/Giap/#2 IVa serie - Lo spazio europeo - 13 febbraio 2003

SPECIALE EUROPA
1- Editoriale: Dentro l'Europa - di Wu Ming 3
2- Sull'Europa: forse avevamo ragione - di Federico Martelloni
3- Sono state le eresie a costruire l'Europa - di Wu Ming 4
SPECIALE COPYRIGHT
4- No copyright: le case editrici hanno tutto da guadagnarci - di Wu Ming 2
5- No copyright: la fine dell'industria discografica - di Wu Ming 1
6- No copyright: la vittoria del Punk - di Wu Ming 5
AGGIORNAMENTI
7- le novità sui casi Bambini di Satana e Lasciate che i bimbi
8- Le nostre sceneggiature: perché i lettori di Repubblica sono stati informati prima dei giapsters?



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DENTRO L'EUROPA
Wu Ming 3

All'inizio del prologo del nostro romanzo d'esordio, si trova un'indicazione di luogo molto vaga e molto netta al tempo stesso. Sono le prime tre parole di Q: "Fuori dall'Europa". Era la meta finale, esistenziale e politica, di alcuni dei più rilevanti protagonisti di quella storia, qualcosa che i lettori avrebbero potuto capire solo alla fine. Quella indicazione oggi va commentata, rimessa in prospettiva, infine capovolta, alla luce della nuova realtà .
L'Europa finanziar-militaresca prodotta da Maastricht e i suoi banchieri aveva imposto anni di onerosi sacrifici ai suoi cittadini, aveva impoverito salari e condizioni dei lavoratori, inoltre adombrava una proterva e militare volontà di farsi fortezza, dotarsi di mura invalicabili per consentire l'ingresso solo alla carne da cannone del lavoro senza garanzie e senza diritti di cittadinanza.
L'appeal di quella Europa liberista e feroce, capace solo di gettarsi prona agli ordini di NATO e USA con l'intervento in Serbia e Kosovo, era per noi davvero scarso. Questa Europa esiste ancora, nelle menti e nelle mire di molti degli interessi forti che vi gravano sopra, nelle burocrazie finanziarie oligopolistiche, nei nazional-liberismi "sangue, suolo e mercato", ma nel frattempo molto è cambiato.
L'esplosione della bolla speculativa, la fine traumatica della "belle epoque" della "economia nuova liberista", il dispiegarsi rapido e feroce delle lobbies delle armi e degli idrocarburi sulla scena di una "economia di guerra permanente", hanno posto fine a molte illusioni e chiarito molte ambiguità .
Contemporaneamente a una sequenza indefinita di eventi traumatici e di riduzione sistematica delle libertà individuali e politiche su tutto il pianeta, è cresciuta e cresce smisuratamente la consapevolezza di una quota sempre più ampia, ormai larga e maggioritaria, delle popolazioni, dei cittadini, delle opinioni pubbliche di molti paesi di ogni parte del mondo.
L'Europa, ogni sua regione o stato, è pienamente attraversata da questo vento vivificatore, che produce effetti stupefacenti, impossibili da pronosticare anche solo qualche mese addietro.
Su tutti, il formarsi diffuso - tra le pieghe di una comunicazione di massa blindata - di una opinione pubblica dal basso talmente grande da indurre i governi cruciali dell'Europa stessa a scelte di grande importanza strategica politica ed economica e dagli effetti ancora non del tutto prevedibili.
Oggi la grande maggioranza dei cittadini europei pone un veto irrevocabile allo scenario di guerra per gli anni a venire, prospettato in modo unilaterale dalla più grande potenza militare sostenuta dalle lobbies del petrolio e delle armi. La maggioranza dei cittadini europei ormai capisce quanta follia, quanta pericolosa disperazione vi sia oggi nelle scelte del Grande Alleato e nelle menti inette e omicide che lo governano. La maggioranza dei cittadini europei oggi sa che questa guerra è anche, se non soprattutto, contro l'Europa stessa, lo sente nelle sue tasche, nella percezione del futuro, nello sfaldarsi di patti ormai logori.
Stare dentro l'Europa adesso, e insieme guardare al mondo con nuovi occhi, significa per i cittadini del vecchio continente,  per quelli del nostro paese più di ogni altri, lavorare alla costruzione di uno dei pochi argini possibili alla efferata insensatezza del governo dei peggiori. Lo spazio politico europeo, mai tanto a rischio, fragile eppure cruciale, si trasforma, si ridefinisce, forse comincia solo oggi a porre davvero le proprie basi. In un mondo sull'orlo del precipizio.


