La strategia del ratto, 2a parte. Il caso «Jose Antonio» su Wikipedia: un crescendo di fonti manipolate e falsi storici

Fascisti su Wikipedia: Jose Antonio

di Nicoletta Bourbaki *

INDICE

[La prima puntata di quest’inchiesta (paragrafi 1-4) si trova qui]

5. Nazifascismo, Resistenza e dopoguerra: diffamare, diffamare, diffamare

5a. Franco Basaglia
5b. Nuto Revelli
5c. Massimo Mila
5d. Anna Frank

6. Un limite strutturale del progetto Wikipedia

7. Prima di tutto, un nome: José Antonio Primo de Rivera

Post Scriptum 1. Diffidate delle imitazioni!

Post Scriptum 2. A proposito, che fine ha fatto Presbite?

Post Scriptum 3. Sulle nostre inchieste, dalla rivista storica «Passato e Presente»

5. Nazifascismo, Resistenza e primo dopoguerra: diffamare, diffamare, diffamare

Il «trattamento speciale» che Piero Calamandrei subisce per mano di Jose Antonio ci conduce all’analisi di una parte assai cospicua dell’attività di questo utente. Egli infatti non si limita a incensare e celebrare acriticamente i fascisti, ma, ogni volta che può, non manca di calunniare gli antifascisti. Vediamo alcuni casi emblematici.

5a. Franco Basaglia

Franco Basaglia (1924 - 1980) Da: Mario Colucci – Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, pag.1: «Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924, da una famiglia agiata. Secondogenito di tre figli, trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene nel caratteristico quartiere veneziano di San Polo. Conclusi gli studi classici, nel 1943 si iscrive alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto per sei mesi, fino alla fine della guerra. Esperienza che lo segna profondamente e che rievocherà anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.» width=

Franco Basaglia, 1924 – 1980. Per la sua attività antifascista clandestina all’Università di Venezia, nel 1944 è arrestato e resta in carcere sei mesi, fino alla Liberazione. È un’esperienza che influenzerà la sua critica radicale all’istituzione del manicomio, e Basaglia ne parlerà più volte. Il fatto è riportato in tutte le sue biografie. Per il “foibologo” di ultradestra Pirina, invece, nello stesso periodo Basaglia era un milite repubblichino. Il falso storico finisce senza alcun filtro in un libro di Bruno Vespa, e da lì, grazie al lavorìo di Jose Antonio, TheIrrules e Presbite (non certo ignari del suo essere un falso), arriva su Wikipedia.

Abbiamo già avuto modo di puntare il riflettore sull’episodio ignominioso in cui si arrivò a riportare in it.wiki il falso storico di Franco Basaglia arruolato nelle fila repubblichine.

Il cono di luce con cui abbiamo illuminato la vicenda ha permesso di portare allo scoperto gli utenti che, muovendosi in maniera chiaramente coordinata, si sono adoperati per diffondere su it.wiki la calunnia a danno dello psichiatra veneziano: TheIrrules, Presbite e, appunto, Jose Antonio.
È utile però tornare sul luogo del misfatto, sia per la gravità della maldicenza, sia perché, continuando a puntare il riflettore su quella vicenda, se ne scoprono nuovi aspetti.

Se, nella nostra prima ricostruzione, a Jose Antonio veniva conferito un ruolo da comprimario, per come giocò quella sporca partita oggi ci sembra più corretto indicarlo come co-protagonista nella regia dell’operazione, a pari demerito con TheIrrules e con l’uomo che si fa chiamare Presbite. Rendiamogli giustizia, dunque, e raccontiamo nuovamente questa faccenda sporchissima, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mosse.

Come avevamo scritto nella prima ricostruzione, le prove generali di questa infamia ai danni di Basaglia avvennero nella voce dedicata all’Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli – alla cui stesura avevano alacremente collaborato Presbite, TheIrrules e Demiurgo, con qualche comparsata di Jose Antonio.

Brevemente: nell’agosto del 2011 TheIrrules annuncia nella talk di Presbite di essere in possesso di un’«info secondaria ma interessante» che presenta poche ore dopo nella pagina di discussione della voce («Altre info, altre fonti»), con proposta d’inserire nella voce vera e propria «la mini-info sulla sorte di Basaglia come componente della colonna Morsero».

La fonte di questa informazione è Vincitori e vinti di Bruno Vespa. Forse perché già da alcuni mesi le intenzioni di Presbite (spalleggiato da TheIrrules) sono quelle di candidare la voce a «voce di qualità», più miti valutazioni spingono i Nostri a lasciar perdere e dalla pagina di discussione lo schizzo di fango non arriva nella voce. Jose Antonio è già un frequentatore di questa voce, come si evince dalla cronologia degli edit, e risulta difficile immaginare che la citazione dal volume Vincitori e vinti riportata da TheIrrules sia passata a lui inosservata.

Passano alcuni mesi e, il 4 novembre 2011, il falso storico che vuole Franco Basaglia repubblichino appare per la prima volta in una voce di it.wiki, proprio quella dedicata alla sua biografia, per mano di Jose Antonio spalleggiato dal sempre fido TheIrrules. Quest’ultimo poche ore dopo l’edit del sodale, interviene nella voce per precisare le due fonti utilizzate a sostegno dell’informazione inserita: il già citato libro di Bruno Vespa e – con link a Google Books – il riferimento a quanto riportato dal “foibologo” di estrema destra Marco Pirina nel suo libercolo 1945-1947. Guerra civile: la rivoluzione rossa, a cui lo stesso Vespa aveva a suo tempo attinto.

Sì, si tratta di quel Pirina, l’uomo dedito a cogliere sussurri. Il suo libercolo, pubblicato nel 2004, è edito dal famigerato Centro studi e ricerche storiche «Silentes loquimur», molto attivo nell’invenzione della pseudo-foiba del Bus de la Lum e, più in generale, della “foibologia”.

L’edit, riportato nelle prime righe della voce, è lapidario:

«Inquadrato in un reparto della Repubblica Sociale Italiana [Franco Basaglia] nel 1945 fu arrestato ed incarcerato nel campo sportivo di Novara».

Dura però meno di 24 ore. Il giorno dopo, l’utente Piero Montesacro cancella l’edit e contestualmente solleva un problema di conflitto di fonti a proposito dell’appartenenza alla RSI attribuita al giovane Basaglia, così come sostenuto da Pirina e Vespa, con un intervento nella pagina di discussione della voce.

Dopo questo uno-due Jose Antonio-TheIrrules va segnalato lo scambio di cordialità nelle rispettive talk, dove il secondo si complimenta col primo per la puntualità delle sue modifiche e Jose Antonio risponde facendo riferimento ad «antiche discussioni sull’argomento» a proposito del libro Vincitori e vinti e di Basaglia.

Il 1° maggio 2012 TheIrrules torna alla carica nella voce Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli e vi riporta che «tra le truppe fasciste c’era il giovane Basaglia», non prima di aver annotato nella pagina di discussione che «passati mesi mi sono preso l’onere di inserire la notazione in voce, essendo peraltro già presente nella biografia di Basaglia».

Scrive «onere», ma va letto senza timor di smentita onore.
Si noti pure il falso nel falso: la notazione non era affatto «già presente nella biografia di Basaglia». Infatti, come abbiamo visto, nella voce Franco Basaglia lo schizzo di fango è rimasto meno di 24 ore, circa sei mesi prima. TheIrrules lo sa benissimo, e come lui lo sanno l’uomo che si fa chiamare Presbite e, soprattutto, Jose Antonio, che si guarda bene dall’intervenire: eppure è attivo da tempo nella scrittura della voce Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli e ha scritto di «antiche discussioni sull’argomento» nel cameratesco scambio di apprezzamenti con TheIrrules riportato poco sopra, ma soprattutto suo era l’edit annullato da Piero Montesacro nella voce Franco Basaglia. La nota sul «conflitto di fonti» che aveva accompagnato il revert non poteva essergli sfuggita. Ma a volte è meglio fingere di non sapere, di non ricordare: anche questo fa parte del repertorio d’azione della strategia del ratto.

5b. Nuto Revelli

Nuto Revelli

Nuto Revelli, 1919 – 2004

La voce Nuto Revelli è stata creata nella primavera del 2005. Come è fisiologico per Wikipedia, inizialmente la voce dedicata al partigiano e scrittore è solo un abbozzo, che viene via via integrato dagli utenti. Jose Antonio compare per la prima volta nella cronologia degli edit di questa voce l’8 novembre 2009, aggiungendo al paragrafo dedicato agli anni giovanili di Revelli che durante i due anni in cui frequentò l’Accademia dell’Esercito di Modena raggiunse «il grado di capomanipolo della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale» [link].

La Milizia volontaria di sicurezza nazionale fu costituita nel dicembre 1922 per dare un inquadramento ufficiale alle squadre d’azione fasciste (le «camicie nere») nel quadro del processo di fascistizzazione dello stato. Dal 1924 quando per decreto divenne «parte delle Forze Armate dello Stato», perse sempre di più la caratterizzazione di milizia a uso esclusivo del PNF, venendo assimilata all’esercito. Su questa ambiguità di fondo MVSN-esercito gioca l’edit di Jose Antonio. L’informazione è inserita da lui senza essere accompagnata da una fonte. Rimarrà presente per quasi due anni, fino a quando un utente non registrato la correggerà riportando il grado acquisito da Revelli nell’esercito regio.

Una prima incursione, una cosa di poco conto, se non fosse che Jose Antonio tornerà successivamente a editare in questa voce, confermando fuori da ogni dubbio l’intenzione che già questo primo intervento tradiva: instillare in chi legge il dubbio sulla buona fede di Nuto Revelli e sul suo antifascismo; insinuare l’esistenza di un “peccato originale” occultato, alla luce del quale infangare tutta la sua esperienza partigiana e, per estensione, la resistenza nel suo complesso.

Jose Antonio sa attendere e valutare l’opportunità d’intervenire, anche sulla base delle carte che tiene in mano e può giocarsi, così come tiene conto degli utenti che in un dato momento sono attivi in una voce. Torna alla carica nell’ottobre 2013, e in poco più di 24 ore segna numerosi edit nella cronologia della voce dedicata a Revelli.

La tattica consiste nel confondere modifiche di sostanza tra edit che paiono essere di innocuo riordino della voce, ed è così che in un colpo solo Revelli viene rappresentato come un opportunista e un sanguinario serial killer: con un edit dal sapore malizioso viene infatti riportato che si unì alla resistenza «a seguito dello sbarco di Anzio», dopodiché viene descritto come un redivivo Torquemada dedito a infliggere torture prima di passare per le armi giovani rei di essere confluiti nelle formazioni partigiane al solo scopo di evitare l’arruolamento nelle truppe repubblichine:

«Revelli era solito condannare a morte anche per reati minimi giovani partigiani che si erano recati in montagna per sfuggire all’arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana. La metodologia seguita implicava la punizione del palo, cui seguiva la preparazione della fossa e la fucilazione» [link].

Su cosa si basa un’accusa tanto grave? In termini di consequenzialità ce lo suggerisce l’edit immediatamente precedente di Jose Antonio, che riporta:

«Mentre dopo aver assunto la guida della brigata Giustizia e Libertà gli altri partigiani del suo reparto gli dedicarono alcune strofe della Canzone di Paralup “Ora abbiamo un capitano che è buono come il pane è Dio in terra. Ha solo una fissazione palo, fossa e fucilazione per tutti quanti”» [link].

Una canzone scritta e cantata dagli stessi partigiani che combattevano al fianco di Revelli, diventa una prova sufficiente per riportare nella voce l’accusa che vuole Revelli aguzzino e fucilatore a cuor leggero.

Aldo A. Mola

Stavolta però Jose Antonio è forte di una fonte da citare a sostegno dei suoi edit: fresco di stampa nel numero di ottobre 2013 della già menzionata rivista Storia in rete, un articolo a firma di Aldo Alessandro Mola dal titolo Le molte morti del partigiano Scagliosi.

Prima di entrare nel merito di questo articolo, presentando brevemente il suo autore e la rivista su cui è stato pubblicato, va detto che qui Jose Antonio si fa forte del semplice fatto di poter citare una fonte, senza che necessariamente questa sia attendibile, tantomeno autorevole. È un limite di it.wiki che nel suo lavoro d’inchiesta Nicoletta Bourbaki ha già avuto modo di evidenziare, in modo particolare nelle voci dedicate al fascismo e al fiorire di “eccidi” per mano partigiana che sono rubricate nella versione in italiano dell’Enciclopedia libera.

A dispetto di quanto indicato nelle linee guida sulle Fonti attendibili, nella pratica quello che conta è riportare una fonte qualunque per “blindare” un edit. Le regole di it.wiki prevedono che l’eliminazione di un testo che rimandi a una fonte citata, sia considerato vandalismo a meno che non si porti una fonte diversa che nello specifico contraddica quanto affermato dalla prima.

Come scritto, l’articolo di Aldo A. Mola è pubblicato su Storia in rete, rivista di divulgazione storica che, lo abbiamo visto, ha tra i principali collaboratori Emanuele Mastrangelo, già noto per essere stato espulso a vita («ban infinito») da it.wiki nel 2011 e per essere uno dei due autori del libro Wikipedia, già recensito su Giap da Salvatore Talia nel post Fascinazione Wikipedia. Il mito della «cricca» e il conflitto reale.

Voyager

Roberto Giacobbo, tra i role model dei «divulgatori» di Storia in rete.

In una battuta possiamo dire che Storia in rete vorrebbe stare alla divulgazione storica come Focus sta alla divulgazione scientifica, ma più correttamente, se si guarda alle sue copertine, titoli e sommari, il paragone più corretto è con Voyager Magazine, la rivista dell’omonima trasmissione televisiva ideata da Roberto Giacobbo che punta tutto su presunti misteri insoluti in vari campi e pseudoscienze in generale.
Lo stesso Mola – che, tra le altre cose, è membro del comitato scientifico di Storia in rete – con Giacobbo ha rapporti di collaborazione di lunga data, da lui così sintetizzati in un’intervista:

«Ho la fortuna di collaborare con Roberto da almeno quindici anni. Sono intervenuto in molte sue trasmissioni su temi storici, dai Templari a Napoleone, dal Risorgimento all’Antico Egitto. Insieme abbiamo realizzato due approfondimenti su Giosuè Carducci e su Giuseppe Mazzini. Insieme parlammo di massoneria esplorando la sede della Gran Loggia d’Italia a Palazzo Vitelleschi in Roma. Roberto è un professionista rigoroso ed è anzitutto uno studioso appassionato. Quando affronta un tema lo studia in tutti i suoi aspetti. E poi si pone dal punto di vista di chi se lo troverà davanti per la prima volta e si porrà tante domande».

Queste parole sono un’ottima sintesi dei temi e dell’approccio che è anche di Storia in rete, che si caratterizza però anche per l’ampio risalto dato al giustificazionismo nei confronti del fascismo e in cui si trovano spesso articoli di puro discredito della resistenza, mentre si tessono le lodi di chi si schierò con la repubblica fantoccio di Salò. In sintesi, vi si trova il peggio della vulgata revisionista e sciovinista italiana, resa pop probabilmente per ragioni commerciali.

Aldo A. Mola è però anche altro: convinto monarchico è presidente della Consulta dei senatori del regno (una delle associazioni che si bisticcia ancora oggi il primato di fedelissimi della monarchia sabauda), anticomunista e studioso della massoneria; così è generalmente presentato, a volte in qualità di «storico», altre più genericamente come «saggista», sempre come «prof.»

Passando all’articolo di Mola che Jose Antonio utilizza come fonte per gli interventi nella voce biografica di Nuto Revelli, in generale si presenta come una disamina di un episodio singolo – quello appunto del partigiano Scagliosi già citato nel titolo – attraverso il confronto tra testi di memorie partigiane (Dante Livio Bianco, Aldo Sacchetti, lo stesso Nuto Revelli), alla ricerca di contraddizioni che possano giustificare la tesi di una ricostruzione dell’episodio che occulti la verità, perché per l’autore è noto che

«La fiaba della Guerra Partigiana punta sulla disinformazione. Ne è un esempio l’osanna che ha salutato il “Villaggio della libertà” a Paraloup, in un valloncello laterale della Valle Stura, ove, secondo il mito si raccolsero Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Dino Giacosa, Leo Scamuzzi. “A loro – è stato scritto nel 70° del luglio-settembre 1943, foriero appunto di nuove leggende – si unì Nuto Revelli, reduce dal fronte russo”.»

Mola è forte di alcune certezze, come ad esempio quella secondo cui «tutto sommato i cattolici osservanti erano meno sanguinari di socialcomunisti e azionisti e non potevano nascondere a se stessi il ventennale sostegno dalla Chiesa dato a Mussolini». A proposito di Revelli, è lapidario nel sostenere:

«Nelle fila di Giustizia e Libertà, Revelli entrò dopo lo sbarco angloamericano ad Anzio, quando cioè fu chiaro che gli Alleati avevano davvero deciso di avanzare verso nord: lento pede, però, contrariamente a quanto molti si illudevano fossero intenzionati a fare per togliere loro le castagne dal fuoco…».

Come si può leggere, Jose Antonio non ha fatto altro che scopiazzare il passaggio, lasciando che sia il lettore della voce Nuto Revelli a trarre la conclusione, suggerita ma non esplicitata, che la scelta di Revelli fosse dettata da opportunismo.

Il punto è che sia Mola sia Jose Antonio, nell’insinuare questa conclusione, omettono che Nuto Revelli, prima di entrare nelle formazioni di Giustizia e Libertà, con altri reduci dalla disfatta sul fronte russo costituì la formazione Compagnia Rivendicazione Caduti.  Era il 5 ottobre 1943. Allo sbarco di Anzio mancavano più di tre mesi. È lo stesso Revelli a riportarlo nel suo La guerra dei poveri, e lo conferma indirettamente Santo Peli nel suo La Resistenza in Italia (Einaudi, Torino 2004) quando, affrontando il peso della disfatta della Campagna italiana di Russia nel determinare la scelta di molti di unirsi alle formazioni partigiane in montagna, cita lo stesso Revelli: «Per molti di loro è qui, nella steppa russa, che “pietà l’è morta” come proclamerà il più famoso canto partigiano, scritto appunto da Nuto Revelli» (p. 32).

Ed è interessante quanto scrive Peli, perché ci dà un’indicazione delle possibili ragioni che spingono il monarchico Mola e Jose Antonio ad avanzare insinuazioni tanto infamanti nei confronti di Revelli, che non smise mai di condannare per la loro ignavia criminosa Mussolini e il regime, senza fare sconti nemmeno alla monarchia e ai Savoia per le loro responsabilità:

«Andavo a migliaia di chilometri da casa mia, ad ammazzare o a farmi ammazzare, ma per che cosa? Per la “Patria”. Quale “Patria”? Quella del fascismo, della monarchia, dei Savoia?» (Discorso per il conferimento della laurea honoris causa, ottobre 1999)

«Io la responsabilità la do sempre a quell’uomo – Mussolini – ma anche al regime, ai vertici militari, al potere economico, alla monarchia. Anche quel re piccolo piccolo sapeva tutto» (Conversazione con Loris Campetti, pubblicata sul supplemento de il manifesto “Ricordate quel 25 aprile?”, 1995)

E le accuse di sevizie? Come abbiamo visto, sembrano fondarsi sul testo di una canzone scritta e cantata dagli stessi partigiani. E su cosa le basa l’articolo di Mola così prezioso per Jose Antonio? Ecco l’estratto:

«Che la guerra partigiana fosse dura, Nuto Revelli lo fece capire ai propri subalterni appena prese il comando della IV banda giellista in Valle Stura. Una canzone lo ricorda come il “Dio eterno” ma con una “fissazione”: “Pal, tampa e fusiliasiun per tuti quanti”, cioè punizione del palo, scavarsi la fossa e fucilazione. In effetti – è documentato – nella sua “banda” vennero fucilati ragazzotti che in montagna erano andati per sottrarsi alla precettazione della RSI e si erano resi colpevoli di piccoli reati. […] Nelle “bande” […] furono inventati e applicati codici di pace e di guerra come se lo Stato di diritto, i codici vigenti, non esistessero più. Un brutto precedente…»

Al netto di quel «è documentato» – a cui però non segue indicazione sul dove, come e da chi -, anche Mola si basa sul testo della Canzone di Paralup, interpretato alla lettera, senza dare spazio a un’interpretazione figurativa, ironica e autoironica. Ma basta ascoltare la canzone e leggerne i versi per capire il vero mood: «Ci facevamo le tagliatelle con il tritolooo […] / E Alberto, per risparmiare, / ci faceva persino mangiare / il pane di merdaaa…»


Il testo della canzone venne composto collettivamente dagli stessi partigiani che combattevano nella formazione guidata da Revelli nel marzo 1944, durante le operazioni di abbandono della borgata Paralup (nel comune di Rittana, tra le valli Stura e Grana) dove nell’autunno dell’anno precedente, alla guida di Duccio Galimberti, si formò e operò la banda «Italia Libera», che poi dette vita alla Prima e Terza divisione di Giustizia e Libertà. La strofa completa in cui si fa riferimento a Revelli – tradotta in italiano – recita: «Ora abbiamo un capitano / che è buono come il pane / è Dio in terra. / Ha solo una fissazione / palo, fossa e fucilazione / per tutti quanti.»

Claudio Pavone, 1920 – 2016

Chi ha letto l’imprescindibile opera di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza sa con quanto equilibrio lo storico piemontese abbia trattato la difficile questione della giustizia partigiana. La giustizia sommaria e la pena di morte sembravano porsi in contrasto con gli ideali stessi per cui lottavano i partigiani; d’altro canto, le stesse condizioni di fatto che impedivano la costituzione di tribunali regolari e precludevano la possibilità di ricorrere a pene detentive, imponevano l’adozione di una ferrea autodisciplina e di metodi punitivi drastici non solo per i traditori e le spie, ma anche per chi, nelle file della resistenza, anziché lottare contro i fascisti e i nazisti si abbandonasse ad azioni di criminalità comune (rapinatori, grassatori, ladri ecc.).
Opportunamente, Pavone cita un passo del diario di Nuto Revelli:

«Il fenomeno del banditismo si sta allargando […] Tanti ne pescheremo, tanti ne fucileremo. Se vorremo evitare che i tedeschi e i fascisti facciano di ogni erba fascio, speculandoci su per diffamarci, non dovremo perdonare.»

Ancora nel 1990, in un’intervista rilasciata a Emma Mana, Revelli si assumeva il peso della responsabilità derivante dal dover garantire, come comandante, la reciproca affidabilità tra i componenti di una banda:

«Noi eravamo severissimi con chi sgarrava. C’era un patto ben preciso che era questo: chi scappa, chi non spara, chi si nasconde, chi non si comporta come dovrebbe comportarsi, frega gli altri. […] Nessuno deve vivere di rendita, […] nessuno deve fare il lavativo».

C’era al contempo da garantire buoni rapporti con la popolazione delle aree dove le bande operavano, tenuto anche conto che i partigiani si trovano a riempire sovente un vuoto istituzionale, «che li porta a esercitare una funzione di supplenza, amministrativa e di polizia» (Peli, p. 244).

Altro che «brutto precedente», come scrive Mola, dimentico che il vuoto istituzionale derivò in primo luogo dalla «fuga ingloriosa» di Badoglio, di Vittorio Emanuele III e di tutta la sua corte «verso terre sicure», all’alba del 9 settembre 1943.

Come abbiamo visto, la complessità di questa materia, con tutti i suoi i dilemmi etici difficili e dolorosi per chi li visse, non ha certo impedito a Jose Antonio di attuare una drastica semplificazione. Lo stesso utente che abbiamo visto procedere con passo felpato e con ovattata delicatezza nello sfumare le responsabilità di Giuseppe Solaro e di altri fascisti, non manifesta invece dubbio alcuno quando si tratta di Nuto Revelli, il quale viene presentato tout court come un fucilatore.

Tornando alla voce Nuto Revelli e agli infamanti edit di Jose Antonio dell’ottobre 2013, questi vengono spazzati via nel luglio 2015 dall’utente Amok 21 che così commenta la cancellazione: «Fonte inesistente e contenuto incoerente visto che Revelli era egli stesso partigiano».

Ma Jose Antonio non si dà per vinto, sa attendere. Il 22 maggio 2016 torna alla voce e riporta nuovamente l’accusa a Revelli di essere un aguzzino dalla fucilazione facile, stavolta tralasciando l’opportunismo di una sua tarda adesione alla resistenza, anche perché nei giorni precedenti l’utente Lucio.monaco ha ripulito la sezione «Gioventù» precisando la data di nascita della «Formazione rivendicazione caduti» e commentando:

«Tutta la sezione “Gioventù”, che si basava su un’unica fonte priva di riferimenti bibliografico-documentari e con diversi errori (per esempio che Revelli fosse stato ferito al volto in Russia) o affermazioni prive di riscontro».

Da qui uno scontro al limite di una edit war, con Lucio.monaco che cassa anche la parte basata sul testo della Canzone di Paralup e Jose Antonio che la inserisce nuovamente. Un braccio di ferro a colpi di revert, fino a quando, ai primi di giugno, la questione è portata nella pagina di discussione della voce, uno spazio in cui Jose Antonio sa che è meglio non esporsi oltre, dove è più difficile riproporre i suoi edit, commentando «Aldo Alessandro Mola è uno storico riconosciuto». E infatti, chiamato direttamente in causa, veste come se nulla fosse i panni dello scrupoloso utente wikipediano ligio alle regole interne, riposizionando la sua condotta nell’alveo del dispositivo Wikipedia.

La partita, ad oggi, è ancora in corso. Jose Antonio sta operando una ritirata strategica. Noi ci auguriamo che sia l’ultima, e per nulla strategica. Cantiamogli in coro questa strofa, lo dobbiamo a Nuto Revelli:

«T’ l’as mail dit parei,
t’ l’as mai fait parei,
t’ l’as mai dit, t’ l’as mai fait,
t’ l’as mai dit parei,
t’ l’as mai dilu: sì sì
t’ l’as mai falu: no no
tutto questo salvarti non può.»

5c. Massimo Mila

Massimo MilaIl futuro autore della Breve storia della musica, arrestato nel maggio 1935 in una retata che coinvolse l’intero gruppo torinese di Giustizia e Libertà, fu condannato a una pesante pena detentiva in uno dei tanti processi-farsa celebrati dal tribunale speciale fascista.
Questo sopruso, di cui fu oggetto l’illustre musicologo così come tante altre vittime di un regime liberticida, nell’interpretazione di Jose Antonio diventa incredibilmente una macchia sulla reputazione dello studioso. Difatti Jose Antonio, basandosi su una fonte evidentemente faziosa e di scarsa qualità storiografica (un libro edito dalle Edizioni Ares, un editore di estrema destra), con due edit del maggio 2013 imputa a Mila di aver ceduto alle pressioni dei suoi persecutori:

«[…] il 15 maggio del 1935, subisce per la seconda volta l’arresto insieme ad Einaudi, Foa, Ginzburg, Antonicelli, Bobbio, Pavese, Carlo Levi e Luigi Salvatorelli. Durante il processo testimoniò contro Vittorio Foa, ma ciò nonostante fu condannato dal Tribunale Speciale a sette anni di reclusione, insieme tra l’altro a Riccardo Bauer e Ernesto Rossi, che sconta nel carcere di Regina Coeli a Roma. Nel tentativo di ottenere la libertà scrisse inoltre una lettera diretta a Mussolini: “Mai più mi permetterò di fare o esprimere qualche cosa che possa essere, direttamente o indirettamente, comunque ostile, o contrario, o dannoso al Regime» [link].

L’edit di Jose Antonio è un buon esempio di quell’atteggiamento da sempre molto in voga presso i nostri revisionisti, che Norberto Bobbio – in un intervento pubblicato sul Corriere della Sera del 13 agosto 1995 – definì «mettersi dalla parte del dittatore». Esso consiste nel

«deplorare gli stratagemmi con cui in regime di dittatura ci si difende dalla prepotenza […] Ci si mette dal punto di vista del dittatore quando non si pronuncia una sola parola per condannare l’imposizione arbitraria, ma si levano alte grida per denunciare chi cerca di cavarsela con i soli mezzi che la dittatura concede.»

Per quelli come Jose Antonio l’antifascista deve pagare fino in fondo le conseguenze della sua scelta, accettando serenamente tutto quanto: arresto, detenzione arbitraria, tortura, processo-farsa e condanna, senza mai tentare di sottrarsi alla “giusta” punizione; ogni suo cedimento è una colpa, mentre ogni abuso da parte dei suoi persecutori viene dato per scontato e implicitamente giustificato.

5d. Anna Frank

Anna Frank, 1929 – 1945

All’inizio del 2016 una banale disputa legale su questioni di diritti d’autore offre a Jose Antonio il destro per insinuare dubbi sull’autenticità del Diario di Anna Frank.

Attribuendo, di passata, al negazionista Robert Faurisson l’immeritata qualifica di storico, Jose Antonio scrive:

«Il 1° gennaio 2016, alla scadenza dei diritti d’autore, il professore Olivier Ertzscheid e la parlamentare Isabelle Attard pubblicarono online il testo dei diari scatenando le proteste della fondazione “Anne Frank Fonds”, secondo cui il copyright sui diari sarebbe scaduto in realtà solo nel 2050 in quanto il padre di Anna indicato inizialmente solo come curatore dei Diari a partire dal 2016 avrebbe dovuto essere considerato anche coautore dell’opera».

In realtà il ruolo di Otto Frank nella compilazione della prima edizione del Diario è ben noto da almeno trent’anni e non costituisce affatto un’obiezione all’autenticità del testo, ma questo non impedisce a Jose Antonio di sottolineare la propria bravata in pagina di discussione, stigmatizzando la pretesa della Fondazione Anne Frank di «prolungare i diritti per vil denaro». È certamente casuale e non voluta, in questo intervento di Jose Antonio, ogni allusione all’odioso cliché antisemita dell’ebreo avido di denaro.

