NANDROPAUSA #3 - DICEMBRE 2002

I libri di narrativa - e dintorni - letti e apprezzati da Wu Ming tra quelli usciti negli ultimi sei mesi o poco più.
Ribadiamo che non si tratta di una hit parade dei "migliori libri della seconda metà del 2002" o cose del genere: la selezione avviene in base alle nostre idiosincrasie e tiramenti di culo, tra le cose che ci è capitato di leggere; non siamo critici letterari, non diamo patenti d'artista, non seguiamo alcun precetto di "oggettività".



Indice

- Bunker, Educazione di una canaglia
(WM3, WM1)
- De Cataldo, Romanzo criminale (WM1, WM5, WM4)
- Fabbri, Album bianco2 (WM1)
- Philopat, La banda Bellini (WM1)
- Kersh, La notte e la città (WM5)
- Nimier, Le spade (WM2)
- La segnalazione particolare: Nero Ravenna (WM4)
- Pat Garrett e gli anni Settanta (articolo di WM1 in anteprima per i giapsters)
- Link ai precedenti numeri di "Nandropausa"
- Proposta ai giapsters


Edward Bunker, Educazione di una canaglia, Einaudi Stile Libero, 2002, EUR 14,00
Traduzione di Emanuela Turchetti



WM3> Leggere Bunker significa soprattutto fare i conti con se stessi. C'è il rischio di uscirne con le ossa rotte, ma è una esperienza che solo la grande letteratura riserva. Edward Bunker scrive con l'acciaio e il cemento armato: il materiale di cui sono fatte le prigioni di massima sicurezza di San Quentin, Lexington, Folsom. Lo stesso materiale di cui è fatta la sua determinazione, assoluta e glaciale.
"Educazione di una canaglia" è la più lucida osservazione dell'universo concentrazionario contemporaneo che abbia mai letto, eppure non mi sembra questa la cosa importante, quanto lo scavo nelle motivazioni ancestrali, nelle radici profonde da cui origina la capacità di reagire, l'istinto di sopravvivenza che diventa acciaio appunto, e disciplina assoluta, e imperscrutabile capacità di adattamento.
Il narratore Bunker presta la penna al detenuto per un'opera di rara chiarezza disciplinare, dentro e fuori dal corpo. Ma emerge in squarci e sprazzi di puro godimento narrativo, - le interminabili partite di poker a perdere in carcere... -, e nella succulenta anticipazione del suo
prossimo romanzo, che ha al centro le vicende di George Jackson e di Fay Stender, famosa avvocato che lo difese prima del precipitare degli eventi. Continuerete a sentire il rumore del metallo, e cancelli che si chiudono, anche dopo averlo finito. Non spaventatevi, Bunker vi segnala l'uscita.

WM1> Illuminante l'analisi della dialettica perversa tra spinta all'integrazione razziale (nella società americana) e ricaduta nella segregazione pura (in galera). Imperdibili i numerosi aneddoti sulle sottoculture delinquenziali nella California di metà secolo.
Ogni volta che pensate di avere dei problemi dovreste mettere mano a quest'autobiografia, leggere un capitolo a caso, poi insultarvi allo specchio dandovi del/la fighetto/a. Terapia miracolosa. Se Bunker è uscito da dove s'era/l'avevano ficcato, allora chiunque può uscire da qualunque situazione.
A una lettura superficiale puo' sembrare che "Mr.Blue" se la sia cavata facendosi i cazzi propri, il che rischierebbe di immettere questo "romanzo di de-formazione" nel solco già scavato dal neoliberismo, quello dell'individualismo smodato e monodimensionale... In realtà Bunker ce l'ha fatta grazie all'attenta osservazione e alla profonda comprensione della comunità che lo circondava, la comunità di chi sta "a bottega", coi suoi codici, la sua particolare interpretazione della lealtà, del mutuo appoggio etc. Mi dicono che in galera nessuno, ma proprio nessuno, possa davvero sopravvivere da solo. Esattamente come succede fuori, ma più evidente. Leggete, insultatevi allo specchio, uscite di casa e date il vostro contributo alla lotta che infuria.



Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale, Einaudi Stile Libero Big, 2002, EUR 14,50


WM1> Tutta la banda WM ha già scritto molto di questo libro, e molto vi sarebbe ancora da scrivere. Il romanzo è pieno di piccole bombe a tempo, che continueranno a esplodere per anni. C'è senz'altro da ringraziare l'autore per la preziosa micro-recensione letteraria nascosta a pag. 619.
Certo, De Cataldo è un giudice, e non mancano le... deformazioni professionali: la visione del garantismo è caricaturale (a dire il vero, di questo sono responsabili i "garantisti" alla Cirami tanto quanto i giustizialisti), gli avvocati difensori sono tutti corrotti o meschini, eventi come il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati o l'introduzione del nuovo codice di procedura penale sono liquidati in due parolette sferzanti...
Ma c'è anche molto altro, nessuno potrà piu' "sminare" il terreno su cui è passato De Cataldo. Siamo in attesa delle fiacche controffensive dei critici caconi e degli scrittori invidiosi. Sinora c'è stato solo un poco di storcer di nasi.
Per capire come ha lavorato De Cataldo, consiglio di leggere - rigorosamente dopo "Romanzo criminale" - i libri di Giovanni Bianconi Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana (Baldini & Castoldi, 1995) e di Gianni Flamini, La banda della Magliana: storia di una holding politico-criminale (Kaos, 1994).

WM5> Era prevedibile che la saga di De Cataldo agisse come cartina di tornasole nel panorama (c'è chi lo vuole disastrato - a noi non sembra più tanto vero) delle patrie e usate lettere. Capita ad ogni romanzo importante e Romanzo Criminale non fa eccezione.
Voci influenti hanno tenuto a sottolineare ancora una volta che è la lingua a distinguere "l'opera d'arte" da ciò che arte non è, e hanno visto in Romanzo Criminale, da questo punto di vista, una sorta di occasione mancata. Troppi stilemi di genere, una matrice troppo "popolare" di fronte a una costruzione sapiente e a una ricchezza che, si riconosce, è quella di un capolavoro.
Non che questa tesi critica sia priva di coerenza e dignità. Tutt'altro. Il romanzo rischiava di essere semplicemente incensato e un simile trattamento non fa bene a chi vive di parole e deve continuare a scrivere buoni libri per rimanere a galla in un business piccolo e periferico come il nostro. Di più: una tesi critica come quella consente di tornare su argomenti che riteniamo centrali nella vita letteraria del paese.
Come si debba scrivere che cosa, in buona misura.
Chi vede in Romanzo Criminale un'occasione mancata mette in risalto una volta di più alcuni dei pregiudizi tipici della tradizione critica in questo paese. Qui da noi, non dimentichiamolo, Evangelisti è "un autore di fantascienza".
E' una posizione diametralmente opposta alla nostra, e non solo per motivi che qualcuno direbbe ideologici. E' proprio il dato stilistico infatti quello che rende indimenticabili le oltre 600 pagine di De Cataldo. E' attraverso la lingua che De Cataldo inventa e dispiega, che i personaggi vivono e muoiono in maniera convincente. E' attraverso la lingua che ti affezioni ad alcuni dei peggiori bastardi mai tratteggiati. La lingua dell'epica è la lingua della gente, e non c'è una sola battuta che stoni in bocca al Nero, al Freddo, al Libanese o a Patrizia. De Cataldo non è un grande autore perché scopre l'acqua calda (cioè che esiste o è esistita, in Italia, una centrale di potere occulta responsabile di infinite nefandezze) ma perché muove alla commozione, all'indignazione e al riso come solo i grandi sanno fare, e cioè muovendo la lingua come uno strumento volto a raggiungere il maggior numero di persone possibile.