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EUROPA: FORSE AVEVAMO RAGIONE NOI
Federico Martelloni

All'incirca un anno fa, durante la presentazione di un grosso libro dalla copertina giallosole, un Professore di dottrina dello stato, grande conoscitore del pensiero politico moderno, parlò della possibilità e della necessità di lottare per "costruire l'Europa come anello debole della catena imperiale".
Più prosaicamente: Toni Negri, durante la presentazione di Impero al Tpo di Bologna, nel febbraio dello scorso anno, provava a ragionare sul ruolo che avrebbe potuto giocare l'Europa sulla scena mondiale post-crollo del muro: l'Europa nell'era dell'Impero, ovvero in quella nuova dimensione della sovranità - sconosciuta al tempo della moderna costituzione dello Stato-Nazione - nella quale non vi è un fuori e nella quale, dunque, i cittadini sono chiamati a lottare dentro e contro, se vogliono la trasformazione dello stato di cose presente.
La frase, di grande effetto, piacque a molti. Tra questi - certamente -  quelle sfortunatissime e ostinatissime tute bianche che avevano tentato, invano e per l'ennesima volta durante il vertice europeo di Nizza 2000, di oltrepassare la frontiera di Ventimiglia portando nella cittadina francese quelli che credevano dovessero essere i primi tre articoli della Carta dei diritti europea.
I tre articoli, che campeggiavano su tre grandi stiscioni fermati a Ventimiglia dalla barbarie di Schengen, recitavano pressappoco così:

I) Sono cittadini europei tutti coloro che, da qualunque parte del mondo provengano, hanno scelto di vivere e dimorare sul territorio europeo
II) Tutti i cittadini europei, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno un lavoro, hanno diritto ad un reddito che consenta di condurre un'esistenza libera e dignitosa
III) L'Europa ripudia e contrasta la guerra, senza condizioni, in ogni parte del mondo

La posizione delle tute bianche - eretica e coraggiosa - suonò sgradita a gran parte della sinistra antagonista "in marcia" verso e contro Nizza. Fu giudicata una posizione "debole", "riformista", che scontava l'accettazione del piano imposto dall'avversario, ovvero la costruzione di un'Europa dei mercati e dei capitali, ammantata di una finta o presunta, labile democraticità .
Tutt'al contrario - se vi era "accettazione"- era accettazione non già della Carta così com'era, ma della scena europea come spazio politico di nuovi conflitti e nuove rivendicazioni, come ambito di crescita e sviluppo di movimenti sociali capaci di invocare vecchi e nuovi diritti, *in primis* il diritto alla libera circolazione per i migranti e il diritto al reddito di cittadinanza.
Il terzo elemento - prezioso come mai, di questi tempi  - era il nodo della guerra, del suo rifiuto, del perseguimento della pace come prioritario impegno politico di una nuova Europa.
La Carta di Nizza fu approvata, non senza contrasti e resistenze in seno alle Commissioni, al Consiglio e al Parlamento dell'Unione. La sua approvazione segnò, comunque la si pensi, l'inizio di un processo di costituzione politica nel quale i movimenti si sarebbero, di lì a poco, sforzati di irrompere.
Oggi l'Europa è veramente - per molte ragioni, non tutte lineari e scevre da contraddizioni - "anello debole della catena del imperiale". Anche oltre le posizioni di alcuni dei principali Governi degli Stati che la compongono, è certamente - in ogni caso - luogo di un dissenso e contrasto senza precedenti nei confronti della guerra. Dissenso tanto diffuso quanto radicale.
L'Europa vive il momento più importante della sua costituzione. Le moltitudini che ne attraverseranno le strade e le piazze, tra due giorni, possono essere il cuore di una fase costituente.
Poche mobilitazioni al mondo sono state temute quanto quella del 15 febbraio. Nessuna ha mai avuto queste proporzioni. Mai.
Se i colori di milioni di bandiere della pace non fossero così platealmente - e stucchevolmente - sgargianti, verrebbe da dire che uno spettro di si aggira per l'Europa...
Forse il Prof aveva ragione, e forse avevamo ragione anche noi.


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Sempre a proposito dell'Europa, questo è il link a un articolo di Wu Ming 4 (apparso su L'Unità dell'1 febbraio u.s.) che prende le mosse dal rinnovato interesse per le imprese di fra Dolcino, della sua utopia pratica, della sua cellula rivoluzionaria attiva in Val Sesia nel biennio 1305-1307. La mitopoiesi dei movimenti deve alimentarsi della riscoperta della storia degli assalti al cielo di questo continente, continente i cui pilastri culturali e antropologici sono eretti sui teschi delle "eretiche" e
degli "eretici", duemila anni di massacro.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/dolcino.html



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NO COPYRIGHT: LE CASE EDITRICI HANNO TUTTO DA GUADAGNARCI
Wu Ming 2


