«Non ho altra malattia». Un poema anticoloniale scritto in Libia nel 1931, musicato dal Bhutan Clan e letto da Wu Ming 1

Illustrazione di Alberto Merlin, realizzata ad hoc per il Bhutan Clan e Giap. Clicca per ascoltare il Canto del campo di el-Aqila.

El-‘Aqila – pronunciato in dialetto «el-‘Aghila», in arabo standard «al-‘Uqaylah» – è una piccola città affacciata sul Golfo di Sirte. Nel suo entroterra, nel 1930, il governatore della Libia Pietro Badoglio e il vicegovernatore della Cirenaica Rodolfo Graziani fecero costruire un campo di concentramento in cui furono rinchiusi, nei due anni successivi, circa trentamila cirenaici, in gran parte donne e bambini. Molti uomini furono messi – e sovente fatti morire – ai lavori forzati, per costruire le mitiche strade con le quali ancora ce la menano gli apologeti del nostro colonialismo: «In Africa abbiamo fatto le strade!».

L’autore del poema che stiamo per farvi leggere e ascoltare, Rajab Hamad Bu-Huwayish al-Minifi, aveva combattuto da partigiano contro l’occupazione fascista. Proveniva dalla regione di al-Butnan, a cavallo tra gli attuali Egitto e Libia, con la città di Tobruq come capoluogo. La distanza tra queste zone e il campo di concentramento era di circa 500 chilometri, che i deportati furono costretti a percorrere a piedi, a tappe forzate. Prosegui la lettura ›

Al ballo mascherato della viralità. Sull’obbligo di coprirsi la faccia anche quando non serve

Perché da un po’ di giorni ce la stanno menando così tanto con la mascherina? Perché alcune ordinanze regionali l’hanno già resa obbligatoria quando si esce di casa, nonostante medici, scienziati e la stessa OMS ripetano che indossarla ovunque è improprio e persino rischioso? Perché politici e amministratori si fanno fotografare accanto a cargo pieni di mascherine? Che scontro politico c’è intorno alla mascherina? Che ruolo avrà la mascherina nella cosiddetta «Fase 2» dell’emergenza coronavirus? Proviamo a fare il punto.

di Wu Ming

«Le mascherine erano pantomima». Così scrivevamo il 25 febbraio, nella prima puntata del nostro Diario Virale. In quell’epoca remota, poteva sembrare un’affermazione troppo netta. Gli ultimi dieci giorni di emergenza dimostrano invece quanto fosse precisa.

Dai titoli dei giornali – Repubblica su tutti – a proposito del  «virus che circola nell’aria», alle ordinanze sull’obbligo di uscire mascherati, fino alle promesse a mezzo stampa di distribuire al popolo milioni di mascherine: intorno ai dispositivi di protezione individuale monta uno spettacolo sempre più evidente. Prosegui la lettura ›

Usare lo #stateacasa per diffamare e licenziare i lavoratori: cosa possiamo imparare, anche in Italia, dal caso Amazon/Smalls

di Mauro Vanetti *

(con una postilla di Wu Ming 1)

Vice è entrata in possesso dei verbali di una riunione di dirigenti Amazon che si è tenuta alla presenza di Sua Opulenza in persona, Jeff Bezos, per discutere di come diffamare per benino Chris Smalls, un lavoratore sindacalizzato del centro logistico JFK8 a Staten Island, New York.

In quella riunione si è espresso così l’alto dirigente David Zapolsky (che, tra l’altro, ha organizzato un’iniziativa di finanziamento per il candidato alle primarie democratiche Joe Biden):

«Non è intelligente, non sa esprimersi bene, e nella misura in cui la stampa vorrà focalizzarsi su noi contro lui, saremo in una posizione di public relations molto più forte piuttosto che se semplicemente spiegassimo per l’ennesima volta che stiamo cercando di proteggere i lavoratori.
Dovremmo investire la prima parte della nostra risposta nello spiegare con forza l’argomentazione che la condotta dell’organizzatore sindacale è stata immorale, inaccettabile e probabilmente illegale, scendendo nei dettagli, e solo a quel punto proseguire con i nostri soliti punti sulla sicurezza sul lavoro.
Rendiamo lui la parte più interessante della storia, e se possibile facciamolo diventare il volto dell’intero movimento di sindacalizzazione.»

