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Inchieste

A proposito delle nuove scoperte su QAnon, alcune brevi note di Wu Ming 1

Il titolo di Repubblica è il più scorretto. Furber e Watkins, anche fossero autori delle Qdrops, non sarebbero in alcun modo i «capi di QAnon», movimento caotico e reticolare, privo di strutture gerarchiche. Più che un’organizzazione, una sfera di discorsi. Furber e Watkins non sarebbero nemmeno «i fondatori», come titola l’AGI, però intendendolo come «coloro che avviarono la catena degli eventi», allora per Furber ci può (presuntamente) stare, benché non sia preciso. Ma «capi» no.

di Wu Ming 1

Ritengo necessario fare qualche precisazione e chiarimento
1) sulle notizie che stanno rimbalzando un po’ ovunque (anche in Italia);
2) su un “mezzo falso storico” che in poche ore ha preso forma, e soprattutto
3) su un equivoco in cui stanno cadendo molti commentatori, mainstream e non solo.

Che uno dei due autori delle «gocce» di Q fosse con ogni probabilità Ron Watkins era opinione diffusa tra gli “esperti” già nel 2020, tant’è che l’ipotesi è assunta nel mio La Q di Complotto. Ipotesi che si è rafforzata quando, nella primavera 2021, la HBO ha mandato in onda la serie documentaria di Cullen Hoback Q: Into The Storm, in cui Watkins veniva colto alla sprovvista e faceva una mezza ammissione.*

Che le Qdrops avessero più di un autore era dato per inteso da tempo, e anche che il gioco non fosse cominciato a opera di Watkins. Nel gennaio 2021 i risultati di una prima analisi stilometrica condotta dalla svizzera Orphanalytics avevano individuato un “cambio di mano” avvenuto nel dicembre 2017. Anche questo era già riportato ne La Q di Complotto.

Finora non c’erano indizi di rilievo su chi potesse essere l’autore delle prime Qdrops (che nell’autunno 2017 si chiamavano ancora Qcrumbs). Le recenti analisi stilometriche puntano il dito su Paul Furber. Questo è il vero elemento di novità contenuto nelle ultime news **. Prosegui la lettura ›

Il Passante «green». Una civica e coraggiosa colata d’asfalto.

«Non giocarti la testa col diavolo…»

Cinque anni fa, insieme a Wolf Bukowski, abbiamo condotto un’inchiesta in sette puntate sul «Passante di Bologna», ovvero l’allargamento a 16/18 corsie del nastro autostradale che attraversa la periferia del capoluogo emiliano, a poco più di tre chilometri dalle Due Torri.

I primi tre articoli vennero pubblicati sul sito di Internazionale, con le foto di Michele Lapini, nel dicembre 2016. Gli altri quattro qui su Giap, tra gennaio e marzo 2017.
Non si trattò di un lavoro fatto solo sulle carte: assistemmo agli incontri del farlocchissimo «percorso partecipativo», ci intrufolammo alle cerimonie di presentazione del progetto, incontrammo le persone che abitano a ridosso dell’opera, organizzammo iniziative e camminate a tema. Prosegui la lettura ›

Gli strange days di Trieste contro il green pass, terza e ultima puntata. Come il potere ha reagito a una lotta sbalorditiva

Prima ha risposto il cuore… poi hanno risposto Lamorgese, Draghi e il resto del governo, ha risposto l’intero apparato dei media (dal locale Il Piccolo ai giornaloni-partito nazionali alla grancassa televisiva giù giù fino ai volonterosi carnefici dei social), hanno risposto la borghesia triestina, quella “regnicola”, l’autorità portuale e le aziende cittadine. Hanno risposto diffamando e licenziando, vietando e obbligando, bloccando e chiudendo.

[Ed eccoci all’ultima puntata del reportage di Andrea Olivieri, dove il racconto della lotta si protende fino all’oggi. Qui Olivieri descrive tre diversi cospirazionismi – uno solo potenziale, gli altri due pienamente operativi e in apparenza opposti ma complementari – e intanto racconta la reazione delle autorità a una lotta che le ha colte alla sprovvista, la controffensiva ideologica a difesa della narrazione dominante sulla pandemia, e soprattutto la campagna diffamatoria – martellante e violenta – secondo cui sarebbe stata la mobilitazione contro il green pass a far risalire la curva dei contagi.
Questa campagna non era fondata su evidenze scientifiche bensì su pesanti omissioni, ed è servita a giustificare provvedimenti che hanno limitato drasticamente il diritto di manifestare.
Già. Tutto accade talmente in fretta da rendere necessario fare memoria storica dopo poche settimane. È partita da Trieste – dalla controinsurrezione preventiva di cui Andrea ci racconta – la reazione a catena che ha portato prima a vietare i cortei, poi al «supergreenpass» e ai nuovi obblighi e restrizioni di questi giorni.
Ma la terza puntata non si limita a mostrare questo: prima di congedarsi da lettrici e lettori, Olivieri mette insieme importanti spunti su quel che la lotta triestina dice riguardo alle tendenze in atto e, plausibilmente, ai conflitti futuri.
Infine, complici i gruppi Nicoletta Bourbaki e Alpinismo Molotov, dalla città si sale in Carso, per sentieri che ricordano lotte più antiche, tanto “spurie” al proprio inizio quanto ispiranti nei loro sviluppi e fondative nei loro esiti. Buona lettura. WM
P.S. Ricordiamo che tutti i post di Giap si possono 1) aprire in versione ottimizzata per la stampa; 2) salvare in pdf; 3) salvare in formato ebook (ePub e Mobi, cioè Kindle). I bottoni sono in calce al testo.]