Negli ultimi tempi, il dibattito su diritto d'autore e relative violazioni, assume sempre più spesso le forme di un'altra disputa, quella sul trattamento della tossicodipendenza. In entrambi i casi, le questioni in ballo sono sia di natura pratica che etico-morale, ma le seconde - su cui chiunque può dire la sua - prendono comunque il sopravvento, facendo dimenticare (o addirittura falsando) cifre, dati, esperienze concrete.
Risultato: non si arriva da nessuna parte, prevalgono le idee preconcette, mentre sedicenti 'addetti ai lavorì dimostrano di non avere nemmeno una vaga idea di quello che stanno dicendo. In un caso come nell'altro, gli sforzi di chi cerca di tenere i piedi per terra, portare esempi reali, citare precedenti, alla lunga sono votati al fallimento, poiché si sa, anche una dimostrazione matematica - volendo - può essere soggetta a valutazioni del tutto extra-scientifiche. A meno che...
A meno che non si intervenga per tempo. Se il mondo della musica è ormai allo sbando, incapace di inseguire i mutamenti che presto spazzeranno via la produzione discografica così come le conosciamo, nel campo editoriale l'isteria non è ancora alle stelle, e forse c'è lo spazio per una discussione più attenta alla realtà delle cose. In questa prospettiva, almeno tre esempi emblematici andrebbero presi in considerazione.

1) Due anni fa, all'inizio del 2001, lo scrittore di fantascienza Eric Flint ha dato vita a un progetto rivoluzionario. Ha convinto il proprio editore a costruire una biblioteca virtuale, con accesso gratuito, dove rendere disponibili molti romanzi della casa editrice tuttora in commercio nelle librerie. Senza nessun tipo di iscrizione a pagamento, è possibile collegarsi al sito www.baen.com e scaricare sul proprio computer la versione elettronica di decine di romanzi, in cinque diversi formati di presentazione.
Operazione suicida, si potrebbe pensare. Ogni testo scaricato è una copia non venduta, direbbero certi analisti di mercato al soldo delle multinazionali del disco. Ebbene, qualunque considerazione di carattere 'ideologicò viene spinta nell'angolo da un dato inconfutabile: la maggior parte degli autori ha aumentato le vendite da quando i suoi libri sono comparsi sugli scaffali della biblioteca di Eric Flint. Un esempio su tutti: Mother of Demons, dello stesso Flint, ha venduto 9694 copie dal settembre '97 a fine 2000. Nell'anno e mezzo successivo, col testo liberamente scaricabile dal sito, ha raddoppiato le vendite in libreria: 18500 copie.
Senza dubbio quest'aumento può essere giustificato in molti modi. Il romanzo in questione è l'esordio di Flint, che nel frattempo è diventato un autore più noto, dunque più venduto. Atteniamoci dunque al risultato minimo: la presenza di questo romanzo nella biblioteca gratuita non ha danneggiato né Flint né l'editore. Lo stesso, se permettete l'autocitazione, è accaduto a Wu Ming/Luther Blissett. Q, il romanzo che da più tempo è disponibile gratis in diversi formati sul sito www.wumingfoundation.com, continua a vendere molto bene nella versione cartacea, e non accenna a smettere.
Ma c'è di più. Chi sostiene che la disponibilità on-line di un prodotto culturale (che sia musica, narrativa o altro) nuoce alle vendite di quel prodotto sotto qualsiasi forma, può sottoporre alla nostra attenzione grafici disastrosi, senza tuttavia poter dimostrare il nesso fondamentale tra calo delle vendite e downloads gratuiti del prodotto. Al contrario, Eric Flint può esibire migliaia di e-mail nelle quali i lettori dei suoi romanzi affermano: di aver scaricato un suo testo per vedere com'era, di
 averne lette alcune pagine a video, di aver visto che ne valeva la pena, di essere corsi ad acquistarlo in libreria, o di averne regalate in giro diverse copie, o di averne parlato bene a molti amici (tutta pubblicità gratis...).
In ogni caso: se qualcuno ha letto il libro grazie alla biblioteca, ma non ha comprato la copia su carta e non ne ha parlato in giro, resta comunque uno che senza la biblioteca non avrebbe comprato tout court e che non può essere considerato un 'dannò per le vendite di Flint. Zero da zero non fa meno uno.
Inoltre, il passaparola funziona anche al contrario: se uno resta deluso da un libro per cui ha pagato 15 euro, ne sconsiglierà l'acquisto anche ad altri. Se invece gli succede con un testo disponibile gratuitamente, basta che dica: "A me non è piaciuto, ma prova tu stesso...". Nessun venditore di auto vieta ai potenziali acquirenti un giro di prova sui suoi modelli, con la scusa che gli consumano le gomme e la benzina. Se lo facesse, potrebbe chiudere baracca.
Eppure, una strana paura continua a far da scudo contro argomentazioni tanto banali, e viene da pensare che se il libro fosse nato oggi, si discuterebbe sulla legittimità di prestarlo a un amico, e le biblioteche sarebbero considerate un grave attentato alle vendite di un autore e pertanto messe fuori legge.
Molti, nel mondo discografico, rispondono a esempi come questi sostenendo che gli editori sono fortunati, perché il libro resta un oggetto unico, difficilmente riproducibile, a differenza del CD. Senz'altro una differenza importante, ma non sostanziale. Come dimostra il prossimo esempio.