6. Un limite strutturale del progetto Wikipedia

La macchina sparacalunnie anti-antifascista allestita da Jose Antonio, così come il medagliere “nostalgico” da lui confezionato, suscitano alcune riflessioni sul progetto Wikipedia e sulle sue regole. È normale che un’enciclopedia possa diventare veicolo di un programma propagandistico così smaccato come quello portato avanti – non senza sostegni e complicità – da questo utente?
Uno degli slogan di Wikipedia recita:

«Con i tuoi interessi e le tue conoscenze puoi far crescere il sapere libero e l’enciclopedia. Scrivi nuove voci, traducile, amplia quelle già esistenti: il tuo contributo è prezioso!»

Orbene, come già riportato in precedenza, l’elenco dei “contributi” di Jose Antonio è imponente. Non c’è dubbio che, da un punto di vista meramente quantitativo, Jose Antonio abbia fatto crescere l’Enciclopedia, nello stesso senso in cui si può dire che le spese militari facciano crescere il PIL di una nazione. Da questo punto di vista Jose Antonio è anzi un utente benemerito, perché è uno che lavora sodo, assiduamente e instancabilmente, scrive molto e crea parecchie voci, contribuendo a colmare il dislivello quantitativo fra it.wiki e le altre wiki più importanti. Nella logica di Wikipedia, la qualità delle voci da lui redatte non è un problema, perché una voce su un argomento enciclopedico, per quanto possa essere scritta male, è in ogni caso meglio di niente, dal momento che offre comunque alcune informazioni e costituisce una base per futuri miglioramenti.

Miguel Gotor

Miguel Gotor

Se però usciamo dall’ottica di Wikipedia e delle sue regole interne, troviamo che nessuna vera enciclopedia funziona secondo tali criteri.
Sono degne d’attenzione le critiche formulate dallo storico Miguel Gotor, quando riscontra nel progetto Wikipedia «un’erronea e fuorviante sovrapposizione dei concetti di informazione e di conoscenza».
Secondo Gotor, un’enciclopedia propriamente detta «si assume l’onere […] di istituire proporzioni e tassonomie che in Wikipedia scompaiono in favore di un principio di auto-organizzazione puramente quantitativo»; in Wikipedia si realizzerebbe piuttosto, per Gotor, «una struttura cumulativa-compulsiva» basata su «una pedagogia collaborativa improntata all’ottimismo antropologico» e su di «un ideale collettivista di ispirazione anarcoide-liberista» che punta ad «una continua e progressiva frammentazione del sapere e delle informazioni» assimilate ad una sorta di «libero mercato parcellizzato» delle notizie che devono essere messe, nella maggiore quantità possibile, a disposizione degli utenti-consumatori.

L’ingenuo ottimismo antropologico di Wikipedia la renderebbe in realtà, secondo Gotor, vulnerabile all’attività di «disinformazione» operata da «sette, negazionismi e revisionismi vari» i quali «approfittano del disinteresse che anima il wikipediano ordinario per agire strumentalmente su Wikipedia» operando una vera e propria «manipolazione propagandistica» delle voci (cfr. M. Gotor, L’isola di Wikipedia. Una fonte elettronica, in AA.VV. [a cura di Sergio Luzzatto] Prima lezione di metodo storico, Laterza, Roma-Bari 2010).

Alla luce delle critiche formulate da Gotor, pressoché tutti i contributi di Jose Antonio risultano improntati a questa confusione tra informazione e conoscenza. Che Massimo Mila non abbia resistito al terzo grado della polizia fascista, o che Brasillach sia morto gridando «Vive la France!», sono tutte «informazioni» che corrispondono, entro certi limiti, a fatti veri e documentati. Sono però informazioni che contribuiscono ben poco alla conoscenza dei rispettivi argomenti, e che appaiono scelte secondo un criterio di propaganda politica, a scapito di altre informazioni più pertinenti all’oggetto, che però in voce non compaiono in quanto non utili all’obiettivo propagandistico perseguito dal nostro utente. Di più: voci d’enciclopedia che fanno di Nuto Revelli un aguzzino e di Giuseppe Solaro un benefattore dell’umanità, di Massimo Mila un delatore e di Robert Brasillach un eroe, dal punto di vista della conoscenza non sono solamente inutili ma sono dannose perché gravemente fuorvianti. Per ciascuno di questi argomenti, in realtà,piuttosto che avere delle voci così male impostate, sarebbe meglio che non ci fosse nessuna voce.

Alle critiche di Gotor un buon wikipediano risponderebbe menzionando i meccanismi di autocorrezione insiti nelle regole del Progetto. Ogni voce di Wikipedia, arguirebbe, purché abbia a oggetto un argomento meritevole di essere compreso nell’Enciclopedia, una volta che sia stata creata può solamente migliorare. Il contributo di un singolo utente che non rispetti la regola del «punto di vista neutrale» verrà infallibilmente corretto allorché in voce interverranno altri utenti, che espungeranno le informazioni false e integreranno tutte le informazioni vere e pertinenti di cui la voce ha bisogno.

Il nostro wikipediano ortodosso farebbe poi notare che, di tutte le voci che abbiamo preso a esempio, quasi nessuna è rimasta nelle condizioni in cui l’aveva lasciata Jose Antonio: il che dimostra, concluderebbe, che il Progetto è sano e che le regole funzionano.

L’ottimismo antropologico del nostro buon wikipediano si scontra però con alcune considerazioni di fatto.

Cosa succede quando le ipotetiche frotte di utenti sempre pronte a correggere ogni voce, previste dalla teoria del laissez faire wikipediano, in realtà non si fanno vive? Può infatti accadere che una voce, magari su un argomento molto settoriale e poco conosciuto, come può essere ad esempio la biografia dei gerarchi fascisti, rimanga “sbagliata” anche per mesi o anni prima che qualcuno se ne accorga e ci metta una pezza.

Lorenzo Berti, leader di Casapound Pistoia, «chiama alle armi» i camerati.

E cosa succede quando l’interesse casuale e disperso di una moltitudine di utenti deve porre rimedio all’azione sistematica di un utente che ha una propria agenda propagandistica e la porta avanti con metodo e con determinazione?

Peggio ancora: cosa succede quando, anziché un utente singolo, ci si trova di fronte a un gruppo organizzato di utenti, che si spalleggiano l’un l’altro e fanno muro ai tentativi di ostacolare la loro azione?

Forse non tutti sanno che su Wikipedia è stata attiva per anni una task-force di militanti di Casapound che bloccava le informazioni sgradite al loro partitino. È stata smascherata nel giugno 2016, ma non certo grazie ai meccanismi di autovigilanza e autocorrezione di Wikipedia. Anche in quel caso, come oggi, ci è voluta un’inchiesta esterna.
Quanti altri gruppi del genere sono attivi in questo momento? Come agire quando iniziative simili mandano in tilt la logica interna di it.wiki?

Lasciamo aperti questi interrogativi, che secondo noi non possono essere risolti nella teoria ma solamente nella prassi.

7. Prima di tutto, un nome: José Antonio Primo de Rivera

All’inizio di questo post, introducendo l’utente Jose Antonio, abbiamo indicato come illuminante la scelta del suo username (l’elemento che consente di identificare in modo univoco un utente di Wikipedia), essendo questo un chiaro omaggio al fondatore e capo della Falange Española: José Antonio Primo de Rivera.

Abbiamo anche anticipato che Jose Antonio è stato molto attivo nella scrittura di un micro- cluster di voci che comprende quella biografica di José Antonio Primo de Rivera e le voci dedicate alla Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista e – anche se in modalità differente – alla Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista.

La prima fu il partito fondato nel 1933 proprio da José Antonio Primo de Rivera, il cui obiettivo era l’individuazione della «via spagnola al fascismo» e i suoi capisaldi erano un acceso nazionalismo, il tradizionalismo, la religiosità, nonché l’esaltazione della violenza e dell’azione. Nell’ottobre 1934, a sancire la fusione con la Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista, José Antonio Primo de Rivera venne nominato capo unico del partito che adottò il saluto romano e, come divisa, la camisa azul.

La seconda è invece il partito fondato da Francisco Franco nel 1937, in cui confluirono i diversi movimenti nazionalisti, come appunto quello fondato da José Antonio Primo de Rivera e che, entro due anni, diventò il partito unico franchista (Movimiento Nacional), perno del totalitarismo spagnolo, che ha rappresentato fino alla caduta del franchismo l’unico canale di partecipazione alla vita pubblica spagnola. Su it.wiki la voce relativa a quest’ultima è stata derivata dalla voce dedicata alla Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista; l’iniziativa è stata presa dall’utente Civa61 che, in precedenza, aveva editato anche nelle altre due voci, facendo da spalla a Jose Antonio. Nel settembre 2015, nella pagina di discussione della voce si svolge il seguente scambio tra i due utenti:

«Civa61: Vorrei dividere la voce FE de las JONS e FET y de las JONS, creando la voce Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista (come anche in tutte le wiki). Si attendono pareri.
Jose Antonio: Penso sia doveroso. Avevo anche io pensato in passato di separare le voci ma poi mi era passato di mente.»

Meno di un’ora e viene creata una nuova voce, praticamente priva di fonti.

Il ruolo di Jose Antonio ha tutt’altro peso nelle voci José Antonio Primo de Rivera e Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, di cui è il principale contributore. Ha iniziato a lavorarci nel 2010, inserendo fra l’altro lunghe e numerose citazioni da scritti e discorsi dello stesso De Rivera, utilizzate in modo acritico e senza la minima contestualizzazione. In pratica, la voce enciclopedica su de Rivera e sul partito da lui fondato e diretto appare basata principalmente su ciò che de Rivera diceva di se stesso e del suo operato.

In queste voci le fonti storiografiche vere e proprie sono utilizzate in modo assai selettivo, un uso manipolatorio tipico di Jose Antonio: si cita solo ciò che non nuoce alla reputazione del personaggio biografato, e si tace il resto.

Ad esempio, viene utilizzata come fonte La guerra civile spagnola 1936-1939  di Paul Preston (Mondadori, Milano 1999), ma ci si guarda bene dal menzionare i passi in cui lo storico inglese sottolinea la natura reazionaria della Falange, il suo «vandalismo politico» e il «culto della violenza» di cui Primo de Rivera diede prova fin dall’inizio.
[Da notare che nella voce la casa editrice e la sua sede vengono erroneamente indicate come «Oscar, Cles (TN)»: ovviamente Oscar è la collana, mentre Cles è il luogo ove si trovano le tipografie della Mondadori.]

Parimenti, Jose Antonio, adopera Preston per raccontare il tentativo di procurare l’evasione di de Rivera dal carcere di Alicante, nel settembre 1936; ma dimentica di precisare che Preston attribuisce il fallimento di tale tentativo anche allo scarso entusiasmo dimostrato al riguardo da Francisco Franco, che considerava de Rivera un pericoloso rivale e che, in privato, non si dimostrò troppo scontento della sua morte .

Lo stesso avviene con un’altra fonte, il volume Storia della guerra civile spagnola di Hugh Thomas – un classico della storiografia sulla guerra civile spagnola, anche se piuttosto datato (pubblicato nel 1961, è vincitore nel 1967 del Somerset Maugham Award) – sia nella voce José Antonio Primo de Rivera che in quella Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista.

Prima di portare alcuni esempi dell’uso manipolatorio e selettivo del libro di Thomas, è necessario precisare che la voce José Primo de Rivera su it.wiki è stata, di fatto, completamente riscritta da Jose Antonio nel 2012 (era già intervenuto con alcuni edit nel gennaio del 2010 e nell’agosto del 2011).
Per rendere l’idea di quale sia la direzione seguita nella radicale modifica della voce, si prenda ad esempio la prima parte della sezione «Biografia» della voce al 15 agosto 2012, il momento in cui Jose Antonio inizia a intervenire pesantemente e sistematicamente con un assedio – senza assediati, se non l’inerme voce – che terminerà l’8 settembre successivo:

«José Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella e Grande di Spagna, fu primogenito del generale Miguel Primo de Rivera, che aveva esercitato la dittatura in Spagna dal 1923 al 1930, anno in cui morì in esilio a Parigi.
José Antonio divenne avvocato nel 1925 ed editore del giornale fascista El Fascio e del periodico Diario ABC S.L.. In un primo momento si dedicò alla celebrazione della vita e del ricordo del padre, operando come intellettuale conservatore e facendo la vita mondana dei giovani señoritos».

Questa che segue è invece la versione “a immagine e somiglianza” di Jose Antonio:

«José Antonio Primo de Rivera, nell’ottobre 1922, dopo aver seguito il padre a Barcellona, dove era stato nominato Capitano Generale della Catalogna, assolse il servizio militare nei Dragoni di Santiago. Nel 1925 divenne avvocato e nel 1928 fu insignito dell’Ordine di Santiago. Dopo la morte del padre a Parigi si dedicò sempre alla difesa del suo ricordo, operando come intellettuale conservatore».

Vale la pena segnalare alcuni edit che hanno contribuito alla mutazione di queste poche righe.
Innanzitutto, la «celebrazione della vita e del ricordo della vita del padre» diviene, tout court, la difesa della sua memoria, con una modifica che si fa forte del rimando al volume di Hugh Thomas. Le parole utilizzate dallo storico inglese hanno però un senso più chiaro e forte:

«José Antonio era sempre pronto a battersi contro chiunque osasse criticare suo padre, e in pratica tutta la sua attività, sotto certi aspetti, non fu altro che un tentativo di riabilitare il vecchio dittatore.»

A seguire, Jose Antonio:
–  toglie il riferimento alla morte in esilio di Miguel Primo de Rivera;
– sposta nella voce il riferimento al giornale El Fascio modificandone la descrizione da «giornale fascista» a «periodico di carattere politico»;
– derubrica il ruolo di José Antonio Primo de Rivera che, da editore, risulta poi abbia solamente scritto sul periodico Diario ABC S.L. che, tra l’altro, JA utilizzerà anche come fonte.

Ora che abbiamo dimostrato la marca ideologica del lavoro di Jose Antonio su it.wiki, e abbiamo verificato, fonti alla mano, che il suo contributo è ben lungi dall’avere di mira la verità storica, ribadiamo che a fare un lavoro così smaccatamente ideologico può essere solo uno che quell’ideologia la condivide. Un fascista.

Non ci stupisce che un fascista intervenga e sia intervenuto nelle voci “spingendo” il proprio POV: il nostro gruppo d’inchiesta ha fin dalle sue primissime uscite pubbliche problematizzato e indicato i limiti della «ricerca del punto di vista neutrale» (NPOV) su cui si basa Wikipedia.
Jose Antonio è però un utente esperto e di lungo corso, capace di muoversi nelle zone di grigio tra il permesso e il non consentito dalle regole dell’Enciclopedia libera, oltreché in grado di far fruttare il credito implicito che la comunità wikipediana gli riconosce per il suo contributo alla crescita quantitativa del progetto.
Mostrare il suo modus operandi è stato l’obiettivo perseguito in questo post.

Quelli che riportiamo a seguire sono invece alcuni casi in cui Jose Antonio falsifica in modo netto quanto riportato in una fonte – in particolare proprio Hugh Thomas – mostrandosi per quello che è: fascista, certo, ma anche un utente scorretto dell’Enciclopedia libera.

Un episodio in particolare, l’uccisione del falangista Matías Montero nel 1934, che è riportato sia nella voce José Antonio Primo de Rivera che in quella Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, è stato oggetto di varie modifiche da parte di Jose Antonio, modifiche che hanno portato a versioni differenti dello stesso episodio e che, in entrambi i casi, pur riportando come fonte il testo di Thomas, risultano diverse da quanto scritto dallo storico inglese.

L’episodio è inserito per la prima volta nelle voci dallo stesso Jose Antonio, che lavora in contemporanea nelle due voci e procede a colpi di copia/incolla: il falangista risulta prima ucciso da un militante “izquierdista”; tempo mezz’ora e il responsabile dell’omicidio si sdoppia diventando «due militanti», identificati come membri del Partido Socialista Obrero Español (PSOE). Alcuni giorni dopo Jose Antonio   inserisce una nota che rimanda a Thomas, a dotare di fonte il passaggio. Peccato che Thomas scriva, a proposito del falangista ucciso, di «un membro di questo partito [la Falange, ucciso] da un giovane della FUE». La FUE era la Federación Universitaria Escolar, «sindacato studentesco controllato da elementi di sinistra».

«Nei territori conquistati dall’esercito nazionalista», si legge nella voce José Antonio Primo de Rivera, «molti falangisti costituirono reparti combattenti con i quali si recarono al fronte (circa il 54% delle milizie nazionaliste e il 19% dell’intero esercito franchista) mentre altri costituirono improvvisate polizie politiche».

Jose Antonio con questo edit tiene a precisare che le «improvvisate polizie politiche […] si occupavano di fermare i sospetti alla ricerca di simpatizzanti comunisti», indicando come fonte la pagina 190 del volume di Thomas; ma quanto riportato a quella pagina è assai diverso:

«Pattuglie di falangisti battevano senza posa le strade della Spagna nazionalista, fermavano le persone sospette, chiedevano i documenti e gridavano “¡Arriba España!” ad ogni occasione. Tutte le automobili private e tutti i taxi e autobus furono sequestrati».

Anche a proposito dei dissidi tra José Antonio Primo de Rivera e Ramiro Ledesma Ramos – altro noto esponente del fascismo spagnolo, fondatore della Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista, gruppo politico che, come già visto, si fonderà con quello di de Rivera – l’utente Jose Antonio, per offrire una migliore esposizione al suo beniamino, non si fa scrupolo di falsificare quanto scritto da Thomas: riduce lo scontro fra i due a una questione di personalità inconciliabili, scrive che Ledesma uscì nel 1935 dal gruppo politico e che in seguito attaccò de Rivera con una serie di articoli in cui lo accusava di essere «strumento della reazione». In sintesi, inverte la temporalità di quanto accaduto, stando a quanto riporta Thomas:

«Quest’ultimo [Ledesma] aveva sempre considerato José Antonio nient’altro che un señorito, criticandolo aspramente per i suoi legami con la Chiesa e le classi alte. Alla fine, dopo avere scritto una serie di articoli in cui denunciava José Antonio come “strumento della reazione” Ledesma fu espulso dalla Falange».

Chiudiamo questa rassegna con un passaggio inserito da Jose Antonio nel paragrafo «La vittoria del Fronte popolare», da lui stesso creato. Si fa riferimento a un contesto, quello del febbraio 1936, effettivamente segnato da grande confusione, con scontri che non coinvolgono solo soggetti politici collocati in schieramenti opposti. Ma non è questa la sede per entrare nel merito di quanto accadde in Spagna durante quelle giornate.

Quel che ci interessa è che in un primo edit Jose Antonio scrive di «vetture guidate da falangisti [che] cominciarono a mostrarsi con le armi ostentate»; aggiunge poi che «molto spesso però si trattava di militanti anarchici del FAI o della CNT passati alla Falange interessati ad aumentare il caos», chiosando con «costoro erano spregiativamente chiamati dai socialisti “FAI-lange”». In ognuno di questi singoli edit si fa riferimento al testo di Thomas. Riportiamo quanto scrive lo storico inglese, parole che da sole rendono la scorrettezza di questo utente:

«Scorrazzando su automobili armate di mitragliatrici, i señoritos della Falange cercarono di aumentare il caos con ogni mezzo, dall’attentato contro l’autore della Costituzione della Repubblica […], agli incendi di chiese, che essi attribuivano poi agli anarchici. I militanti della FAI e della CNT continuavano a tenersi lontani dal regime. Continuavano a credere che con un’enciclopedia e una pistola sarebbero stati liberi – liberi da ogni costrizione politica. Guardavano al declino della Repubblica con la stessa torbida soddisfazione dei falangisti. E i loro pistoleros [della Falange, della FAI e della CNT] seguitarono a lavorare in comune – soprattutto contro i socialisti, i quali, quando parlavano della Falange, la chiamavano con dispregio “FAI-lange”.»

I «militanti anarchici passati alla Falange», come si vede, nel testo di Thomas non ci sono.
Ci sono invece, tra le altre cose, chiese incendiate dai falangisti per poi dare la colpa agli anarchici. Guardacaso JA, citando da questo brano del libro, ha espunto quel dettaglio.

Per concludere, ci chiediamo ancora una volta: com’è possibile che un inquinatore seriale di voci come Jose Antonio abbia da anni  campo libero nell’Enciclopedia libera?
Come può costui continuare con metodica scorrettezza a sporcare le voci dei protagonisti della resistenza?
Qual è il suo merito agli occhi della comunità di it.wiki che ne accetta la condotta, purché le voci crescano di numero?

Comunità che, da una parte, si attiva con progetti come Biografie/ANPI, e dall’altra si rifiuta di prendere atto che nei sotterranei dell’Enciclopedia libera ha preso forma una “enciclopedia repubblichina” costituita da voci apologetiche dedicate ad aguzzini e servi dei servi dei nazisti.


Post Scriptum 1. Diffidate delle imitazioni!

Cogliamo l’occasione per segnalare che fra il marzo e l’aprile dello scorso anno sono comparse due Nicolette Bourbaki fasulle, una su Wikipedia e l’altra (ma quasi certamente la stessa) su Facebook.

La falsa Nicoletta, mentre su Facebook è rimasta pressoché inattiva limitandosi a qualche facezia di dubbio gusto per poi scomparire dal più noto social network, su Wikipedia ha effettuato fra marzo e aprile 2016 una serie di edit tendenziosi nella voce enciclopedica Luther Blissett (pseudonimo). Gli edit riguardano Wu Ming 1, della cui voce l’utente ha anche abbozzato una riscrittura nella propria sandbox (la “scatola della sabbia” che talvolta gli utenti esperti di Wikipedia utilizzano per creare e modificare le bozze delle voci).

Proprio l’uso della sandbox – uno strumento inconsueto per i neoutenti – da parte della falsa Nicoletta ci dà da pensare. Non si tratterà di qualche vecchio utente che, per meglio vandalizzare la voce Wu Ming 1, ha pensato bene di crearsi una nuova identità ad hoc?

Mettendo insieme i vari indizi offertici dalla falsa Nicoletta, otteniamo il profilo di un utente esperto di Wikipedia, ossessionato dai Wu Ming, e dotato di un senso dell’umorismo alquanto grossolano. Chi potrà mai essere?

Non crediamo che si tratti di Jose Antonio, e pensiamo anzi che quest’ultimo non c’entri per nulla nella strana vicenda della falsa Nicoletta. Peraltro, Jose Antonio non è il solo utente “esperto” che abbia avuto da ridire con Nicoletta…

Post Scriptum 2. A proposito, che fine ha fatto Presbite?

Dopo la sua prima apparizione su Giap, nel maggio 2014, questo utente ha stipulato una curiosa scommessa con se stesso, dichiarando poi per ben due volte di averla vinta:

«Ho scommesso che in un anno le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali.

AGGIORNAMENTO: Ovviamente ho vinto la scommessa. E rilancio: scommetto che le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali anche per il secondo anno.

AGGIORNAMENTO: Ovviamente ho vinto la scommessa. E rilancio: scommetto che le voci da me create rimarranno sostanzialmente uguali anche per il terzo anno.»

In realtà Presbite la scommessa – quella sulla sua credibilità – non con se stesso ma con gli utenti e i contributori di Wikipedia, l’ha persa e lo sa benissimo.

Ecco un elenco parziale delle sconfitte subite e delle ritirate a cui Presbite è stato costretto su it.wiki.

1. La riscrittura quasi completa della voce sul TIGR. La voce era stata presidiata con le armi perché restasse nello stato penoso in cui l’aveva ridotta l’utente AleR, col TIGR trasformato in un’accozzaglia di tagliagole simili all’ISIS. Ora perlomeno c’è un inquadramento storico quasi decente e il TIGR viene sostanzialmente presentato per quel che fu: un movimento rivoluzionario antifascista di autodifesa degli sloveni e dei croati della “Venezia Giulia”.

2. La riscrittura di quella voce, a cui Presbite ha opposto il solito ostruzionismo coadiuvato dal suo sodale AleR, ha avuto come effetto collaterale il ban infinito per quest’ultimo. Nella fase di riscrittura è emersa l’inesistenza del libro Assassini nella storia citato ripetutamente come fonte da AleR. Nella discussione sul ban per AleR, Presbite ha cercato in tutti i modi di difendere il suo sodale, sfidando il senso del ridicolo. Alla fine ha dovuto appellarsi alla “clemenza della corte”, senza ottenerla.

3. La riscrittura parziale della voce sul Narodni dom. Inizialmente basata su fonti improponibili, quali le opere del fascistissimo Attilio Tamaro e gli articoli della stampa locale dell’epoca, già in odore (o tanfo) di fascismo, ora la voce si presenta un po’ più equilibrata. Sono state utilizzate e citate fonti più serie e la ricostruzione dei fatti, pur ottenuta attraverso una serie di mediazioni al ribasso con Presbite e i suoi soci, si avvicina a uno standard di quasi decenza.

4. La riscrittura della voce sul campo profughi di Wagna, voce poi smembrata da Bramfab per un penoso atto di ripicca. La relativa pagina di discussione è quella che più di tutte ci ha permesso di studiare ed esporre in modo analitico le tattiche di ostruzionismo di Presbite e la rete di complicità su cui si appoggiano. La voce è rimasta incompiuta, ma la vulgata nazionalpatriottica su Wagna è stata sgretolata. Si veda: «Come la nonna di Tuco divenne irredentista a sua insaputa. Storia di un campo profughi», capitolo della nostra inchiesta La storia deturpata su Wikipedia: il caso Presbite.

5. La voce su Porzûs è quella a cui Presbite tiene di più. Su Giap abbiamo mostrato su quali omissioni e manipolazioni fosse stata costruita. Immediatamente dopo la pubblicazione del nostro post alcuni contributori di it.wiki sono intervenuti in modo maldestro per emendarla. Successivamente altri contributori più esperti sono riusciti a inserire nella voce quell’evento secondario e insignificante, quella sciocchezzuola che fu l’invasione della Jugoslavia da parte di Italia e Germania nel 1941.
Dopo qualche settimana, si è arrivati al nocciolo della questione: i rapporti della Osoppo con la X MAS. Rapporti talmente imbarazzanti, che Presbite aveva fatto di tutto per nasconderli sotto il tappeto, a costo di confinarli in una voce a parte, che tanto nessuno avrebbe letto. Ora la ricostruzione di quei rapporti è parte integrante della voce. Presbite, credendo di fare un portento, ha opposto alla ricostruzione di Tranfaglia e Cereghino una serie di ricostruzioni alternative infarcite di excusationes non petitae, rafforzando così involontariamente il frame della Osoppo che si muove in modo torbido nell’inverno 1944-1945.

6. Commentando su Giap il post su Presbite, a un certo punto si è fatto notare come nella voce sull’invasione della Jugoslavia costui avesse fatto passare la resistenza jugoslava contro le forze di occupazione e i loro collaborazionisti per una «guerriglia che contrapponeva le varie etnie presenti sul territorio». Praticamente in diretta, Presbite – che è un nostro ossessivo lettore e sta leggendo anche queste righe – si è precipitato su quella voce per darle una raddrizzata.

7. Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli: espunto il riferimento calunnioso ai presunti trascorsi repubblichini di Franco Basaglia. La storia l’abbiamo raccontata qui sopra e, precedentemente, qui.

8. Nella voce Giorno del ricordo sono stati inseriti vari riferimenti alla storiografia critica o molto critica nei confronti della legge istitutiva: Fogar, Collotti, Del Boca, D’Orsi, Focardi, ecc. In precedenza la voce faceva falsamente intendere che a criticare la legge sul Giorno del ricordo fossero solamente il PRC e alcuni sparuti gruppuscoli di estremisti di sinistra. Nella pagina di discussione Presbite ha dato il peggio di sé, giungendo a chiedere una meta-fonte che attestasse l’esistenza di un dibattito sul Giorno del ricordo, giacché l’elenco di una serie di prese di posizione diverse e/o divergenti non sarebbe stato secondo lui sufficiente a dimostrare che sul tema esistono posizioni diverse e/o contrastanti. La cosa più divertente è che nel corso della discussione è emerso che Napolitano nel suo famigerato discorso del 2007 manipolò una frase di Raoul Pupo, con grandi arrampicate sugli specchi di Presbite per dimostrare che ciò non era vero.

9. Il colpo più duro per Presbite dev’essere stato il debunking storiografico della leggenda secondo cui Milovan Gilas nel 1946 avrebbe organizzato insieme a Edvard Kardelj una campagna volta a espellere gli italiani dall’Istria. La storica Nevenka Troha ha dimostrato che l’autodelazione di Gilas (pronunciata in un’intervista del 1991) è un falso, perché nel 1946 Gilas non mise piede in Istria. Si tratta di un debunking che certamente Presbite conosceva bene, visto che era stato ripreso persino da uno storico da lui molto apprezzato (Raoul Pupo). Ma il nostro Teppichfresser si era guardato bene dal menzionarlo, perché quella frase di Gilas negli ambienti nazionalpatriottici vicini al mondo degli esuli è utilizzata come arma-fine-di-mondo per stabilire, con un’ulteriore forzatura, un legame tra foibe ed esodo. Ora quella frase è stata espunta da (quasi) tutte le voci che trattano del “confine orientale”.

Commento su Nicoletta Bourbaki apparso in calce a un appello “foibologico” e nazional-patriottico su Facebook. [Nell’ultima frase si allude a questa vicenda.]

Mentre questo accadeva all’interno di Wikipedia, noi ci occupavamo di Presbite su Giap: il suo modo scorretto di muoversi nell’Enciclopedia, le sue falsificazioni, la sua arroganza sono state sezionate e divulgate al pubblico. Non solo: la sua agenda politica è stata svelata e spiegata nei minimi dettagli ed è stato dimostrato che coincide con quella delle associazioni nazionaliste, che attraverso il Giorno del ricordo, si infiltrano nelle scuole per propagandare la loro lettura revanscista della storia del “confine orientale”. La sua supposta neutralità è finita a pezzi.

Chiudiamo ricordando una voce creata da Presbite che è rimasta «sostanzialmente uguale» dal maggio 2014: quella sui Bombardamenti di Zara. All’epoca versava in condizioni penose (costellata di segnalazioni di mancanza di fonti) e ad oggi è ancora nelle medesime condizioni, in attesa che la comunità dei wikipediani si decida a cancellarla definitivamente. Aspettando che qualcuno prenda questa saggia decisione, magari qualcun altro potrebbe controllare cosa c’è scritto veramente nell’articolo citato nella nota 29 e verificare se coincide con quanto riportato da Presbite.