WM4>
A tutto quello che abbiamo scritto sull'eccelso romanzo di Giancarlo De Cataldo posso aggiungere una sola nota. Sono contento di essere stato smentito.
In questi anni abbiamo riflettuto in varie occasioni sulla possibilità di narrare la storia recente italiana con lo stile ellroyano come avevamo fatto con la storia cinquecentesca europea, e sempre eravamo arrivati alla conclusione che era un'impresa pressoché impossibile. Troppe stratificazioni, troppi omissis, troppe querele miliardarie all'orizzonte, troppo materiale da scavare, troppe implicazioni col presente, troppe matasse ingarbugliate.
Pensavamo non fosse possibile fare quello che James Ellroy aveva fatto con American Tabloid e Sei pezzi da mille. De Cataldo ha dimostrato che avevamo torto marcio e di questo non posso che compiacermi infinitamente. Forse ci voleva un magistrato per farlo, una persona che professionalmente avesse accesso ai faldoni processuali, non soltanto alle cronache giudiziarie e giornalistiche. L'importante è che qualcuno l'abbia fatto e abbia aperto una nuova pista per la narrativa italiana, creando il precedente giusto. A buon rendere.

[Ricordiamo che Wu Ming 2 & Wu Ming 3 (firmandosi semplicemente "Wu Ming") hanno recensito Romanzo criminale su "La Repubblica" del 28 novembre scorso. La recensione si trova qui:
http//www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/romanzocriminale.html ]

[Per ulteriori considerazioni su "Romanzo criminale", vedi sotto, "Pat Garrett e gli anni Settanta".]



Franco Fabbri, Album bianco. Diari musicali 1965-2002 (2a edizione aggiornata), Arcana 2002, EUR 11,00

WM1> Per ovvie ragioni, e si parva licet componere magnis, ho sentito davvero vicina l'esperienza degli Stormy Six: esperienza di strade, di gruppo, di lavoro collettivo, di cazzeggio nei tempi morti (che sono poi vivissimi: è in quegli anfratti che nascono le cose migliori)...
Ho sentito vicina anche la necessità di sfuggire alle etichette, di non passare per "intellettuali organici" del movimento e di conseguenza subire le pretese - e sopportare le cazzate - di chi se ne crede gruppo dirigente (giuro che stavo per scrivere "digerente") e ha un'idea fossile, zdanoviana e prevaricatrice del rapporto con la kultura.
Trent'anni non sono passati invano: gli Stormy Six ancora ci cascavano, noi non più. "Quelli del Movimento Studentesco ci hanno chiamato la mattina stessa: dovevano aver progettato qualcos'altro per lo spettacolo, ma c'erano stati evidentemente dei problemi, e noi avevamo dovuto fare i tappabuchi. Nessuno ci aveva dato una mano a montare e smontare l'impianto, su e giù per le scale del Politecnico: erano stati solo capaci di metterci fretta. [...] Dato che siamo musicisti 'militanti', si suppone che dobbiamo suonare gratis o quasi, nelle situazioni più disastrate: quando poi capita che nello stesso concerto siano invitati cantanti o gruppi noti, dei quali in privato i compagni ci dicono che sono 'commerciali', 'opportunisti' e altri epiteti del genere, dobbiamo assistere alle genuflessioni, alla soddisfazione di ogni desiderio, alla raccolta di mazzetti di banconote che prosciugano le casse della raccolta dei fondi." (pag.109). Vengono in mente alcune nostre presentazioni in certi celeberrimi centri sociali, ma noi siamo puntuali nell'aggiornare la "lista nera", e molto bravi a diventare stronzi di colpo :-)
Ho sentito vicinissima anche l'esigenza di sfuggire all'abbraccio mortale di gruppi che, con escamotages più o meno abili (un'iniziale maiuscola, ad esempio), cercano di appropriarsi dell'esperienza e dei tesori simbolici dei movimenti: ieri il movimento studentesco dovette sucarsi il Movimento Studentesco, oggi ricordato da molti come un'accolita di ottusi sprangatori stalinisti. Accettiamo scommesse su ciò che si ricorderà domani di certe forze in campo oggi...
A parte i motivi miei/nostri, vi sono tantissime altre ragioni per apprezzare questo libro di Fabbri, musicista e musicologo, giornalista e conduttore radiofonico, studioso dei rapporti tra musica e tecnologie, membro storico di una delle più importanti bands del rock (e non solo) italiano. "Me l'aveva insegnato mio padre ancora alle medie, questo trucco giornalistico di finire come si era cominciato. Niente di eccezionale, ma funziona. Dopo si può iniziare un altro capitolo." Se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi.

