GUSTAV R. KUPPER II

Lo sguardo in copertina arrivava da un'altra era. Il libro era una reliquia. Nella foto, il volto del vecchio monaco si apriva in un sorriso. Denti bianchi, grandi, irregolari, capelli cortissimi, folti e forti, ritti sulla testa come spini o aghi. Gli occhi brillavano ironici.
Guardavano un punto molto oltre la tua testa.
Il libro era un dono di pochi giorni prima. Era rimasto lì, sulla scrivania. Tutte le gioie vengono dal prendersi cura degli altri: questo diceva il titolo. Pagine e pagine per illudersi che fosse possibile migliorare.
Non leggerei quella merda per tutto l'oro del mondo, pensava Kupper.

La casa era immersa tra alberi improbabili. Un bosco di eucalipti, e in mezzo una sequoia di altezza indecente. Le fronde davano ombra a una buona metà dell'edificio. Lo stile: un'accozzaglia di elementi contraddittori, scelti perché evocassero stabilità, solidità, potenza. Il parco ospitava specie clamorose, aliene: il campo di forza Matsushita Electric garantiva il microclima.
Il sole ascendeva verso lo zenith. Anche Matsushita Electric, dopo la cordata Kupper/Westinghouse, saliva verso il centro del cielo: grafici puntavano oltre il bordo superiore.
Attorno, lo skyline più noto al mondo, cartolina dalla capitale planetaria, porta del Paese delle Opportunità. Una vecchia statua dal nome parodistico si ergeva gigantesca, garanzia dell'autenticità del paesaggio.
L'opulenza avrebbe dovuto venare di grasso le pietre della casa. L'orrore architettonico, invece, era riservato agli esterni, alla facciata in particolare. Dentro, niente marmi, né colonne ioniche, né specchi: gli interni ostentavano sobrietà, proprio come gli abitanti. I costosissimi completi del capofamiglia, ad esempio, fatti in modo da non sembrare così costosi. Da apparire dimessi, rassicuranti. Tessuti blue pinstripe. Cravatte rosse. Church pre- Prada in cuoio bovino.
Roba del tempo delle vacche vive.
Un luogo dove i domestici potevano essere trattati con la più crudele familiarità o con la più fredda formalità. Nella stessa frase, con lo stesso gesto. Lo sbirro buono e quello cattivo erano la stessa persona: Gustav R. Kupper II.