Noi la risposta la sappiamo, ma non vogliamo rovinare la sorpresa.

Post Scriptum 3. Sulle nostre inchieste, dalla rivista storica «Passato e Presente»

Passato e presente[Chiudiamo con una segnalazione: sull’ultimo numero della rivista di storia contemporanea «Passato e Presente», dell’editore Franco Angeli, è apparso un saggio di Roberto Bianchi e Gilda Zazzara intitolato La storia formattata. Wikipedia tra creazione, uso e consumo. Nel paragrafo «Wiki-fascismo vs. Wiki-antifascismo», si parla diffusamente di noi. Proponiamo qui la parte che ci riguarda. Il testo completo si può scaricare in pdf qui.
Non è la prima volta che una rivista accademica e peer-reviewed si occupa del nostro lavoro e riprende le nostre inchieste. Più avanti proporremo una rassegna.]

[…] Salvatore Talia […] sul blog Giap della Fondazione Wu Ming ha dedicato un primo studio al modus operandi di alcuni utenti particolarmente attivi sui temi del fascismo e della guerra civile del 1943-45. Esaminando le cronologie di voci come Squadrismo, Fascismo e Attentato di via Rasella ha evidenziato non solo la legittimazione di una storiografia di dubbia scientificità, ma anche lo stravolgimento, oppure l’uso ambiguo e decontestualizzato, della più recente storiografia accademica. In calce ai post si sviluppano lunghe discussioni con centinaia di interventi e l’apertura di nuove inchieste. Altri blogger segnalano voci problematiche e vere e proprie deformazioni della realtà: a Battaglia di Tarnova – una serie di scontri tra repubblichini e partigiani jugoslavi nei pressi di Gorizia avvenuti nel 1945 – è attribuito un peso che non ha riscontri nella storiografia né italiana né in lingua slava, ma ne ha molto nella memorialistica neofascista; Franco Basaglia diventa repubblichino in una voce minore (Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli, che tra l’altro guadagna la stella di “Voce di qualità”), e qualcuno segnala che la strada di questa clamorosa falsa notizia sia un libro di Bruno Vespa, a sua volta basato su affermazioni del “foibologo” Marco Pirina.

Dall’esperienza di discussione su queste pagine calde nasce il gruppo d’inchiesta Nicoletta Bourbaki (pseudonimo ispirato a un collettivo di matematici francesi nato negli anni ’30), che dedica un accurato esame all’attività neoirredentista dell’utente Presbite, che interviene sull’enciclopedia non solo per la scrittura e riscrittura di episodi o eventi ma anche, più sottilmente, per l’italianizzazione di toponimi minori, allo scopo di «dimostrare che tutto l’Adriatico orientale […] è storicamente italiano, delegittimare storicamente la presenza sul territorio di chi vi abita oggi, e rendere familiari ai lettori queste denominazioni obsolete». Gli ultimi interventi ospitati da Giap sul tema storia e Wikipedia si sono infine concentrati sulle edit wars delle voci Attentato di via Rasella e Storia del Trentino.

I “giappisti”, tuttavia, che come Talia sono spesso anche utenti attivi sull’enciclopedia, non giungono affatto a una sconfessione del progetto wikipediano, a una snobistica presa di distanza, attribuita invece alla “cultura ufficiale” […] Essendo Wikipedia non solo un progetto di classificazione, ma soprattutto di socializzazione della conoscenza e dell’informazione, è inevitabile che in essa si riversino e si combattano i conflitti di memoria del mondo non virtuale. Il grido di battaglia è netto: «Ritengo in ogni caso auspicabile che tutti noi antifascisti, wikipediani e non, esercitiamo una doverosa attività di vigilanza sulle pagine dell’enciclopedia libera. La quale è una piazza, ancorché virtuale: e, come tutte le piazze, perché le camicie nere non se ne impossessino ha bisogno della nostra presenza». Si tratta di una sorta di antifascismo militante che presidia le piazze e gli spazi pubblici online.

N.d.R. I commenti a questo post saranno attivati 72 ore dopo la pubblicazione, per consentire una lettura ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).

* Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete e sulle false notizie a tema storico, nato nel 2012 durante una discussione su Giap, il blog di Wu Ming. Ne fanno parte storici, ricercatori di varie discipline, scrittori, attivisti e semplici appassionati di storia. Il nome allude al collettivo di matematici noto con lo pseudonimo collettivo «Nicolas Bourbaki» attivo in Francia dagli anni Trenta agli anni Ottanta del ventesimo secolo.
Il gruppo di lavoro ha all’attivo diverse inchieste – pubblicate su Giap – sulle manipolazioni neofasciste della Wikipedia in lingua italiana e sui falsi storici in tema di foibe.
Per l’edizione on line della rivista Internazionale, in occasione del Giorno del Ricordo 2017, Nicoletta Bourbaki ha curato lo speciale La storia intorno alle foibe. Sul n.39 della rivista di studi storici Zapruder (gennaio-aprile 2016), in collaborazione con Lorenzo Filipaz, ha pubblicato l’articolo Wi Chi? Battaglie per il sapere in rete.
Nicoletta Bourbaki è anche su Facebook.

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88 commenti su “La strategia del ratto, 2a parte. Il caso «Jose Antonio» su Wikipedia: un crescendo di fonti manipolate e falsi storici


  1. Elephant in the room. La non-discussione al bar di Wikipedia

    Il 21 febbraio scorso, circa 3 ore dopo la sua pubblicazione, il post è stato segnalato al bar di it.wiki da un utente – LuigiD1111 – registrato a settembre 2016, che ha aperto una discussione dal titolo genericissimo Che ne pensate?

    La discussione, dopo alcuni commenti smargiassi sull’«attenzione dei wuminghiani verso Wikipedia», con un intervento dell’admin Lucas pare volgere verso un implicito accoglimento della problematica generica segnalata nel nostro post: l’alterazione e l’uso manipolatorio delle fonti nelle voci sulla storia del Novecento italiano.
    È lo stesso Lucas infatti che, dopo aver modificato il titolo della discussione in Articolo su alterazioni fonti in Wikipedia, scrive:

    «per quanto, a larghe spanne, Wikipedia abbia sempre mostrato un certo quantitativo di anticorpi, qualche virus o batterio di cui siamo portatori (non sempre sani) passa, e probabilmente sempre passerà».

    Da qui la discussione si indirizza – con pochi interventi, per la verità – sulle possibili contromisure adottabili: inizialmente nell’ottica di un rafforzamento di alcune procedure «di salvaguardia» (nella fattispecie un «progetto di monitoraggio» delle voci più «sensibili») e – dopo l’intervento dell’utente Bramfab che prima si «toglie qualche sassolino dalle scarpe», in pratica si lamenta di essere stato citato, a suo dire, immotivatamente nel post – su pseudo-strumenti che potremmo definire di empowerment degli utenti.

    Questa svolta nella discussione avviene precisamente dopo un secondo intervento dello stesso Bramfab che, con posa da vecchio saggio e wikipediano di lunga esperienza, dispensa consigli sul come identificare una voce in cui sono in corso tentativi di POV pushing o in cui si fa un uso scorretto delle fonti. Su Bramfab torneremo tra poco, la discussione ad ogni modo si spegne – senza mai essersi accesa – dopo alcuni “quote” a sostegno dell’intervento di Bramfab; tutto si riduce alla proposta di inserire un «quadrotto evidenziato» (!) nella pagina di servizio Aiuto: Punto di vista neutrale, in cui sintetizzare le indicazioni esposte da Bramfab su come identificare una voce squilibrata.

    Dopo alcuni giorni un Demiurgo piccato lascia un intervento dal tono passivo-aggressivo nella pagina della discussione al bar, un intervento che pesa come una pietra tombale sulla discussione – l’unica dentro it.wiki – che si era avviata dopo la pubblicazione della nostra inchiesta e che si è congelata, con l’intervento di Demiurgo, al 27 febbraio scorso.

    Sulla seconda parte dell’inchiesta si cerca di far finta di nulla, eppure recepire le analisi che abbiamo proposto consentirebbe di avviare una riflessione su alcune falle strutturali dell’enciclopedia che favoriscono azioni propagandistiche e ideologiche. Il progetto Wikipedia ne avrebbe sicuro giovamento e i wikipediani guadagnerebbero in autorevolezza.

    La sensazione che se ne ricava invece è che nella visione del mondo di questi wikipediani non c’è nessun problema da affrontare. Nemmeno se il problema, oltre ad avere una dimensione generale, nella contingenza ha un nome ben preciso: Jose Antonio. Un nome che nessuno nomina nella discussione al bar, probabilmente perché troppo scomodo è il solo nominarlo. Jose Antonio che, tra l’altro, dalla notte del 22 febbraio scorso su it.wiki risulta immobile, come pietrificato.

    La discussione ha dunque mantenuto le sembianze di quella situazione tipica che in inglese viene indicata con l’espressione elephant in the room, cioè una discussione in cui si evita di nominare e discutere un problema noto e ingombrante. Ma per esposizione e impatto del post, l’elefante nella stanza – proprio come mostrato nella nota installazione di Banksy – possono fingere di non vederlo i presenti accomodati sul divano nella stanza, ma per chi guarda da fuori, anche se pittato come la carta da parati che fa da sfondo, l’elefante si vede eccome.

    Chi è questo Bramfab che recita la parte del vecchio saggio?

    Bramfab non è un semplice utente, ma un amministratore di it.wiki, eletto la prima volta l’11 maggio 2007 e ripetutamente riconfermato secondo la procedura di «riconferma tacita». Gli amministratori in it.wiki non sono «utenti speciali» e «non hanno diritti o privilegi in più rispetto agli altri utenti»; sono utenti a cui, una volta eletti, vengono affidate «funzioni tecniche necessarie al funzionamento dell’enciclopedia». È ovvio però che agli admin è riconosciuta un’autorevolezza che a un semplice utente non viene riconosciuta: perché eletti, perché solitamente vantano una lunga esperienza in it.wiki, perché – e non casualmente – agli amministratori ci si deve in primo luogo rivolgere nelle situazioni di conflittualità che possono nascere nella redazione di una voce.

    Bramfab, come detto sopra, si è lamentato al bar per essere stato nominato – secondo lui – a sproposito nella nostra inchiesta. Noi siamo convinti che, in qualità di amministratore di lungo corso, nelle due voci che cita – Squadrismo e Fatti di Sarzana –, scorrendo i suoi edit nella cronologia, quantomeno si evinca che l’utente e amministratore Bramfab nelle vesti di saggio che consiglia come sgamare un uso scorretto delle fonti non è credibile.

    E poi, è lo stesso utente Bramfab che, sotto gli occhi distratti dell’ amministratore Bramfab – cioè  lui stesso medesimo –, nel 2014 manipolò maldestramente una fonte e quando fu scoperto si fece aiutare da Presbite a mandarla in caciara?

    Si tratta di questo edit.

    Siamo nella voce Ronchi dei Legionari. Vari utenti nazionalpatriottici vogliono a tutti i costi che nella sezione «Storia» di questa voce si parli delle manifestazioni organizzate dalla Lega Nazionale a Gorizia nel marzo 1946, in occasione della visita della commissione alleata che doveva stabilire il confine tra Italia e Jugoslavia. Ci si chiederà: che c’entra Gorizia, se la voce è Ronchi? Semplice: gli abitanti di Ronchi e della Bisiacaria, in massima parte operai comunisti reduci da due anni di guerriglia nelle fila del NOVJ, pur se italofoni, erano filojugoslavi, ed auspicavano l’annessione della regione giuliana alla Jugoslavia, come «settima federativa». Ma questo è l’ indicibile. È qualcosa che manda all’aria lo schema interpretativo dei contrapposti nazionalismi, che da Napolitano giù giù fino ai bassifondi di Wikipedia deve restare il dogma dell’ideologia nazionale italiana.

    Ad aprire le danze l’utente Civa61, che cerca di rifilare una patacca: senza citare la fonte, copiaincolla un trafiletto de Il Piccolo del 2014, in cui si riferisce di un’iniziativa della Lega Nazionale di Gorizia (en passant, notiamo che nel trafiletto compaiono alcune nostre vecchie conoscenze: Ivan Buttignon, Luca Urizio e Lorenzo Salimbeni). La patacca viene subito sgamata dall’utente TBPJMR, che citando come fonte un articolo dello storico A. Cattunar smonta il frame dei contrapposti nazionalismi e introduce l’elemento di complessità della contrapposizione politica e sociale.

    Passano alcune settimane e arriva Senofonte, che cita direttamente un comunicato stampa della Lega Nazionale, stoppato però nuovamente da TBPJMR.
    A questo punto entra in scena Bramfab, che tira fuori dal cilindro un trafiletto de La Stampa del 1946 sugli scontri di piazza che avvennero a Trieste in contemporanea con la visita della commissione alleata a Gorizia. Il trafiletto, con toni esagitati, parla di «turbe inferocite di catechizzati panslavisti» con «gli occhi iniettati di odio» e riferisce addirittura di due bambine che sarebbero morte a Trieste durante gli scontri.

    Bramfab, manipolando una fonte già di per sé improponibile, sposta la presunta morte delle bambine a Gorizia. Ad ogni modo TBPJMR, dopo aver consultato in biblioteca un volume che riporta la cronologia degli eventi triestini giorno per giorno, dimostra che la notizia della morte delle due bambine è falsa.

    Da quel momento in poi gli utenti Bramfab e Presbite, nella pagina di discussione, si scatenano nel loro solito vile cabaret, fatto di svicolamenti, di sarcasmo da quattro soldi e di aggressioni verbali contro l’interlocutore.

    Il tutto, ripetiamo, sotto gli occhi distratti dell’amministratore Bramfab.

    Il comportamento di Bramfab e Presbite nella voce Ronchi dei Legionari non è stato un incidente di percorso. I due si sono trovati spesso a spalleggiarsi a vicenda nel fare mobbing contro qualche utente poco patriottico. Ad esempio nella voce Campo profughi di Wagna di cui abbiamo già parlato qui.
    Anche in quell’occasione l’amministratore Bramfab chiuse gli occhi davanti al comportamento becero di Presbite – e dell’utente Bramfab – nella pagina di discussione. Per aiutare Presbite a buttarla in caciara, sfidando il ridicolo arrivò a negare la presenza di tedeschi in Südtirol, sostenendo che tedeschi potevano essere definiti solo i sudditi di Guglielmo II.
    Alla fine, d’imperio smembrò la voce scorporandone tutta la parte di inquadramento storico, come ripicca per il debunking della vulgata nazionalista effettuato da TBPJMR. Al posto di una voce unitaria in fase di compilazione ora ci sono due voci monche abbandonate giustamente a se stesse.
    Un bel contributo alla qualità del progetto da parte dell’amministratore Bramfab, non c’è che dire.

    • Due concetti utilizzabili per analizzare questa tragica wikifarsa: «omertà» e «burocrazia».

      Da un lato, il comportamento nei confronti di «Jose Antonio», di fronte a una tale sequela di esempi di «POV-pushing» (e tanti ancora ce ne sarebbero, basti pensare alle ripugnanti voci di it.wiki sul colonialismo italiano), è chiaramente omertoso.

      Dall’altro, in questi anni la community dell’italowikipedia ha ammantato l’«impresa collettiva eternamente incompiuta di scrittura di un’enciclopedia» (cit. Filipaz qui) con una fitta e pesante maglia di burocrazia. Una cotta di maglia, per la precisione, fatta di anelli di ferro (“link”, non a caso).

      Da fuori, l’esorbitante mole di regole, regolette, gergalismi risulta impenetrabile e scoraggia la partecipazione di “profani”.

      Da dentro, però, quella burocrazia – com’è tipico delle burocrazie – è diventata la mappa 1:1 della realtà.

      Si è sviluppato, nella community, un impressionante feticismo procedurale, che rallenta i riflessi di fronte ai pericoli, offusca la visione di questi ultimi e rende cognitivamente faticosissimo immaginare altri approcci.

    • Nel frattempo la discussione al bar di Wikipedia è diventata un’ulteriore, chiarissima dimostrazione delle dinamiche analizzate nella nostra inchiesta. Infatti da quando sono intervenuti i tre mazzieri Bramfab, Demiurgo & Presbite l’argomento della discussione è cambiato. Ora il problema non è più l’operato di un’utenza di dimostrata scorrettezza e comprovata ispirazione neofascista come Jose Antonio, le complicità di cui gode, i danni che tale operato ha causato all’Enciclopedia… Nossignori: il problema è il complotto contro Wikipedia portato avanti dai “wuminghiani”.

      Smontare uno per uno i sofismi dei tre mazzieri sarebbe facile ma, tutto sommato, inutile. La funzione dei loro chilometrici interventi non è infatti di argomentare razionalmente, bensì di occupare il territorio, sviare, intimidire gli altri utenti lanciando la caccia alle streghe e, in ultimo, soffocare ogni dibattito e ristabilire l’ordine (“Circolare, circolare! Non c’è nulla da vedere, andate a casa!”).

      Per avere un’idea del simpatico clima instaurato dai tre mazzieri, basti pensare che l’utente Luigi D111, che ha introdotto la discussione con un candido “Che ne pensate?”, è stato accusato in rapida successione da Bramfab di essere Emanuele Mastrangelo sotto mentite spoglie, e da Demiurgo di essere un “wuminghiano”…

      Gli interventi di Presbite, come sempre, si commentano da soli. Per dare un’idea del suo grado di onestà intellettuale, basterà rilevare che Presbite ha attribuito all’iniziativa “spontanea” del suo amico e sodale Demiurgo l’inserimento in data 16 novembre 2014, nella voce Eccidio di Porzus, di una certa cruciale informazione (l’invasione fascista della Jugoslavia) inserimento avvenuto quando già da tre giorni avevamo denunciato l’assenza di tale informazione, con un nostro articolo che lo stesso Demiurgo, alla data del 16 novembre, sicuramente conosceva, avendolo egli stesso segnalato in talk della voce.

      Quanto a Demiurgo, nella discussione al bar è riuscito, in uno stesso intervento, a sostenere (in difesa di Jose Antonio e delle sue fonti fasciste) che gli autori vanno valutati “per quello che essi dicono” e non “per quello che essi sono”, e che d’altra parte chi dice il contrario (cioè noi, che ci ostiniamo a non riconoscere validità alle fonti fasciste e neofasciste propinate da Jose Antonio) è uno sporco comunista e in quanto tale non dev’essere ascoltato…

      La cortina fumogena abilmente sollevata da Demiurgo con il suo fallacissimo “e allora le foibe?” non riesce però a nascondere il vero nocciolo della questione, che è quello enunciato da Pequod nel suo intervento del 9 marzo: “Siccome condividiamo l’idea wikipediana, tendiamo a sublimare il conflitto, che invece è ben determinato, storicamente, storiograficamente, politicamente e tutto quello che si vuole. Infatti, qui basta evidenziare una cosa: che sia improponibile usare fonti come Storia in rete o i citati giornalisti prestati alla Storia o la memorialistica è abbastanza chiaro”…

      Ma si sa: nominare Storia in rete, la rivista di Mastrangelo, in una discussione su Wikipedia sortisce lo stesso effetto di Frau Blücher nel celebre film:

      La squadra dei mazzieri si allarma, s’imbizzarrisce, e cerca di correre ai ripari. Il fatto che la fonte “improponibile”, anche dopo la cacciata di Mastrangelo e grazie alla complicità dei soliti noti, non abbia mai smesso di sversare i suoi materiali dentro Wikipedia, è una circostanza su cui è meglio non richiamare l’attenzione. Partono i depistaggi, i sofismi, le intimidazioni e i tentativi di censura. Si cerca di rievocare lo spettro maccartista del complotto demo-giudo wuminghiano contro Wikipedia…

      E invece no, cari signori; non v’illudete. Non è Wikipedia in quanto tale il nostro bersaglio. Il bersaglio delle nostre critiche e dei nostri attacchi siete voi. Voi Demiurgo, voi Presbite, voi Jose Antonio, voi Bramfab, voi Theirrules, voi Il Palazzo. Voi che avete fatto strame dell’Enciclopedia Libera, riducendo interi cluster di voci a bivacco dei vostri manipoli nazionalpatriottici. Voi siete il problema, ed è di voi che l’Enciclopedia dovrà liberarsi, e presto o tardi si libererà.

  2. Sono stato un utente attivo di it.wikipedia per circa tre anni, e ormai ne sono passati quasi una decina.
    Quella che all’inizio mi sembrava una partecipazione doverosa e potenzialmente utile ad ampliare prima di tutto le mie conoscenze, si rivelò ben presto per quello che era: uno slalom frustrante tra neo-burocraticismi via via introdotti spacciandoli per regole semplici e chiare, mentre in realtà, come ha scritto meglio di me WM1 qui sopra, non portavano ad altro che alla paralisi o, in alternativa, all’autocensura in nome dello sforzo collettivo e della presunzione di buona fede nei confronti di persone che spesso in buona fede non erano.
    Una volta nella pagina di discussione di una voce su cui avevo lavorato molto e bene con diversi altri, mi trovai a un certo punto accerchiato da un gruppetto di utenti a cui non garbava il miglioramento della voce, di fatto perché faceva emergere il valore letterario e accademico di un personaggio scomodo e di sinistra.
    Andò a finire che dovetti lavorare settimane per riuscire a salvare almeno il grosso del lavoro che era stato fatto da me e da altri. Altri che davvero erano in buona fede, ma che si erano dileguati appena era iniziata la classica tattica di aggressione descritta da NB.
    Quando uno degli utenti di cui si parla nel commento di NB, uno di quelli che mi aveva accerchiato senza peraltro contribuire alla voce se non con dei revert, si congratulò infine con me con una frase che presto scoprii essere un copiaincolla standard che utilizza un classico cliché paternalista – “Questo è un bell’esempio di come, senza edit war, si possano risolvere tranquillamente le discussioni su voci difficili” – capii che era ora di togliere il disturbo e smettere di buttare via il mio tempo. Non c’era speranza: quella che all’inizio era una voce sciatta, che con fatica era stata trasformata in una buona voce – informativa, esauriente al livello minimo auspicabile da un’enciclopedia – alla fine era solo una voce mediocre. Nel migliore dei casi, inutile.

    Quando ho letto la prima parte dell’inchiesta su José Antonio – impressionante per il modo in cui ricostruisce il modus operandi del personaggio e che andrebbe sistematizzata in un compendio su come riconoscere un falso (e anche un fascio) ovunque si trovi, in una pagina di it.wiki o in un post di Grillo – ho ripreso a consultare alcune pagine di discussione e il Bar di Wikipedia. E ho trovato la non-discussione a cui fa riferimento il commento di Nicoletta Bourbaki. Per un paio di giorni in cuor mio ho sperato che accadesse qualcosa, un segno di vita che mi facesse pensare che forse mi ero sbagliato, che in questi dieci anni le cose erano cambiate.
    La situazione è invece peggiore, peggiore di dieci anni fa. Certi tic procedurali sono diventati mura che respingerebbero chiunque abbia un minimo di amor proprio e dia valore al proprio tempo. E mi pare evidente che il problema non sono nemmeno i fascisti come José Antonio organizzati per inquinare. Il problema sono, tanto per cambiare, gli indifferenti, con l’aggravante che in questo caso stanno posando da indifferenti. 
    La sensazione che ho provato leggendo quella non-discussione, giunto in particolare al commento del tizio che la “dotta” dissertazione di Bramfab sul punto di vista neutrale la vedrebbe “bene in un quadrotto evidenziato” (sigh…), non è facile da definire.
    A me più che l’immagine dell’elefante di Banksy è venuta in mente la scena di un film, questa:

  3. Presbite ci ha provato, a trattenersi, ma non ce l’ha fatta. Ha cercato di tenersi lontano da wikipedia per qualche giorno, ma alla fine non ha resistito all’impulso di andare ad attaccare briga. È entrato e si è fiondato prima sulla voce “Bombardamenti di Zara”, aggiungendo note e fonti a caso – senza correggere però la sua precedente manipolazione dell’articolo di Magas (che ora si trova alla nota 40) –, e poi sulla voce “Porzus”, biascicando qualcosa sulle trattative tra Osoppo e Decima Mas.

    Assomiglia a quelli che se ne vanno in giro per osterie sbronzi e non fanno altro che provocare, non aspettando altro che qualcuno gli metta le mani addosso, per poter reagire e sfogare liberamente la loro aggressività. Per ora nessuno gli ha dato corda. Non è escluso che tra poco sarà lui a saltare al collo a qualcuno, magari per uno sguardo interpretato come malevolo o per un pacchetto di patatine aperto da qualcuno all’altro capo del bancone.

    • Intanto Jose Antonio – la cui attività era sempre stata bulimica, anche con decine di rosicchiate, pardon, contributi al giorno (oltre 600 edit dall’inizio del 2017) – da quando Nicoletta gli ha acceso il fanale addosso si è paralizzato. Se Presbite sembra un attaccabrighe da bettola, Jose Antonio sembra un coniglio abbagliato nel cerchio dei fari di un’auto. Non muove un muscolo dal 22 febbraio, giorno in cui verosimilmente ha scoperto la prima puntata dell’inchiesta, pubblicata su Giap il giorno prima.

      • Chiunque fosse il sanremese dietro il nome «Jose Antonio», è possibile che abbia abbandonato l’utenza. Starà aspettando il da farsi o sarà già attivo con un nuovo nome in qualche altro meandro di it.wiki? Nelle voci che presidiava con tanto ardore, non si muove foglia ormai da venti giorni.

  4. Non sono affatto sorpresa.
    In realtà il dibattito prosegue anche dietro le quinte, perché è opinione diffusa che Presbite e amichetti siano un problema da estirpare da Wikipedia.
    Ma da un lato mettici la pigrizia, dall’altro il fatto che c’è chi dice che Wu Ming sia interessata a che gli amministratori tolgano le castagne dal fuoco con le zampe del gatto (leggi: che eliminino Presbite e compagnia per fare un favore a Wu Ming), la faccenda non va avanti.
    L’unica sarebbe che i Wumingiani si comportassero da utenti responsabili e modificassero le voci di Wikipedia secondo regole e fonti, in modo tale da vanificare il branco di fascisti. Ci vuole tempo e pazienza, però, non si realizza subito. Ricordatevi che “loro” non hanno fretta.

    • Purtroppo non funziona così. Se quelli che chiami «i wuminghiani» – in realtà il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki – intervenissero su Wikipedia, si ritroverebbero contro, in men che non si dica, il solito fuoco di sbarramento.

      È capitato molte volte ai singoli utenti che hanno cercato di emendare voci storiche e politiche appartenenti a un certo insieme: dopo l’immediato revert dei loro contributi, sono stati subito accerchiati in talk dai mazzieri che sorvegliano quelle voci 24h; da lì, in un crescendo, sono stati accusati di essere «utenze programmatiche», di far parte di un’operazione di «meatpuppeting», di un complotto coordinato da fuori ecc. 

      Vale a dire, i mazzieri accusano gli altri di quel che fanno loro da anni: finora i casi di meatpuppeting politico di cui si è saputo riguardavano sempre fascisti e nazionalisti. E spesso, anche di fronte a inchieste e prove eclatanti – vedi la vicenda ricordata sopra di «Notre Avant Guerre», la task-force di Casapound che bloccava edit sgraditi al partito – la community non ha fatto nulla. Tanto che l’utente Pietro Chiocca alias Lorenzo Berti è ancora su Wiki, nonostante la sua condotta fosse da blocco infinito.

      E facciamo notare che la task-force di Casapound non è stata smascherata da una nostra inchiesta. «I wuminghiani» non c’entravano nulla, quindi non vale la scusa che riferisci.
       
      Questi mazzieri sono specializzati nel provocare: aspettano solo che qualcuno – dopo edit war esasperanti, supercazzole e bizantinismi – perda le staffe per aprire una «segnalazione utente». Dopodiché, alla discussione su tale segnalazione, si presentano dandosi man forte l’un l’altro, e così si ripete l’accerchiamento del malcapitato. 

      I mazzieri arrivano anche quando si tratta di togliere le castagne dal fuoco a uno dei loro, e anche quando si tratta di eliminare un admin sgradito. Nel blog dell’ex-utente Brunodam si trova una discussione molto interessante in tal senso, un utente scrive:

      «Mi piace moltissimo il sito. Molto migliore di tanti altri pieni di pettegolezzi, errori madornali e fesserie. Superiore anche alla wikipedia italiana con i suoi articoli troppo controllati da amministratori spesso imbecilli, come il ducetto Vituzzu o il defenestrato Piero Montesacro. Complimenti, Bruno. Vedo che ben tre tuoi “nicknames” sono apparsi tra quelli che hanno votato contro la rielezione del criccarolo Montesacro, costringendolo a ritirarsi anzitempo. Spero che anche Vituzzu riceva lo stesso benservito alla prossima votazione per la sua rielezione, magari con cinque tuoi “sockpuppets”! Siamo amici da molti anni, e so che prima o poi ottieni sempre quello che ti proponi. Ciao, Rodolfo Fermi»

      Cioè la votazione che non confermò come admin Piero Montesacro fu falsata dall’intervento di alter-ego di Brunodam.

      Nella risposta a Rodolfo Fermi, Brunodam parla anche di Presbite e dice:

      «I miei interventi (con sockpuppet in Italia) lo hanno aiutato a sopravvivere “miracolosamente” a due attacchi nel passato».

      Cioè Presbite si è salvato dal ban grazie allo stesso meccanismo che tagliò fuori Montesacro.

      A fronte di tutto questo, continuiamo a trovare insufficiente e ingenuo l’appello a «comportarsi da utenti responsabili e modificare le voci secondo regole e fonti». Se non si sveglia la comunità, se non agiscono gli admin, c’è poco da fare. Ogni intervento da fuori è impedito dai mazzieri e, in realtà, sabotato preventivamente dalle stesse regole wikipediane che – almeno a parole – condannano ogni agire collettivo tacciandolo di «chiamata alle armi», «meatpuppeting», «utenze programmatiche» ecc.

