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Mariano Tomatis

Speciale Proletkult: recensioni a UFO, interviste, incontri ravvicinati, una stroncatura sui generis… e un film di Tarkovskij


Ecco un nuovo speciale su Proletkult, forse il più inatteso e variegato che abbiamo composto da quand’è uscito il libro. È infatti, come vedrete qualcosa di più di una semplice rassegna di recensioni e interviste.

Cominciamo con quella che – senza nulla togliere alle altre – ci sembra la riflessione più acuta e convincente su quel che abbiamo tentato di fare con questo romanzo. L’ha scritta per La Balena Bianca Paolo Saporitouna sua nota bio-bibliografica è qui. Più che una recensione, è un vero e proprio saggio. Prosegui la lettura ›

Intervista a Telepolis (Germania) su #QAnon, teorie del complotto, disvelamenti e guerriglia, da Luther Blissett alla Wu Ming Foundation

QAnon my butt!

[Ieri la rivista online tedesca Telepolis ha pubblicato, in inglese (come l’avevamo rilasciata a Tomasz Konicz) e in traduzione tedesca un’intervista in cui siamo tornati, con importanti aggiornamenti, sulla faccenda QAnon, e abbiamo proposto alcune riflessioni su teorie del complotto, debunking e tattiche di guerriglia comunicativa. Ne riportiamo qui la traduzione italiana, con l’aggiunta di alcuni utili link. Buona lettura.]

TK. Accadono cose strane nei social network come 4chan dove si ritrovano i gruppi di destra, anche dando per scontato il basso livello a cui l’estrema destra ci ha abituati. Una bizzarra teoria del complotto ha preso terreno e si chiama semplicemente «Q», come una delle vostre opere più note. Su 4chan e altri forum «Q» afferma che Donald Trump, da vero eroe americano, è impegnato in uno scontro titanico per debellare una congiura planetaria ordita da una potente organizzazione di pedofili. Siete stati voi Wu Ming a generare questa teoria del complotto usando tattiche di guerriglia comunicativa?

WM. Wu Ming e la Wu Ming Foundation non si dedicano a beffe mediatiche. Quella era una delle attività del Luther Blissett Project dal giugno 1994 al 31 dicembre 1999. Al termine di quel periodo, chi aveva preso parte al LBP è andato avanti, avviando nuovi progetti e fondando nuovi collettivi.

Wu Ming è il nome adottato nel gennaio 2000 dagli scrittori che, usando lo pseudonimo collettivo «Luther Blissett», avevano scritto il romanzo Q. Dopo la fine del LBP e l’impatto globale del libro, decidemmo di proseguire i nostri esperimenti sulla forma-romanzo e la narrativa metastorica. Negli anni seguenti abbiamo scritto 54ManituanaAltai L’Armata dei Sonnambuli, e in questi giorni stiamo finendo un nuovo romanzo intitolato Proletkult. Abbiamo scritto anche libri su storie vere, basati su una forte documentazione, che molto semplicisticamente si potrebbero far rientrare nella «non-fiction creativa». Noi li chiamiamo Oggetti Narrativi Non-identificati, Unidentified Narrative Objects (UNO).

In Italia, intorno ai nostri romanzi e UNO si sono sviluppate forme di fan activism, intorno al nostro blog Giap e al nostro profilo Twitter è cresciuta una vasta comunità che si dedica a vari esperimenti, narrazioni transmediali, progetti collaborativi, laboratori e seminari, nuovi collettivi e blog, persino nuove associazioni alpinistiche. Un processo già partito negli anni Zero, ma che si è fatto più intenso e ha preso sempre più spinta negli anni Dieci. Questo «collettivo di collettivi» è ciò che chiamiamo la Wu Ming Foundation.

Siamo entrati nel dibattito internazionale su «QAnon» perché questa beffa ha molte somiglianze sia con le azioni del LBP sia col nostro vecchio romanzo. Nelle scorse settimane siamo stati contattati da parecchie persone. Già prima dell’intervista a Buzzfeed avevamo ricevuto decine di email e messaggi diretti via Twitter. Di fronte alle notizie sul fenomeno QAnon, chiunque abbia letto il nostro romanzo, trova ovvio concludere che l’ispirazione venga da lì, e tutti costoro volevano sapere come la pensavamo. Prosegui la lettura ›

Dopo la lettura di #108metri di Alberto Prunetti: appunti su fiction e non-fiction, problemi etici e poetici

Il nuovo libro del Prunetti. Clicca per aprire la scheda sul sito Laterza.