2) La casa editrice O'Reilly è specializzata in manuali - cartacei e on-line - su linguaggi di programmazione, software, nuove tecnologie. Non è una presenza piccola, sul mercato. Alcuni titoli del catalogo vendono centinaia di migliaia di copie. Ora, un manuale di questo tipo non è il classico oggetto che ingenera feticismo: anche stampato su fogli A4 svolge bene la sua funzione. Eppure, le vendite in libreria dei  testi che sono venduti anche on-line - suscettibili dunque di essere piratati - non ha subito flessioni.
Secondo O'Reilly, tale 'piraterià fa parte comunque dei rischi del commercio, tanto quanto il furto in una libreria 'fisica' . Con la differenza che il furto è più dannoso, perché fa sparire un testo dagli scaffali, ma non dai registri del negozio, in modo che il libraio finisce per non riordinarlo, credendo di averlo, e i potenziali compratori finiscono per non trovarlo (e questo potete segnarlo davvero come 'meno uno'!)
O'Reilly aggiunge di non avere nulla in contrario se un acquirente di un suo libro on line lo mette in condivisione tramite Internet. Da che mondo è mondo, i libri si prestano. Questo tipo di 'pirateria' , al peggio, è una sorta di tassazione progressiva: colpisce un autore quanto più è famoso, e lo ricambia rendendolo ancor più famoso. In fondo, per un qualsiasi artista, l'oscurità è un nemico molto peggiore della pirateria. Il discorso è diverso se qualcuno mette in vendita un suo manuale su un altro sito. La cosa sorprendente, però, è che simili violazioni vengono segnalate dagli stessi lettori. O'Reilly ha una spiegazione per questo.
Sul sito della casa editrice c'è una sezione particolare: si chiama Safari Bookshelf. Con dieci dollari al mese è possibile sottoscrivere questo servizio, che permette una ricerca per parole chiave all'interno di tutto il catalogo. L'utente può poi inserire i testi che più lo interessano in uno scaffale virtuale con dimensioni limitate (ci stanno un certo numero di libri e basta), per una durata di 30 giorni, rinnovabili. I testi dello scaffale si possono leggere integralmente, nonché stampare. Nessun
 sito pirata offre altrettanto. E gli utenti ritengono che O'Reilly si sia guadagnato i suoi dieci dollari.
Quest'esperienza dimostra che la 'piraterià si combatte con servizi competitivi a prezzi competitivi.
Se il futuro ci regalerà libri elettronici talmente straordinari da mandare in soffitta le versioni su carta, gli 'editorì si potranno sempre offrire servizi come questo: siti che selezionino i testi migliori dal mare magnum delle pubblicazioni mondiali, che proponganònuovi autorì , che non abbiano un costo eccessivo, che permettano di scaricare copertine particolari, più altri servizi intertestuali...
Quando simili prodotti vedranno la luce, dobbiamo supporre che anche il pagamento on-line si sarà evoluto. Che basterà un clic per pagare a un certo autore due o tre euro per scaricare un suo testo trovato nel sito del tal editore, più la copertina, più altre notizie, più la rassegna stampa...Io immagino che i clic sarebbero molti (e metterebbero nelle tasche degli autori più soldi delle attuali royalties dieci-per-cento-sul-prezzo-di-copertina.). E certo: innescherebbero scambi on-line, e passaparola
e quant'altro. Che male c'è?
Se persino il prestigioso Massachussets Institute of Technology si sta muovendo in questa direzione...