      E poi, come è possibile migliorare wikipedia se non facendo un’analisi delle sue voci e dei suoi meccanismi? Il metodo «i panni sporchi si lavano in famiglia» non ha mai aiutato a pulire alcunché. E infatti se Presbite, Jose Antonio e compagnia sono divenuti un “problema”, questo lo si deve a inchieste condotte fuori, liberi dai lacci e lacciuoli burocratici e dall’infinita serie di regolette ed etichette che comprimono la discussione dentro, impedendo di muoversi contro chi, formalmente rispettando quelle regole, le usa per portare avanti la sua linea politica.

      Nicoletta Bourbaki fa inchiesta su uno strumento di grande diffusione e impatto come Wikipedia. I wikipediani facciano l’enciclopedia libera.

      • Gli amministratori non se la passano bene: che tristezza rileggere
        https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Amministratori/Riconferma_annuale/Piero_Montesacro/5#Contrari_alla_riconferma

        Quanto agli utenti “normali”, non è facile a dirsi quale sia l’attività wikipediana piú produttiva a disposizione, che valga la pena perseguire e consigliare. Sono però piuttosto certo che l’inazione non sia un consiglio degno di queste pagine.

        In mancanza di altre idee, sarebbe positivo per esempio invitare le persone a registrarsi, attivare le notifiche per gli osservati speciali, aggiungere agli osservati speciali https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:Fascismo e firmare l’elenco degli utenti interessati. Poi chissà, magari pian piano trovano qualche contributo da fare.

        • Ciao, Nemo, è un piacere leggerti qui. No, nessuno ha consigliato l’inazione, anzi. Nicoletta ha scritto: «Se non si sveglia la comunità, se non agiscono gli admin, c’è poco da fare.» Vale a dire che se non si muove prima chi ha già una storia di contributi su Wikipedia, i nuovi arrivati troveranno sempre il fuoco di sbarramento di cui sopra: «complotto esterno», «utenze programmatiche» e altre ciance. E quando dico “si muove prima”, intendo smetterla di lasciar correre, lasciar fare, lasciar “passare in cavalleria” le nefandezze di quelli che Nicoletta ha chiamato «i mazzieri».

          • P.S. Nella discussione che linki, quali e quante erano le “identità alternative” (sockpuppet) dell’ultradestro Brunodam? Lui stesso ha ammesso di averne usate per influenzare la decisione contro Montesacro. Questa cosa su Giap è stata segnalata più volte, ma la comunità wikipediana ha reagito con la consueta omertà.

            • Fra lo stare fermi e l’aspettare che sia qualcun altro a muoversi per primo non c’è però poi tanta differenza. L’effetto che riscontro fra chi segue queste pagine è il disfattismo. In una comunità “anziana” come quella wikipediana, su una questione incancrenita come questa, sono molti a poter dire “io ho fatto la mia parte”, “io feci la prima mossa N anni fa ma nessuno mi seguí”, ecc.

              Degli inviti alla partecipazione in Wikipedia che non producano sospetti di “chiamate alle armi” o “alterazione del consenso” sono possibili: non vorrei peccare di benaltrismo, ma la già citata pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:Biografie/ANPI offre molti spunti per chi volesse cimentarsi per la prima volta nel processo di scrittura delle voci. Molte persone potrebbero passare un pomeriggio produttivo e persino gioioso, seppure magari un po’ laborioso, con soddisfazioni di lunga durata anche se piccole. L’indignazione aiuta a produrre risposte immediate, ma per costruire qualcosa di duraturo serve anche dare un po’ di speranza.

              Quanto alla famosa votazione, a occhio posso vedere dei nomi sospetti e con un po’ di lavoro potrei lanciarmi in ipotesi, ma non lo trovo utile né opportuno. Primo, ciò che conta di quella votazione è che da una parte c’era quasi tutta la “maggioranza di governo” della Wikipedia in italiano, e dall’altra solo una serie di “correnti antagoniste” piú un paio di pezzi grossi che hanno colto l’occasione per altri motivi: ma la maggioranza non era abbastanza compatta. Secondo, immagino che ai tempi persone piú abili di me avessero già stilato liste di voti cancellabili, utenti bloccabili per alterazione del consenso ecc., ma le dimissioni furono una resa incondizionata che serví a evitare un sanguinoso scontro finale.

              • Forse uno scontro aperto accettato allora avrebbe impedito l’incancrenimento successivo.

                Nemo, hai letto il post-scriptum su Presbite, qui sopra? Lì si riporta un elenco di *sconfitte* subite da un mazziere *dentro* it.wiki. Ottenere risultati “locali” e parziali è possibile. È possibile anche far bannare qualche mazziere di complemento, come AleR. Sono vittorie limitate, che acquistano maggior senso se diventano casi di studio, se le si incorpora in inchieste pubblicate all’esterno. Proprio quello che Nicoletta sta facendo.

                I tuoi consigli sono sensati, però ribadisco che secondo me non si andrà molto lontano se la parte sana della comunità wikipediana già esistente – per quanto disillusa, derelitta, invecchiata e quant’altro – non accetterà di guardarsi da fuori, da oltre la gabbia delle regole di it.wiki e il ginepraio di mediazioni sempre più al ribasso, e non avrà il necessario scatto d’orgoglio.

        • «Sono però piuttosto certo che l’inazione non sia un consiglio degno di queste pagine.»

          Con il suo lavoro d’inchiesta Nicoletta Bourbaki ha sempre invitato a una “vigilanza democratica” sui contenuti di it.wiki, oltre ad aver iniziato a fornire indicazioni che possano essere utili agli “utenti passivi” per verificare il grado di affidabilità di una voce. «Invitare le persone a registrarsi, attivare le notifiche per gli osservati speciali, aggiungere agli osservati speciali» – come scrivi tu, Nemo – può essere un’indicazione che va in questo senso, ma espone anche al rischio di essere accusati di “chiamata alle armi”. E c’è chi non aspetta altro in it.wiki.

          Il punto è che gli anticorpi la comunità che anima Wikipedia dovrebbe essere in grado di produrli, riprodurli e rafforzarli da sola, perché – come ha scritto Lucas nella discussione al bar riferendosi a it.wiki – «qualche virus o batterio di cui siamo portatori (non sempre sani) passa, e probabilmente sempre passerà». Negare nelle mancate discussioni e nei fatti l’esistenza di un problema, fingere che in questa inchiesta sull’utente Jose Antonio non siano state indicate in maniera precisa voci e fonti manipolate (che sono ancora lì dov’erano prima che l’inchiesta venisse pubblicata, anche nel caso di spudorata e clamorosa falsificazione di fonti in una voce), va in tutt’altra direzione: irrobustire virus e batteri, con la sola conseguenza di avvantaggiare proprio i “portatori non sani” che in questa discussione sono chiamati, non a caso, “mazzieri”.

          Purtroppo, senza l’intervento degli utenti già attivi in it.wiki e degli amministratori, eventuali “forze fresche” sarebbero immediatamente neutralizzate o ridotte all’immobilismo.

          • Si configura una chiamata alle armi solo se si puntano le persone a specifiche discussioni. Aumentare il numero di utenti registrati (reali) e di persone che seguono [[Progetto:Fascismo]] è operazione del tutto innocua. Idealmente queste persone potranno leggere qualche discussione tutto l’anno e magari fare qualche contributo qua e là.

            Certo, non bisogna sperare che sia una base per “cambiare i rapporti di forza”.

            • Bene contributi qua e là, finchè non si pestano i piedi a qualcuno dei mazzieri o altri che usano gli stessi metodi. E la pratica neutralizzante di un colpo al cerchio ed uno alla botte produce precisamente l’opportunità di continuare a manipolare volontariamente le fonti e le voci. A me spaventa molto molto l’inattività in questo senso della parte “buona” di wikipedia o se volete “l’ingenuità”.
              L’ingenuità è un arma per chi la sa usare a proprio vantaggio.

              • Domanda da chi non ha mai avuto a che fare con i meccanismi di Wiki e quindi non ha ben presente le dinamiche del “dietro le quinte”: l’inattività della parte buona è dovuta a pura ingenuità e pigrizia o ha anche a che fare con ignoranza?
                Mi spiego meglio, un contributor che lavora principalmente a voci del tutto estranee alla ricerca storiografica è al corrente dei problemi di manipolazioni di fonti, taroccamenti di e da fascisti etc. oppure vive nell’oblio?
                Una discussione come quella linkata (i.e. “cosa ne pensate”) viene notata da chi si occupa principalmente di sport, per fare un esempio?
                Fondamentalmente, la maggior parte dei contributor abituali di Wiki sceglie attivamente di non intervenire e chiamarsene fuori oppure, semplicemente, non sa?
                Spero che la risposta corretta sia la seconda, ma temo la prima. Sarebbe uno specchio esatto di come la società al di fuori di Wiki reagisce ai fascismi.

                • Detesto ripetere cose che altre o altri hanno detto/scritto meglio di me. Io credo che il concetto di “banalità del male” sia applicabile generalmente alla supposta “innocenza” o ingenuità. Ovviamente la gravità dei fatti descritti nel famoso testo non è equiparabile, ma ogni piccola omissione di soccorso, ogni volto girato dall’altra parte, qualsiasi invocazione di “ignoranza” (nel senso di ignorare) è evitare di prendersi responsabilità, è nascondersi dietro un dito, fatto di volta in volta di presunta ignoranza e/o burocrazia, regole etc…
                  Non sapevo, non sentivo, non ho capito, eseguivo etc…
                  Magari non si può sapere tutto, non si può essere esperte ed esperti di ogni materia. D’altra parte riconoscere falsificazioni quando ci vengono indicate non comporta particolare erudizione, si tratta di voler vedere e di allenamento minimo alla comprensione del linguaggio. Questo sforzo credo si debba fare. Tutte e tutti.

                  • Rispetto a chi si occupa solo del proprio orticello wikipediano disinteressandosi/evitando di sporcarsi le mani con quello che succede in genere nella “comunità” wikipediana non credo ci sia molto altro da dire.

                  • Suppongo che questo risponda alla mia domanda, la scelta di non occuparsi del problema e prendere posizione è una scelta attiva. O meglio attiva nella sua passività.
                    Come temevo, anche se non mi sorprende.
                    Wikipedia è quindi l’ennesimo, anche se particolarmente subdolo, esempio di cancrena fascioindotta lasciata agire indisturbata per inerzia più o meno ipocrita.
                    Il sempre classico e diffuso “Mi offendo scandalizzato nel sentirmi dare del fascista, ma mi farei tagliare una mano piuttosto che prendere una posizione apertamente antifascista “.
                    O l’ancor più subdolo ed insopportabile “mi occupo solo di [inserire argomento a caso] il discorso politico non mi riguarda e non mi interessa”, usato immancabilmente per chiamarsi fuori dal difendere le proprie posizioni borderline (quando non apertamente) fasciste.
                    Il giorno in cui questi discori la smetterano di farmi bruciare nell’odio, abbattetemi.

                    • Non “wikipedia” tout court: un determinato cluster di voci di argomento storico su Wikipedia. È un insieme vasto, ma non è l’intera wikipedia.

        • La votazione su Montesacro ebbe degli strascichi. Un checkuser (cioè uno di coloro che sono abilitati a verificare gli indirizzi IP degli utenti quando si sospettano comportamenti abusivi), Abisys, dichiarò di voler effettuare una serie di estesi controlli, per verificare appunto se vi fosse stato l’intervento coordinato di utenti determinati a falsare la votazione. Il risultato fu una levata di scudi che condusse a una votazione anticipata di riconferma per lo stesso Abisys, il quale alla fine scelse (anche lui) di dimettersi.

          Ne parlano Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci nel libro che ho già recensito qui su Giap nel 2014: “Wikipedia. L’enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione”, Bietti, Milano 2013, pp. 337-8. Il racconto della vicenda di Abisys costituisce una nota in calce alle pagine (pp. 334-6) nelle quali Mastrangelo e Petrucci descrivono appunto ciò che loro chiamano le “tattiche” per fare sockpuppeting e meatpuppeting dentro Wikipedia. Naturalmente, i due autori dichiarano di descrivere tali tattiche “affinché siano ben riconoscibili quando vengono usate contro i contributori onesti, e non certo per spingere costoro a farne uso, in quanto sarebbe una grave violazione delle regole alla base della convivenza sull’enciclopedia”.

          Nella comunità dei wikipediani vige tuttora una sorta di tacito consenso a non parlare mai del libro di Mastrangelo e Petrucci, motivato (suppongo) dalla volontà di non fare pubblicità a un testo che si ritiene dannoso per l’Enciclopedia. Si tratta di una scelta che rispetto, ma che non mi sento di condividere. Penso invece che il testo in questione sia molto istruttivo, in quanto – se letto con criterio – permette di comprendere tutta una serie di vicende wikipediane importanti, recenti e meno recenti.

          La votazione su Abisys è leggibile alle seguenti pagine:

          http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Check_user/Riconferma_annuale/Archivio/2011#Abisys_.28interrotta_per_dimissioni.29

          http://it.wikipedia.org/wiki/Discussioni_Wikipedia:Check_user/Riconferma_annuale/Abisys/2

  5. La strategia del ratto – che è poi anche quella della larva – non è nuova, non è neanche una vera e propria narrazione strutturata, anzi, si basa proprio sullo smantellamento di un quadro generale, i singoli dettagli vengono isolati mentre il contesto si fa opaco, viene smangiucchiato fino a scomparire del tutto: puf! Non c’è più! …e in fondo non è mai esistito, era solo una fiaba per il popolo bue. Qualunque tentativo di ricostruzione di un quadro interpretativo generale viene minato dall’insinuazione che si tratti di un complotto contro i veri interessi della nazione. La cosa più paradossale è che queste credenze vengono diffuse proprio da coloro che s’industriano a ordire complotti e colpi di mano, da chi vuole eradicare dal senso comune gli anticorpi per difendersi dalla dittatura.

    È una strategia che ha sempre cercato di intaccare le memorie, più che la storia, perchè la memoria è fatta di una pasta più manipolabile, specialmente quando i testimoni diretti scompaiono e i legami comunitari vengono meno, allora basta corrompere la sintassi di questa memorie per avvelenarle: togliere una virgola, sostituire un lemma con un altro che sembra uguale ma non lo è, tutto aiuta a rosicchiarle un po’ e contribuisce a spostare impercettibilmente ma significativamente il senso comune. Proprio come ha fatto Jose Antonio sulla voce Ratlines con i criminali nazisti che diventano poveri fuggiaschi.

    Le pantegane si muovono in questo modo da sempre. Si pensi al negazionismo: si parte da un insignificante dettaglio tecnico sulle camere a gas, si manipola una denominazione – campi di sterminio confusi in campi di transito, di prigionia o quant’altro – il risultato che ottengono è la confusione, l’equivoco, il dubbio che qualunque ricostruzione storiografica sia il frutto di una congiura e, in un quadro in cui la storia diventa praticamente inconoscibile scientificamente, ecco che la peggior barbarie che abbia mai colpito l’Europa viene riabilitata come una legittima forza politica, la più “giusta” proprio perchè l’unica ad essere stata perseguitata da oscure conventicole di massoni, ebrei, bolscevichi o infidi stranieri che avvelenano la purezza dell’anima popolare italiana, tedesca, spagnola, ungherese a seconda della lingua usata dal pifferaio di turno…

    Come già abbiamo visto in passato, il comandante della Xª MAS principe Junio Valerio Borghese fu uno dei pifferai più seguiti dai ratti italiani. Scappato alla giustizia per diretto interessamento della CIA, riemerso poco dopo e subito ritornato a suonare la stessa nenia ipnotizzante che già aveva fatto intonare durante gli ultimi anni di guerra. Durante il collaborazionismo il termine partigiani scompariva nella pubblicistica di Salò, sostituito da banditi. Con una sola parolina manomessa i tagliagole di Borghese al servizio dei nazisti, dei loro massacri e dei loro treni piombati, diventavano onesti ed eroici tutori dell’ordine, contrapposti ai resistenti che altro non erano che una massa di delinquenti vigliacchi e approfittatori. Nel dopoguerra la stessa parolina manomessa serviva a dire che i sottoposti di Borghese in realtà non avevano mai ammazzato neanche un partigiano, solo “banditi”, e che avevano addirittura contribuito alla resistenza come insiders degli alleati fra i tedeschi, anzi, erano loro i soli resistenti “legali” mentre i partigiani – specie quelli rossi – altro non erano stati che sanguinari delinquenti, come dimostravano gli innumerevoli fatti di crudeltà gratuita che la stessa stampa repubblichina aveva denunciato, decontestualizzando esecuzioni e agguati e occultando rastrellamenti e rappresaglie.

    Denigrare la resistenza, soprattutto la resistenza più operativa – quella garibaldina – e riabilitare i repubblichini rispondeva a un obiettivo concreto e contingente degli anni ’60: convincere la popolazione dell’opportunità di un eventuale golpe fascista in caso di formazione di un governo di centrosinistra. L’ex scagnozzo di Borghese Giorgio Pisanò sistematizzò quella che allora non era altro che una serie di isolati articoli e volantini sparsi in una vera e propria controstoria alternativa, organica ai propositi golpisti. La sua relazione all’Hotel Parco dei Principi nel 1965 doveva essere il primo grimaldello con cui ribaltare l’apparato valoriale resistenziale su cui si fondava la Repubblica e il suo arco costituzionale.

    La “nenia” di Borghese/Pisanò serviva a convincere i conservatori con il pericolo rosso, ma anche a risvegliare i topi, a rimpolpare l’esercito di sonnambuli con i quali prendere il controllo dei punti nevralgici della società italiana all’ora X. L’8 dicembre 1970 il golpe fu definitivamente abortito ma la cosa sorprendente fu che la “nenia” continuò a operare sui sonnambuli anche molto tempo dopo il tramonto dei propositi eversivi, persino dopo la morte di Borghese, come una sorta di radiofaro nero impiantato nei bassifondi della coscienza nazionale.

    Si continuò a rosicchiare con in mente un golpe che non era più militare ma solo culturale. Il mezzo privilegiato era quello della stampa “alternativa” ma comportava grossi costi, spesso vani: la tracciabilità politica di case editrici e autori limitavano la capacità di penetrazione nel pubblico più ampio.

    Internet ha offerto nuove opportunità per cercare di aggirare questo ostacolo, se non altro abbattendo i costi e ampliando il raggio di diffusione, ma solo con l’affermarsi di Wikipedia quale principale fonte di ricerca degli internauti molti moderni sonnambuli si sono risvegliati. Come hanno ben delineato Bianchi e Zazzara nel loro articolo su Passato e Presente: il processo di sviluppo dei temi per aggiunte e glosse fa piazza pulita dell’idea che la storiografia sia la “disciplina del contesto (pp. 154-155), un limite strutturale particolarmente gradito ai ratti che nel “contesto” sono sempre annegati. Lo stesso principio NPOV che si basava sulla buona fede libertaria della filosofia hacker della Wikipedia dei primordi risulta particolarmente funzionale a chi agisce in perfetta cattiva fede, è un via libera per spacciare sotto mentite spoglie gli alternative facts rimasti confinati per cinquant’anni nel ghetto della stampa alternativa di destra, esclusi da qualsiasi trattazione scientifica seria.

    Per tale ragione certuni hanno sviluppato per Wikipedia un’idolatrica fascinazione: essa diventa il graal che consente una radicale rifondazione del sapere, in una parola una totale rieducazione, ciò almeno è quanto probabilmente si prefiggeva Emanuele Mastrangelo, redattore della rivista “Storia in rete”. Purtroppo per lui le sue manipolazioni cozzarono contro l’ostilità di una parte della community wikipediana, costandogli il ban. Anziché ammettere di aver infranto delle regole fondamentali di Wikipedia s’inventò il mito di una presunta cricca rossa legata al “vecchio mondo” che gli avrebbe impedito di realizzare il potenziale rivoluzionario e taumaturgico dell’enciclopedia libera. In realtà se c’era qualcuno legato alla vecchia scuola, a partire dai suoi lamenti, costui era proprio Mastrangelo, da animatore di una rivista cartacea revisionista era troppo legato ai vecchi metodi da guerra di trincea, o di ghetto, e a un tipo di autorialità troppo egotista.

    Per riproporre la “nenia” di Borghese/Pisanò in versione wiki occorreva un diverso tipo di utente, più defilato, qualcuno che conoscesse alla perfezione il dispositivo Wikipedia, che ne rispettasse le regole non dette (quelle descritte su Zapruder), per infrangere sistematicamente quelle dette. Un utente perfettamente integrato nella community, pronto a costruire la propria tana ovunque e altrettanto pronto ad abbandonarla subito dopo senza esporsi in inutili guerre di posizione. Solo un elemento del genere poteva essere in grado di presentare il mistificatorio punto di vista fascista in rispettoso ossequio della wikiquette, al punto da pagare tranquillamente omaggio a un illustre fascista già nel nickname. Il ratto perfetto.

    Per completare il cerchio: si dia un’occhiata alla voce Junio Valerio Borghese su it.wiki: chi sarà mai il primo contributore? (più del 30% degli edits, più di 28.000 bytes di modifiche sui 64.000 complessivi della voce, mirabile il primo edit: il termine nazisti viene ovunque sostituito da tedeschi, la precipitosa fuga di borghese a Roma dopo la liberazione, diventa un semplice viaggio…)

    Per concludere: il solo modo per contrastare questa gente è avere spina dorsale, oltre che cervello. Il modo migliore per aiutarli? Il feticismo per la burocrazia wikipediana, il culto religioso per wikipedia, l’idea che tutti i problemi di wikipedia si risolvano su wikipedia, come suggerito nel commento poco sopra, niente di meglio per i ratti che i luoghi chiusi dove niente viene spostato…

  6. premetto che sono uno stronzo, ho atteso 25 anni che fosse scritto questo: “Attribuendo, di passata, al negazionista Robert Faurisson l’immeritata qualifica di storico“.
    Tale definitiva sentenza emessa qui, dopo l’uso di un paio di mie foto per illustrare l’album della mia band favorita, fa sì che io possa morire felice.

    Ps(ss): ho dovuto seguire la redazione di alcuni lavori scientifici per progetti finanziati dal miur e dalla ue, tale era la scarsissima qualità dei contibuti scopiazzati da wikipedia che, con gli altri redattori, avevamo preso l’abitudine di cercare tutte le voci “sospette” e, se presenti su wikipedia, cassarle senza pietà, a prescindere.

  7. Scusate, vorrei sottolineare un punto, a proposito del quale l’articolo riporta anche un virgolettato da questa seconda parte della “Strategia del ratto”: “Le regole di it.wiki prevedono che l’eliminazione di un testo che rimandi a una fonte citata, sia considerato vandalismo a meno che non si porti una fonte diversa che nello specifico contraddica quanto affermato dalla prima”.

    Ora, un conto è denunciare che un’utenza operi a dispetto delle regole, un conto è scrivere che le regole di it.wiki siano simulacri per gonzi. È del tutto ovvio che un buon wikipedista deve misurarsi con una gerarchia delle fonti secondo considerazioni di rilevanza, autorevolezza, attendibilità. Messa come nel passaggio citato sembra che io possa blindare un testo su Pavolini sulla base di Novella 2000 (è “una fonte”, no?). Messa così non avrebbe senso neppure discutere di manipolazione delle fonti. Nella realtà, quando si svolge una discussione sul contenuto di una voce, l’approccio alle fonti non risulta mediamente così ingenuo. Non appartiene alla meccanica di Wikipedia mettere tutte le fonti sullo stesso piano, anche perché esiste una dialettica tra le fonti (il dibattito storiografico), che può e deve essere illustrata in quanto ha rilievo enciclopedico. È anche semplicistico parlare di “regole di Wikipedia”, perché in effetti Wikipedia ha cinque pilastri e il quinto pilastro si intitola Ignora le regole, quindi è quanto meno difficile esagerare la portata dell’importanza che, in linea di principio, le “regole” hanno nella sensibilità media della comunità wikipediana. Il che non esclude naturalmente atteggiamenti cavillosi all’interno della stessa comunità. Ma atteggiamenti singoli non descrivono per forza il sentire medio né quello più adeguato al progetto.

    Vorrei anche brevemente commentare alcune osservazioni fatte intorno alla questione se e come intervenire. In alcuni commenti ho letto di una sostanziale ignavia della comunità. Wikipedia è una enciclopedia universale, per cui non si può pretendere che la già minuta comunità italofona si concentri in massa a discutere di storia patria. Inoltre, per quanto la liberazione del sapere passi sostanzialmente da una rielaborazione di materiale proprietario, si può solo immaginare un wikipedista “passacarte”, ma l’opera è ovviamente più complessa e davvero non si può pretendere che riconoscere una falsificazione sia una bagattella. Mettere becco su una materia controversa significa documentarsi, seguire il dibattito, magari imbattersi in un contesto poco collaborativo… Non è un tratto di penna. In definitiva non trovo giusto criticare un utente e dargli magari del fascista a sua insaputa solo perché ha scritto di ingegneria e non ha ascoltato il richiamo del dovere. Peraltro, per quanto i wikipedisti siano in termini generali dei dilettanti, non si può dire che il progetto abbracci il dilettantismo: in pratica è solo la Wikimedia Foundation (WMF) – che comunque si occupa solo di server, fondi e “strategy” – a insistere con questa retorica del numero dei contributori (e quindi della quantità di edit). Per forza di cose, la realtà di WMF e quella delle comunità che concretamente si sviluppano sono abbastanza distinte e anche antagoniste in molti casi. Sicuramente esiste una contrapposizione sull’identità del movimento: WMF molto spesso sovraccarica i propri discorsi accaparrandosi la titolarità del movimento, cosa che nessun utente singolo o gruppo di utenti farebbe (anzi, da wikipedista/wikipediano, mi imbarazza che si parli di un “movimento” wikipedista). Wp è una piazza troppo grande per poter dire che chi vi passa sopra la stia propriamente “occupando” o vi sia “riunita”. In concreto, il modello di “unità” della comunità è anarchico, l’identità è intesa in modo blando: gli utenti sono riuniti intorno al progetto nei termini descritti dai cinque pilastri (tutto il resto è passibile di discussione e modificabile). Inoltre, Wikipedia è un bagno pubblico (citazione), per cui occuparsene è responsabilità diffusa (dai contributori assidui fino ai genitori dei ragazzi che la leggono). Non mi sembra utile impostare il discorso in termini di “‘sta gente è afflitta da una religione del mezzo”.

    Nulla di strano, poi, che si voglia risolvere le difficoltà di redazione di una voce negli spazi che i wikipedisti hanno individuato: mi sembra un principio eminentemente pratico, senza che ciò significhi che i wikipedisti vogliano chiudere gli occhi al mondo. In generale, wp sarebbe anche un ambiente ospitale, se non fosse che operarvi non è semplice, richiede sensibilità e cura, e troppo spesso i wikipediani si sentono assediati da persone che poco o nulla sanno del progetto e vi entrano a piedi uniti. La comunità NON è una redazione. Val la pena anche accennare al fatto che accanto ad una comunità di utenti registrati esiste una sterminata serie di edit operata da utenti anonimi. Secondo un’analisi di Aaron Swartz, “insiders account for the vast majority of the edits. But it’s the outsiders who provide nearly all of the content.” Vedi http://www.aaronsw.com/weblog/whowriteswikipedia. Abbiamo quindi una sterminata collezioni di contributi anonimi e un piccolo numero di insiders registrati: troppi commenti che ho letto qui concentrano il loro disprezzo sugli insiders registrati, peccando secondo me di una certa ingratitudine e comunque tenendo poco in conto il fatto che Wp non è il prodotto di un selezionato gruppo di assediati su una torre, ma un progetto eminentemente aperto, nel bene e nel male.

  8. Vorrei anche fare un appunto all’inchiesta in generale. Secondo me sarebbe meglio concentrare l’analisi sulle dinamiche piuttosto che su singoli utenti che a vostro parere hanno manipolato voci. Oppure, se si vuole parlare di singoli utenti, avrebbe più senso farlo dentro wp, anche perché non è necessario neppure registrarsi, quindi è un’attività totalmente priva di “lacci”. Questo significa accettare il confronto nei termini del contesto wikipediano, cioè secondo i fini ideali di quel progetto (tra cui non c’è il discrimine antifascista). Ma se si tratta di beccare utenti che manipolano fonti, be’, è una faccenda tecnica: prendo in mano i libri citati da X, verifico che ha riportato male le fonti, ricostruisco una intenzione mistificatoria… come penso sapete benissimo, su wp esistono procedure di espulsione di utenti che si comportano scorrettamente. Comunque, ribadisco, secondo me la soluzione non è mettere in moto la macchina ammazzacattivi, anche perché se ne eliminano cento e cento peggiori ne appariranno. Gli obbiettivi dovrebbero essere: a) curare una data voce, ben armati di letteratura critica e b) studiare le caratteristiche generali del progetto Wikipedia, i suoi punti di forza, le sue aporie, i rischi che implica ecc. Fare un caso di Presbite o di Jose Antonio, francamente, non mi sembra molto indovinato. Sicuramente chi volesse curare una data voce, armato di testi e di pazienza, dovrebbe aspettarsi un fuoco di fila, come è stato scritto. L’unica risposta possibile è quella di una olimpica tranquillità. Il punto b) è molto importante per assestare, da un punto di vista filosofico, se vogliamo di filosofia dei media, il tipo di narrazione che è bene che wp faccia proprio: dichiarandosi “neutrale”, wp dovrebbe meccanicamente fare un passo indietro ogni volta che una materia presenta una misura significativa di controversia. Questo passo indietro dovrebbe consistere nel riportare nel testo della voce la natura della controversia: non è possibile comporre una narrazione wikipediana sulla base di un autore, meno che mai se questi è controverso. È invece possibile riportare in voce il dibattito storiografico. Idealmente, wp dovrebbe riportare solo fatti, mentre le opinioni dovrebbero essere debitamente attribuite ai propri autori. La voce sul fascismo, ad esempio, non può fare proprio il punto di vista di De Felice (mettiamo) o di un altro storico. Wikipedia non dovrebbe costruire una post-verità post-ideologica. Probabilmente spesso accade che lo faccia. Ecco, a me sembra che un dibattito prolifico su wp fuori da wp debba evitare il gusto della contrapposizione, il gusto per la palma di antifascista dell’anno, e tenersi ad un livello alto, in cui wp non è una religione ma un fenomeno dei nostri tempi, che non andrebbe irriso, compianto o disprezzato, ma capito.