di Andrea Olivieri *
[La prima puntata è qui; la seconda qui].

17. Golpe

I complotti esistono, e io ci credo. Come ci credono tutti.

La sera del 18 ottobre mi ritrovo sulle panchine della fontana dei Continenti, davanti al municipio, ai margini di una delle tante assemblee informali di vari pezzi e ricombinazioni del Coordinamento No green pass. Sono qui, dove si discute fitto, si fanno considerazioni su quanto sta accadendo, su quanto successo la mattina con lo sgombero del varco, sul senso e i nonsense delle giornate precedenti, e sulle notizie dal porto dove si stanno esaurendo scontri e cariche. Sono qui, mentre tutti i giornalisti e le telecamere sono ammassati all’altro capo della piazza, sotto la prefettura, a seguire ogni mossa di Puzzer e di chi ora lo accompagna, a cercare notizie dove non ce ne sono. Prosegui la lettura ›

Gli strange days di Trieste contro il green pass. Il racconto di una lotta sbalorditiva – Seconda puntata

[Dopo la prima puntata del suo reportage ibrido e perturbante – che è stata pubblicata anche in francese su Lundi Matin – con questa seconda (di tre che saranno) Andrea Olivieri si addentra nel vivo delle contraddizioni, raccontando l’incredibile 16 ottobre al varco 4 del porto di Trieste. La giornata dell’iper-spettacolarizzazione, dell’invasione di troupes televisive e ambigui personaggi. Il momento in cui tutto è parso dileguarsi e i caca-sentenze-preventive già esultavano per aver avuto ragione…
E invece no. Citando ancora una volta Alain Badiou: «per impedire questo genere di disastro è necessario che la forza d’esistenza nell’apparire del sito compensi il suo dileguare». È necessario, cioè, che l’evento di una sollevazione popolare inattesa abbia più forza della sua rappresentazione – a colpi di montesani e madonne e leader “carismatici” e ospitate nei tolksciò – in quello che Andrea chiama giustamente «metaverso». Il metaverso esiste già, non è una promessa di Zuckerberg.
Dopo la “ripartenza”, avvenuta soprattutto grazie all’impegno del Coordinamento No Green Pass, Andrea racconta la violenza dello sgombero e l’intera giornata del 18, tra manovre da politicanti nel “salotto buono” della città e scontri e nubi di lacrimogeni nelle vie della Trieste proletaria, tra la gente con cui, inutile girarci intorno, bisogna stare. WM
Aggiornamento 26/11:
la terza puntata è qui.]

di Andrea Olivieri *

9. Prologo al caos

La mattina di sabato 16 ottobre mi presento al varco piuttosto presto, per vedere che aria tira dopo la prima notte, poi dovrò andarmene a lavorare. Ai gate Stefano Puzzer, appena arrivato anche lui, si sta lamentando con alcuni dei presenti per qualche cartaccia e mozziconi di sigaretta rimasti là davanti dalla sera prima. – Muli, qua xe pien de scovaze –, dice sconsolato, – no se pol veder. Poi recupera una scopa e inizia a pulire. Prosegui la lettura ›

Gli strange days di Trieste contro il green pass. Il racconto di una lotta sbalorditiva – Prima puntata