[Per ulteriori considerazioni su "Album bianco", vedi sotto, "Pat Garrett e gli anni Settanta".]



Marco Philopat, La banda Bellini, ShaKe 2002, EUR 12,00

WM1> Il padre di Andrea Bellini era un ex-partigiano, guascone e un po' ambiguo, ma non c'èdubbio che fosse una formidabile macchina di fabulazione. I futuri fondatori della "banda" crebbero a pane e racconti epici (se c'è un altro modo di crescere, dev'essere ben triste). Racconti di agguati, attentati, scontri a fuoco. Poi c'era il nonno materno, che insegnò ad Andrea a diffidare degli stalinisti d'ogni risma. Il collettivo del Casoretto, fatto di figli di proletari, si mosse nella Milano degli anni Settanta tra antifascismo militante (con la particolare iniziazione rappresentata dal "cucchino", cioè rubare i Ray-ban ai camerati di S. Babila) e lotta per mantenere una propria autonomia di percorso, contro tutti i tentativi di reductio ad unum del movimento, con la testa dalle parti di Sierra Charriba e de L'ultimo buscadero (ma certe scene tragicomiche ricordano piuttosto Lo chiamavano Trinità). Philopat - già cantore del punk meneghino e curatore della rubrica "La teppa di Gutenberg" sulla rivista "Pulp" - ha raccolto e processato i racconti di Andrea Bellini (che in quanto a fabulazione non ha nulla da invidiare al babbo), e il risultato ha ben poco da invidiare al vate Peckinpah.
- Let's go.
- Why not?

[Per ulteriori considerazioni su "La banda Bellini", vedi sotto, "Pat Garrett e gli anni Settanta".]



Roger Nimier, Le Spade, Meridiano Zero 2002, EUR 13,00
Traduzione di Massimo Raffaeli


WM2> Un romanzo acuminato e tagliente come il titolo promette, l'esordio letterario di Roger Nimier, anno 1948. Discepolo di Céline, nichilista, anarchico, autodistruttivo, l'autore mette molto di sé nel protagonista François Sanders, allergico a qualsiasi genere di conformismo e ipocrisia, ma immerso in un epoca che trasuda entrambi: quella della seconda guerra mondiale e della scelta tra Resistenza e collaborazionismo nella Francia di Vichy. François, nella sua sete di contraddizione, esplorerà tutte e due le opzioni. Un racconto lungo inciso sulle pagine senza mezze misure, piacevolmente indigesto in alcuni passaggi, difficilmente non condivisibile in altri, perché il protagonista e' il classico "cattivo" per cui, spesso, ci si trova fare il tifo.
Un'ottima lettura per bilanciare i panettoni.



Gerald Kersh, La Notte e la Città, Fanucci 2002 [in uscita]

WM5> Una storia di underworld londinese anni '30, magistralmente narrata e avvincente a dispetto del piglio moralistico che traspare a tratti. Personaggi tratteggiati con sicurezza, ricchezza di dettagli, partecipazione emotiva e abbastanza distacco da evitare il patetico e il sentimentale. Papponi, entreneuses, "uomini d’affari", organizzatori di incontri di lotta (Alì il Terribile Turco, vecchio wrestler che torna sul quadrato per affrontare i propri fantasmi, è un personaggio memorabile), una generazione di vinti formati su film di gangster americani e su una concezione del mondo che riecheggia i cattivi di Dickens: riempirsi la pancia senza guardare in faccia nessuno, il mondo è di chi se lo prende e altre stronzate. Davvero un'uscita importante (e coraggiosa) per un editore che sta sbagliando ben poco.