    Opero su it.wiki da 10 anni. Il mio parere è che esiste sì un feticismo procedurale, ma questo è normale in una comunità che non divida i compiti (te ti occupi di grafica, te di layout, te di questi contenuti, te di questi altri…). Il feticismo procedurale riguarda infatti soprattutto questioni come l’uso delle minuscole o la posizione dei template, l’uso delle immagini… Per non dover continuamente reinventare la ruota, cerchiamo di arricchire le pagine del “namespace 4”, quelle che contengono le “regole”, con le nuove “buone pratiche” conquistate. Ma la qualità di questa riscrittura costante dipende come sempre da volontari e per questo ci diciamo sempre noi stessi che le pagine del namespace 4 abbisognano di revisione e semplificazione. Ma tutto questo è un dettaglio: ce la caviamo sempre con l’appello al buonsenso e se una regola è peggiorativa la ignoriamo, come da quinto pilastro. Non è certo per un feticismo procedurale che le truppe cammellate non sono state moderate a sufficienza. Il problema è molto più articolato: piaccia o meno, si tratta di persone. Non butti fuori qualcuno a cuor leggero. Si è estromessi dal progetto a fronte di abusi provati. Provare questi abusi è molto faticoso e rinvia ad una categoria delicatissima quale è l’interpretazione (dei testi, quindi, a ruota, anche l’interpretazione che quei testi offronto della realtà). Probabilmente la pervicacia di determinati utenti (non dimenticate quelli anonimi!) dipende dal loro approccio revanscista e minoritario, quindi maggiore coesione di intenti, carboneria più strutturata, assalto alla diligenza che si suppone condotta da stalinisti, banditismo, tattica e strategia. A dispetto della burocrazia di cui, secondo Wu Ming 1, si sarebbe ammantata la comunità, scrivere voci è stato sempre e sempre rimarrà una cosa di per sé semplice: se hai difficoltà ad usare tutti i vari marchingegni del linguaggio html, puoi inserire le fonti tra parentesi. Il problema, voglio dire, è umano, sociale, non procedurale (l’elemento procedurale a cui mi riferirei io è completamente diverso e attiene alla questione della meccanica dubbia della neutralità). Abbiamo avuto vent’anni di revisionismo storico e secondo voi è un problema procedurale di Wikipedia? Come se il revisionismo storico fosse un nostro parto! Non voglio polemizzare o personalizzare, ma chi scrive qui che non c’è molto da dire su chi non si sporca le mani con questa situazione… con cosa si sporca le mani? Tutti hanno il problema di muoversi talvolta nelle proprie mappe 1:1. Alle 12:38 del 9 marzo Gallio ci dice che “non ha mai avuto a che fare con i meccanismi di Wiki”. Alle 14:07 dello stesso giorno ha deciso che “Wikipedia è quindi l’ennesimo, anche se particolarmente subdolo, esempio di cancrena fascioindotta lasciata agire indisturbata per inerzia più o meno ipocrita”. Questo mi sembra un risultato indesiderabile dell’inchiesta: sollecitare un senso di disprezzo verso l’enciclopedia libera, “poveri ingenui, omertosi, fascioindotti, wikiesaltati, abbacinati, mal consigliati ecc.” La verità, forse, è che fuori di wp non esiste uno spazio di confronto così diretto tra posizioni politiche così distanti e ciò inevitabilmente comporta tanti aspetti positivi (per chi è aperto e non disumanizza l’avversario dandogli della pantegana – Hitler non era una pantegana, era un TUO simile), ma anche una pericolosa prossimità. Da un punto di vista ideale, sarebbe bene che non ci fosse questo confronto, ma solo quello sulle fonti. Le fonti però non calano dal cielo e rinviano al conflitto che esse stesse descrivono.

    Grazie per lo spazio concesso e scusate se ho concentrato troppe considerazioni in un post mal digerito. Magari se la discussione qui prosegue abbiamo modo di approfondire e capire meglio i rispettivi punti di vista.

    • Ciao Pequod, grazie, in attesa che Nicoletta risponda e riprenda i tuoi spunti, in rappresentanza del collettivo che fa da anfitrione dico un paio di cose.

      La prima è: apprezzo molto che tu sia tornato a discutere qui in un momento non facile e mentre al bar di Wikipedia si alimenta la psicosi del complotto, dando più o meno a chiunque passi di lì del “wuminghiano” ecc.

      La seconda prende le mosse da questa tua frase:

      «Gli obbiettivi dovrebbero essere: a) curare una data voce, ben armati di letteratura critica e b) studiare le caratteristiche generali del progetto Wikipedia, i suoi punti di forza, le sue aporie, i rischi che implica ecc. Fare un caso di Presbite o di Jose Antonio, francamente, non mi sembra molto indovinato.»

      Sai benissimo che qui su Giap pubblichiamo inchieste relative a Wikipedia da tre anni: abbiamo iniziato con un post di Salvatore Talia e abbiamo proseguito con le inchieste di Nicoletta. Nicoletta ha firmato sei post a tema wikipediano e soltanto due (quindi un terzo del totale) sono “case studies” incentrati sull’attività di singoli utenti. Altri quattro erano case studies dedicati a quattro voci: Vittorio Arrigoni, Attentato di via Rasella, Storia del Trentino e Foibe (film). Un settimo intervento non è apparso su Giap, ma sulla rivista storiografica Zapruder, e non è ancorato a un singolo studio di caso.

      Quello che ti auspichi venga fatto, cioè «studiare le caratteristiche generali del progetto Wikipedia, i suoi punti di forza, le sue aporie, i rischi che implica» è proprio quanto viene fatto in quei post, non in modo astratto, ma partendo da esempi concreti. Il metodo basato sui “case studies” è forse il più comune nelle scienze umane e sociali.

      Per quanto riguarda Jose Antonio – utenza che ora sembra abbandonata in fretta e furia, come una casa di Pompei durante l’eruzione, e proprio subito dopo l’uscita di questa inchiesta, che strano! – siamo di fronte a un caso al tempo stesso eclatante ed emblematico. Mi spiace, ma davvero non si può ridimensionare: stiamo parlando di decine e decine, forse di qualche centinaio di voci usate per veicolare vera e propria propaganda fascista, subdola o palese.

      Non c’è davvero altro modo di dirlo: «propaganda fascista». E sappiamo che Wikipedia è la fonte più usata dagli studenti di tutti i livelli d’istruzione, e anche dai giornalisti, e in generale da un sacco di gente. Ci rendiamo conto dei danni potenzialmente causati in questi anni?

      Qui sopra si dimostra che Jose Antonio ha falsificato fonti. Non siamo nel reame delle “interpretazioni”: stiamo parlando di uso menzognero di citazioni da libri. Se X dice che alla tal pagina del tal libro c’è la tal cosa, ma una verifica dimostra che quella cosa non c’è, non è in corso un “conflitto di interpretazioni”: semplicemente, X ha mentito. Plain and simple.

      Siamo d’accordo, il problema è più generale, parliamone, sviluppiamo un discorso strategico per il futuro… ma intanto si vuole o no assumere questo dato? O non è successo nulla? Lo vogliamo guardare questo elefante nel salotto?

      Si fa presto, troppo presto, a biasimare le inchieste pubblicate fuori da Wikipedia, ma il punto è: dentro Wikipedia chi aveva mai sollevato questo – non esattamente piccolo – preciso problema? Non parlo di segnalare uno o due episodi, o di revertare qualche edit; parlo proprio del problema nel suo complesso, l’estendersi nel corso degli anni di quella che Nicoletta ha chiamato «una sottoenciclopedia repubblichina dentro Wikipedia».

      Inoltre, Jose Antonio non ha agito da solo, ma in compagnia di altri mazzieri. Uno di questi mazzieri in particolare, Demiurgo, negli ultimi anni ha gestito un “infodotto” che, nonostante il blocco infinito a Mastrangelo, ha garantito un costante passaggio di contenuti dalla rivista «Storia in rete» a Wikipedia. Ritengo altamente probabile che Demiurgo e Mastrangelo si sentano, se non tutti i giorni, quantomeno molto spesso.

      Ci sarebbe poi il caso di «Notre Avant-Guerre», il gruppo segreto di Casapound che per anni ha presidiato le voci riguardanti quel partitino, censurando i fatti che lo mettevano in cattiva luce. A capo di quella struttura c’era Lorenzo Berti aka Pietro Chiocca. Che – toh! – è ancora lì su Wikipedia. Per quella storia, nessuno è stato bannato. E giova ricordare che anche in quel caso ad accorgersi della struttura non fu la comunità degli utenti; dentro Wikipedia non avvenne nulla. Ci volle un’inchiesta condotta dall’esterno.

      Tra il «non fare la caccia alle streghe» e il «non fare nulla di nulla», spero che ne convengano tutti i wikipediani, in mezzo c’è un mare di possibilità.

      Si fa altrettanto presto a dire: «queste segnalazioni vanno fatte dentro Wikipedia». Sì, ma c’è un problema: al minimo muoversi di una foglia, i mazzieri – lo stiamo vedendo al bar proprio in questi giorni – si muovono coordinati per soffocare la discussione, additare falsi nemici, usare tutti i trucchetti elencati da Schopenauer ne L’arte di ottenere ragione. E a volte usano sockpuppet e altri trucchi per condizionare le discussioni, come – a detta di Brunodam – è avvenuto per silurare Montesacro e per salvare Presbite in un paio di situazioni critiche.

      È vero: eliminare i mazzieri non risolverebbe una volta per tutte il problema. Ma tenerseli risolve ancor meno.

      Al netto di queste precisazioni che ritenevo doverose, nei tuoi due commenti ci sono tanti elementi da valorizzare insieme, perciò invito Nicoletta – e non solo – a continuare il dibattito.

      • P.S. Al bar di Wikipedia Presbite sta facendo DI TUTTO perché non si parli di Jose Antonio. Ogni volta che la discussione minaccia di arrivare al sodo e si menziona JA, arriva Presbite e comincia a parlare di se stesso, «Io, io, io, io!», con lenzuolate il cui unico fine è “centrifugo” e svicolatorio. La consegna dei mazzieri è: «Fare tutta la cagnara umanamente possibile, accusare chiunque di far parte di un complotto wuminghiano, parlare di qualunque cosa, ma non delle falsificazioni di Jose Antonio».

    • Il fatto che io abbia specificato di conoscere poco o nulla dei meccanismi di Wikipedia fa sì che la mia opinione a riguardo sia particolarmente irrilevante, ma può dare comunque un punto di vista diverso.
      Quando Pequod scrive “Questo mi sembra un risultato indesiderabile dell’inchiesta: sollecitare un senso di disprezzo verso l’enciclopedia libera, “poveri ingenui, omertosi, fascioindotti, wikiesaltati, abbacinati, mal consigliati ecc.” mi viene da rispondere che, in realtà, il primo risultato dell’inchiesta è stato quello di farmi venire a conoscenza di una situazione della quale ignoravo l’esistenza.
      Più la discussione andrà avanti più possibilità avrò di farmi un’idea chiara. Più inchieste come questa vedranno la luce, più se ne parlerà e più possibilità ci saranno di raggiungere persone che come me hanno sempre solo visto Wikipedia dal punto di vista dell’utilizzatore e non del redattore.
      Devo dire che, pur avendo sempre saputo di come Wikipedia non debba essere presa per Verità Assoluta, le implicazioni del suo uso acritico nel dare un potere propagandistico enorme a chi volesse “dirottare” le informazioni mi erano sempre sfuggite.
      Per quanto mi riguarda i risultati desiderabili dell’inchiesta, tra i quali anche la piacevole paralisi, temporanea o no, di Josè Antonio e l’iperattività rabbiosa di Presbite sono ben superiori a qualunque problema di parziale cattiva reputazione.

      • Sia chiaro, per me sono benvenute le inchieste. L’importante è non scagliare giudizi tranchant, anche perché wp è un bene pubblico. La questione filosofica è: wp è una piattaforma preziosa pur se rischiosa o un irredimibile buco nero della trasmissione del sapere? Io una risposta ‘fiduciaria’ me la sono data e collaboro da anni. Non è un problema di ‘reputazione’: io mi sto preoccupando che *tu* non ti lasci trascinare dal desiderio di avere un punto di vista. Ma giusto perché ci siamo incrociati. Quanto all’inchiesta, non ho parlato dei suoi intrinseci pregi, il merito che ha di stimolare un dibattito – dentro e fuori wp. Per me l’obbiettivo non è cmq risolvere il caso specifico di un utente malevolo (anche!), quanto trovare buone pratiche da offrire al progetto e al contempo riuscire a ottenere sensibili miglioramenti alle voci del cluster in questione. Io penso che avere voci equilibrate non è tanto il frutto di un braccio di ferro con la controparte politica, quanto un esercizio autonomo, strutturato quanto si voglia. La resa che wp può dare di un argomento di storia è per forza di cose distante dal sentimento, dalla partigianeria, dalla retorica mia, tua, del collettivo Bourbaki, di Wu Ming 1, 2 o 4… Ovviamente io non sono anti-ideologico né post-ideologico e soprattutto non sono anti-retorico. Wp è però un contesto con caratteristiche diverse, con utilità e disutilità specifiche, anche se pure lì io penso che la soluzione per una neutralità “piena” e non meramente formalistica o fideistica passi da espedienti retorici e formali.

        • Ma perché mai WP deve essere scritta da anonimi? Credo che se chi ci scrive lo facesse con il suo nome vero, prendendosi la piena responsabilità di quello che scrive (come succede per chiunque scriva qualcosa in qualsiasi campo, comprese le enciclopedie), il problema proprio non si porrebbe. Però WP perderebbe l’aura di “neutralità” e “oggettività” che pretende di avere. Pretendere poi che esistano dei “fatti” oggettivi è un altra … pretesa. Perché i “fatti”, o meglio, la descrizione, definizione, presentazione, chiamatela come volete, dei “fatti” non è mai neutra, né potrebbe esserlo.
          Vorrei però proprio capire perché una cosa che pretende di essere una enciclopedia e non un blog o una pagina web qualunque debba essere gestita e scritta da anonimi.

          • È un discorso essenziale ed il dibattito si ripresenta spesso quando si parla di ricerca scientifica.
            I fatti oggettivi possono anche essere riportati fedelmente, ma la maniera in cui questo viene fatto non prescinderà mai dalla forma mentis dell’autore.
            Ogni volta in cui la ricerca scientifica porta dei risultati che s’inseriscono in un qualche genere di discorso politico (politico in un senso molto ampio, include qualunque discorso etico, sociale etc.), il ricercatore accorto si ferma a riflettere, quello superficiale o in malafede si trincea dietro un’irragiungibile concetto di “equidistanza” o pretesa di imparzialità.
            Questo vale per ogni genere di ricerca, inclusa quella in cui i fatti sono riscontrabili senza eccessivi problemi.
            Questo discorso à ancora più valido quando si parla di ricerca storica, in cui la ricerca del “fatto oggettivo” è molto più complessa.
            Per questo non riesco a comprendere completamente il punto di vista di Pequod. Capisco quando dice che “idealmente Wiki dovrebbe riportare solo fatti, senza opinioni”, ma appunto è solo una possibilità teorica, in pratica è un obbiettivo irraggiungibile.
            Appurato questo, non sono capace di farmi un’idea su come questo problema debba essere affrontato in una realtà come Wikipedia, è una questione critica ed allo stesso tempo molto complicata.
            Non credo però che presentare “entrambe le campane” in nome di un’utopica equidistanza sia la soluzione corretta. Non sempre ambedue le campane hanno la stessa dignità.

            • Completamente d’accordo. Sulla moda dell’equidistanza o/e della “par condicio” si arriva all’assurdo, per cui in una scuola di Brescia si è arrivati a negare la possibilità di una conferenza sulla strage di Piazza della Loggia perché sarebbe stata troppo sbilanciata “da una parte”. Il che significa che per essere “equidistanti” bisognava invitare a parlare anche qualche stragista (o almeno sostenitore della giustezza della strage). Credo che il problema di WP sia alla base, nella pretesa di voler arrivare all’oggettività, a dati “non ideologicamente condizionati”, però lo fa tramite persone in carne ed ossa, che le loro ideologie se le portano dietro. E’ questa stessa pretesa è ideologica a sua volta, solo che lo è in maniera più subdola di altre, perché pretende di essere l’unica a dare un punto di vista oggettivo. Ripeto però la domanda: perché WP deve essere anonima.

            • Ciao Gallio, mi citi con un virgolettato impreciso. Io non ho scritto “idealmente Wiki dovrebbe riportare solo fatti, senza opinioni”, ma “Idealmente, wp dovrebbe riportare solo fatti, mentre le opinioni dovrebbero essere debitamente attribuite ai propri autori”. Quid est Veritas? Il fuoco di questa domanda spetta alla “vita reale”, con i suoi poeti, i suoi storici, i suoi pittori e scienziati ecc. Tutto questo movimento determina un ‘particolato’, che viene riassemblato in statue di gesso. È il racconto di questo dibattito. Quindi è un quadro con dentro altre pitture. Sono diventato wikipediano perché credo nell’esigenza di un ‘controllo democratico’ di questo strumento, che, come tutte le tecnologie, sconvolge i vecchi schemi, promette, ma anche insidia.

              Esperienza del ‘punto di vista neutrale’ esisteva prima di wp. Anche qui una questione di espedienti retorici: sappiamo tutti che un pamphlet, un articolo di giornale, un saggio, una voce di enciclopedia, un discorso in parlamento hanno diversi gradi di implicazione del dichiarante. L’equidistanza è comunque applicabile anche alla diversa dignità delle fonti. Equidistanza non è spostarsi di volta in volta per far sembrare che una cimice e un gatto abbiano le stesse dimensioni. Io penso che cercare un racconto neutrale sul fascismo, ad esempio, implica il racconto di uno scontro che è ancora vivo. Wp non può chiudere i conti. Questo lo dovrebbe fare la gente in carne e ossa. Ma ne abbiamo aperti altri. (E ci siamo sempre illusi che invece in Germania questo lavoro fosse stato fatto. Errore!)

              Questo mio far filosofia non è inteso a negare il sommovimento gastrico-fascista dentro wp. Solo che, come Nemo, penso che dire ad altri di fare è in certa misura un non-fare. Prendete con le molle questo punto. Le inchieste, l’ho già detto, sono un fare e pure grosso. Lo stimolo è da parte mia molto benvenuto. Solo che la responsabilità è diffusa, sta in capo a tutti. Certo al wikipediano assiduo che scrive di induismo quanto a chi non scrive su wp e si occupa ed è competente di fascismo. O forse un tantino di più al secondo?

              • Riprendo qui il discorso per non dover scrivere due post diversi. Inizio con lo scusarmi per il virgolettato impreciso, in effetti la differenza è sostanziale.
                Sono d’accordo, quello che in teoria si prova a fare in wiki è un lavoro immane di equilibrismo tra fatti, opinioni e finezze sintattiche. Come ho detto, il dibattito sulla possibilità di “descrizione obbiettiva di fatti” e della separazione dall’opinione dell’autore è lungo, complicato e omnipresente in ogni genere di ricerca scientifica.
                Su Wiki, non essendo permessa la ricerca originale, il problema si sdoppia su due piani di soggettività, quello dell’autore e quello di chi ha compilato la fonte.
                Lo dico con parecchio rispetto per chi ha il coraggio di affrontare il problema, provare a trovare un sistema retorico, delle regole o anche solo delle linee guida per riuscire a mantenere un “equidistanza” che non si solo di forma mi sembra un’impresa immane e incredibilmente piena di trappole.
                Specialmente perché poi il passo tra una manipolazione ed un punto di vista ogni tanto coincide con l’uso/rimozione di una sola parola.
                Capisco le difficoltà che s’affrontano e posso anche capire la “chiusura” verso il mondo esterno che non conosce le meccaniche di questi equilibrismi.
                In tutto questo, la burocrazia e le consuetudini non aiutano a rendere la discussione fluida ed efficace, complicando ulteriormente il tutto.
                Queste sono ovviamente le considerazioni di un osservatore esterno, quindi la possibilità che sia io a non avere i mezzi per capire è grossa.
                Quello che mi è sembrato di vedere da fuori è che, presi dalle sacrosante discussioni di metodo e strutture di controllo, in molti abbiano perso di vista l’aspetto più pratico e terra-terra.

          • L’anonimato è una componente importante, anche se non ‘genetica’, del progetto. Di enciclopedie ‘firmate’ ne esistono tante. Ci si potrebbe chiedere perché wp dovrebbe essere sostituita da un’altra (ennesima) enciclopedia tradizionale. Nel richiedere firme secondo me mostri di non aver colto un punto importante: un pediano (sempre idealmente) non è un autore, ma un rielaboratore di contenuti proprietari. Quindi mettere il mio nome e cognome è fuori scopo, perché i contenuti sono ‘a carico’ dei rispettivi autori, non del pediano.

            Permettimi di invitarti a leggere questo denso passo dal Saggiatore di Galileo: “molte volte coloro che vanno in maschera o son persone vili, che sotto quell’abito voglion farsi stimar signori e gentiluomini, e in tal maniera per qualche lor fine valersi di quella onorevolezza che porta seco la nobiltà; o talora son gentiluomini che, deponendo così sconosciuti il rispettoso decoro richiesto al lor grado, si fanno lecito, come si costuma in molte città d’Italia, di poter d’ogni cosa parlare liberamente con ognuno, prendendosi insieme altrettanto diletto, che ognuno, sia chi si voglia, possa con essi motteggiare e contender senza rispetto”.

            Ovviamente il secondo tipo di anonimato non è del tutto pertinente a wp, che non è un forum dove “d’ogni cosa parlare liberamente con ognuno”, ma almeno la citazione, credo, restituisce un senso meno gessato di cosa sia anonimato.

            Wp non pretende di avere un’aura di neutralità o di oggettività. Proprio perché esiste un problema di prospettiva nella presentazione delle informazioni, deve esistere (questo penso) un sistema retorico che rimuova il problema o comunque lo sposti. Questo significa anche definire i limiti del progetto Wp. Il quale non può forse mostrare i punti di vista in movimento, non può avere ‘il contesto’ come fuoco della propria narrazione. D’altra parte wp non deve pretendere di sostituirsi a tutti gli altri ‘contenitori’. A cosa servirebbe, allora? Be’, a chi dice che i fatti oggettivi non ‘esistono’ chiedo come si qualifichino i mis-fatti oggettivi. Che per via Rasella vi sia stato un ‘invito a presentarsi’… E da quale non luogo ci diciamo che ‘dipende da come vengono presentati i fatti’? Voglio dire che esiste una tensione umana verso la verità (non direi genetica). Wp può essere un baluardo contro la falsità, ma anche una serpe in seno. La verità, è vero, è una questione complessa. Io delle cose ‘vere’ nel mondo le vedo, indipendentemente dall’ordine dei fattori: che accadano fatti e che se ne parli e cosa si dica… E vero è anche che io ho un certo punto di vista, una certa educazione e quindi esigenze, obbiettivi e anche speranze, anche se la speranza è di destra. ;) — Io sono sempre in un dialogo con voi, non pretendo di scrivere nulla di definitivo. Mi piace però attentare a certa fretta. ;)

            • Mi spiace, ma non mi hai spiegato perché è “necessario” che wp sia anonima. Forse sono scemo io, non conosco sistemi e modalità di wp, ma se uno si presenta come “enciclopedia libera” è proprio l’ennesima enciclopedia, solo con la pretesa di essere “libera”(e quindi migliore). E poi nemmeno tanto “libera”, visto che per parteciparvi devi: conoscere le sue regole, conoscere i passaggi tecnici per scriverci, essere “ben accetto” agli altri, confrontarti con altri che magari non hanno la tua stessa “onestà”….
              Nemmeno fa quanto dici, cioè cercare di presentare le diverse posizioni, perché significherebbe – in particolare sugli argomenti storici – dover fare cose di migliaia di pagine con bibliografie sterminate, cosa che wp evidentemente non fa. Con, oltretutto, le citazioni, come abbiamo visto, spesso manipolate e distorte. E con un problema di fondo, quello dell’autorevolezza. Il criterio in se è problematico, perché il criterio per la verità di quanto viene scritto e (presuntamente) citato è l’autorevolezza, non la congruità di quanto scrive l’autore, sia anche il più “autorevole” e la verifica di quanto scrive attraverso confronti e ricerca sulle fonti. Ed eccoci alla seconda questione: come e chi decide dell’autorevolezza di un autore rispetto ad un altro? Qualcuno lo fa sicuramente in base a dei criteri, che però sono a sua (o della presunta “comunità” di wp)completa discrezione e rimangono ignoti ai lettori. Quindi credo che visto tutto questo chi scrive su wp non può in alcun modo spacciarsi per semplice “compilatore” perché fa operazioni mooolto autoriali. Quindi anche da questo punto di vista wp è come le altre enciclopedie, in cui gli autori scelgono cosa citare e cosa no, solo che wp pretende di essere “libera” e “social” e permette agli autori di nascondersi dietro l’anonimato, senza dover così rispondere di quello che scrivono -insieme o da soli importa poco. E, come vediamo qui, quando qualcuno dei suoi autori viene beccato con le mani nella marmellata scatta un meccanismo che nel caso di enciclopedie “non libere” probabilmente esiste molto meno – si cerca di tacitare la cosa perché il bene primario è la tutela della credibilità (e vendibilità) dell’enciclopedia “libera”.
              Un pensierino finale: credo che wp sia figlia del tempo (e della relativa ideologia) in cui si sosteneva la fine della storia e delle ideologie, per cui sarebbe stato possibile, scevri da “ideologie”, riscrivere tutto in termini a-idelogici e “oggettivi”. Forse sarebbe il caso, visto che la storia esiste ancora, come pure le ideologie (come ben dimostrato dalla ricerca di Nicoletta), di rivedere la validità di quel progetto, magari semplicemente chiedendo a chi ci scrive di farlo con nome e cognome. Altrimenti wp dovrà assumersi – collettivamente, visto che non è possibile distinguere i singoli anche per il loro anonimato – la responsabilità di quello che sparge in giro, comprese falsità e manipolazioni.

              • Ciao Alessandro. Ti ringrazio per il tuo articolato e interessante post.

                Provo a esprimere le mie idee seguendo i tuoi punti, premettendo che voglio avanzare anche delle puntualizzazioni, non per farti cambiare idea, ma per offrire al tuo punto di vista una ancora maggiore profondità.

                Innanzitutto non ho inteso dire che è “necessario” che wp sia anonima. Mai scritto questo, mi pare. E’ possibilissimo iscriversi nome e cognome. Il punto è che in linea di massima non è affatto necessario fare queste operazioni autoriali che dici. Anzi, dal mio pdv è proprio sbagliato farne, ma è anche vero che io NON mi occupo di norma di argomenti altamente controversi: in queste pagine e altrove ho cercato di immaginare un sistema retorico che permetta di disinnescare la tentazione autoriale (un esempio: trovare il presunto mainstream e farlo diventare la versione wikipediana è solo la versione apparentemente più innocua dell’abuso autoriale). Io penso che wp proprio non debba avere un punto di vista e debba invece inseguire asintoticamente una posizione che non sia una posizione. (Questo non significa essere anti- o post- o a-ideologici: la diffusione del sapere e la formazione di un pensiero critico è scopo intimamente politico, ma vedi sotto).

                Nella gran parte dei casi, comunque, la presunzione di buonafede basta e avanza, e funziona.

                Libera e quindi migliore. Mah, a me non pare che questa equazione sia sostenibile, neanche immaginandola nelle pretese di qualcuno. Personalmente non ricorrerei a wp più di tanto per documentarmi. Né esaspererei il valore dell’intrapresa. Wp ha un valore relativo e sarebbe bene che ad essa rimanessero affiancate altro genere di fonti. Sempre personalmente ritengo che sia un peccato che certi mostri sacri del sapere proprietario siano stati abbattuti dal volontariato del wiki. Preferisco che wp si aggiunga ai format tradizionali, ma questo dipende anche da politiche nazionali sulle quali non abbiamo ovviamente controllo. Solo la mediazione dello Stato investitore (che dunque si indebita!!!), secondo me, può assicurare ricchezza, profondità e pluralità di vedute, spazio alla critica, all’analisi, all’incontro. Ovviamente non sottovaluto il libero esercizio di queste possibilità da parte degli individui, ma riconosco l’immenso potenziale del gruppo umano organizzato.

                Per partecipare devi… Mah, “LIBERA” vuol dire questo: https://it.wikipedia.org/wiki/Aiuto:Cosa_vuol_dire_%22libera%22%3F. Conoscere le regole… be’, esistono limiti tecnici, se non hai dei tasti su cui scrivere non puoi scrivere. Devi familiarizzare con l’interfaccia e per quanto ci si sforzi di semplificare l’approccio, non vedo come si possa eliminare la resistenza intrinseca del mezzo: anche per godere di un libro devi saper leggere, non basta aprirlo. Quando ti riferisci alle regole, come ho già detto, non ce ne sono di vincolanti al di fuori dei cinque pilastri e sì, esiste un codice di condotta, quindi tradotto poveramente devi essere ben accetto: sono certo che se su Giap mi metto a dare del cretino a destra a manca verrei moderato. Se invece per “ben accetto” intendi che devi passare non so che forche caudine tipo scout, allora no. Il punto di partenza è (mi tengo largo) arricchire le voci con informazioni, approfondimenti e quant’altro.

                Altri che non hanno la tua onestà. Naturalmente, il progetto è fragile e può sempre essere incarnato da utenze malevole che, per ipotesi, vi prendano il sopravvento. Senza sforare nella filosofia morale, finora non è stato così e tendenzialmente la qualità delle persone che vi partecipano è secondo me molto alta. D’altra parte, un punto importante che ti sottolineo è che anche utenze meno oneste sono comunque costrette, entro certi limiti, a confrontarsi: la scrittura a quattro(cento) mani rende wp una enciclopedia diversa da tutte le altre, ancor più se metti in conto la possibilità di editare anonimamente. Con “entro certi limiti” intendo dire che se non sai cooperare, se sei dentro con uno scopo scandaloso e clamoroso, vieni gentilmente accompagnato alla porta. Ma è importante capire che se pure non ci si dimentica che dietro ogni utenza c’è una persona, sono le utenze l’oggetto dell’eventuale contendere (quando nasce una controversia sui comportamenti), non le persone, che virtualmente possono reinserirsi e fare bene, senza necessità di riabilitarsi. Tecnicamente, Mastrangelo non avrebbe difficoltà – e lo sa bene – a ripresentarsi, anzi è tornato spesso a intervenire, per quanto si può capire – ma il punto è che lo stesso comportamento malevolo incontrerà la stessa sanzione.