Sui problemi etici e poetici dello scrivere «oggetti narrativi non-identificati» e su come il Prunetti ci lavora sopra. Si parla anche di Orwell, Montanelli, Saviano, Lilin, Pansa e altri. Avvertenza: sassi sparati fuori dalle scarpe come se grandinasse.

di Wu Ming 1

«Nearly all the incidents described […] actually happened, though they have been rearranged».

Scriveva così George Orwell nel suo The Road to Wigan Pier (1937), memoriale e reportage immersivo sulle condizioni della working class del nord dell’Inghilterra tra le due guerre mondiali, scritto con tecniche da romanzo. Più o meno lo stesso vale per il suo libro del 1931 Down and Out in Paris and London.

«Quasi tutti gli eventi descritti sono realmente accaduti, anche se sono stati riarrangiati». Ma se «quasi» tutti sono realmente accaduti, vuol dire che alcuni sono inventati. Quali? E gli altri, se sono «riarrangiati», in che senso sono «realmente» accaduti? Prosegui la lettura ›

«Tutto è pieno di miti»: a cosa servono? «Tutto è pieno di storie»: chi le racconta? Anzi, cosa le racconta?


[All’incirca un paio d’anni or sono — per la precisione, ventidue mesi fa — pubblicammo un binomio testo + video a firma di Mariano Tomatis, intitolato L’universo incantatorio delle narrazioni: veleni e antidoti.
Si trattava di un intervento fatto nell’aula magna del liceo Gioberti di Torino, su invito dell’Unione Culturale e degli studenti della 5a G vincitori del Premio Antonicelli 2015/2016. Quel giorno c’erano Mariano, Wu Ming 1 e un’altra conoscenza dei giapster, Enrico Manera.
Nella breve intro al pezzo di Mariano scrivemmo: «Nei prossimi giorni pubblicheremo anche l’intervento di Enrico».
Nel turbine delle nostre vite, quei giorni si sono fatti meno prossimi, ma sono giunti, alla buon’ora… o alla mala ora.
Enrico ha rivisto e ampliato il suo intervento, oggi lo pubblichiamo insieme al video, e forse casca a pennello, in questi giorni gravi di panzane che vengono giù a valanga, al principio di quella che sarà la campagna elettorale più lercia e squallida della storia repubblicana (e ce ne vuole). Campagna che, come già annunciato su Twitter, noialtri ci sforzeremo di non commentare. Non direttamente, almeno, perché c’è modo e modo.
Non fatevi bruciare le sinapsi, il 4 marzo è ancora lontano.
Nel mentre, Buona lettura.
P.S. Ricordiamo che ogni post di Giap può essere salvato in pdf e ePub ed è disponibile in versione otttimizzata per la stampa. I bottoni sono in calce al testo.]

di Enrico Manera *

1. «Mito»

Il breve quadro teorico che segue intende fare un minimo di chiarezza su termini, concetti e teorie che usiamo quando diciamo «mito». Nella sua accezione più nota esso si riferisce al patrimonio della religione e della letteratura greca, nella sua versione classica, rinascimentale, alla sua revisione illuminista e romantica e alla sua estensione, ai racconti di storia sacra, alle società di cultura orale. In quanto costrutto culturale la parola «mito», in particolare modo dall’età moderna, indica un oggetto degli studi di filologi, storici della religione, antropologi, etnologi e filosofi, che in un dato momento storico configurano una vera e propria scienza, benché diversificata con prospettive, metodi e valutazioni differenti. Se contrapposto a ragione o a storia, «mito» diventa qualcosa di infondato e falso mentre nel senso comune è un dato di particolare interesse collettivo nelle società contemporanee, tale da suscitare stupore, meraviglia, entusiasmo e da esercitare fascino e produrre fenomeni di adesione, emulazione, partecipazione, mobilitazione. Prosegui la lettura ›

Il giorno dopo, ringraziamenti ad #AltaFelicità. Viva la lotta #notav!