Ettore Muti (1902-1943)

Saturno Carnoli e Paolo Cavassini, Nero Ravenna - la vera storia dell’attentato a Muty,
Edizioni del Girasole, Ravenna, 2002


WM4> Una non-fiction novel nera che più nera non si può. Un'indagine svolta attraverso ricerche documentali e con un tocco di narrativa ad amalgamare tutto. Un vero e proprio giallo quello che nasce intorno all'attentato al ravennate Ettore Muti, gerarca fascista e uomo immagine par excellence del regime mussoliniano (al punto da sostituire la ipsilon finale del proprio cognome in una più italica "i"), nonché futuro segretario nazionale del PNF.
Il 13 settembre 1927, nella Piazza di Ravenna, Lorenzo Massaroli, diseredato "di simpatie sinistrorse" spara tre colpi sul Console della Milizia Ettore Muti, due dei quali lo raggiungono al braccio e all'inguine. Fatti ancora pochi metri attraverso la piazza, Massaroli viene freddato con un proiettile in mezzo agli occhi da Renzo Morigi, futuro campione olimpionico di tiro con la pistola e membro di spicco del PNF ravennate, che si trova a passare di li' per caso, il quale rimane a sua volta ferito nel conflitto a fuoco.
La vicenda si conclude con encomi solenni per il provvidenziale "salvatore" e una degenza dorata per la vittima, seguita da un trasferimento a più alti incarichi a Roma.
Carnoli e Cavassini ci conducono in un'indagine a ritroso e in avanti rispetto a quel fatidico evento, mettendo a confronto testimonianze, verbali di polizia e carabinieri, voci di piazza, articoli di giornale, indagini interne al Partito, per gettare una pesante ipoteca sulla versione ufficiale dei fatti.
Ne risulta un racconto in stile Rashomon che arriva a ribaltare gli eventi come un calzino. La "vittima" e il suo "salvatore" si odiavano. Erano i classici due galletti in un pollaio troppo piccolo (Ravenna), durante la fase costitutiva del regime, quella in cui c'era da prendersi tutto, a fette enormi, secondo i dettami di un'ingordigia che solo molti anni dopo risalterà in tutta la sua portata.
Due gang rivali, quelle dei morigiani e dei mutiani: all'assalto dei soldi, delle cooperative agrarie, la prima; alla conquista del prestigio e del potere la seconda. Un odio viscerale e personale che alla fine della ricostruzione porta dritto all'ipotesi di un regolamento di conti, a suon di revolverate, interno al PNF ravennate. In gioco c'erano cariche istituzionali, promozioni, denaro.
L’indagine segreta che il Partito condurrà anni dopo sui fascisti e sulle cooperative nere ravennati disvelerà un complesso intrico di concussioni, ruberie, libri contabili falsati, "creste" colossali, messo in piedi da Morigi e dai suoi alleati dopo la "promozione" di Muti a Roma, con gli occhi ben chiusi del regime che aveva provveduto a dividere i due "galletti".
Una docu-fiction che si legge come un noir, appunto, e che scava fuori dalla storia un episodio all'apparenza contingente, ma alla fine centrale, una specie di punto focale da cui guardare un'intera epoca e un passaggio storico determinante.
Forse non sarà facile reperirlo nelle librerie, ma il mio consiglio a tutti gli appassionati del genere è di provarci.




Pat Garrett (1850-1908)

PAT GARRETT E GLI ANNI SETTANTA: NIENTE RESTA UGUALE A SE STESSO
[anteprima - di prossima pubblicazione su L'Unità]

