da clarence.com, maggio 2002.

 

54 di WU MING

Una riflessione sulla vicenda dell'Italia repubblicana, che nasconde un profondo conflitto di civiltà, da fare riemergere, da comprendere per via di una storia degli effetti dolorosa, chance per appropriarsi della verità di quanto difficoltoso è stato il processo di colonizzazione culturale che ha condotto il nostro Paese alla palude del presente. Un intreccio che non risparmia l'utilizzo degli strumenti più variegati della letteratura planetaria (codici del thriller, della spy-story, del romanzo di formazione, della narrazione realista, della sociologia, della saggistica politica e geopolitica, del racconto nomade). Un portentoso attacco alla fragilità psichica del nostro presente, senza nostalgismi e finte, senza allusioni o nascondini. 54 è il compimento più logico della traiettoria tracciata con la folgorante meteora di Q ed è un'apparizione che rinnova lo squarcio praticato dai ragazzi del progetto Wu Ming (già Luther Blissett) nel consunto sipario della narrativa italiana d'oggi. Dopo l'infausta parentesi di Asce di guerra, il collettivo torna a dipingere un affresco di grandissima portata, costringendo la storia e le storie a un dialogo serrato, allegorico, per nulla saccente, ricco di una struttura che la massima parte degli scrittori italiani si sognano di allestire. Sei teste sono meglio di una, dodici mani sono più efficaci di due - e si vede: la preparazione nozionistica a cui è giunto Wu Ming, prima durante e dopo la stesura di 54, è impensabile per chiunque desideri muoversi in solitaria, e il groviglio di problemi sollevati (collettivi, identitari, letterari e, in ultima analisi, politici) è pressoché improponibile a chi non senta quanto il nostro presente impone di uscire dalla stanzetta petrarchesca e squassare presente passato e futuro con passione civile e sapienza poetica. 54 non è un unicum del romanzo italiano, anche se a certa critica farebbe piacere relegare gli ex Blissett al ruolo di mostri o eccezioni. Piuttosto, 54 si pone nell'orizzonte letterario nostrano quale pietra miliare di uno slittamento in corso, per cui non esiste certificazione critica o storiografica alcuna, bensì soltanto un'attestazione di coraggio a favore di chi si fa protagonista di questo nuovo capitolo della nostra tradizione prosastica: insieme a Wu Ming, con differenti modalità, sono Tommaso Pincio e Valerio Evangelisti i protagonisti di quest'uscita dalle secche di una letteratura al cerone e al rosolio.
Ambizioso secondo premesse e riuscito secondo le stesse, 54 è un testo epico: da un lato, in quanto attesta una svolta epica che avviene tutta nel nostro tempo e alla nostra latitudine; d'altro canto, poiché la materia stessa di questo pluriromanzo di Wu Ming è esattamente l'epica stessa, la fascinazione mitologica che resta la più clamorosa delle avance che la letteratura fa all'uomo. In quanto romanzo epico, 54 è tutto: lirica e canto corale, indagine e suspence, mito e storia, invenzione e realtà, attacco e difesa, favola e reportage. L'irriducibilità al discorso lineare e banalmente sociopolitico da parte della creazione di Wu Ming è testimoniata dalla sensazione che le poche critiche negative intorno a 54 siano fuori bersaglio: accuse di intellettualismo freddo o di incapacità di governare una lingua letteraria appaiono perlomeno ridicole, insufficienti a fare fronte alla mobilitazione totale che Wu Ming è stato capace di imporre nello spazio di 666 pagine. La folla di personaggi, di eventi, di icone e comparse che si muove nel teatro-mondo di 54 è talmente impressionante che, davvero, gli stizziti critici avrebbero di che meditare sull'effettiva portata delle loro osservazioni stilistiche. Tant'è: qui crolla il mondo e c'è gente che si preoccupa di sintassi.
Impossibile riassumere il bacino idrico che elegge 54 più a regione narrativa che a romanzo fluviale: molteplici e ramificati i corsi d'acqua principali, una miriade gli affluenti e i laghi (naturali e artificiali) che richiamerebbero una mappatura precisa e filologica, di specie ben diversa da quella a cui sono abituati i critici italiani. 54 è l'anno in cui tutto succede, l'anno allegorico, sintomatico e decisivo con cui Wu Ming fa esplodere il calendario e una nazione intera. La Resistenza, l'istituzionalizzazione della Resistenza, il sogno comunista, la repressione, il Nord e il Sud, l'occupazione Nato, i servizi segreti di Sua Maestà britannica, i federali americani, i nuclei radianti del divismo hollywoodiano, la germinale mutazione antropologica imposta dall'avvento della televisione, la mafia, il complesso rapporto tra Stati Uniti e Italia, l'amore, la virtù, il vizio, l'amicizia, il divertimento umano e quello disumano, il lato oscuro della metafisica mediatica e tecnica, la rivalità, l'odio, la morte, la cronaca, la controstoria, la narrativa: 54 è costruito su un intreccio parossistico dei temi cruciali attorno a cui si è avvitata la storia dei vincitori in Italia, e su un'esecuzione che ricorda da vicino l'approccio al mito di Pavese e la virulenza non canonica di Pasolini, la strumentazione hard boiled di Ellroy e la retorica cinematografica di Sergio Leone. Il tutto realizzato con una sapienza ritmica straordinaria: non certo di natura linguistica, il ritmo scatenato da Wu Ming è ben più profondo e strutturale, una partitura che obbliga la mente a ricordare. Ricordare cosa? Essenzialmente, allegorie. Come quella che anima uno dei personaggi più strabilianti della letteratura italiana degli ultimi decenni: l'icona di Cary Grant, in bilico tra lounge e potenza politica implicita in ogni icona, psicologizzata all'estremo eppure mossa come la sagoma di un fumetto, entra di diritto nella storia della nostra prosa e si candida a sfondare anche quella europea. Oppure il flusso logorroico del televisore McGuffin, un'autentica prosopopea che ricorda da vicino il racconto pronunciato dai vasi ellenici nel ciclo dei ritorni postomerici.
Questo caos è ordinato e ambiguo. Le cose parlano e gli uomini imparano a non parlare più, mentre l'umanità stessa cerca un disperato e pervicace appiglio al mondo sgominando l'impero dell'oggettistica, protagonista di una storia collettiva che è stata raccontata dal Potere in qualità di estrema menzogna lanciata in faccia al nostro tempo. La militanza, letteraria e politica, dei Wu Ming, quando raggiunge alti livelli di intensità, produce esiti di potenza unica nel continente che si sta volendo unito (davvero: si parla di Dantec, ma i Wu Ming se lo mangiano). Con Q e con 54 si è proprio al centro di un fantasticare umano che si oppone alla seduzione delle cose e si candida a ripetere l'eterna recitazione del mito - un mito per nulla extrafisico o estrastorico, che si incarna nella voce della sintsi letteraria di un'epoca intera. Di questo bisogna essere grati a Wu Ming, sinceramente.

Wu Ming - 54 - Einaudi Stile Libero - 15,00 euro