La rivelazione di queste note riservate ha scatenato un putiferio, anche perché se andate ad ascoltare come parla Chris potete notare che in realtà è molto spigliato: il senso di quanto dice Zapolsky, e cioè che per la multinazionale sarebbe buona cosa farlo diventare «il volto» della sua controparte sindacale, è semplicemente che è nero e parla con un accento afroamericano. Prosegui la lettura ›

Sul terrore a mezzo stampa, 2 | Le foto delle vie piene di untori

Genova, Sestri Ponente, 2 aprile 2020, via Sestri. Clicca per leggere l’analisi del fotografo Andrea Facco.*

La nuova passione dei giornali italiani a reti unificate e dei governatori sceriffi sono le fotografie di «assembramenti». Funziona così: prendi una via lunga tipo seicento metri, con qualche bancarella di ortofrutta, una farmacia e un piccolo supermercato. Sabato mattina, possibilmente. Ti piazzi a un estremo e scatti col teleobiettivo a 200 o 300 mm, o con lo zoom digitale, in modo che la prospettiva risulti schiacciata: il palazzo là in fondo è come se ce l’avessi davanti alla faccia, e le trenta persone che ci sono – e in seicento metri stanno alla giusta distanza – le schiacci e comprimi in una scatola di acciughe, con un effetto ottico che te le fa sembrare una folla. Prosegui la lettura ›

Sul terrore a mezzo stampa: «Il virus è nell’aria», un titolo che farà molti danni

Su Repubblica online di oggi compare un articolo intitolato «Il virus circola anche nell’aria / L’oms si prepara a rivedere le linee guida» illustrato con foto di una mascherina. È anche nell’edizione cartacea, a pag. 5, col titolo ancora più tranchant: «Il virus è nell’aria / Gli Usa: usatele tutti / E l’Oms si prepara a rivedere le norme.»

Poiché su web l’articolo è a pagamento, il titolo è l’unica cosa che la maggior parte dei visitatori leggerà. E penserà che per infettarsi basti uscire di casa senza mascherina.

Noi invece siamo abituati a leggere gli articoli per intero, e se serve a verificarne le fonti. Prosegui la lettura ›

Dalle denunce penali alle supermulte: le nuove sanzioni per chi cammina «senza motivo» analizzate da un giurista (spoiler: di dubbia costituzionalità)

«Ti tarpo le ali ai piedi», disegno di Matilde, 2 aprile 2020. Clicca per ingrandire.

di Luca Casarotti *

Il 22 marzo scorso, nella mia postilla alla testimonianza di Pietro De vivo pubblicata qui su Giap scrivevo:

«per essere per lo meno conformi alla costituzione, [i divieti introdotti con decreto del presidente del consiglio dei ministri dall’inizio dell’epidemia] dovrebbero essere profondamente ripensati. Ciò che il governo, arrivato a questo punto, non può permettersi di fare: non può permettersi di ripensare alcunché, ma non può nemmeno permettersi di trasferire l’esistente in una legge. Sarebbe come ammettere di aver del tutto sbagliato a gestire l’epidemia, dopo oltre un mese dal suo inizio. Sarebbe come dire d’aver scelto strumenti inidonei.»

All’apparenza, il riassetto delle misure di contenimento operato con il decreto legge (d.l.) 25 marzo 2020 n. 19 sembrerebbe smentire la mia previsione. Io invece credo che in larghissima parte la confermi, pur con le precisazioni che farò subito. Prosegui la lettura ›

Cent’anni di isolamento. Come l’«emergenza nomadi» prosegue nell’emergenza coronavirus

L’interno di un container «della solidarietà», dove le famiglie rom del campo di Salone, a Roma, trascorrono il lockdown.

di Nexus*

1. Una bufala al quadrato

La voce inizia a gonfiarsi nel penultimo weekend di marzo. Dice che diversi rom provenienti dal campo di Salone e «un rom» residente in una casa popolare del Quarticciolo sono ricoverati allo Spallanzani dall’11 marzo scorso poiché affetti da coronavirus.

La voce diventa notizia, rilanciata da diverse testate, e spinge la Direzione Sanitaria dell’ospedale a specificare – nel bollettino medico del 23 marzo – che «presso questo istituto non sono, allo stato, ricoverati cittadini rom».

Nel mentre, l’Ufficio Speciale Rom di Roma Capitale annunciava imminenti azioni di prevenzione e assistenza rivolte alle baraccopoli romane.

Bastano due giorni per scoprire che il bollettino è falso – tanto quanto la bufala sui «diversi rom» ricoverati. Sulle pagine del Messaggero arriva l’amara notizia della morte di Stanije Yovanovic, il «rom positivo» del Quarticciolo, ricoverato allo Spallanzani 3 giorni prima del fatidico bollettino e ivi deceduto per probabili complicanze dovute al virus. Aveva appena 33 anni ed è la più giovane vittima di Sars-Cov2 del Lazio. Prosegui la lettura ›