                Nemmeno fa quanto dici, cioè cercare di presentare le diverse posizioni… Va be’, wp è giovane, giovanissima, è un progetto che gli stessi che lo fanno analizzano nel suo sviluppo per cogliere opportunità e criticità (anche per questo le obiezioni e le critiche “dall’esterno” non sono affatto respinte a priori). Cosa fa oggi e cosa non fa è in parte aneddotico. Interessa capire soprattutto cosa deve fare. Non è impossibile immaginare un testo che stenda le diverse posizioni secondo proporzione, senza necessità di avere lenzuolate di bibliografia. Ovviamente, più si approfondisce, maggiore è bene che sia la competenza in materia. Scrivere, dopotutto, è anche un’arte, quindi esiste un equilibrio complesso tra lunghezza, brevità, efficacia, inefficacia ecc.

                Le citazioni ovviamente sono lo strumento più facile da trasformare in mazza, da usare parzialmente ecc. Io ne uso pochissime e pressoché soltanto quando c’è proprio da trasmettere il senso della complessità che non sono in grado di parafrasare.

                il criterio per la verità di quanto viene scritto e (presuntamente) citato è l’autorevolezza, non la congruità di quanto scrive l’autore. — Questo è un punto importante. Non esiste argomento su cui saprei valutare la congruità di quanto scrive un autore. Se si vuole far dire una cosa o certe cose ad una voce, allora scatta il problema che dici tu. Se, ritengo, l’obbiettivo è invece far parlare le fonti, la congruità non è più un problema. Attenzione, non sto dicendo che la storia non sia una scienza, con i suoi metodi. Sto dicendo che wp non è un sito di debunking. Vuole piuttosto illustrare l’esistente ed è verissimo che questo intento può risultare parziale. Anche il lavoro dell’enciclopedista è un’arte, ma non direi sia una scienza.

                gli autori scelgono cosa citare e cosa no. Sì, certamente, solo che non sono riuniti in un comitato editoriale. Sono indipendenti l’uno dall’altro, quindi la possibilità a disposizione è che se anche tu ometti qualcosa perché sei ottenebrato dalla tua ideologia, qualcun altro potrebbe correggere il tiro e “arricchire”. (Sia detto per inciso, io non sono un fan della morte delle ideologie, semplicemente non ci credo: ad esempio, destra e sinistra non sono animali che galleggiano sui mari e poi si estinguono per l’allargarsi del buco dell’ozono, sono grandi idee di presupposto, su cui mi pare anche su Giap si è scritto – in relazione all’analisi della natura del conflitto interno o esterno – e su cui non torno). Comunque, l’ho detta semplice ma il punto è sempre che su wp si dà conto delle possibilità dell’intelligenza collettiva. Secondo me questo somiglia di più, in campo economico, al libero mercato che non al piano quinquennale. Prendila come una provocazione. ;)

                qualcuno dei suoi autori viene beccato con le mani nella marmellata… Sarò un filino più camionista su questo punto: MA SEI SERIO? Cioè, Wp è una enciclopedia fatta dai volontari e noi avremmo più problemi di vendibilità (!) che non una enciclopedia che si vende? Ma secondo te qualcuno ci paga? Capisco bene che intendi “vendibilità” sensu lato, ma se qualcuno su wp è tanto fesso da legare la propria intera intelligenza ai destini dell’enciclopedia libera è solo un grosso problema suo! Sulla credibilità, al di là delle distorsioni individuali, la linea concordata è questa: https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Avvertenze_generali. Significa che noi LOTTIAMO contro ogni credibilità concessaci a buon mercato. Insomma, per intenderci, nessuno su wp ha il problema di difendere una rendita di posizione (propria personale o della “comunità”) e se ce l’ha è un fesso.

                Sul tuo pensiero finale. Eh, a me pare proprio di capire questo sottotesto che ruota attorno a Giap, cioè che in sostanza Wp è un progetto intimamente bacato. Magari avete ragione. Chissà. A me pare che la fondazione (WMF) possa essere tacciata (forse, non lo so bene) di questo prurito a-ideologico, ma tanto non importa, perché, come ho già scritto, gli utenti in carne ed ossa si fanno un baffo della fondazione. L’elemento centralissimo resta la tecnologia che sta al fondo di tutto ciò, cioè l’invenzione di un software che permetta la creazione collettiva di testi e che metta anche nelle mani di tutti la responsabilità di partecipare all’elaborazione del sapere, ciascuno secondo le proprie capacità, ma anche il tipo di licenza, cioè di proprietà intellettuale, che è aperta, riutilizzabile, indefinitamente recuperabile. Benvenuta la revisione costante delle possibilità e dei rischi del progetto, ma dubito che la questione dell’anonimato sia effettivamente dirimente, altrimenti politici e grandi editori sarebbero ipso facto sotto un serrato controllo democratico solo perché ne conosciamo il nome. Personalmente non ho dovuto fare un passo indietro rispetto alla mia ideologia per entrare a contribuire a Wp, anzi ritengo Wp largamente compatibile con essa.

                Un saluto.

                • Salve
                  tanto per essere coerente con la richiesta di non-nanonimato: sono Sandi Volk, che nella vostra “enciclopedia” definite “negazionista” perché così ha deciso il mainstream. Tranquillo, all’inizio mi incazzavo, ma ora sinceramente mi pare quasi un complimento, visto l’andazzo del mainstream. Ho ravanato un po nei link inseriti nei vari interventi e devo dire che è peggio di quanto pensassi. Non so dire per le parti di wp che riguardano le scienze “esatte”, ma per la storia siete messi molto male. Non solo per Presbite e altri personaggi del genere. Dovreste forse porvi il problema da quale punto di vista, in quale ottica, punto di partenza, si descrive l'”oggettività”: quello nazionale, di classe, di genere o altro ancora? Perché non è uguale. Faccio un esempio tra quelli che ho visto nelle varie discussioni: la questione PCI/PCS e quanto ne scrive Karlsen. Ora, in quegli interventi – tutti – si giudica l’operato dei vari PC e del Komintern da un punto di vista nazionale, degli “interessi nazionali” (o il “nazionalismo”) che OGNI PC (come pure il Komintern, evidentemente) avrebbe difeso/portato avanti/privilegiato. Dato che la storia si scrive sempre per l’oggi si tratta di un punto di vista utile all’oggi, al ridurre anche il movimento comunista a un qualcosa di falso e “uguale agli altri” (varrebbe anche per il nazismo, sia chiaro, se fosse interpretato da un punto di vista, che so, internazionalista). Però è un un ottica del tutto errata, perché non era quello che muoveva il Komintern ed i vari PC, che del Komintern erano le sezioni nazionali. Per cui la direttiva di Dimitrov aveva uno scopo solo – fare in modo che il movimento comunista in quella determinata zona fosse il più forte possibile e, quindi, guidato dal PC più forte ed attrezzato. Che in quel momento era il PC sloveno (e quello jugoslavo) e non certamente il PC italiano. Che ci fossero posizioni e anche logiche nazionaliste dentro i vari PC è pacifico, ma la logica non era quella. Cazzo glie ne fregava a Dimitrov nel ’42 che la Venezia Giulia fosse appartenuta alla Jugoslavia o all’Italia, visto che A) era saldamente occupata dall’Italia fascista, B) che il Komintern era sopratutto interessato a mantenere in vita l’URSS, sull’orlo del crollo di fornte all’invasione nazista. E proprio per questo aveva in quel momento l’interesse a che nelle retrovie dei nazifascisti si sviluppasse un movimento di resistenza il più forte possibile, che drenasse più forze possibili lontano dall’URSS. E la Venezia Giulia questo era, retroterra, in cui l’organizzazione in grado di sviluppare la resistenza anche in territorio italiano era il PCS. La logica era questa, tutto il resto è … mainstream! Se il mainstream è oggi Karlsen e a voi va bene ….. Contenti voi. Vi ricordo però che il mainstream cambia e all’epoca dei nazi avreste dovuto scrivere – viste le regole che vi siete dati – che gli ebrei vanno sterminati e facezie del genere. Ripeto, contenti voi, contenti tutti. Però ognuno si assume le sue responsabilità. Perché, al di la delle lunghissime (e, devo dire, pure dotte) disquisizioni che fate quello che pubblicate è parte della RL, perché wp non è qualcosa di a-parte dalla vita reale, ma ne è parte integrante, non un giochetto tra intellettuali, e contribuisce a diffondere il mainstream, che attualmente in campo storiografico è già pessimo e mi sa che peggiora pure. E forse tra non molto – metti che Salvini vinca le elezioni …. – dovrete veramente scrivere che i “negri” sono inferiori e altre stronzate (scusa il francesismo) del genere, se rispettate le regole che vi siete dati. Triste fine per l'”enciclopedia libera”. Sinceramente non vorrei mai farne parte, preferisco scrivere con il mio nome quello che penso e so assumendomene la responsabilità in tutti i sensi. Anche a costo di essere chiamato negazionista su wp e non essere mainstream. Ma ognuno ha le sue preferenze.

                  • Secondo me in merito al concetto di autorialità su Wikipedia i problemi sono due:
                    – Wikipedia non è un gruppo di lavoro, è un posto dove della gente, con rapporti più o meno conflittuali, si incontra e scrive cose su vari argomenti ma le voci di wikipedia non sono frutto di un lavoro di gruppo bensì il prodotto di una serie di interazioni, quindi secondo me non si può parlare di autorialità collettiva. Ergo non si può considerare Wikipedia un autore e questo la rende uno strumento diverso dalle enciclopedie, penso più orientato all’informazione che alla conoscenza, riprendendo quanto scritto da Gotor.
                    – C’è un’autorialità individuale dei singoli wikipediani che secondo me non è emendabile e che per correttezza dovrebbe essere dichiarata. Non mi interessa che un nome “vero” sostituisca uno pseudonimo ma penso sarebbe utile sapere quale pseudonimo ha citato cosa e dove senza dover andare a frugare in cronologia o nelle pagine di discussione. Inoltre ho notato spesso da parte di alcuni wikipediani un giochetto assai semplice e al contempo disonesto, invece che citare un autore dicendo “secondo tizio accadde questo (aperte virgolette)” scrivono “accadde questo” e mettono il testo di tizio in nota presentando un’interpretazione come dato di fatto acclarato. Personalmente credo che ci vorrebbero meccanismi che facciano risaltare maggiormente sia l’autorialità degli studiosi citati (insomma più citazioni tra virgolette) che quella dei Wikipediani in modo da sapere chi ha citato cosa.

                  • Sandi, non so bene come funzionino le cose nelle enciclopedie propriamente dette. Suppongo che in esse esista un comitato scientifico cui i redattori devono rispondere, a volte anche un comitato etico, comunque un editore il quale talora dà un indirizzo ben preciso, ecc. Sicuramente in Wikipedia non vi è nulla di tutto ciò. Wikipedia ha come compito per così dire “statutario” quello di seguire il mainstream, dal momento che la sua funzione non è fare ricerca, ma solo esporre un sapere già consolidato. Chi vuole cambiare il mainstream certamente non può farlo scrivendo voci di Wikipedia. In esse si deve esporre prima di tutto il mainstream, e solo dopo, se è il caso, dare atto dell’esistenza di altre tesi minoritarie, esponendole però come tali, senza gabellarle per maggioritarie.
                    A mio parere, quanto ho detto non elide il problema della responsabilità individuale degli utenti-redattori. Chi scrive su Wikipedia lo fa come volontario. Quando il mainstream su un determinato argomento non lo soddisfa, quando in coscienza lo ritiene erroneo e infondato, può anche astenersi dal contribuire. Per quanto mi riguarda, come wikipediano, quando contribuisco a voci di storia del ‘900 lo posso fare con la coscienza tranquilla, dato che ad oggi il mainstream storiografico è antifascista. Se si verificasse l’ipotesi da incubo che hai formulato sopra, se cioè in sede scientifica e storiografica prevalessero il fascismo e il razzismo, sicuramente l’impossibilità di scrivere su Wikipedia sarebbe l’ultima delle mie preoccupazioni.
                    La questione che Nicoletta Bourbaki sta evidenziando nella sua inchiesta è invece un’altra, e consiste nel fatto che qualcuno ha cercato di imporre su Wikipedia il proprio “punto di vista” di destra estrema (di matrice neofascista e/o nazionalista, neoirredentista ecc.) facendolo passare surrettiziamente per mainstream, spesso riuscendoci. Per dire: il problema non si ha quando Pupo o Karlsen su Wikipedia vengono esposti come mainstream, nella misura in cui effettivamente lo siano (e forse non lo sono sempre). Il problema si ha quando, per esempio, facendosi schermo di Pupo e di Karlsen, qualcuno cerca di far prevalere indebitamente, con ogni sorta di sofismi e di prevaricazioni, un proprio punto di vista che non nasce né da Pupo né da Karlsen né da altre fonti storiografiche accreditate, ma discende dritto dritto dalla pubblicistica delle associazioni degli esuli.

  9. @pequod è vero il lavoro di star dietro alla mole di movimento che c’è su Wiki è indubbiamente impegnativo. Ma alcune evidenze sono state sottoposte alla comunità. Sorvolando sulla “comunità tutta”, è impossibile immaginare una discussione collettiva di “tutta la comunità”, le attività palesemente portatrici di POV, falsificatrici etc sono state “ignorate” anche in sede di richieste di pareri (RdP) o segnalazioni di problematicità. Insomma una certa “religione del mezzo” è innegabile da parte della popolazione Wikipediana, in particolare quella che più si fa carico di diverse beghe. Questo spaventa perchè è proprio la “religione del mezzo” uno degli strumenti che alimentano la diffusione della “banalità del male”. Anche le invocazioni di fantomatica buona fede e la presunzione di “neutralità” sono funzionali. Capisco anche che le ritorsioni in sede di elezioni e riconferme possano creare immobilismo, ma è una constatazione non una giustificazione.
    Poi se Hitler non era una pantegana ma un essere umano (non ci sono dubbi su questo) il fermare le sue azioni (e di quelle di altri individui molto più prossimi a noi) rimane una responsabilità di chi assiste ai fatti, o ne è a conoscenza.

    • Tutto quel che scrivi è molto interessante. L’unica osservazione che faccio è che non è vero, per quanto mi consta, che “le ritorsioni in sede di elezioni e riconferme possano creare immobilismo”. Per carità, penso sia altamente improbabile che un admin decida di non intervenire solo per mantenere le funzioni. Un admin fa quel che farebbe chiunque, non è un podestà, è un “amministratore fiduciario”. Senza evidenze e senza il supporto di buone argomentazioni un admin non deve fare nulla di diverso da un utente normale. Confrontarsi con i revisionismi è materia da utente normale, anche anonimo. Non sono possibili fughe in avanti. Non so come dirlo, a wp manca benzina. I ‘mazzieri’ NON sono un problema. Il livello della provocazione è veramente puerile. È già tanto offrire dati oggettivi e rinvii bibliografici puntuali nelle pagine di discussione. Calma e gesso. Trovo importante, anzi decisivo, portare il merito, ma anche la responsabilità di una segnalazione di abuso, dentro il dominio e le meccaniche di wp. Quanto agli admin, rinuncebbero tutti a titoli onorifici e peana piuttosto che avallare usi impropri del mezzo. Il problema è di competenza e di approccio. Bisogna entrare e farlo senza intenzioni semplicemente opposte a quelle di utenti pov di un’altra schiera. L’analisi dei contributi di JA si farà, ma spero che chi ha ‘gettato il sasso’ si prenda anche la responsabilità di coadiuvare “lì” un’analisi oggettiva, per il bene delle voci e dei lettori. Anche per questo sarebbe bene rispondere nel merito alle osservazioni di Presbite, ad esempio sull’uso di quali fonti sul tema foibe, a prescindere dalle valutazioni caratteriali o politologiche. Sarebbe anche interessante sapere che ne pensa di tutto ciò un Salvatore Talia, che ha avuto modo di interagire da dentro. Al netto degli abusi conclamati, io vedo un futuro di paziente confronto come unica chance adeguata al contesto wp. È ovvio che in altri spazi, come Giap, certi discrimini sono scontati, ma wp ha obbiettivi propri, per quanto controversi.

      • «L’analisi dei contributi di Jose Antonio si farà, ma spero che chi ha ‘gettato il sasso’ si prenda anche la responsabilità di coadiuvare “lì” un’analisi oggettiva, per il bene delle voci e dei lettori»

        «Si farà»? Davvero? E chi la farà?

        Qualche dubbio permettimi di averlo: su it.wiki si sta girando intorno (non «discutendo su»: girando intorno) all’inchiesta di Nicoletta Bourbaki ormai da un mese (tra un’ora è il 20 marzo, la prima puntata dell’inchiesta è stata pubblicata il 21 febbraio) e nessuno, nessuno parla di Jose Antonio. È praticamente innominabile. Si parla di tutto, ma non dei suoi edit, che pure sono spiegati e linkati qui sopra. Non ci vorrebbe molto a verificare se le segnalazioni di Nicoletta sono vere o no. Ma nessuno lo fa.

        «Coadiuvare lì» un’analisi oggettiva?

        L’utente Nemo è appena stato bloccato per un mese per la gravissima colpa di aver segnalato due mazzieri come utenti problematici.

        Per come la vedo io, le due segnalazioni UP erano strategicamente intempestive, scritte in fretta e – soprattutto – debolmente argomentate. Riguardo a Presbite, Nemo avrebbe potuto fare diversi esempi di falsificazioni di fonti. Presbite, per dire, ha l’abitudine di citare fonti scritte in lingue che non conosce (sloveno e croato), facendo dire loro quel che vuole, tanto chi cazzo lo legge il croato?
        Invece Nemo ha segnalato Presbite – tagliando con l’accetta – per il suo caratteraccio, che è sempre stato la scappatoia di quell’utente, la sua strategia per non pagare dazio. Un errore che ha permesso ai mazzieri di imporre il solito copione di sempre.

        E poi, andava semmai segnalato Jose Antonio.

        In ogni caso, quelle due segnalazioni si collegavano a una lunga storia, e per quanto riguarda Presbite non era certo la prima UP.

        In quattro e quattr’otto, anziché discutere dei segnalati, si è pensato bene di bloccare per un mese il segnalatore. Naturalmente accusato di agire «per ordine di Nicoletta Bourbaki» (gruppo di lavoro del quale non fa parte), di essere un giapster (quando è intervenuto su Giap in sole due circostanze a distanza di tre anni l’una dall’altra), di far parte di un «complotto wuminghiano» che non esiste ma evidentemente ossessiona la cattiva coscienza di Presbite e Demiurgo.

        Un bel clima, insomma.

        • Il blocco di Nemo – deciso autocraticamente da una sola persona – non è piaciuto a tutt*, e ci sono state proteste. Poiché si continuava a dire che «ci vogliono esempi concreti», alcuni esempi sono stati fatti. A quel punto è partita la più classica delle «chiamate alle armi», si sono fatti rivedere mazzieri di complemento reduci di battaglie d’antan – magari quelle in cui i sockpuppet di Brunodam salvarono Presbite – e si sono alzate le consuete cortine fumogene, gli e-allora-le-foibe, i-comunisti-non-vogliono-che-si-parli-dei-loro-crimini, per arrivare ancora una volta all’usuale giochino: ritieni Presbite un utente problematico? Allora sei un utente problematico. Se segnali Presbite, devi essere segnalato.

          Curioso notare che, di fronte agli esempi concreti, istantaneamente è cessato da parte di tutti – ma non mi illudo che duri a lungo – il vaneggiamento sul «complotto wuminghiano», evidentemente poco adatto a (fingere di) difendersi nel merito. Molto più efficace atteggiarsi a filologi mentre si rovesciano sull’ignaro lettore carriolate di paralogismi, diversivi, letture capziose ed espedienti di vario genere.

          Bah.

          Tutto questo mentre, scusate se mi ripeto, si continua a tacere sugli edit infami di Jose Antonio.

          • Poi si chiedono perché le inchieste fuori da Wikipedia…

          • “l’usuale giochino: ritieni Presbite un utente problematico? Allora sei un utente problematico. Se segnali Presbite, devi essere segnalato.” Perdonami, questa ricostruzione mi pare alquanto forzata. Nemo ha agito in modo discutibile e soprattutto in termini che gli era stato chiesto di evitare già nelle passate segnalazioni a suo carico. Ha aperto due segnalazioni con una buona dose di superficialità, senza nulla di concreto, e ha anche spammato la notizia in vari bar di progetto, cosa che a mia memoria nessuno aveva mai fatto. Il blocco a Nemo può non essere condiviso, ma Presbite non c’entra proprio nulla: stiamo parlando di una storica problematicità di Nemo.

            Quanto alla legittima insistenza sugli edit di Jose Antonio, ti ho scritto che il controllo si farà perché il vostro allarme non può assolutamente essere ignorato. Solo, ribadisco, non siamo automi, abbiamo una bellissima vita fuori da wp, piena anche di impegni, per cui un compito serio come quello di studiare i numerosi casi segnalati dal collettivo non può passare da alcuna ansia di risultati immediati. Ansia che è anche mia, sia chiaro, ma resta che anche solo documentarsi su un singolo tema necessita di tante letture e analisi, senza contare che nel momento in cui uno si prefissa un obbiettivo lo deve innanzitutto adattare a ritmi ed esigenze della vita (o degli studi) che stava conducendo.

            • Pequod, non prendiamoci in giro: l’inchiesta su Jose Antonio è stata pubblicata esattamente un mese fa. Se ci fosse stato il minimo interesse a verificare gli edit di JA, qualcuno lo avrebbe fatto. Qui sopra si indicano con precisione alcune fonti manipolate: libro e numero di pagina. In un mese *nessuno* è riuscito a ordinare un libro o a sfogliarlo in biblioteca? A fronte di decine di esempi dettagliati di edit tendenziosi e uso capzioso delle fonti, nessuno ha aperto un’UP su Jose Antonio. Di più: parliamo di un accumulo di centinaia, migliaia di edit tendenziosi e usi capziosi delle fonti. Praticamente, bastava pescare a caso. Lo stesso Franzinelli, ospite di Augias, ha indicato una voce inaccettabile, quella su Arturo Bocchini, e chi ci trovi in cronologia?

              Non solo: si è fatto tutto l’umanamente possibile per non menzionarlo nemmeno, Jose Antonio, per spostare il discorso ogni volta che si arrivava nei paraggi di quell’utenza. Utenza che si è *pietrificata* non appena abbiamo pubblicato l’inchiesta. L’unico utente che ha tratto conseguenze dall’inchiesta su Jose Antonio, al momento, è il medesimo Jose Antonio. Ma nemmeno questo sembra aver “insospettito” nessuno.

              Inoltre, se per te quello che è successo nell’UP – sulle cui modalità sono parecchio critico anch’io – aperta da Nemo è ok (comprese le richieste di segnalazione di TBPJMR che aveva proposto esempi concreti da discutere, ed è a questo che mi riferivo nel commento precedente) non credo abbiamo molto altro da dirci, a essere sinceri.

              Anche perché nel frattempo è ripartito alla grande il frame del «complotto wuminghiano» e di Presbite povero perseguitato. Anche nella real life, dice. Ammesso e non concesso che gli sia rimasta una real life, visto che da anni è 24 h su 24 su Wikipedia, se ha elementi concreti per poter dire che qualcuno lo stalka o lo perseguita, esistono le apposite vie legali. Dentro Wikipedia, in ogni caso questo dovrebbe essere un non-argomento. Dovrebbe.

              Bah.

              • Quel che è successo tra ieri sera e stamattina nell’ UP di Presbite è davvero straniante. Qualche giorno fa, prima che qualcuno gli consigliasse di calmarsi, Presbite aveva abbozzato una risposta sull’affaire Montanelli-Gilas (la storia l’aveva raccontata Nicoletta Bourbaki qua ), una delle manipolazioni che – con la mia utenza wikipediana TBPJMR – gli avevo contestato. La sua replica era consistita sostanzialmente nel ricordare che (dopo 20 giorni di edit war con Ilirikilirik, n.d.r.) lui stesso aveva rettificato il suo primo edit, aggiungendo come fonte un libro di Raul Pupo. Ieri sera l’utente Ceddo ha fatto notare che la versione rettificata costituiva ancora una manipolazione, stavolta di Pupo. Infatti Ceddo ha fatto notare che Pupo stesso, dopo aver riportato la famosa frase di Gilas, la definisce “di scarsa attendibilità”, cosa che Presbite si era guardato bene dal riportare. Con questa omissione, leggendo il testo della voce il lettore si sarebbe convinto che ‪Pupo‬ avallava una tesi (quella intenzionalista) che, invece, rifiutava.

                La risposta di Presbite a Ceddo è stata lunghissima, ma riassumibile pressappoco così: “mi era stata chiesta una fonte e io l’ho fornita. Punto.” Presbite poi cerca di rigirare la frittata, accusando Ceddo di aver omesso non si capisce bene cosa nella voce “Umago”.

                A questo punto Ceddo riprende la faccenda dall’inizio. Evidentemente si è letto con calma tutta la cronologia della voce “Istria”, e così spiega nuovamente in dettaglio tutto il meccanismo della manipolazione intorno a Montanelli e Gilas. La risposta di Presbite, ancora più lunga della precedente, rimastica sempre lo stesso concetto: “mi sono limitato a fornire una fonte che mi era stata richiesta”. Alle fine interviene Nicola Romani, che riassume la lenzuolata di Presbite in un italiano simile a quello dell’agente Catarella in “Montalbano”.

                Mentre succedeva tutto questo, gli altri utenti che partecipano alla discussione parlavano di altro – di meta-procedurologia non-applicata – e a quanto pare non si sono accorti di nulla.

                • Spiego alcuni trucchetti che ha usato Presbite in quella discussione.

                  1) Presbite si è adoperato per moltiplicare i paragrafi a dismisura, aprendo sempre nuove sezioni, anche “doppioni” di altre già esistenti. In questo modo, ha reso molto più difficile seguire gli scambi: la pagina si presenta come un guazzabuglio, con confini arbitrari e labili tra blocchi di testo respingenti fin dalla prima occhiata;

                  2) Appunto, blocchi respingenti: i commenti lunghissimi, interminabili di Presbite, pieni zeppi di grassetti e lunghe frasi linkate, non hanno lo scopo di farsi leggere, ma di dare la parvenza di un dibattito “alto” e denso in corso da molto tempo, nel quale è cognitivamente faticoso il solo pensare di inserirsi;

                  3) Poiché i nuovi interventi si potrebbero vedere dalla cronologia della pagina, Presbite fa una montagna di piccoli edit, in modo da spingere in basso gli interventi a lui scomodi. È successo con quelli di Ceddo riassunti da Tuco qui sopra, nei quali viene spiegata in modo chiarissimo la manipolazione consapevole di una fonte per avallare un falso storico.

                  Presbite si muove per seppellire il commento di Ceddo

                  Sono espedienti relativi all’organizzazione stessa della discussione, in qualche modo «pre-discorsivi». Se oltre a questi analizzassimo i paralogismi, le fallacie, le figure retoriche usate da Presbite nei commenti, faremmo notte. Spiccato e sistematico, a titolo di esempio, l’utilizzo degli stratagemmi 9, 25, 29 e 32 esposti da Arthur Schopenhauer nel trattato L’arte di ottenere ragione, e soprattutto di una variante del 30 (si pensi al mantra presbitesco «io ho letto migliaia di libri su questo argomento, se vuoi modificare le mie voci prima devi leggerteli anche tu!»).

                  È anche grazie a questi mezzucci che da anni Presbite può manipolare fonti, imporre un punto di vista nazionalista sulla storia dell’Adriatico orientale, e trattare un grande insieme di voci di Wikipedia come se fossero di sua proprietà personale. E molto probabilmente, non pagherà dazio nemmeno stavolta.

                  Faccio infine notare che la strategia diversiva di Presbite non è solo a vantaggio di lui stesso, ma anche di Jose Antonio. Da un mese Presbite fa di tutto perché non si discuta degli edit di Jose Antonio.

                  • Presbite ha appena deciso di non voler deludere le attese ed ha messo in piedi una clinic sull’uso di queste tecniche di difesa.
                    Domanda:
                    Parli sloveno e croato?
                    Risposta:
                    80 righe di “Albaper bara”.

                    Più che strategia del ratto, questa è la strategia del calamaro. Muro di inchiostro, svicolamento e opplà, non c’è più nulla da vedere.

              • P.S. Da notare che ogni qualvolta un utente X fornisce esempi della problematicità di Presbite, subito quest’ultimo e i mazzieri si muovono per rigirare la frittata e far passare come problematico lo stesso X.

                P.S.2 e in tutto questo continua il silenzio piombato su Jose Antonio e sul contenuto dell’inchiesta di Nicoletta.

                • Ecco, questo è un espediente che Presbite e sodali hanno usato sempre.

                  • Intanto, nella discussione su wikipedia encefalogramma piatto. Dopo lo scambio riassunto da Tuco qui sopra, non è più intervenuto nessuno. Non si sa se definire questa calma piatta «inquietante» o, come fa Gallio in un commento qui sotto, «imbarazzante». Plausibilmente bisognerà passare dal participio presente a quello passato: sembra proprio una calma piatta inquietata e imbarazzata.