Wu Ming 1, 13 dicembre 2002

"Certo non si può dire che i tempi siano particolarmente mansueti", constata Bellini in una Milano di lotte studentesche e operaie, stragi di stato, polizia che spara ad altezza d'uomo, chiavi inglesi che calano su elmetti facendo "Stunk!".
Gli anni Settanta: spauracchio perenne, minaccia sospesa, allusione maligna, riferimento negativo da spendere in qualunque occasione. Gli "anni di piombo", La "notte della Repubblica"... Un'intera stagione letta attraverso lenti deformanti, che rimpiccioliscono le grandi lotte sociali, ingigantiscono i cruenti exploits di gruppi clandestini e corpi separati, rendono mostruosa o patetica la bellezza, "normale" e "democratica" la mostruosità, ineluttabile la repressione.
E' possibile finalmente scartare, osare, narrare quella stagione in modo disinibito, niente claustrofobia né spade appese sopra le teste, attingendo a un grande serbatoio di storie singolari e collettive, evitando marchi a fuoco come il sottotitolo imposto nell'87 a Gli invisibili di Nanni Balestrini ("Il romanzo degli anni di piombo")?
Ebbene, sì. In tempi di nuovo "non mansueti", dopo un triennio di radicamento dei nuovi movimenti, di inasprimento del conflitto sociale, con tanto di crisi economica e tentato revival della strategia della tensione, possiamo trovare il miracoloso equilibrio tra immedesimazione (ça va sans dire) e distacco (perché il tempo non e' trascorso invano).
In Italia sono già all'opera narratori ninja, che tendono imboscate ai convogli della Storia e affrontano gli anni Settanta in furiosi corpo-a-corpo, usando le armi dell'epica corale, della mitopoiesi pop, della "radicale verosimiglianza" ellroyana, delle suggestioni western. Si avvalgono dell'inatteso "fuoco di copertura" di quei reduci (absit iniuria) che scelgono la cifra dell'autobiografia scanzonata e picaresca, raccontandosi senza trombonate.
Per rendersi conto di cosa sta accadendo consiglio di divorare in sequenza Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo (Einaudi, EUR 14,50), Album bianco2 di Franco Fabbri (Arcana, EUR 11,00) e La banda Bellini di Marco Philopat (ShaKe, EUR 12,00).