3) Il progetto OpenCourseWare del MIT è un tentativo di riportare l'Università al suo scopo originario: rendere universale la cultura, piuttosto che razionarla e rivenderla solo a chi può permettersela.
All'indirizzo http://ocw.mit.edu, fin dall'ottobre dello scorso anno, sono consultabili i materiali di insegnamento utilizzati dai docenti di numerosi corsi tenuti al MIT. Nel giro di quattro o cinque anni il progetto conta di coprire l'intero spettro dei 2000 corsi che si svolgono nell'istituto.
Da un lato, come detto, il progetto ha una funzione sociale. Senza poter godere di tutti i servizi riservati agli iscritti, molte persone potranno accedere al contenuto delle lezioni di uno degli istituti più prestigiosi del mondo. Tra queste molte persone sono compresi anche i professori di altre università , che potranno utilizzare quei materiali, nonché integrarli ulteriormente, in una sorta di 'docenza open source' dalla quale gli studenti hanno tutto da guadagnare.
In realtà , anche Charles Vest, presidente del MIT, spera di guadagnarci qualcosa. E non solo prestigio, fama, riconoscimenti. In molti di questi corsi, infatti, si fa riferimento a testi editi dallo stesso MIT. Vest è sicuro che le vendite di quei testi registreranno un'impennata. Gli basta citare, a questo proposito, l'esperienza di un'altra istituzione accademica, la National Academic Press, che sul sito http://books.nap.edu ha reso accessibili tutti i 2100 volumi del suo catalogo. Volumi costosi, come
 sono spesso questi manuali (la NAP pubblica per l'Accademia delle Scienze, l'Istituto di Medicina e l'equivalente americano del nostro CNR). Volumi in vendita, in un'altra sezione del sito. Ebbene, con 40.000 copie vendute on-line, lo scorso anno si segnala come il più redditizio per la NAP. Senza, tuttavia, che si siano registrate flessioni nelle vendite tramite altri canali (numero verde, librerie, club...).

Questi esempi dimostrano che ci sono alternative praticabili per salvaguardare i diritti degli utenti, sfruttare al meglio le potenzialità della Rete e avere bilanci in attivo. Molte delle grandi multinazionali dell'intrattenimento sono cadute nella trappola repressiva e stanno pagando le conseguenze di una lotta impari contro la società intera. Altre possono seguirle sulla stessa strada oppure scoprire che, oltre i pregiudizi, può sopravvivere un profitto più 'eticò, più responsabile, ma non per que
sto meno soddisfacente.


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Sempre sulle questioni del copyright, ecco il link a un articolo di Wu Ming 1 apparso su L'Unità del 6 febbraio u.s. Vi sono esposte nei dettagli le "strategie" dell'industria discografica e multimediale per far fronte alla cosiddetta "pirateria". "Strategie" fatte di espedienti tecnologici, gabelle intollerabili e manovre repressive che avranno come unico risultato l'accelerazione della metastasi. L'industria discografica come la conosciamo oggi non ha più di due anni di vita di fronte a sé. Requiescat
in pacem
.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/finedellemajor.html


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NO COPYRIGHT: LA VITTORIA DEL PUNK
Wu Ming 5



Ricordate cosa scrissero gli occupanti di Piccadilly sul grande edificio abbandonato di cui si erano impadroniti, prima che arrivasse la polizia? "Siamo la scritta sul vostro muro".

George Melly, The Writing On The Wall, aprile 1975.


Il punk rock fonda un'estetica che non ha bisogno dell'industria musicale e nemmeno dell'industria culturale in senso lato per svilupparsi e per proliferare producendo senso.
La fanzine fotocopiata (il punk è impossibile senza fotocopiatrice) è preferibile alla rivista patinata.
I gruppi divengono importanti prima di essere messi sotto contratto, senza aver fatto nemmeno un disco.
Tre accordi, basso, chitarra, batteria sono preferibili all'enfasi tecnica dei gruppi progressive.
è una scena che vede nella vicinanza tra performer e pubblico una condizione di appartenenza, e che tende anzi ad abbattere decisamente quella barriera. Anzi, è una scena in cui propriamente il pubblico non esiste: chi segue il punk è , almeno in pectore, un punk.
Il verticismo che vede in cima alla piramide la star, poi i suoi manutengoli, i clienti, le groupies, i fan, il pubblico-che-compra-il disco e così via è sostituito da una spazio di comunicazione potenziale che è allo stesso tempo una comunità .

Nel luglio del 1975 l'Inghilterra era in piena recessione. Gli indici di disoccupazione erano i peggiori dalla Seconda Guerra mondiale. Non sembrava una crisi congiunturale. Non era quella la percezione della gente, quantomeno. Era la fase avanzata di un declino che sembrava inarrestabile.
La produzione calava. La spesa pubblica aveva raggiunto il 45% del reddito nazionale. Nel novembre 1975 il cancelliere Denis Healey presentò un pacchetto di tagli alla spesa pubblica per tre miliardi di sterline.
"No Future" non fu lo slogan provocatorio di una band di rock'n roll con tendenze teppistiche & anarcoidi. Fu una constatazione.

