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Fausto Biloslavo

L’incredibile storia di #Foibe, uno dei più grandi kolossal mai girati (appunto, mai girati). Una bufala da #GiornodelRicordo

Una scena del film Foibe, co-produzione Italia/USA, 2013. In una delle sequenze più rigorose dal punto di vista storiografico, il maresciallo Tito - magistralmente interpretato da Alessandro Haber - dà personalmente l'ordine di gettare diecimila italiani nella foiba di Basovizza.


di Nicoletta Bourbaki (*)

E così, di nuovo, e ormai con una certa stanchezza, arriva il 10 Febbraio. Il Cuore nel pozzo sarà trasmesso per l’undicesima volta su Rai74, vedremo pubblicata la foto della fucilazione di Dane su diversi siti e giornali e sentiremo le boutades di qualche associazione di esuli. Immancabili le interviste a Cristicchi.

Raccontare la storia al grande pubblico non è mai facile, soprattutto se si tratta di vicende complesse. Più parti se ne occultano, più il quadro risulta incomprensibile. Ma solo aggiungendo l’arroganza di un forte movente politico e una regia mediocre si è potuti arrivare a quello che è il discorso sulle foibe in Italia.

Nonostante l’impegno, l’entusiasmo, i finanziamenti e il consenso bipartisan il Giorno del ricordo è “andato storto”, a partire dalla data scelta.
Non certo per mancanza di alternative, la ricorrenza è stata fissata nell’anniversario della ratifica del Trattato di Pace di Parigi, 10 febbraio 1947, data in cui l’Italia – sconfitta nella guerra che aveva combattuto al fianco di Hitler – si impegnava a restituire tutte le colonie e buona parte dei territori annessi in Istria e Dalmazia.
Per molti italiani un giorno infausto, che li ha trasformati in vittime di un’ingiustizia.

Far coincidere proprio quella data con una narrazione che descrive «gli Italiani» unicamente come vittime significa omettere tutto quel che accadde prima. Ma la realtà non si lascia omettere così facilmente. E così, la caratteristica saliente, la costante del parlar di foibe in Italia è la sfiga, la mosca nella minestra che rovina il pasto quando hai già il cucchiaio in bocca. Prosegui la lettura ›

I «due marò», la Corte suprema indiana e le fregnacce di casa(pound) nostra

La Torre e Girone

«Non è colpa mia, ce l'hanno con me». Il racconto dell'Italia su se stessa è un mix di tracotanza e vittimismo.

[L’articolo «I due marò: quello che i media (e i politici) italiani non vi hanno detto», scritto da Matteo Miavaldi e pubblicato su Giap una ventina di giorni fa, ha avuto un impatto senza precedenti nella storia di questo blog. Oltre 2000 retweet, quasi 28.000 condivisioni su Facebook, e l’urto dei visitatori (60.000 IP nella sola prima giornata) ha più volte messo in crisi il server che ci ospita. Addirittura, il “rimbalzo” prodotto dai nostri link ha fatto cedere il server che ospita il sito China Files, del quale Miavaldi è caporedattore per l’India.
Dalla discussione in calce, ripresa con grande risalto anche da testate nazionali come Il Fatto Quotidiano, è partita un’inchiesta collettiva che ora prosegue su due livelli: sul blog e in un gruppo di lavoro nato ad hoc. Il gruppo sta portando avanti ricerche e scrivendo un “libro bianco” sul cortocircuito “diplomediatico”/politico e il ruolo dell’estrema destra nella gestione del caso Girone-Latorre.
Intorno a questo caso si è mosso e tuttora si muove uno strano sottobosco, una “compagnia di giro” già vista esibirsi in altre italiche pochades. Il cast include “fascisti del terzo millennio”,  bizzarre figure di “tecnici” mobilitati da politici e giornalisti amici per confezionare “analisi” a misura dei media, folgorati reporter post-missini perennemente “embedded” in settori delle forze armate etc.
Quest’interzona tra politica estera e giornalismo di guerra è così: qualunque sasso alzi, ecco una biscia che striscia via, via… invariabilmente verso il Corno d’Africa, verso il rimosso del nostro colonialismo e il rimosso ancor più rimosso del nostro neocolonialismo, verso le rotte del petrolio e di altri traffici meno menzionabili.
Questa “narrazione tossica” incrocia tutti, ma proprio tutti i temi che siamo soliti trattare su Giap, perciò continueremo a occuparcene.
Abbiamo chiesto a Miavaldi di scrivere un nuovo pezzo, alla luce delle decisioni prese pochi giorni fa a New Delhi e del modo in cui i media italiani le hanno riferite – cioè, ça va sans dire, a cazzo di cane. Ecco qui. Buona lettura.
N.B. il pezzo è di Matteo, il titolo e le didascalie delle immagini sono nostri. Ricordiamo che il pezzo è disponibile in versione ottimizzata per stampa/pdf ed è salvabile in formato ePub, vedi link in calce al post. — WM] Prosegui la lettura ›