      • Rispondo all’invito formulato da Pequod qui sopra. Io penso che nella comunità dei wikipediani si debba evitare il riflesso condizionato di chiudersi a riccio di fronte alle critiche esterne, che spesso sono accolte con un atteggiamento preconcetto di fastidio e di sufficienza quando non di rifiuto aprioristico. Non mi riferisco ora all’inchiesta di Nicoletta Bourbaki: ma quando appare una critica, per esempio sulla stampa quotidiana, la reazione più immediata dentro Wikipedia di solito fa riferimento all’ignoranza e alla superficialità dei giornalisti, che non conoscono le nostre regole, non sanno come si scrive l’Enciclopedia, ecc. Il che spesso è verissimo, ma non dovrebbe – questo è il punto – impedire di riconoscere quando la critica è fondata nel merito.
        Talora poi accade che la stessa reazione di rifiuto aprioristico si abbia anche quando la critica è formulata non da un cronista, bensì da un esponente della comunità scientifica. Qui sopra Anna Luisa S. ha linkato un’intervista televisiva allo storico Mimmo Franzinelli. A una domanda specifica sulle manipolazioni delle fonti storiche relative al ventennio in alcune voci di Wikipedia, Franzinelli risponde (cito la trascrizione, non letterale, che appare in sovrimpressione nel filmato): “L’avevo notato e un anno fa avevo scritto un articolo per La Stampa. Molte voci sul fascismo sono false, tendenziose. Ancora oggi il capo della polizia Bocchini è presentato come liberale. Lui era il braccio destro del dittatore. Forse sarebbe opportuno arrivare a un dibattito pubblico con chi gestisce il sito, perché è un problema molto serio. I ragazzi prestano fede a questi lemmi, ma dovrebbero essere critici e ragionare su queste definizioni. Dietro c’è qualcuno che manipola il tutto”.
        Da parte di ogni wikipediano sarebbe facile osservare che Franzinelli non conosce molto bene il funzionamento interno dell’Enciclopedia. Non esiste infatti “chi gestisce il sito” – almeno non nel senso che intende Franzinelli – dal momento che non c’è una redazione, le voci sono scritte da volontari, ecc. ecc. Ma questi rilievi sono sufficienti a invalidare le critiche mosse dallo storico?
        Si vada a ora leggere la voce di Wikipedia su Arturo Bocchini, cui fa riferimento Franzinelli, e vi si troveranno perle come le seguenti: “Bocchini si rese conto che le concessioni di Mussolini segnavano definitivamente la fine ai [sic] tentativi del Regime di porre sotto il proprio controllo le forze di polizia”; “fu sempre molto tollerante verso la propaganda scritta e verbale degli oppositori del regime”; da “capo della polizia durante il Ventennio fu difensore del principio di legalità”; “Bocchini non fece passi indietro e non permise interventi esterni negli affari di polizia e Mussolini puntualmente gli diede ragione”. È chiaro che Franzinelli ha ragione a rilevare che, in questa voce, il capo della polizia fascista viene presentato come uno schietto liberale.
        Franzinelli accenna poi a un proprio articolo uscito su “La Stampa” il 20 maggio 2015 a proposito del presunto carteggio fra Churchill e Mussolini (argomento di un suo libro uscito successivamente: “L’arma segreta del Duce. La vera storia del carteggio Churchill-Mussolini”, Rizzoli, Milano 2015). Nel suo articolo Franzinelli formula una critica durissima alla voce di Wikipedia, definendola “faziosa e irrispettosa della realtà, in stridente contrasto con l’affidabilità del sito”, nonché basata su “sofismi che coniugano la disinformazione con il bluff”.
        La pagina di discussione della voce offre alcuni esempi estremi dell’atteggiamento di cui parlavo prima. Vi si dice, testualmente: “quella di Franzinelli su Wikipedia mi sembra un’uscita volutamente polemica per farsi pubblicità. E se anche non fosse questo lo scopo, Franzinelli ha ben poco chiaro il funzionamento di Wikipedia”, e poi: “Nonostante i suoi editori, non si tratta di uno storico accademico, uso ad avere una revisione dei suoi scritti prima della pubblicazione, forse non e’ contento che il contenuto della voce di wikipedia possa levargli qualche lettore da un futuro libro sul carteggio”. Pur di difendere la voce si arriva cioè fino a negare a uno studioso di riconosciuta autorevolezza come Mimmo Franzinelli la qualifica di storico, e a trattarlo come un qualsiasi chiacchierone in cerca di notorietà. Superfluo ogni commento.
        Ma Pequod, assai gentilmente, mi ha chiesto un’opinione soggettiva. Gli rispondo che egli ha certamente le sue ragioni quando invoca “un futuro di paziente confronto come unica chance adeguata al contesto wp”. Personalmente come wikipediano cerco sempre di confrontarmi pazientemente e in modo collaborativo con gli altri utenti. Tuttavia, se ora, sulla scorta delle parole di Franzinelli e di queste mie considerazioni qui su Giap, volessi recarmi nelle pagine di discussione della voce Arturo Bocchini o della voce sul presunto carteggio Mussolini-Churchill, per discutere l’uso delle fonti, proporre modifiche ecc., probabilmente qualcuno salterebbe su a denunciare l’operazione condotta dall’esterno e il complotto giappista contro Wikipedia.
        Quindi mi trovo preso nel seguente paradosso. Se formulo delle critiche qui su Giap, sto parlando dal luogo sbagliato perché l’Enciclopedia Libera può essere migliorata solo operando pazientemente all’interno di essa e secondo le sue regole. D’altra parte, se cerco di migliorare l’Enciclopedia dall’interno e secondo le sue regole, siccome mi accade di essere la stessa persona che ogni tanto scrive su Giap vengo denunciato a gran voce come infiltrato (quando in realtà sono wikipediano da ben prima che esistesse questo blog) e agente del nemico.
        In alcune recenti discussioni ho visto che altri, che si trovano in una situazione analoga alla mia, hanno cercato di risolvere il problema mettendo le mani avanti: all’inizio di ogni loro intervento scrivono “premesso che sono un giapster”, perché tanto sanno che questa loro “tara”, nel prosieguo della discussione, verrà loro immancabilmente rinfacciata con l’aria di chi, alla buon’ora, smaschera il bieco cospiratore. È una soluzione che non mi piace granché. Tanto varrebbe allora aggiungere d’ufficio un simboletto alla fine del nickname (per esempio una stella rossa), in modo da chiarire fin dall’inizio che il parlante è un appartenente alla perfida genìa dei wuminghiani…

        • I due commenti contro Mimmo Franzinelli – commenti pregni di idiozia e malafede – riportati da Salvatore qui sopra, sono rispettivamente degli utenti Il Palazzo («quella di Franzinelli su Wikipedia mi sembra un’uscita volutamente polemica per farsi pubblicità») e Bramfab («Nonostante i suoi editori, non si tratta di uno storico accademico, uso ad avere una revisione dei suoi scritti prima della pubblicazione, forse non e’ contento che il contenuto della voce di wikipedia possa levargli qualche lettore da un futuro libro sul carteggio»).

    • Ciao Salvatore
      che le cose avvengano tramite comitato di redazione o libere iterazioni tra utenti non cambia di una virgola il fatto che quegli utenti alla fine producono un testo ben determinato, di cui sono a tutti gli effetti gli autori. Che non chiedano diritti d’autore o cose del genere è un altra questione. Ma sono gli autori di quanto sta scritto. Come lo sono gli “storici” i cui libri sono pieni di citazioni di altri autori o di documenti (che hanno a loro volta degli autori), ma questo non li esime dal fatto che sono responsabili di quanto sta scritto. Per quale motivo chi scrive in wp deve farlo nell’anonimato?
      Io non sarei per niente sicuro che il mainstream sia ancora antifascista. Dipende cos’è mainstream. Tra gli storici vatti un po a vedere cosa scrivono Piffer (a cui per le invenzioni che mette dovrebbe essere tolta la laurea!), la Aga Rossi (che sostiene che i cetnici in jugoslavia erano la “resistenza democratica” seriamente), per non parlare dei giornalisti o presunti tali, che, da come capisco, sono ritenuti “fonti” autorevoli. (Qui si pone anche un problema di contenuto dei termini, nel caso particolare cosa significa resistenza, chi può essere catalogato come resistente). Ed evidentemente anche il mainstream è interpretabile, per te è ancora antifascista, io qualche dubbio ce l’ho, altri pensano l’esatto contrario. Ti dirò anche che a mio avviso a Karlsen non è stato fatto dire nulla che non dicesse da solo, NONOSTANTE riportasse il testo per esteso della direttiva di Dimitrov. Come aggiugnerò che è stato proprio Pupo, con una frase formulata in ottimo stile democristiano nella quale non si capisce bene a chi nello specifico si riferisca, a leggittimare l’uso del termine “negazionista” per me e altri. Senza contestare il merito, ma semplicemente affibbiando un termine squalificante a chi non era d’accordo con le sue tesi. Ed è stato sempre Pupo a dare dignità “storiografica” a quanto scrivevano gli opuscoli delle associazioni degli esuli. Non tappiamoci gli occhi, per favore.
      Con un problema supplementare riguardo al mainstream – quale mainstream conta, solo quello italiano o anche quello in inglese (lingua nella quale sono state scritte moltissime cose sulla storia italiana) o in altre lingue? Perché forse se si tenesse conto del mainstream in altre lingue i risultati sarebbero parecchio diversi. Io ad esempio nel mainstream sloveno (e probabilmente anche in quello croato) non sono per nulla “negazionista”, ma farei pure parte del mainstream. E qui torniamo all’autorialità: come mai le stesse voci nelle varie wp (inglese, francese, …) hanno contenuti diversi, anche opposti a volte? Tutto questione di mainstream o è un problema di chi ha scritto quelle voci, di quale taglio ha voluto dare al mainstream?

      • Sandi, non facciamoci fuorviare dallo skagaz che hanno fatto nella UP di Presbite, sviando l’attenzione dalla prima versione del paragrafo su Dimitrov, che recitava:

        All’interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in accordo con quanto aveva stabilito, a seguito di precisa richiesta di Tito, il segretario del Comintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS) e di tutte le formazioni combattenti nell’area al Fronte di Liberazione Sloveno[6]

        Una cazzata simile non l’ha scritta nemmeno Karlsen, perché se l’avesse scritta lo avrebbero cacciato dall’accademia. Karlsen non parla nemmeno di diretta connessione, espressione introdotta da Presbite nel novembre 2014 dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Giap, per mettere un tacòn. Quel che fa Karlsen è buttare qua e là delle frasi ambigue per suggerire al lettore una connessione, non diretta ma anzi piuttosto tortuosa. E siamo d’accordo che Karlsen miscia merda, eh. Ma quel che ha fatto Presbite è stato congiungere i due punti (Dimitrov ’42 e Kardelj/Togliatti ’44) lasciando fuori tutta la faccenda dell’UAIS, dell’arrivo di Frausin e dell’eliminazione di Marcon, dello scioglimento del Komintern, del cambiamento nello scenario internazionale, ecc. Soprattutto, omettendo deliberatamente di dire che nel ’42 l’Italia (tutta l’Italia) faceva parte dell’asse e stava occupando la Jugoslavia insieme alla Germania. Prima del 2014, per capirci, l’intero capitolo si presentava così.

        Nemmeno si faceva accenno, all’Invasione italiana della Jugoslavia nel 1941. Al contrario, si affermava che fin dal 1941 la nascente Jugoslavia di Tito rivendicò la Venezia Giulia.

        Di nuovo: Karlsen non avrebbe mai potuto scrivere una roba del genere, perché l’avrebbero cacciato dall’accademia.

        • Ciao Tuco
          su questo hai ragione, resta però vero che se Karlsen non avesse “missiato” non avrebbe dato a Presbite una “fonte” per “missiare” ulteriormente. Però non credo affatto che se anche avesse scritto qualcosa del genere sarebbe stato cacciato dall’accademia, perché è anzi proprio scrivere cose del genere che ti fa entrare nell’accademia. Vedi un po cosa scrivono Piffer e la Aga Rossi nel libricino curato dal primo su Porzus. Sono proprio le frasi ambigue che garantiscono l’accademia e aprono la strada ai vari Presbite, almeno io la vedo così.

  10. Il riferimento superficiale alla questione della disumanizzazione dell’avversario politico l’ho fatto perché tengo a pensare che il genere umano non deve e non può confinare nell'”alieno” condizioni e tendenze che purtroppo hanno fatto parte della nostra storia.

    • Sulla “disumanizzazione” concordo del tutto. Anzi aggiungerei anche qualcosa in più ma andrei decisamente OT. Sulle “riconferme” invece penso che un peso lo possano avere, forse solo per alcune persone. Ma di certo le votazioni, alcune almeno, risentono di ritorsioni. Cosa “umana” per l’appunto. Spero che per la maggior parte però sia come dici tu. E spero che si sappiano arginare nel caso, le ritorsioni. Magari sono altre “buone pratiche” da affinare.

  11. Ciao a tutt*.

    Leggendo l’inchiesta sull’operato del fu-utente di it.wiki Jose Antonio, mi è ritornato in mente che tra i miei “osservati speciali” sull’enciclopedia libera ci sono varie voci che contengono suoi edit più o meno significanti.
    Tra queste vorrei segnalarvi due esempi che, oltre a quelli già portati nell’inchiesta, esplicano in modo evidente con che metodi operino i “mazzieri” su it.wiki. Sono entrambi parte dei due “gruppi” di voci che il fu-Jose Antonio presidia: le biografie di antifascisti/partigiani e gli eccidi (o presunti tali) che questi ultimi avrebbero compiuto.

    Per quel che riguarda il 1° gruppo di voci (biografie di antifascisti/partigiani) è interessante fare un giro su Argo Secondari. Stato della voce a parte (le effettive notizie su uno dei fondatori dell’arditismo sono relegate a soli tre periodi), gli interventi che Jose Antonio ha inserito il 30 giugno 2016 sono 2.

    1 – Inserimento del template “senza fonte” per quel che riguarda le medaglie conferite ad Argo Secondari durante la prima guerra mondiale, nonostante ad una rapida ricerca sul web, compaia il libro “I Soldati del Popolo” di Claudia Piermarini dove si legge alla nota 50: “Argo Secondari […] fu decorato con tre medaglie al valore militare”. Ci sono altri rimandi alle 3 medaglie conseguite da Argo Secondari ma probabilmente nella visione di Jose Antonio, un antifascista della prima ora non può essere presentato anche come soldato valoroso.

    2 – Con un oggetto della modifica che recita “meno cit da romanzo”, Josè Antonio cancella una citazione dello storico Eros Francescangeli, dove viene immaginata la prigionia di Argo Secondari in manicomio. Fino a qui nulla di che si potrebbe pensare. C’è un altro cambiamento però che il “nostro” compie all’ombra di quello a cui fa riferimento l’oggetto della modifica.

    La frase sulla reclusione di Argo Secondari nel manicomio di Rieti fino al passaggio di Jose Antonio in voce era: “Il regime fascista decise che doveva essere rinchiuso in un manicomio. E Secondari vi rimase per diciotto anni, fino al 17 marzo [[1942]], quando morì all’età di quarantasei anni.”

    Con abile “colpo di mano”, dopo la “rosicchiata” di Jose Antonio, il riferimento al regime fascista (che usava l’internamento come mezzo repressivo) scompare, trasfigurando quindi un ordine ben preciso in un vano “In seguito fu rinchiuso in un manicomio […]”

    La voce che invece rientra nel gruppo “Eccidi (o presunti tali) dei partigiani” che ho preso in considerazione è quella sull’immaginifico eccidio di Monte Manfrei. Non mi interessa dilungare il commento con un’analisi dei fatti di quei giorni (è una delle pagine a cui ho deciso di mettere mano, lasciando per ora un avviso di revisione nella talk). Analizzando esclusivamente gli edit di Jose Antonio, si può già intuire il revisionismo “Pansesco” che muove questo utente.

    Preciso che nella mia personale opinione questa pagina non ha motivo di esistere su it.wiki, ma c’è e fino al passaggio di Jose Antonio del 16 dicembre 2013, vi erano degli elementi che ravvisavano almeno il lettore della dubbiosità di questo presunto eccidio.

    L’incipit della voce recitava infatti: “La presunta esecuzione di collaborazionisti fascisti sul Monte Manfrei […]”. E ancora “Nell’immediato dopoguerra nostalgici fascisti, abitanti di Vara e Urbe riferivano di una mattanza avvenuta in località Monte Manfrei[1]. Tali testimonianze, mai suffragate da documenti ufficiali, diedero la ricostruzione: 70 soldati della Divisione San Marco vennero uccisi in quel luogo dopo che l’Ufficiale in comando pattuì, a guerra finita, il disarmo dei propri uomini coi partigiani[2].”

    Inoltre il primo paragrafo si chiudeva così:“Tali “testimonianze” vennero deliberatamente rilasciate dai filo-fasciti dopo la fine della guerra per dare meno risalto all’eccidio del Turchino a cui contribuirono.”

    Ma ecco che dopo la “visita” di Jose Antonio, di questo primo paragrafo rimangono soltanto le affermazioni (non confermate da nessuna fonte a corredo) proprie della memorialistica repubblichina. Aprendo la pagina il lettore può inorridire davanti alla violenza partigiana: “L’eccidio di Monte Manfrei avvenne […] una mattanza avvenuta in località Monte Manfrei[1]. [Le] testimonianze permisero una parziale ricostruzione degli avvenimenti: 70 soldati della Divisione San Marco furono uccisi in quel luogo dopo che l’Ufficiale in comando pattuì, a guerra finita, il disarmo dei propri uomini coi partigiani[2].

    In questo primo passaggio c’è da rilevare come la pagina Divisione San Marco, a cui il link proposto rimanda, non v’è traccia dell’eccidio, nonostante ci sia un intero capitolo che riguardi l’inquadramento e le missioni della divisione nella RSI.

    Altra notevole modifica effettuata da Jose Antonio riguarda il box [?] che contiene un sunto dell’accaduto. Dove prima si poteva leggere che l’eccidio di Monte Manfrei è una “presunta esecuzione” di “circa 70 militi della divisione San Marco (mancata ufficialità)” dopo la “rosicata” del topolino, diventa una “esecuzione sommaria” di “almeno 70 militi della divisione San Marco”.

    Ovviamente non provate a chieder conto di fonti a sostegno di queste affermazion. Fidatevi no?

    Il 27 dicembre 2014 un utente anonimo inserisce la cifra di 200 militi uccisi nel box informazioni, affermazione che Jose Antonio corregge il 24 giugno 2016 nonostante sia già passato dalla voce 6 volte con importanti edit. Abbiamo però qui il vero colpo di genio dell’ormai ex-utente: l’ipotesi di 200 militi morti e seppelliti in fosse comuni di cui tutti erano a conoscenza ma che nessuno ha mai trovato (dove diavolo ho già sentito questa storia?) è suggestiva, ma poco spendibile “storiograficamente”. Meglio lasciare nel box la cifra di “61 militi della divisione San Marco accertati” mentre nel testo si può instillare il dubbio nel lettore inserendo la locuzione “200 soldati della Divisione San Marco furono presi prigionieri”.

    Allo stato attuale, la voce ha un’unica fonte a corredo, un articolo de Il Giornale, che verte su un’intervista di Maria Vittorio Cascino a Michele Giusto, presidente della Onlus “Croce al Manfrei”, già soldato della RSI inquadrato nella IX Compagnia Autonoma Cacciatori di Carri Divisione “Etna” GNR.

    I libri della sezione Bibliografia già da soli bastano a dare un inquadramento tutto nostalgico alla voce.

    Da questi due semplici esempi si può, qualora ce ne fosse ancora bisogno, mettere a fuoco l’impronta che Jose Antonio vuole dare all’enciclopedia libera. Sminuire le biografie degli uomini che parteciparono alla lotta armata per la liberazione dal nazifascimo, togliendo riferimenti ed instillando il dubbio nel lettore sulla loro condotta. Al contempo ingigantire a dismisura i presunti “lati oscuri” della resistenza, anche dove questi sono palesemente infondati, per presentare i valorosi combattenti per la patria come vittime dei sanguinari assassini partigiani.

    • Vorrei aggiungere, perché non riesco a farne a meno e ringrazio di poterlo scrivere qui e non rischiare la mia utenza su wikipedia, il trattamento Josè Antonio della voce Don Minzoni: https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Minzoni&type=revision&diff=85960707&oldid=85675474
      Dove: Introduce il link alla sua voce capolavoro https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_del_Castello_Estense_(1920) dove uno scontro tra bande armate viene definito “eccidio” in modo che possa fare da contraltare a quello “vero” del ’43.
      Poi sottolinea come fosse amicone del comandante della milizia di Argenta, Raul Forti, mandante del suo omicidio, e che rifiutasse di fare il cappellano della MVSN perché troppo piena di comunisti!
      Ciliegina finale: Don Minzoni fu accarezzato solo con un comune “bastone da passeggio”, colpa sua che c’aveva il cranio debole che si sfondò tanto facilmente.
      Il massimo è la fonte di tutte queste preziose informazioni: Vincenzo Caputo (sottotenente della GNR), Il caso don Minzoni, Edizioni Settimo Sigillo. Fantastico far scrivere della morte di Don Minzoni solo alla parte dei suoi assassini, un vero capolavoro.

    • Sto provando imbarazzo persino io nel leggere le varie pagine di discussione che sono scaturite su wiki.
      Ora, a prescindere da Presbite, nessuno ha provato ad analizzare i “contributi” di Josè Antonio alla luce di tutto ciò che è stato descritto qui dentro per quale ragione? Malafede o perché sono intrappolati in una nebbia di autoreferenzialità e autarchia talmente fitta da non essersi neanche accorti dell’oggetto dell’inchiesta?
      Sì che è pure scritto bello grande nel titolo, non dovrebbe essere difficile.

      • Io intendo farlo. Mi impegno (con me stesso) a farlo. Mi sembra doveroso farlo. Però lavoro. Il mio lavoro mi impegna molto e devo commisurare un tempo per prendere aria. Sarà una cosa faticosa e per me istruttiva, ma devo lavorare.

        Sai quanto sta influendo positivamente vedere gente con l’orologio al polso che dice “allora? L’inchiesta è stata pubblicata già da n minuti!”

        Zero.

        Parlare poi indistintamente di malafede o autoreferenzialità è fare di tutto … il fascio… un’erba.

        • Sarebbe bastato l’1% di quanto ha fatto Jose Antonio per dare il blocco infinito a quell’utenza.

          Anzi, sarebbero bastati gli esempi segnalati qui su Giap a partire dal 2014, in inchieste dove già si parlava di JA e che molti wikipediani, te compreso, avevano letto.

          A tutt’oggi, basterebbe un controllo rapido a poche voci, a cominciare da quella su don Minzoni.

          Questo continuo esagerare a priori fatiche e difficoltà di un fact-checking, prefigurando chissà quali incredibili ricerche da topi d’archivio, ricerche per condurre le quali bisognerebbe prendersi chissà quali periodi sabbatici, è uno dei “tic” che fa sbuffare quanti, da fuori, vedono lo spettacolo di inazione in scena su it.wiki in queste settimane, più statico e noioso di un film di Jean-Marie Straub.

          «Gente con l’orologio al polso»? Da cinque settimane, su it.wiki Jose Antonio è l’Innominato. È impressionante quanto si faccia per non menzionarlo.

          Anche Presbite è da blocco infinito: cita al solo scopo di far numero fonti che non è in grado di leggere, rimpolpando la lista con altre pubblicazioni prive del minimo valore scientifico; piega le fonti più serie alla propria agenda ideologica; difende con le unghie e coi denti la presenza di falsi storici nelle “sue” voci; parla di qualche centinaio di voci come se ne avesse il copyright; è responsabile di un soverchiante numero di attacchi personali; dulcis in fundo, adotta precise strategie (alcune delle quali analizzate sopra) per condurre ogni discussione a un punto morto. E così rimane “indefenestrabile”.

          Pequod, tu chiedi a tutti noi e alle più vaste moltitudini di aiutare a migliorare Wikipedia. Ma per poter accogliere quell’invito, gli invitati dovrebbero vedere, da parte della comunità già esistente, qualche segnale concreto di buona volontà e buona lena, perché la situazione è gravemente, documentatamente compromessa. Invece le risposte dall’interno della comunità non sono un bel vedere. Detta come va detta: sono desolanti.

          Assistendo alla pièce di attori svogliati in un teatrino allestito tra le macerie della memoria pubblica, a poca gente viene voglia di unirsi alla filodrammatica.

          Il blocco infinito ai sunnominati mazzieri sarebbe un bel segnale. Ho però poca fiducia che venga dato, stante l’andazzo.

          • Non so, è strano, se non erro ho nominato l’innominabile al mio primo (o secondo?) intervento sulla discussione al bar su “La strategia del ratto”. L’ho rinominato più volte. Se non riusciamo a concordare nemmeno su elementari dati di fatto… Del resto, stando alla tua interpretazione, questa inazione a cosa è dovuta? A un complotto wikigiudaico degli utenti? Ma perché? Il punto è che la cosa comporta davvero studio e attenzione, pena il prendere Giap per oro colato. Cosa che non credo tu voglia. Non so, per me non è una passeggiata. Non ho timori per la mia utenza, se è questo che pensi. Di craniate con i cammellati me ne sono date tante. Montesacro era molto competente. Io no. A me costa tempo, ti prego di credermi. Come a Montesacro, moltiplicato per n. E non voglio credere che l’inchiesta di Nicoletta sia stata sbrigativa. Accetto di buon grado l’accusa di svogliatezza, ma sui risultati magis amica veritas. Peraltro il mio contributo a wp non è sub condicione. Il vostro, a tuo dire, sì. È “libera” anche in questo senso.

            • «Non so, è strano, se non erro ho nominato l’innominabile al mio primo (o secondo?) intervento sulla discussione al bar su “La strategia del ratto”»

              Dopodiché, cos’è successo? Se ne è discusso? No, e si è smesso di nominarlo.

              «Del resto, stando alla tua interpretazione, questa inazione a cosa è dovuta?»

              Nelle inchieste di Nicoletta ci sono molti elementi utili a dare una risposta: col tempo è stato costruito un dispositivo che è difficile, molto difficile, cognitivamente oberante mettere in discussione. L’utente wikipediano attivo che ha ormai una certa “storia” dentro il dispositivo, non riesce più a vedere quest’ultimo da fuori, e tende a cercare tutte le risposte dentro, anche per problemi palesemente causati dal funzionamento del dispositivo stesso.

              Per “dispositivo” intendo la “costituzione materiale” di Wikipedia, che è diversa da quella formale. I “cinque pilastri” e altri precetti scritti nero su bianco sono la teoria, poi ci sono le prassi reali consolidate: un intricato e sempre più stringente reticolo di precedenti impliciti, procedure preferite, retoriche tipiche, rapporti di forza sedimentati.

              Il fatto che JA abbia potuto avvelenare i pozzi per anni, insudiciando centinaia di voci, dimostra che molte cose (non alcune: molte) sulla Wikipedia in lingua italiana non hanno funzionato.

              Il fatto che per anni uno come JA abbia potuto passare per un “bravo wikipediano” perché ha dato tanti contributi al progetto è già stato analizzato da Nicoletta nell’inchiesta qui sopra. La prevalenza del quantitativo sul qualitativo fa pensare a un quasi-gesuitico «tutto alla maggior gloria dell’enciclopedia!». Ma non c’è solo questo.

              A essere saltati per aria sono i meccanismi di autodifesa e autocorrezione dell’enciclopedia. O meglio: hanno funzionato, ma con la finalità opposta a quella per cui erano stati pensati. Intendo dire che JA e i mazzieri usano tutti gli strumenti in dotazione per proteggere una voce, ma li usano per presidiare il proprio operato e mantenere il loro POV.

              Tutto questo è stato fatto, diciamolo come va detto, in barba agli altri utenti. Che adesso si ritrovano a contemplare lo sfascio. Come ha scritto qualcuno oggi su Twitter: «Su it.wiki tutta la storia del Novecento è compromessa». Una devastazione enorme. I wikipediani intellettualmente disonesti si rifiutano di guardare, quelli intellettualmente onesti – come te – guardano ma faticano ad accettare la realtà: quel che è accaduto non può che rimettere in discussione dalle basi l’idea di Wikipedia che si erano fatti.

              Da qui l’indecisione e l’inazione. Anche di fronte a evidenze implacabili.

              Mi rendo conto che è difficile andare contro le consuetudini, capisco tutto, ma non sarà qualche ritocco cosmetico alle linee-guida a risolvere la questione. Senza il riconoscimento di un conflitto, un conflitto non da rimuovere ma da praticare per cambiare i rapporti di forza, un conflitto a cui far seguire un ripensamento radicale, temo non si vada da nessuna parte.

              • Dimenticavo: non è tanto un problema di «nostro contributo sub condicione», anche perché non parlavo solo e specificamente di «noi». È più generale. È proprio che non vi rendete conto (o sottovalutate) che i benintenzionati appelli a partecipare sono destinati a cadere nel vuoto, perché – come si diceva nella mailing list di Nicoletta Bourbaki – sono contraddittori e attivano qualcosa di simile a un «doppio legame». Semplificando molto: «Che cazzo vuoi? Vieni anche tu!»

                In parole povere: se chi è su it.wiki non crea un ambiente in cui sia desiderabile intervenire, continuerà a intervenire poca gente. Inutile lamentarsene.

                • Sul «doppio legame» wikipediano, dalla discussione interna al gruppo Nicoletta Bourbaki:

                  —–

                  Comunque sono veramente delle sagome, guardate questo:

                  «OK, @Marcok, allora lo blocchi tu Bramfab? Perche’ ci sono diverse accuse dettagliate nei suoi confronti, che poi a guardarle non stiano minimamente in piedi e’ un altro discorso. Il Pov di alcuni, tra cui in particolare appunto JA, e’ ben chiaro da anni, cio’ non toglie che le cose pero’ vadano affrontate seriamente e non fidandosi acriticamente (come sostanzialmente fa la Stampa) di quello che viene scritto da un collettivo che ha un altrettanto forte POV in direzione contraria.–Sandro_bt (scrivim) 23:45, 15 mar 2017 (CET)»

                  Il problema Jose Antonio è «ben chiaro da anni» dentro Wikipedia (ammissione grave) ma le cose vanno «affrontate seriamente». Peccato che in questi anni non le abbia affrontate nessuno.

                  Il problema c’è, ma segnalarlo è sbagliato. Perché?

                  Perché Nicoletta ha a sua volta un POV [point of view].

                  Solo che Nicoletta agisce fuori da it.wiki, dunque siamo alle solite: si pretende che anche nel mondo esterno tutti si comportino secondo le regole di it.wiki. Si confonde l’impresa di scrivere insieme un’enciclopedia con il discorso pubblico generale.

                  Nel mondo esterno, «point of view» è semplicemente il punto di vista. Se ne deduce che i problemi li può segnalare solo chi non ha un punto di vista. Di chi potrebbe trattarsi? Di qualcuno in coma, forse.