Nel 1975, paradossalmente, l'industria musicale poteva apparire in buona salute.  Aveva reagito all'apertura di mercato indotta dai fenomeni economici, sociali e culturali dei '60 organizzandosi in corporation multinazionali che detenevano il 60% del mercato britannico. All'epoca,  il prog rock (Genesis, Yes eccetera) rappresentava ancora l'opzione di chi seguiva "un certo tipo di musica"; e in quella fase la globalizzazione era annunciata, ad esempio, da gruppi ultra-pop come gli Abba.  Dopo la vittoria a
l festival dell'Eurovisione nel 1974, il gruppo svedese era diventato "il" fenomeno, dal punto di vista commerciale. Registravano in Svezia, vendevano il prodotto a una multinazionale americana e cantavano in inglese per il mercato europeo.
è interessante anche un altro dato: nel 1975 il 30% delle vendite complessive sul mercato britannico era rappresentato dalle raccolte antologiche di una etichetta (K-Tel) che propagandava i prodotti con spot televisivi.
Come puntualizza John Savage in England's Dreaming riferendosi al clima del periodo: "Pubblicità televisive, catene di vendita funzionali, espedienti fiscali, nostalgia istituzionalizzata: tutto ciò riempiva lo spazio congestionato della cultura pop".
Unica via di fuga, il culto sotterraneo per la musica nera, radicato principalmente nel nord del paese, ma connesso a preoccupazioni sull'"oscurità " e l'"invisibilità " che rendevano problematica una sua affermazione come fenomeno di largo consumo.

Dal punto di vista sociale e economico il biennio '75-'77 rappresenta dunque  una fase di recessione. Dal punto di vista culturale si passò da una fase di stallo a una  rivoluzione.

Vi ricorda qualcosa?


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Novità sui casi BdS e Lasciate che i bimbi

da La Repubblica (pagine bolognese) del 24 gennaio 2003:


DIMITRI, BAMBINO DI SATANA
RISARCITO PER 13 MESI DI CARCERE
Al termine del processo fu assolto, ora lo Stato dovrà versargli 35mila euro
La corte d'appello ha respinto le tesi del pg e dell'avvocatura dello Stato


Quattrocento giorni di detenzione sono costati allo stato 35mila euro. La Corte di Appello di Bologna ha riconosciuto a Marco Dimitri, capo della setta dei "Bambini di Satana" [errore: è un'associazione culturale, N.d.R.] un risarcimento per il doppio arresto del 1996 e per i tredici mesi trascorsi in carcere [...]. La Corte ha riconosciuto risarcimenti anche per due ex adepti della setta finiti in carcere e che sono stati assolti a loro volta [...]
I giorni passati in carcere, secondo i difensori che hanno presentato le istanze di risarcimento - gli avvocati Nicola Chirco, Guido Clausi Schettini, Roberto Bellogi e Carla Mei - costituirono una ingiusta detenzione [...]
Durante l'udienza davanti alla Corte d'Appello per discutere il risarcimento, il Pg Rinaldo Rosini disse che le richieste dei difensori dovevano essere respinte perché da parte dei tre ci fu una "condotta gravemente colposa" che è in "rapporto causale con l'emissione delle ordinanze di custodia cautelare". Per l'accusa, c'erano poi elementi per dire che quella dei Bambini di Satana era un'associazione satanica a carattere "violento e perverso". In pratica, aveva ripetuto Stefano Cappelli per l'Avvocatura
 dello Stato, i tre svolsero un'attività che non poteva non trarre in inganno l'autorità giudiziaria.
L'avvocatessa Mei aveva replicato manifestando il suo "sconcerto": "I tempi della caccia alle streghe - aveva detto - devono finire, e la sola morale corrente (citata dall'Avvocato dello Stato) non può giustificare 13 mesi di carcerazione" [...]

[WM1:] Marco - al momento ricoverato in ospedale per un'operazione alla retina dell'occhio sinistro - uscì dalla vicenda giudiziaria gravemente provato nel fisico e nel morale. Era stato assolto in tutti i gradi di giudizio perché "il fatto non sussisteva", ma la PM Lucia Musti e il Resto del Carlino avevano distrutto la sua reputazione, marchiandolo a fuoco come maniaco stupratore, forse anche omicida. Questa cosa gli ha sinora impedito di ricostruirsi una vita.
A tre anni di distanza dall'assoluzione in appello (perentoria e definitiva), Marco non ha trovato un lavoro stabile, vivacchia grazie a prestazioni saltuarie (compresa la cura tecnica del nostro sito) e agli aiuti degli amici, noi compresi. Facciamo quello che possiamo, ma siamo in perenne affanno ed emergenza. Ci stiamo occupando di questa vicenda dalla primavera del 1996, quando la colonna bolognese del Luther Blissett Project avviò la sua celebre controinchiesta e campagna di solidarietà (la quale ci ha fruttato una causa civile e problemi di censura che tuttora si trascinano).
La sentenza della Corte d'Appello di Bologna stabilisce un principio di civiltà e toglie un po' di peso dalle spalle di Marco, ma quel compenso è da considerarsi irrisorio, basterebbe appena per pagare l'affitto arretrato allo IACP, senza risolvere i problemi di una persona che è stata vittima di una impressionante montatura mediatica e giudiziaria. I legali dei BdS avevano chiesto un miliardo di vecchie lire per ex-imputato. La settimana scorsa l'imprenditore milanese Barillà ha ricevuto un risarciment
o di otto miliardi per sette anni di ingiusta detenzione. Marco e i suoi co-imputati non hanno patito meno di Barillà le conseguenze del carcere, anzi.
Per questo motivo i legali dei BdS sono ricorsi in appello.
Nel frattempo, la ditta dell'Aquila 2mila8 Comunicazione, condannata insieme a noi per il libro *Lasciate che i bimbi*, ha deciso di ricorrere in appello. In questo modo si riapre la discussione sulla presunta natura "diffamatoria" di quel libro, perseguitato fin dalla sua uscita nelle sue versioni cartacee e telematiche, con sequestri, censure, richieste di rimozione dai server etc.
Le appassionanti vicende di cui sopra sono raccontate nel nostro dossier *Back Pages: storia di un libro maledetto*, scaricabile a questa pagina:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/lasciate.htm
Sempre da questa pagina si può accedere al cartone animato in Flash "The File That Wouldn't Leave", che "riassume" in forma parodica tutta la vicenda dall'arresto dei BdS alle ultime disavventure della versione digitale di *Lasciate che i bimbi*.