[Da settimane Andrea Olivieri, ricercatore e scrittore, cammina o si sposta in moto da un luogo all’altro della sua città, di giorno e di sera, attraversa cortei e assemblee di piazza, ascolta le persone più diverse nelle situazioni più diverse, mobilita la propria memoria di ex-lavoratore del porto e di attivista, butta giù appunti su appunti, raccoglie storie. Sta interrogando un Evento, e prima ancora un sito.
Perché Trieste? Perché proprio lì è cresciuta in modo tumultuoso una piazza anti-green pass così diversa dalle altre? Energie si sono accumulate “di nascosto” finché la città dalla «scontrosa grazia» – città poco italiota e molto mitteleurobalcanica, misconosciuta al resto del Paese – non ha prodotto una rottura nell’apparire normato di una società piegata dall’emergenza Covid. Una mobilitazione di massa dai caratteri inediti che ha sorpreso l’Italia – paese regolarmente ignaro o dimentico della “faglia” al proprio confine orientale – e che ci parla dei conflitti futuri, delle lotte post-pandemiche.
È quest’ultimo aspetto a farne un Evento, per chi lo ha vissuto in tutta la sua contraddittorietà e per chi lo ha seguito e cerca di trarne lezioni. Come scrisse di un altro Evento – si parva licet – il filosofo Alain Badiou, «non è solo l’intensità eccezionale del suo sorgere che conta – il fatto che si tratti di un episodio violento e creatore d’apparire – ma il fatto che, nella durata, questo sorgere, benché dileguato, abbia disposto come gloriose e incerte le sue conseguenze. Gli inizi sono misurati dalla loro possibilità di ricominciare».
Questa è la prima puntata del reportage di Andrea. Ce ne saranno due ma forse tre. Diciamo «reportage» perché riporta e fa rapporto (in ogni accezione del termine), non per affibbiargli un genere. È un testo ibrido: cronachistico, saggistico, lirico, psicogeografico, sociologico, teso a quel difficile esercizio che è la storia del presente. Sconsigliamo di ingurgitarlo al volo: merita attenzione, tempo dedicato.
Come sempre avviene con le miniserie di Giap, i commenti saranno attivati solo all’ultimo episodio. Buona lettura. WM
Aggiornamento 17/11/2021:
la seconda puntata è qui.
Aggiornamento 26/11/2021: la terza puntata è qui]

di Andrea Olivieri * – Traduction en français ici.

1. Il varco

Il varco 4 è un nonluogo incastrato tra i gate di accesso al Terminal container del molo VII e l’imbocco della sopraelevata che porta alla frontiera con la Slovenia. Anche nelle giornate in cui sarà invaso di persone non cesserà di sembrare un grande casello autostradale, di un mondo che però ha fatto a meno delle automobili.

Solo i portuali, o i camionisti che a volte devono passarci delle ore, o chi per lavoro ha a che fare col porto, lo riconosce come un luogo familiare. Alla grande maggioranza dei triestini è sconosciuto, e quando iniziano ad affluire la mattina presto di venerdì 15 ottobre restano straniti e sospesi, come se uscissero dalla loro città per entrare in un «altrove» che, per la prima volta, si presenta ai loro occhi.

A nascondere il varco come un effetto ottico è la sopraelevata, che nel suo intrico di rampe di cemento da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude, e del porto lascia intravedere solo le braccia delle gru, tutte alzate e ferme e sovrastanti alcune navi, anch’esse immobili quella mattina. Prosegui la lettura ›

Fronte del porto. L’«anomalia selvaggia» della piazza anti-pass triestina e la lotta di classe

[Quel che sta accadendo con epicentro Trieste, in un’accelerazione che lascia sorpresi molti ma non chi segue la vicenda dal principio, rende necessario chiarire alcuni punti.
Il contagio che dalla piazza anti-lasciapassare triestina sembra estendersi a diversi porti italiani smentisce le letture banali delle mobilitazioni in corso, “letture” funzionali a facili riprovazioni.
Come tutte le altre, anche la piazza anti-pass triestina presenta contraddizioni, ma ha una presenza organizzata di compagne e compagni, ha emarginato e anche cacciato noti fascisti, e soprattutto è caratterizzata da un inequivocabile, visibilissimo protagonismo operaio.
A proposito delle lotte contro il lasciapassare, benpensanti finto-marxisti hanno parlato di «egoismo», «individualismo», «particolarismi», «proteste sterili di piccoli borghesi», ritorno dei «forconi», «fascismo»… Ma se si fosse trattato di particolarismi, di egoismi di categoria, l’altro giorno i portuali triestini – che sono l’anima della piazza, non sono borghesi e possiedono solo la propria forza-lavoro – avrebbero accettato la mediazione governativa e i tamponi gratuiti solo per il loro settore. Invece si sono adirati di fronte a una proposta che avrebbe prodotto l’ennesima discriminazione tra lavoratori, e hanno radicalizzato le loro posizioni.
Da giorni il compagno triestino Andrea Olivieri, autore del libro Una cosa oscura, senza pregio. Antifascisti tra la via Flavia e il West (Alegre, 2019), sta lavorando a un testo ponderato su tutto questo. Gli abbiamo chiesto di anticipare al volo alcune considerazioni, perché ce n’è bisogno ora. Buona lettura. WM]

di Andrea Olivieri

In queste ore la vicenda triestina è salita alla ribalta delle cronache nazionali in seguito alla netta e radicale presa di posizione dei lavoratori – i portuali in testa – contro il lasciapassare ma anche contro la soluzione-tampone (è il caso di dirlo) dei tamponi garantiti dalle aziende.

