?
"Non siamo assolutamente snob, siamo scrittori popolari. Ci stanno sulle palle quelli da seghe autoriali tipo scuola Holden, polli da batteria che hanno il culto della bella pagina, questa idea un po' francesizzante di cosa debba essere la scrittura. Noi ci ispiriamo a modelli bassi: romanzo seriale, gialli, spionaggio. I nostri libri vendono molto perche' piacciono e sono pop. Siamo un caso perche' non andiamo da Costanzo e a fare altre buffonate del genere."

Vitaliano Ravagli ve lo ha presentato Carlo Lucarelli. Come avete lavorato con lui alla costruzione di Asce di guerra?
"Ci siamo basati sui suoi due libri, I sentieri dell'odio e I prati degli uomini spenti [in realtà è Il prato degli uomini spenti, N.d.R.] e abbiamo fatto un remix. Abbiamo ripreso le parti piu' interessanti e chiesto a lui di colmare i vuoti di questo processo di estrapolazione. Parti gia' raccontate in modo forte, potente, immaginifico. Gli abbiamo detto di riraccontare le altre piu' farraginose, lui le ha riscritte o registrato lunghi flussi di coscienza che poi noi abbiamo sbobinato ed è venuto fuori il filone che abbiamo chiamato I sentieri dell'odio. E per scrivere ancora una volta ci siamo ispirati al romanzo di appendice ottocentesco che oggi in Italia in questa voga di minimalismo letterario è visto come qualcosa di obsoleto. A noi piace questo romanzo seriale, fatto di grandi narrazioni massimaliste. Sicuramente non si puo' dire che siamo innovatori, non e' l'originalita' che ci interessa."

A quali altre storie di combattenti state lavorando?
"Prima di cominciare questo romanzo stavamo gia' lavorando a un altro, si intitola 54. Adesso siamo quasi a meta' e dovrebbe uscire nella primavera del 2001 per Einaudi. Si svolge nel 1954 dal 1 gennaio al 31 dicembre. Sono storie che hanno come background la resistenza in Jugoslavia e la rottura fra Tito e Stalin ma anche l'anno in cui Cary Grant si ritiro' dal cinema. Poi c'e' un filone su Lucky Luciano che in quegli anni era in esilio a Napoli. Quindi c'e' un filone che si svolge a Napoli, uno che da Bologna parte e arriva in Jugoslavia, uno dalla residenza californiana di Grant che arriva a sua volta in Jugoslavia e poi sul set di Caccia al ladro in Costa Azzurra. E' un romanzo molto rocambolesco con tante sottotrame che si intrecciano."

Laura Giorgi