Romanzo criminale racconta, trasfigurandola appena, la storia della "banda della Magliana", delle sue alleanze con l'ultradestra, il crimine organizzato e i mandanti istituzionali della strategia della tensione, ma anche del suo attraversare i percorsi dei movimenti in agonia, in una Roma paranoica, con la "lotta al terrorismo" che fa da cortina fumogena per la ristabilizzazione autoritaria in corso.
Esperimento riuscitissimo di "romanzo globale", sovraffollato e bulimico, nel suo espandersi fagocita detriti di gerghi e dialetti, stralci di atti giudiziari e rapporti di polizia, brandelli di film e show televisivi, strofe di canzonette, stilemi di ogni possibile sottogenere narrativo, addirittura pagine di note spese e registri contabili, eppure non indugia mai in pedanti virtuosismi, anzi, mantiene un languido e sincero tono "folk", da raccolta di ballate.
Album bianco2 (riscrittura di un libro uscito nel 2000, da qui l'esponente aggiunto al titolo) è un'autobiografia divagante e carica di aneddoti. L'autore è studioso di popular music, conduttore di RadioTre Suite, collaboratore di questo stesso giornale e, soprattutto, chitarrista degli Stormy Six, che non hanno bisogno di presentazioni, autori e interpreti di canzoni irrinunciabili per la bildung di movimento delle ultime tre generazioni. Fabbri, grande affabulatore, racconta l'epopea on the road della band, dal beat fino allo scioglimento dell'83 e alla reunion di dieci anni dopo, passando per la collaborazione col movimento studentesco (con e senza le maiuscole) milanese. La lettura produce mille echi e riverberi con la situazione degli ultimi due-tre anni: nascita di reti comunicative di movimento, difficoltà e vantaggi dell'autoproduzione e dell'autodistribuzione, percorsi autonomi fuori dai riflettori dell'informazione ufficiale, ricerca di un rapporto il più orizzontale possibile tra emittente/artista e ricevente/pubblico... Tutto molto attuale, oggi che "cento fiori" sbocciano, in Rete ma anche nell'etere (dall'OrfeoTV di Bologna alla Telefabbrica degli operai di Termini Imerese).
La banda Bellini, esaltante e dolente, racconta l'ascesa e il declino della "banda del Casoretto", non soltanto mitico servizio d'ordine dell'autonomia (con la "a" minuscola) milanese, ma anche vera e propria sottocultura giovanile, "modi bruschi" e retorica vestiaria ispirata a Il Mucchio selvaggio di Peckinpah e Giù la testa di Leone. Come scrisse il Los Angeles Times recensendo Bordersnakes di James Crumley: "Un libro talmente saturo di testosterone che ci sorprende non gli crescano i peli".
Di certo i fratelli Bellini, "Jack", "lo Sponta", "il Bongo" e tutti gli altri, grazie alla loro capacità di tenere la piazza, salvarono delle vite, coprendo le ritirate di grandi cortei mentre le "forze dell'ordine" cercavano platealmente il morto. Philopat, e la cosa non mancherà di suscitare polemiche, descrive con brutale onestà lo scontro tra l'immaginario della banda (epica combattente, solidarietà maschile nella battaglia) e quello del movimento femminista.
I tre libri, diversissimi tra loro, hanno molto in comune: alla base c'è una grande voglia di capire cosa tiene insieme le comunità e cosa invece le disgrega, di capire come funziona una comunità in una situazione di caotico divenire. I discorsi del Libanese, il welfare criminale della "stecca para per tutti", le tirate di Bellini e Jack sulla "compattezza", i Beatles e "il modo con cui due - guardandosi - si avvicinavano allo stesso microfono, per sostenere il solista di turno" ("Nel giro di pochi anni questo spirito gregario e combattivo sarebbe sfociato nella politica"), i lunghi tour degli Stormy Six, lo sbirro Scialoja che è un personaggio tragico proprio perche' non ha una comunità di riferimento...
La lettura consecutiva produce anche inquietanti effetti e rimandi: a un certo punto ci si accorge che tutti (compagni di movimento, neonazisti, mafiosi, poliziotti) si chiamano reciprocamente "compagni", e magari a qualcuno viene in mente che nel mondo reale certi membri della comunità narrata da De Cataldo (in primis "Il Nero", trasposizione letteraria del neofascista Massimo Carminati) sono stati indiziati per l'uccisione di membri della comunita' narrata da Philopat (Fausto e Iaio del Leoncavallo).
Album bianco2 e La banda Bellini raccontano da diverse angolazioni la stessa Milano, tanti eventi combaciano (occupazioni, cortei, sparatorie, anche una prima teatrale), tanto che alcuni aneddoti di un libro potrebbero essere impiantati nell'altro senza alcun rigetto. Ci sono i katanga, con la loro grettezza e la loro violenza; c'è il rattrappimento culturale del Movimento Studentesco, che va di pari passo con un certo dissesto igienico (volete sapere perché Abbado rinunciò a portare la musica classica alla Statale?); c'è il comune, forte riferimento alla Resistenza, a quel Dante di Nanni che Andrea Bellini evoca mentre scampa a un attentato fascista e a cui gli Stormy Six dedicarono una delle loro canzoni più vibranti... Soprattutto, c'è il cinema western come allegoria della cooperazione e del lavoro collettivo:


Sam Peckinpah (1925-1984)

