DOPO IL 15 FEBBRAIO I MEDIA SIAMO NOI
...e siamo anche lo spazio pubblico, l'Europa, il mondo...

di Wu Ming 1






Qualche zelante scherano del vero "Asse del Male" (Bush, Blair, Aznar e quell'altro, com'è che si chiama?) cerca ancora di negare l'evidenza, di sottostimare, pesare col bilancino, fare distinguo ai quali nessuno più porge orecchio, ma - per dirla con trivialità - "non ci sono cazzi": sabato abbiamo davvero fatto la Storia.

Quel che è avvenuto non ha precedenti, l'infinitamente rievocato carattere "internazionale" del Sessantotto diventa poca cosa rispetto alla prima manifestazione planetaria in simultanea della storia dell'umanità. Manifestazione lanciata dal Forum Sociale Europeo e rilanciata dal Forum Sociale Mondiale: c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di definirli (o di definirsi, ahimè!) "no global"?!

Se le cose andranno nel verso giusto (e bisogna lottare perché ciò avvenga), gli storici del futuro vedranno l'intero ciclo di lotte sociali che noi chiamiamo "Sessantotto" come pròdromo, preludio, promessa delle ben più significative lotte del XXI° secolo.
Altro che "ultimo rigurgito delle ideologie ottocentesche", o idiozie del genere: anticipazione degli odierni movimenti globali, scheggia di futuro conficcata nell'epoca degli stati-nazione.

Noi che eravamo a Roma abbiamo fatto la Storia due volte, perché Lorsignori possono dire quel che vogliono, ma quella di sabato è stata la manifestazione più grande di tutti i tempi a livello mondiale.
Può darsi che il Partito Comunista Cinese abbia qualche volta radunato folle più numerose, ma si trattava di eventi ben poco spontanei, a rigida coreografia governativa, quindi non contano.

Dopo la giornata di sabato, acquista un nuovo, abbacinante significato lo slogan dei mediattivisti di tutto il mondo, da Seattle in avanti: "Don't hate the media, become the media".
Si', perché da oggi e' ufficiale che i media siamo noi, e intendo noi tutti: cosa può fare la meschina, petulante disinformazja di un regime contro il passaparola di chi ha partecipato a uno dei più grandi eventi di sempre? Il passaparola gioioso di tre milioni e mezzo di persone a Roma e decine di milioni nel resto del mondo?

Negli ultimi tre anni di lotte si è fatto sempre più evidente, ma oggi salta agli occhi e alle orecchie: la nostra comunicazione può fare tranquillamente a meno dell'informazione ufficiale, televisiva, piramidale.
Nel corso dei decenni, a volte lavorando nell'invisibilità, i movimenti si sono dotati di reti e strumenti e linguaggi che permettono loro di comunicare sotto, intorno e al di sopra dei media ufficiali, costeggiando i bordi di quel buco nero del senso in cui affogano le "maggioranze silenziose", che maggioranze non sono più.
Soprattutto, i movimenti si sono dotati di un immaginario che non paga più debiti allo sconfittismo, che costruisce comunità e sa di rappresentare il punto di vista del pianeta.

I famosi "cento fiori" di cui ci si auspicava lo sbocciare sono già qui, sul prato del mondo: la Rete, le radio, le tv di strada, i canali satellitari, le fanzines, la stampa indipendente ma soprattutto i racconti, la mitopoiesi, il passaparola. La grande narrazione che ci consegnano è questa: i movimenti di movimenti sono la vera globalizzazione.
Questo messaggio spiazza completamente chi, anche a sinistra, pensa ancora in termini di "piccole patrie" (letterali e/o metaforiche), o pensa che i movimenti siano alleanze copia-e-incolla tra ceti politici.

Il nuovo significato dello slogan "Non odiare i media, diventa i media" è anche: non dedichiamoci troppo alle geremiadi sull'informazione ufficiale, il conflitto di interessi, l'onnipervasività del b********ismo etc.
Smettiamola di stracciarci le vesti. Ce ne siamo accorti o no che i movimenti europei e mondiali guardano all'Italia come alla postazione più avanzata dello scontro tra le nuove comunità operose e un potere che si dibatte in una camera imbottita in attesa della thorazina?

Da quando questo governo si è insediato abbiamo proiettato un'immagine schizofrenica, riassunta nella domanda che mi è stata fatta molte volte durante viaggi all'estero: "Com'è possibile che in Italia ci siano i movimenti più forti, creativi e influenti se ho sentito dire che tutta l'informazione è in mano a B*********?".
Io ho sempre cercato di spiegare che B******** ha soltanto piantato una bandierina sulla punta dell'iceberg dell'informazione, non ha alcun controllo su ciò che sta sotto l'acqua, ciò che sta per speronare il suo dominio (non vedete che i topi abbandonano la nave prima ancora dell'urto?).

E' il governo B********* a essere circondato, isolato, disorientato, non certo noi. Questa situazione è evidente da almeno un anno, ma i movimenti stessi hanno faticato ad accorgersene, perché spesso - pur essendo più avanzati nelle pratiche della comunicazione, e maggiormente in grado di intuire come stavano le cose - hanno introiettato la visione sconfittista e arretrata dei loro ceti politici (DS, PRC, Disobbedienti, non fa nessuna differenza).

Dopo il dibattito all'ONU di venerdì scorso e la manifestazione mondiale del giorno dopo, lo stesso isolamento lo scontano George W. Bush, la sua psicopatica amministrazione e i suoi servi sparsi per il mondo, anche se i loro progetti di guerra sono lungi dall'essere bloccati.
Tre anni e più di rinascita dei movimenti hanno influenzato le pubbliche opinioni d'Europa, hanno decretato che il liberismo e la guerra sono fuori moda, hanno iniziato a costruire un nuovo spazio pubblico europeo che non è più l'Europa liberista e vassalla di Maastricht e delle guerre umanitarie.

Ecco, questo è ciò che ho visto sabato, testimone e protagonista di una vera e propria festosa invasione: la costruzione di un nuovo spazio pubblico, di una sfera pubblica non-statale, da parte della moltitudine.
Occorre continuare a muoversi, comunicare, alimentare il passaparola, perché sempre più persone se ne accorgano.


No (c) - Bologna, 16 febbraio 2003