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Non si vende la pelle dell'orso prima di etc. etc. Per questioni di scaramanzia (viste le precedenti esperienze narrate in Benvenuti a 'sti frocioni 3 e vista l'alta percentuale di cialtroni inconcludenti attivi nel mondo *der* cinema), su Giap e sul sito non avevamo ancora parlato delle sceneggiature che stiamo scrivendo da circa un anno, a parte un accenno nell'intervista Wu Ming 1 - Valerio Evangelisti su un Mucchio Selvaggio di qualche settimana fa.
Un trafiletto apparso sulle pagine culturali di Repubblica il 31 gennaio scorso ci ha posti al centro dell'attenzione. La (h) films di Milano annunciava la messa in produzione di un film tratto da una nostra sceneggiatura ("Ferdinandea", scritta da Wu Ming 2 e Wu Ming 5).  Ovviamente abbiamo ricevuto molte e-mail di giapsters curiosi. A questo punto rinunciamo al nostro riserbo e spieghiamo nei dettagli che cazzo stiamo combinando (su più fronti). Lo facciamo riportando stralci significativi di un'intervi
sta di Wu Ming 2 al sito specializzato http://www.tamtamcinema.it:



[...]D. In un'intervista a "Mucchio Selvaggio" WM1 ha dichiarato che il modo in cui scrivete i romanzi collettivi è simile alla stesura delle sceneggiature. Puoi spiegare il vostro metodo?

R.. La somiglianza col cinema sta più che altro nel rapporto tra le nostre scalette di lavoro e la scrittura del romanzo. In genere, tra di noi, parliamo di scene, piuttosto che di capitoli, e cerchiamo di immaginarci nella maniera più visiva possibile quello che accade. Qualcosa di molto simile a uno storyboard. Poi, volta per volta, ci suddividiamo le scene che ognuno dovrà girare, cioe' i capitoli da scrivere. Quindi, dopo una session di lettura, ci scambiamo i file con i diversi pezzi e a quel punto
 ognuno interviene, modifica, taglia, incolla in una sorta di vero e proprio montaggio, una specie di frullatore linguistico sempre acceso che miscela il tutto fino a che i gusti non sono in perfetto equilibrio e lo stile ben amalgamato.

D. è cambiato qualcosa nel passaggio allo script cinematografico?

R. In realtà , nonostante questa premessa, tra scrivere romanzi e scrivere sceneggiature penso ci sia la stessa differenza che passa tra suonare la chitarra acustica e fare musica col computer. La stesura di una sceneggiatura comporta una tecnica molto più codificata rispetto allo scrivere un romanzo. Inoltre hai meno spazio a disposizione per sviluppare la storia, per cui tutto dev'essere giustificato, ogni battuta deve valere assolutamente la pena e avere un senso preciso nella dinamica della narrazione e dello sviluppo dei personaggi. Infine, per quanto la regola 'show, don't tell' valga anche per la narrazione scritta, nel caso di una sceneggiatura la maggior parte delle cose non vanno dette, ma fatte vedere.

D. Come è nato il progetto del film diretto da Luca Maroni? Qualche anticipazione sulla storia e i personaggi? (L'isola che affonda..?) Ma c'è già un titolo, anche solo provvisorio?