Per chi è in grado di leggere la situazione senza pregiudizi, il dato è che proprio a Trieste si è determinato un accumulo di rabbia per i provvedimenti anti-pandemici governativi. Solo in parte questa rabbia è il frutto di peculiarità storiche e socio-economiche della città. Che ci sono, sia chiaro, ma in questo momento sembrano incidere solo nell’esprimere meno statolatria e appiattimento ideologico di quanto accade in altre parti d’Italia, e forse anche una concezione della salute collettiva che ha tratto ispirazione dal lavoro di Franco Basaglia, che altrove è andato perso o non è mai stato raccolto.

Quest’accumulo ha portato ripetutamente nelle strade di Trieste decine di migliaia di persone. La sorpresa, o anche lo sconcerto, è però solo di chi in questo ultimo anno e mezzo si è accomodato sul divano o di fronte al pc per interpretare la realtà, come segnalato da Niccolò Bertuzzi, leggendo Repubblica e confrontandosi solo con la propria bolla sociale. Prosegui la lettura ›

Non basta tornare a parlare di clima, conta il come torniamo a parlarne. Primi appunti (post-pandemia e dal Delta padano)

La ricerca degli iconemi. Una delle cornici-capitolo della presentazione multimediale «Blues per le terre nuove».

PREMESSA: UN PERICOLO, DUE EMERGENZE, UN RISCHIO

Il testo che segue è stato scritto nell’estate 2020, durante la prima “tregua” concessa dall’emergenza pandemica, e pubblicato nell’ottobre successivo come saggio introduttivo a Quando qui sarà tornato il mare, romanzo «a mosaico» scritto dal gruppo Moira Dal Sito.

Il libro – risultato di un laboratorio su crisi climatica e scrittura collettiva che ho tenuto nel Basso Ferrarese – è arrivato in libreria in un momento sfortunato, mentre l’angoscia riscendeva le pareti del pozzo e, dopo le parziali riaperture estive, si tornava a chiudere tutto. Ogni attenzione era sui numeri della «seconda ondata» e  qualunque altro discorso era destinato a infrangersi contro l’Emergenza. Non è stato possibile organizzare presentazioni e l’esperimento – parte del progetto Blues per le terre nuove – ha attirato poca attenzione.

Ora la questione climatica è tornata in primo piano e ripartono le mobilitazioni sul tema, che è il tema dei temi, perché noi viviamo nel clima. Il clima è sempre stato la precondizione di ogni attività umana, di ogni modo di produzione, di ogni civiltà e società.

Forse è un buon momento per proporre quel testo su Giap, e riprendere i fili di Blues per le terre nuove.

Blues per le terre nuove è un progetto la cui fase preliminare è partita nel 2017 e che mi terrà impegnato ancora per diversi anni, probabilmente per tutti gli anni Venti. È imperniato sulla storia e la geografia del grande Delta del Po, in particolare del Basso Ferrarese, e sui modi in cui i cambiamenti climatici permettono di rivisitare tale storia. Quei territori, infatti, sono destinati a essere sommersi – con un’ingressione dell’Adriatico fino a trenta chilometri dalla costa – da qui alla fine del secolo. Dove la terra fu strappata all’acqua in secoli di bonifiche e ingegnerizzazione del territorio, l’acqua tornerà a regolare i conti.

Blues per le terre nuove è partito come idea per un libro, un «oggetto narrativo non-identificato» a tema geografico, sulla scia di Point Lenana e Un viaggio che non promettiamo breve. Nel tempo, però, si è trasformato in un progetto più articolato e transmediale, fatto di performances, esplorazioni, reportages, laboratori di scrittura, autoproduzioni letterarie e audiovisive… e opere «di avvicinamento» al libro vero e proprio, che includono anche un sequel de La macchina del vento.

Si tratta di lavorare sullo sguardo di chi scrive, forzarlo, usare la letteratura per sperimentare diversi modi di raccontare la crisi climatica. Raccontarla partendo dal territorio e dalla storia dei conflitti che lo hanno plasmato e strutturato. Un approccio che combatta rimozioni e diversivi, faccia a meno del fatalismo, non si esaurisca nella distopia, dia profondità di campo connettendo tra loro le epoche, e soprattutto tenga i piedi sulla strada. Anche con l’acqua già alle ginocchia. Un contributo peculiare – quello che sempre può dare la letteratura, persino quella che sembra art pour l’art – alla lotta generale.

Lotta che, non facciamoci illusioni, si farà più difficile. Prosegui la lettura ›