30 luglio 2017, l’arrivo del primo gruppone al Seghino. Si erano iscritte alla camminata-racconto 256 persone. La mattina, se ne sono presentate almeno altre cento. Mariano ha preparato e stampato un libretto con le storie narrate durante l’escursione; erano solo cinquanta copie e sono finite subito, ma cliccando sulla foto puoi leggere/scaricare il pdf.

[WM1:] Troppo, e troppo presto per riuscire a raccontare.

Arrivato a Venaus alla vigilia del festival, riparto dopo l’ultima notte senza più un filo di voce, coi postumi di una lunghissima sbornia, un’ubriacatura di chiacchierate, di dibattiti, di interventi, di telefonate e messaggi per organizzare, aggiornarsi sui cambi di programma, trovarsi nella moltitudine, una sbronza di musiche, di libri, di camminate, sei giorni di rimpatriate e nuove amicizie, di convivialità e conflitto, di applausi e lacrime («lucciconi» è la parola che usa Alessia nella prima frase che mi rivolge). Prosegui la lettura ›

Un’estate #notav ad Alta Felicità. A Venaus, dal 27 al 30 luglio, ci saremo anche noi.

I concerti del festival. Clicca sulla locandina per visitare il sito ufficiale di Alta Felicità.

C’eravamo l’anno scorso, ci saremo anche quest’anno.

La seconda edizione di Alta Felicità si svolgerà a Venaus dal 27 al 30 luglio inclusi.

Di fronte alla prima edizione, persino «La Stampa», con tutta la sua ostilità nei confronti del movimento, si è dovuta togliere tanto di cappello, fino a paragonare il festival a Woodstock. Paragone in realtà improprio, perché Alta Felicità ha funzionato come un orologio e alla fine non è rimasta per terra nemmeno una bottiglietta di plastica.

Appunto, già nel 2016 il festival è stato maestoso, decine di migliaia di persone e un’atmosfera di convivialità difficile da esperire altrove. Quest’anno sarà ancora più grande, durerà quattro giorni anziché tre, suoneranno una cinquantina di band, ci saranno dibattiti, presentazioni di libri, escursioni…

E, come si diceva, ci sarà la Wu Ming Foundation. Di seguito, i nostri appuntamenti.
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«Il femminicidio non esiste»? Piegare la matematica per fare disinformazione

Il femminicidio non esiste, dice il predatore.

Occhio a come si dispongono i numeri!
Leviatano infinito, di Tobia Ravà, 2007, resine e tempere acriliche su vetroresina, 435 x 250 x 170.

di Tuco aka Martino Prizzi con Mariano Tomatis (*)

In questo post ci occuperemo di un particolare esempio di negazionismo che si basa su considerazioni matematiche e statistiche solo all’apparenza rigorose. L’occasione ce la offre un articolo diffuso in rete qualche anno or sono: Il femminicidio non esiste, pubblicato sul blog di Astutillo Smeriglia (nom de plume di un regista di cortometraggi) e citato perfino in pubblicazioni accademiche (1).

La prima, doverosa premessa è che ci ripugna spendere tempo e risorse mentali per fare debunking di chi piega la matematica a scopi negazionistici. Il punto è che qualcuno deve pur farlo, e tanto vale ricavarne considerazioni che vadano al di là del caso specifico. La critica nel merito è doverosa anche per evitare che, per reazione ad analisi tanto superficiali, si finisca per considerare tout court la matematica e la statistica come discipline da azzeccagarbugli.

La seconda premessa fondamentale è la seguente: corretto o meno che sia un modello statistico dal punto di vista matematico, la statistica non è in grado di dimostrare l’esistenza o meno di un fenomeno come il femminicidio, né che abbia o meno determinate radici sociali, psicologiche, antropologiche, culturali, genetiche o quant’altro. La sua esistenza e le sue radici vanno indagate utilizzando strumenti specifici delle scienze umane. L’analisi qui presentata è anche una critica radicale al feticismo dei numeri intesi come indicatori obiettivi: essi lo sono (con buonissima approssimazione) per fenomeni fisici o chimici come il moto di un pianeta o la combustione di un idrocarburo. Quando invece si parla di fenomeni sociali, i numeri non possono catturarne in ogni aspetto e sfumatura le motivazioni e la natura profonda – e men che meno avere la pretesa di escludere l’esistenza di un concetto come il femminicidio.

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