R. Titoli provvisori ce ne sono due. "Ferdinandea", dal nome ufficiale dell'isola che riemerge, e "La buona stella", da un particolare della narrazione. Il soggetto del film è stato scritto circa due anni fa, quando noi Wu Ming abbiamo deciso di utilizzare tutte le idee che non riuscivamo a infilare nei nostri romanzi sandwich, per farne soggetti a uso del cinema. L'esperienza, per lungo tempo, ha dato risultati scoraggianti e ci ha portato ad incontrare cialtroni e velleitari di ogni sorta. Quando le speranze erano ormai al lumicino, si sono fatti avanti Guido Chiesa, per un altro progetto, e la (h) films, che proprio in quel periodo cercava una storia da raccontare come primo lungometraggio del loro regista Luca Maroni.
A mo' di anticipazione, posso dire che il film racconta l'emersione dell'isola Ferdinandea (di cui tutti hanno cominciato a parlare...), al largo delle coste siciliane, in concomitanza con un fatto di cronaca nera che coinvolge un vulcanologo giunto sul posto per motivi di studio, un palazzinaro agrigentino, due giovani mod di provincia e una donna un po' new age, convinta di voler partorire sulla nuova terra appena emersa dalle acque.

D. La stampa ha parlato di questo film come di un "thriller". Confermi? Se si vai alla domanda seguente.

R. Direi di sì , ma siccome ci piace mescolare i generi, il film è anche molto altro e si colora, in particolare, di venature grottesche.

D. Noir e thriller letterari stanno incontrando una discreta fortuna in Italia. Penso soprattutto ad autori come Carlotto e Lucarelli. Ma il cinema italiano raramente si è confrontato con il cinema di genere e quello noir in particolare (con eccezioni atipiche come "L'imbalsamatore" di Matteo Garrone e, chissà , come "Arrivederci amore ciao" diretto da Michele Soavi). Pensi che ci siano segni di cambiamento in questo senso?

R. Francamente ancora poca roba. Citando la recensione (positiva) di un film che esce in questi giorni, potrei dire che si continuano preferire "storie sempre simili o uguali, quelle della nostra quotidianità , senza eroi, senza grandezze, incerte e inquiete, piene di tutto e vuote di tutto."

D. Ci saranno personaggi femminili nel film wu ming/maroni?

R. Sì , senz'altro. Poi non è detto che ci siano riusciti bene...In ogni caso, ci sono perché ci stavano bene e nella misura in cui ne sentivamo il bisogno. Lo dico perché nel cinema, ogni tanto, si ha la sensazione che ci siano le 'quote', come nelle liste elettorali. Penso che se Scorsese non si fosse sentito in dovere di piazzare un personaggio femminile dentro 'Gangs of New York' il film ci avrebbe solo guadagnato.

D. Qual è stato il vostro immaginario cinematografico, il magazzino di immagini, stili, personaggi di riferimento nella stesura?

R. Innanzitutto, volevamo fare un film che suonasse il meno possibile 'italiano'. L'unico compatriota a cui ci siamo rifatti è Sergio Leone. E sì , anche il regista de 'La Capagira' - mi perdoni se non mi ricordo il nome. Poi, per la commistione del genere thriller con elementi di commedia grottesca, il punto di riferimento sono senz'altro i fratelli Cohen di 'Fargo' e 'Il grande Lebowsky". Più qualcosa di Kitano. Nel film ci sono anche riferimenti diretti a 'Quadrophenia'... ma la lista sarebbe veramente lunghissima.

D. Perché Guido Chiesa ha chiesto proprio a voi di scrivere la sceneggiatura del film su Radio Alice/il '77

R. Questo dovresti chiederlo a lui... Penso avesse letto 'Asce di Guerra' e gli fosse venuta voglia di conoscerci.

D. Che visione del '77 evocherà il film?

R. Per quanto il movimento bolognese di quegli anni faccia da sfondo a tutta la vicenda, e in alcuni casi diventi uno dei protagonisti, il film non è né sul '77 né su Radio Alice. Fulcro dell'azione è una tentata rapina 'col buco' alla Cassa di Risparmio, storicamente avvenuta pochi giorni prima dell'omicidio Lorusso. Un evento collaterale di un evento più grande - un po' come l'assassinio di Peppino Impastato rispetto a quello di Moro. Sulle dinamiche del '77, dunque, non ci sono particolari approfon
dimenti o prese di posizione. Ci interessava, di quel periodo, l'esperienza di Radio Alice, con i suoi lampi di genio e le inevitabili ombre. Si tratta di quella parte creativa e desiderante del movimento del '77 che non smette di influenzare i movimenti di oggi e che invece troppo spesso è stata messa in ombra dagli episodi di sangue e dall'affermarsi della lotta armata. Illuminare un periodo buio da una prospettiva diversa è più o meno quello che sempre cerchiamo di fare.

D. Anche per "Q" avete avuto qualche contatto cinematografico. Il progetto è definitivamente sepolto?

R. No. L'araba fenice è tornata a vivere sotto nuovi cieli. Ma la scaramanzia impone di non anticipare nulla...



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