"...Autunno del '68, convocato per discutere del progetto del disco da cantautore, sento la mia voce pronunciare questa frase: 'Ma perché non lo facciamo con gli Stormy Six?'... Non ho fatto il cantautore... perché ero cresciuto a forza di "Magnifici sette"... Così, con quest'idea più hollywoodiana che sessantottina che il gruppo sia lo strumento necessario per affrontare e vincere qualsiasi difficoltà, gli Stormy Six entrano in sala d'incisione per registrare il loro primo LP";
"...Quando ci si mette insieme e si resta tutti uniti - se non riesci a farlo sei peggio di un animale... Sei finito... - Vi ricordate...? William Holden - diceva più o meno così - nel Mucchio Selvaggio... - Noi abbiamo deciso di stare insieme - e staremo uniti - dobbiamo farlo vedere a tutta la città - a partire dall'immagine - un'immagine di compattezza..."
Nel fatidico '77 usciva anche il primo numero della rivista "Il Mucchio Selvaggio". Quei riferimenti non erano casuali, il western "crepuscolare" parlava al cuore dei movimenti, descriveva il divenire, raccontava la decadenza, mostrava persone che vivevano passaggi di fase (come nei titoli dei libri di allora: Dall'operaio massa all'operaio sociale etc.) Il cinema di Peckinpah e Leone faceva vedere quel che cantavano gli Stormy Six ne "L'orchestra dei fischietti": "Niente resta uguale a se stesso / la contraddizione muove tutto". Non solo: film come Giù la testa o Pat Garrett & Billy The Kid anticipavano la questione cruciale del "pentitismo".
Tre libri pieni di elenchi, elenchi che ipnotizzano e procurano vertigini, elenchi di nomignoli da sonetto del Belli o da reading di Remo Remotti (cfr. pag.615 di Romanzo criminale), elenchi interminabili e suggestivi di accordi, canzoni e concerti (rivendicazione orgogliosa di una carriera trascorsa sulla strada), elenchi di morti ammazzati dalla polizia e dai fascisti, Ardizzone, Franceschi, Varalli, Zibecchi, e dopo un po' "la morte non vale nemmeno il giornale / che leggi e che poi butti via." (Stormy Six, "La sepoltura dei morti").
Tre libri che aiutano a capire la "anomalia italiana", quella per cui si ricorre a metafore come "movimento carsico", "sedimentazione", "laboratorio"... In Italia i movimenti - pur dovendo affrontare repressione, stragi, trame nere, tradimenti e sfilacciamenti - sono riusciti a tramandare saperi ed esperienze, e a riprodurre nuove sintesi di autonomia sociale e "contro-egemonia" culturale, grazie a infrastrutture che hanno fatto da "ponte", come i centri sociali (quel Leoncavallo il cui lucchetto fu tranciato da "Jack" del Casoretto) e le radio di movimento.
"Sedimentazione". Che è poi un altro modo per dire "mitopoiesi", l'atto di una moltitudine che si descrive in un flusso incessante di storia viva, che racconta e usa i racconti come armi, per imporre dal basso un immaginario che cambia lo stato di cose presenti. Un "mito" fatto di corpi, fatto di carne, sangue, merda. Come questi tre libri, che vi consiglio di sbranare, trangugiare, digerire.


Link ai precedenti numeri di "Nandropausa":


#O, Luglio 2001
http//www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap42.html#nandropausa
[Ricardo Piglia, Soldi bruciati; Daniel Chavarria, Il rosso del pappagallo; James Ellroy, Sei pezzi da mille; Philip K. Dick, In senso inverso; Maurice Dantec, Babylon Babies; Massimo Carlotto, Arrivederci amore ciao; Leo Malet, La vita è uno schifo; Bruno Arpaia, L'angelo della storia; Edward Abbey, I sabotatori]

#1, Novembre 2001
http//www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa.html
[Emidio Clementi, La notte del Pratello; Remo Remotti, Diventiamo angeli; Philip K. Dick & Roger Zelazny, Deus Irae; Thom Jones, Il pugile a riposo; David Peace, 1974; Miles Davis, Miles l'autobiografia; Howard Baker, Noi siamo i Mods; M.Y.Joensuu, Harjunpää e il figlio del poliziotto; Phil Patton, Dreamland...]

#2, Giugno 2002
http//www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa2.html
[David Czuchlevski, La follia delle muse; Valerio Evangelisti, Black Flag; Joe R. Lansdale, Maneggiare con cura; Jim Nisbet, Prima di un urlo]


D'ora in avanti, un mese o due dopo la spedizione di "Nandropausa", vorremmo produrre un supplemento - un numero bis, chiamatelo come vi pare - fatto di commenti dei giapsters ai libri che abbiamo segnalato. Chi avesse già letto una o più opere tra quelle segnalate qui sopra, può già mandarci qualche nota, se le/gli va. Siete anche invitati a commentare "Pat Garrett e gli anni Settanta". Seguimos en combate, WM