                  Che senza un punto di vista non sia possibile nemmeno porselo, un qualsivoglia problema, è un’aporia di cui non ci si rende conto.

                  L’appello continuamente rivolto all’esterno «non criticate da fuori, venite a lavorare su Wikipedia, cambiate le voci» produce un double bind e ha effetti paralizzanti.

                  Se si rimane al significato letterale delle parole, il messaggio è di apertura, ma al tempo stesso il framing della questione e il modo in cui opera la comunità fanno passare un messaggio di chiusura: non è consentito criticare Wikipedia; idealmente, si dovrebbe parlare di Wikipedia solo su Wikipedia e con le regole di Wikipedia; addirittura si critica la violazione delle regole di Wikipedia fuori da Wikipedia, come se l’enciclopedia avesse preso il posto della realtà. 

                  Qualunque critica esterna ricompatta una comunità autoreferenziale, e l’immagine che questa dà verso l’esterno è quella di un sito “pesante” nel quale sarebbe cognitivamente dispendioso intervenire.

        • Salve,
          Sono intervenuto su wikipedia nella UP dell’utente Presbite per denunciare una precisa manipolazione, un vecchio edit alla voce “Istria”. Ciò che mi ha fatto specie è che l’edit incriminato è stato rivendicato a propria difesa da Presbite nel momento in cui gli è stato chiesto di rendere conto dei suoi magheggi intorno alla famigerata intervista a Gilas. Ma il punto è che quell’edit, come spiegherò in seguito, costituisce proprio la manipolazione più marchiana e genuina di Presbite, almeno le altre potevano essere attribuite a fonti terze.
          Ebbene, in risposta alla mia denuncia Presbite non ha negato l’omissione, ha anzi glissato cercando subdolamente di dirottare l’attenzione su una mia omissione a suo parere analoga alla sua, il classico argomentum ad hominem mascherato da innocente esempio. Ovviamente lo scopo di Presbite era spingermi a difendere i miei edit per spostare il focus della discussione dalla sua flagrante manipolazione, trappola per polli che ho deliberatamente ignorato sperando che si mantenesse il punto. Per giorni non si è mossa una foglia sicché ho perso di vista il tutto finché, qualche giorno fa, ho notato uno sviluppo.
          Sono trasecolato: l’admin Bramfab, anziché discutere sulla manipolazione – ovvero l’incongruenza tra quanto editato da Presbite e la fonte riportata a sostegno dei suoi edit – ha messo in discussione la fonte…
          Ricapitolando: nella voce Istria si sostiene A (gli iugoslavi hanno intenzionalmente cacciato gli italiani), un altro utente chiede una fonte per sostanziare questo assunto, richiesta che presbite ritiene di soddisfare inserendo B (l’intervista a Gilas, manipolata nella posta di Montanelli), la controparte ritiene il collegamento A-B alquanto debole, a difesa del quale presbite chiude la questione inserendo C (ovvero un passo di Pupo estrapolato da un capitolo in cui in realtà si spiega proprio l’inconsistenza storiografica del collegamento A-B!). Nella UP di Presbite io sono intervenuto a denunciare la manipolazione contenuta nel concatenamento A-B-C, manipolazione che Presbite si è ben guardato dal negare e così anche Bramfab che è intervenuto mettendo solo in discussione C, come se fossimo ancora nella talk della voce e non nell’UP di Presbite a discutere su quel proditorio collegamento. Stavo per intervenire perché ritenevo particolarmente grave questo depistaggio essendo stato compiuto da un admin a copertura di una manipolazione, peraltro un admin in fase di riconferma, al che mi sono accorto che Bramfab in realtà ha potuto discorrere di tutt’altro grazie al gancio offertogli da un altro admin intervenuto poco prima, Pequod, che suppongo essere lo stesso commentatore intervenuto anche qui su Giap. Insomma era Pequod che a monte ha depistato dalla manipolazione 1) sostenendo che non è una manipolazione (una negazione dell’evidenza confortata sostanzialmente da un’indebita visione ex-post della questione: la manipolazione non c’è più in nso quindi nascondiamola pure sotto il tappeto alla bell’e meglio), 2) parlando d’altro, ovvero discorrendo dell’opportunità di lasciare lì la citazione di Gilas (mettiamola sotto il tappeto e poi buttiamo via tutto, tappeto compreso), come se appunto fossimo nella pagina di discussione della voce Istria e non in quella di indagine sul comportamento di un utente.
          Lo spettacolo a cui ho assistito è quello di due admin che agiscono di concerto per insabbiare la manipolazione di un utente. Se il coinvolgimento di Bramfab non mi stupisce più di tanto (mi pare evidente che egli difenda il pov di Presbite) mi sorprende invece quello di Pequod il quale interviene qui su Giap rivendicando la sua missione di “controllo democratico” all’interno di wikipedia e si prende solenni impegni di bonifica dalle manipolazioni.
          Non so se Pequod sia in malafede o meno, sta di fatto che lui è stato l’artefice primario di quell’insabbiamento. Come mai? Io ho una teoria in proposito…

  12. Continua a risultare incomprensibile che in it.wiki non solo non siano state aperte procedure che chiamino in causa l’utente Jose Antonio per i suoi edit, che nulla sia stato modificato nelle voci in cui è registrata la sua assidua presenza. Neppure nelle voci in cui sono state indicate falsificazioni di fonti. Serve forse altro materiale? Altri esempi di scorrettezza dell’utente?

    Favoriamo a lettrici e lettori un altro caso di voce, sai mai che anche la comunità wikipediana arrivi a prendere atto che Jose Antonio è un problema per la sua scorrettezza in qualità d’utente e alacre contributore dell’Enciclopedia libera.
    Nel post più volte si è fatto riferimento alla “sotto enciclopedia repubblichina”, quell’insieme di voci, perlopiù biografiche, dedicate a personaggi che hanno avuto ruoli o incarichi nella repubblica fantoccio di Salò. Anche nella scrittura di queste voci l’uso delle fonti è manipolatorio, oppure (come per la stessa strutturazione delle voci) espressione di uno smaccato POV. Ne prendo pertanto in considerazione una, anche perché viene citata en passant nel post. La voce è quella relativa ad Aldo Resega, federale fascista di Milano dal 13 settembre 1943, quando ricostituì la sezione del PNF milanese, al 18 dicembre dello stesso anno, quando venne ucciso in un’azione di uno dei primi nuclei dei GAP, guidato da Egisto Rubini.

    Tutta la costruzione della voce è facilmente riducibile a due punti focali che si intersecano: dimostrare l’irresponsabilità e la codardia dei gappisti, rappresentare Resega come innocuo e dagli atteggiamenti moderati nello svolgimento delle sue funzioni di capo del PNF milanese.

    Se l’ombra scura sui GAP viene introdotta tra le righe, per dare forza alla rappresentazione di Resega moderato, Jose Antonio mette mano a tutto il suo armamentario.
    Riporta una testimonianza di Renzo Montagna, a capo della polizia della RSI dall’ottobre 1944, senza specificare nulla sul suo conto e badando di non inserire il collegamento alla relativa voce. Tempo un paio d’ore e la citazione viene poi attribuita a Carlo Silvestri – autore di Mussolini, Graziani e l’antifascismo (Longanesi 1949) – che a seguire un utente fa notare in voce essere «giornalista vicino a Mussolini», notizia “sfuggita” o ritenuta superflua da Jose Antonio.
    Si prosegue con l’inserimento di una citazione dal “testamento spirituale di Aldo Resega”, tratto da L’ultimo federale. Memorie della guerra civile 1943-1945 di Vincenzo Costa. Anche qui non una parola per presentare Costa, così come nuovamente non viene inserito il collegamento alla relativa voce. Costa fu il successore di Resega come federale di Milano, condannato per collaborazionismo nel dopoguerra e poi amnistiato; come riportato nella voce a lui dedicata: «fondò il “Comitato per le onoranze ai Caduti e dispersi della Repubblica sociale” e nel 1966 si fece promotore della costituzione nel Campo Dieci, detto il “Campo dell’Onore” in cui trovarono sepoltura i caduti della Repubblica Sociale Italiana e dove alla sua morte volle essere sepolto».  Per inciso, nella stessa voce è imbarazzante leggere come venga presentato come un benefattore per il quartiere Rogoredo di Milano.
    Jose Antonio non accenna al fatto che si tratta di memorialistica, si premura invece di evidenziare che il volume di Costa è pubblicato dalla casa editrice il Mulino, sul sito della casa editrice il volume è così presentato:

    Le memorie di colui che resse la federazione fascista repubblicana di Milano nell’ultimo anno della Repubblica di Salò sono uno dei più rilevanti documenti venuti alla luce negli ultimi anni sulla guerra civile italiana. Costa si trovò fra coloro che governavano Milano e provvedevano ai più vari aspetti della vita cittadina: dalla lotta ai partigiani ai rifornimenti, dai rapporti con i tedeschi al funzionamento delle fabbriche; la sua testimonianza è dunque una fonte di notevolissimo interesse per la conoscenza di quel drammatico periodo di storia italiana, e soprattutto per ciò che concerne l’ultimo mese di guerra e i giorni estremi della vita di Mussolini.

    Allo stesso modo Jose Antonio, evidentemente intenzionato a dare una veste presentabile alle fonte, riporta che il volume è stato curato da Renzo De Felice, mentre invece De Felice parrebbe che ne abbia raccomandato la pubblicazione («è stato Renzo De Felice a cogliere l’importanza storiografica dello scritto di Costa, raccomandandone la pubblicazione… le sue memorie sono un documento importante per fare luce sugli ultimi giorni della Rsi», Gian Enrico Rusconi).

    Tutta la narrazione nella voce si sviluppa a partire da quanto riportato su Aldo Resega in Storia della Guerra Civile in Italia 1943-45, nella voce infatti si legge: «Secondo Giorgio Pisanò, Aldo Resega nei tre mesi in cui fu capo del fascismo milanese si impegnò per mantenere uno stato di relativa normalità nella popolazione cittadina, bloccando gli eccessi degli squadristi.»

    Al di fuori di questo inciso, nulla viene riportato a proposito di quel che successe a Milano «nei tre mesi in cui [Resega] fu capo del fascismo milanese». Eppure di cose ne successero, a partire da alcuni giorni prima della nomina di Resega a federale di Milano, almeno dall’8 settembre 1943.

    Tra 10 e il 12 settembre Milano venne occupata da reparti della divisione Waffen SS – Leibstandarte A. Hitler, che nei giorni successivi si distinsero per violenze e saccheggi. Un operaio della Pirelli venne ammazzato il 10 settembre nella zona della Stazione Centrale, in uno dei tentativi di opposizione armata ai tedeschi, e tre civili, più un quarto fucilato, vennero uccisi con l’accusa d’aver preso parte all’assalto di un magazzino militare abbandonato. Negli stessi giorni le SS, in reazione ai segni d’ostilità riscontrati nella popolazione, comunicavano la fucilazione di 13 comunisti rei di aver recuperato materiale della contraerea italiana nell’area di Milano.

    Il 13 settembre, come già scritto, Resega ricostituì la sezione del PNF milanese. Nella voce non si fa cenno al fatto che lo stesso giorno si era insediato all’hotel Regina il comando della Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst (da cui dipendeva la Gestapo). Nulla sull’avvio, nei giorni seguenti, della caccia a ebrei e antifascisti già schedati. Nessun accenno poi allo scontro interno al fronte fascista, tra chi come Resega si prodigava per la normalizzazione dell’occupazione nazista e l’accreditamento politico e sociale della neonata Rsi tra la popolazione civile e chi – come Franco Colombo, che negli stessi giorni formava la squadra d’azione Ettore Muti – si rifaceva allo squadrismo della prima ora, al primato della violenza per abbattere ogni forma di opposizione ai progetti della RSI.
    Nella voce nulla di tutto questo. Nessun accenno al contesto in cui il federale fascista Aldo Resega venne ucciso: «mentre è in corso un importante sciopero degli operai milanesi» (Santo Peli).

    Da quanto sostenuto da Pisanò si passa rapidamente a saldare i due punti focali – la “moderazione” di Resega, l’irresponsabilità e la codardia dei GAP – su cui Jose Antonio ha costruito l’intera voce: «l’atteggiamento moderato di Resega lo rese agli occhi dei partigiani gappisti un obiettivo privilegiato al fine di innescare nel capoluogo la guerra civile».

    Qui si apre un’altra questione, l’uso manipolatorio di fonti non smaccatamente di parte. In questa frase (così come attualmente è riportata nella voce) e in quella successiva in cui si riporta di spari sul corteo funebre di Resega, Jose Antonio si fa forte del riferimento a tre diverse fonti: La pupilla del duce, di Masimiliano Griner; L’ombra nera, di Gianni Oliva; La repubblica di Mussolini, di Giorgio Bocca. Di ognuna riporta lo stralcio di una frase che dia conferma a quanto riportato in voce. Se pensiamo per metafora a un libro come a un film, a Jose Antonio il film intero non interessa affatto, ma nemmeno le singole scene, mentre si concentra e proietta solo i singoli fotogrammi. Qui siamo molto oltre la mistificazione della complessità. I riferimenti e i virgolettati sono correttamente riportati nella voce, ma sono completamente decontestualizzati. Senza dilungarci molto è sufficiente leggere i sottotitoli dei volumi citati per comprendere in quale quadro generale è riportata l’affermazione su Resega moderato, sarà per questo che Jose Antonio nei riferimenti bibliografici non li riporta: nel caso del volume di Grimer, La legione autonoma Ettore Muti; nel caso di Oliva, Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più.

    Veniamo alla frase sui funerali di Resega: «[…] il corteo funebre fu attaccato dai partigiani che spararono sulla folla intervenuta.»

    In questo passaggio Jose Antonio inserisce come fonte il volume di Bocca, riportando questa citazione in nota: «L’indomani il terrorismo arriva puntuale all’appuntamento: un gappista spara da un tetto sul corteo funebre di Resega, dal basso rispondono con una sparatoria caotica…». Nella formulazione che riporta in voce predilige dar credito a quanto riportato da Grimer («Gli stessi funerali del federale furono trasformati in un’occasione per esacerbare gli animi quando la folla che seguiva il feretro in piazza Duomo fu fatta segno di colpi di arma da fuoco sparati da cecchini appostati nelle vicinanze») e in effetti quel «un gappista spara» e la «sparatoria caotica» di risposta da parte fascista sono meno spendibili nel suo disegno della versione riportata di Grimer. Perché allora far comunque riferimento a Bocca? Sicuramente per quel suo riferimento al «terrorismo arriva puntuale all’appuntamento». Vuoi non spendere in voce la qualifica di terroristi affibbiata ai GAP dal partigiano Bocca? Sia mai.
    Al di là della scelta specifica di Jose Antonio, questo è un caso utile per mostrare la banalizzazione di temi centrali nella storia e nella storiografia sulla resistenza. Claudio Pavone ha scritto: «nella pratica del terrorismo urbano – il cui strumento principale furono i Gap – vengono in evidenza alcuni dei più intricati nodi politici ed etici della lotta resistenziale». E sull’azionista Bocca – che stigmatizzò e giudicò sempre negativamente, nelle vesti di scrittore di saggi storici il ruolo dei Gap – Santo Peli nel suo La Resistenza in Italia scrive: «Il fatto che i comunisti si siano assunti la responsabilità delle rappresaglie come costi ineliminabili che valeva la pena di pagare, non dimostra, di per sé, la cinica premeditazione di provocarle volutamente e scientificamente, in una sorta di “autolesionismo premeditato”» (p. 252). Nella voce quel che Jose Antonio fa emergere è proprio la rappresentazione dei gappisti come spregiudicati quanto irresponsabili (e pure codardi nella scelta dell’obiettivo) sicari, una monodimensionalità avvilente.

    Jose Antonio non solo omette di inserire informazioni, ma quando è un altro utente a intervenire in voce con un edit che indebolisce il suo frame, attende il momento in cui le condizioni gli sono favorevoli e interviene per “aggiustare il tiro” degli edit a lui sgraditi, se non revertando (ossia annullando) le modifiche. Così quanto riportato da Demostene119 – il 17 ottobre 2010 – viene “aggiustato” con una vera e propria acrobazia logica da Jose Antonio il 15 aprile 2013: all’annotazione, riportata in voce, che a seguito dell’omicidio di Resega furono fucilati per rappresaglia 8 antifascisti del tutto estranei ai fatti, il Nostro aggiunge “nonostante il desiderio di Resega di non procedere a rappresaglie”. Oppure, quando Lupo Silenzioso cancella parte della voce giustificando il suo intervento nell’oggetto della modifica – “(I gappisti non cercavano la guerra civile, che d’altronde era già in atto. Le fonti citate in proposito sono decisamente faziose e dunque non adatte a wikipedia.)” –, la risposta di Jose Antonio è, appunto, il revert.

    Per conoscere i trascorsi fascistissimi del Resega, un cursus dishonorum che risale allo squadrismo ante marcia su Roma, fortunatamente c’è un edit di Jose Antonio che – per evidente eterogenesi dei fini – qualcosa racconta, però tocca avere lo stomaco di aprire un link a una fonte come l’Associazione Memento.

    Chiudiamo con l’unico libro che compare nella sezione “Bibliografia” della voce (in un caso, anche fonte): Uomini di un tempo di Giuseppe Rocco. Inserito da Jose Antonio il 22 luglio 2015, senza indicazione della casa editrice, dell’anno di pubblicazione, nulla. Ma non ci vuole troppo impegno per recuperare qualche informazione su questo libro. Edito da OrionLibri («sito dedicato alla vendita di libri e alla diffusione di materiale editoriale sulla cultura antagonista e il pensiero non conforme») il volume è così presentato: «Ritratto di alcuni fra i migliori protagonisti del Fascismo, scritto da un allora giovane fascista, e ritratto di alcuni fra i migliori e più gloriosi reparti combattenti RSI».

    Vi consiglio fortemente di dare un’occhiata su Google Books al libro (link suggerito gentilmente da Jose Antonio in un edit e poi da lui stesso corretto velocemente), l’effetto è stupefacente. Cliccare per credere.

  13. Dopo circa un mese di letture qualsiasi tribunale chiuderebbe il caso. Non ho ben capito l’opinione di Pequod sul caso in questione e mi pare che membri attivi della comunità wikipediana abbiano o un’idea abbastanza sballata della loro rilevanza intellettuale o sin troppo precisa della loro rilevanza politica.
    Partiamo dalla prima. Nessun ricercatore appena appena decente si sognerebbe di utilizzare come fonte di una qualche ricerca wiki. Ci si approccia all’enciclopedia come vago inizio e con una diffidenza che non potrebbe essere più ampia manco volendo. In genere il ricercatore ha un minimo di background che gli consente abbastanza rapidamente di vedere le incongruenze, come appunto tutte le voci che via via sono state indicate. La difesa di Pequod da questo punto di vista è assurda, come tutto il discorso sull’anonimato che sarebbe legato sia ad una pretesa oggettività – discorso chiuso da tempo da parte dei ricercatori “seri” che in genere danno per pacifico l’adozione di un punto di vista da tenere sotto controllo con gli strumenti propri della ricerca sociale ma non certo ineliminabile in qualche modo – sia ad uno status diverso di WP rispetto alle enciclopedie classiche (in effetti è diverso: quelle classiche hanno ben altro prestigio). Le voci segnalate sono ridicole non (solo) per via del POV ma perché mancano di metodo. La sciatta furbizia della citazione decontestualizzata non passerebbe mai se ci fosse, per esempio, un “responsabile della voce” la cui autorevolezza finirebbe con l’essere intrecciata con la serietà della voce. En passant è a questo che serve la mancanza dell’anonimato. De Felice può scrivere quello che vuole, così come Pavone, ma firmano i loro contributi e il lettore ha un’informazione in più di una certa rilevanza. L’anonimato, in questo caso, gliela sottrae. Al ricercatore non fa né caldo né freddo per l’utente dell’enciclopedia è un balordo imbroglio.
    Ma, e immagino sia questo il motivo dell’interesse, wikipedia ormai viene acriticamente consultata da soggetti che poco hanno a che fare con la ricerca scientifica e molto con l’attività politica. Tant’è che – come si pregiano i wikipediani – alcune loro voci sono riprese pari pari da enti e istituzioni i cui funzionari sono il risultato della selezione avversa che da anni ormai è presente nelle amministrazioni italiane. Questo nella migliore delle ipotesi, perché nella peggiore utilizzano wikipedia consapevolmente, solo per cercare una qualsiasi pezza d’appoggio che non dia fastidio/faccia piacere al referente piddino o pentastellato di turno. E in questo si “salda” la relazione dei wikipediani con le amministrazioni (soprattutto locali) ed è di buona lucidità l’idea di questa galassia neofascista di colonizzare pezzi di WP.
    Sulla strategia c’è poco da dire, se si vedono per esempio le varie procedure aperte negli anni a carico del nostro presbite si può vedere come da una parte c’è un gruppo mutevole di utenti e dall’altra un gruppo riconoscibilissimo. Dal punto di vista intellettuale è davvero poco interessante, ricorda la vecchia tecnica assembleare di “rimanere fino a mezzanotte” quando molti dei partecipanti ai dibattiti si sono stufati (avevano il fidanzato/la fidanzata, la cena, il cinema) e restavano i “motivati”, che si riposavano tranquillamente per tutto il pomeriggio e al momento della votazione facevano passare la loro posizione. Se funziona, come sta funzionando, è anche grazie alla beata ingenuità (si spera) di utenti come Pequod o come Yuma, che si interrogano pensosamente sul significato di “manipolazione” ancora una volta perdendo di vista persino il motivo del loro stesso impegno. La chiamata alla armi di chi sta all’esterno c’entra pochino, secondo me, perché se si sta fuori un motivo c’è. Io ho provato un paio di volte di correggere alcune cretinate del mio campo specifico (il potere locale) sono state cancellate e ho lasciato perdere, le cretinate sono scritte pure in molti libri mica mi metto a contattare l’autore. Il modello “scientology” (“dai fratello, vieni a discuterne mercoledì”) lo lascerei a chi si occupa del trascendente.
    Quelle voci verosimilmente resteranno così e sarà un problema, non l’ultimo e non il meno rilevante, e si cercherà di fare come sempre: segnalarlo in tutti i modi. Come tutte le comunità/organizzazioni (è Michels questo, mica un comunista) alla fine il vero obiettivo di chi ci sta dentro è la propria salvaguardia. La domanda finisce per essere se presbite & co. siano o meno funzionali alla salvaguardia della comunità. Temo che la risposta sia sì. Problemi di chi ci resta (e un po’ anche nostri, come detto)

  14. Presbite si autosospende da it.wiki condendo il messaggio con quelle che parrebbero allusioni a vie legali (viene da pensarlo perché le aveva già evocate in passato). Se intende querelare Giap, sappia che siamo usi a simili circostanze, sappiamo come difendere il nostro diritto di critica, sappiamo riconoscere – da alpinisti molotov quali siamo – una presa sicura da una drammatica mancanza di appigli.

    • L’avevo detto che non avrebbe pagato dazio. Con questa mossa, l’uomo che volle farsi re dell’Adriatico Orientale – wikipedianamente parlando, s’intende – fa chiudere la discussione sul suo operato, che si stava facendo più perigliosa del previsto, ed evita sanzioni, per giunta ammantando di vittimismo tutta la sua militanza wikipediana. Ora raccoglie solidarietà da questo e da quello, nessuno sa per cosa, sulla fiducia. Un beau geste, anche di quelli a buon mercato, è come la pietra filosofale: tutto diventa oro colato. In realtà è pirite, ma ci si accontenta.

      Chi ha consigliato a Presbite questa via d’uscita (dev’essere accaduto questo pomeriggio) ha avuto una buona idea. E lui l’ha applicata piuttosto bene. C’è però da dubitare che rimanga davvero inattivo a lungo: «almeno un anno» suona più come un’iperbole; tutto potrebbe riprendere come prima ben prima.

      In ogni caso, ne esce malissimo tutta la community, che si è avvoltolata in modo cavilloso e inconcludente intorno al problema, e forse lo ha “risolto” (leggi: scansato) dietro le quinte, in qualche IRC, chat o mailing list. Per wikipedia, le discussioni di questa settimana resteranno una pagina nera. Anzi, grigia.

      E su Jose Antonio si continua a far finta di nulla.

  15. Radio Popolare intervista Wu Ming 1 su #Wikipedia e manipolazioni fasciste.

    Chiacchierata andata in onda stamattina alle 9:00 nella trasmissione «Il demone del tardi». Durata: 13 minuti. Buon ascolto.

    http://www.wumingfoundation.com/suoni/WM1_su_WIkipedia_RadioPop_28_03_2017.mp3

  16. La voce “Incidenti di Spalato” è una voce che sicuramente ha un “autore”. Si tratta di una voce creata e compilata quasi esclusivamente da Presbite, che ha scelto e impostato una particolare linea narrativa (quella della vulgata delle associazioni degli esuli) e l’ha poi resa “enciclopedica” con un uso spregiudicato delle citazioni delle fonti in nota. Una ricostruzione ben fatta di ciò che accadde a Spalato e in Dalmazia nel biennio ’19/’20 si può trovare in questo articolo di Claudio Silvestri del 1969, in cui lo storico inquadra e contestualizza la relazione dell’ammiraglio americano Andrews sulla sparatoria intercorsa tra l’equipaggio del MAS italiano e la gendarmeria jugoslava presso i docks di Spalato l’11 luglio 1920. Silvestri spiega molto bene come in Dalmazia non agisse solo la rivalità locale tra la vecchia borghesia italofona e l’emergente borghesia croata, entrambe imbevute di nazionalismo, ma la ben più importante politica imperialista dell’Italia, che cercava il suo Lebensraum nell’adriatico orientale. L’ammiraglio Millo, forte dell’appoggio della parte più guerrafondaia della borghesia italiana, si era costruito un suo personalissimo potere nella Dalmazia settentrionale, con la malcelata velleità di espandere l’occupazione italiana alle zone della Dalmazia non comprese nel Trattato di Londra. Le navi da guerra italiane a Spalato a questo servivano: a rendere completo ed effettivo il blocco navale contro gli jugoslavi, attuato tramite la confisca di tutto il naviglio militare e mercantile austroungarico – bottino di guerra che sarebbe spettato a tutti gli stati vincitori. L’ammutinamento di Millo divenne esplicito dopo l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio e dei reparti ribelli dell’esercito italiano: Millo dichiarò senza mezzi termini che non se ne sarebbe andato dalla Dalmazia nemmeno se le trattative di pace l’avessero assegnata alla Jugoslavia e se Nitti gli avesse ordinato la smobilitazione. L’incapacità di reagire del governo italiano fu denunciata da Salvemini in parlamento, tra (pochi) applausi e (molte) urla. In questo contesto, le scaramucce di Spalato, le continue risse tra nazionalisti croati e militari italiani in licenza, appaiono per quel che sono: il punto di attrito locale tra l’imperialismo italiano da una parte e il tentativo serbo di costruire il nuovo stato jugoslavo come potenza regionale dall’altra. L’ammiraglio Andrews, nella succitata relazione, affermava esplicitamente che se non ci fossero state le navi da guerra italiane, la situazione a Spalato sarebbe stata tranquilla. Gli incidenti di Spalato del luglio 1920 sono importanti, perché prendendo a pretesto la sparatoria dell’11 luglio, i fascisti triestini capeggiati da Giunta il 13 luglio incendiarono il Narodni dom di Trieste.

    L’articolo di Silvestri viene citato come fonte da Presbite, ma niente di quanto detto qua sopra compare nella voce. La linea narrativa seguita da Presbite è quella dell’atavico odio tra italiani e “slavi”. La voce è sostanzialmente un elenco di risse e di scontri di piazza tra nazionalisti croati da una parte e militari e/o patrioti italiani dall’altra, coi secondi ovviamente nel ruolo di vittime e i primi nel ruolo di carnefici. In tutta la voce non viene mai nominato Nitti, né il governo jugoslavo. Di D’Annunzio si parla in termini quasi poetici. Dell’ammutinamento di Millo non si fa menzione. Dell’insofferenza degli americani nei confronti dell’aggressività italiana non c’è traccia.

    L’intera voce è di fatto una manipolazione delle fonti citate, nel senso che le fonti vengono utilizzate solo come riferimento per alcuni dettagli, magari secondari, mentre la narrazione complessiva è farina del sacco di Presbite (e delle associazioni degli esuli). Nella UP di Presbite, attraverso la mia utenza TBPJMR avevo anche segnalato due manipolazioni puntuali, facilmente verificabili, che riporto qua di seguito.

    Parlando del comandande Menini, Presbite, citando le sue memorie, scrive:
    Amareggiato per l’atteggiamento del governo italiano – ritenuto troppo debole di fronte agli jugoslavi –, il comandante Menini aveva già richiesto a dicembre del 1919 di essere trasferito ad altro incarico. Respinta una prima volta la richiesta, questa venne successivamente accolta: il 9 febbraio venne avvicendato al comando del Puglia dal comandante Tommaso Gulli, già suo ufficiale in seconda nei primi mesi del 1919. 
    (n.d.r. In questa e nelle successive citazioni ho cancellato i numeri che rimandano alle note a piè di pagina, che sono comunque visibili negli originali linkati)

    Ma Silvestri, citando anch’egli le memorie di Menini, invece scrive:
    L ’amm. Andrews, un wilsoniano convinto, non gradiva infatti le intromissioni italiane nella zona sotto suo controllo, e neppure i  piani  espan­sionistici in Dalmazia dei Comandi militari italiani di   ispirazione filo­dannunziana, per cui più di una volta dovette  intervenire presso il comandante del «Puglia» per dirimere questioni sorte solo per la presenza dell’unità italiana a Spalato. Per evitare inutili attriti con gli Alleati, il governo Nitti doveva il 9  dicembre 1919 intervenire direttamente presso il comandante Menini,  ordinandogli di «occuparsi esclusivamente della protezione dei pochi regnicoli domiciliati a Spalato, e di evitare qualsiasi incidente». Ordine questo che implicitamente sconfessava tutta l ’azione fino ad allora svolta nella città dalmata dal comandante dell’unità italiana, il quale stimò op­portuno dare le dimissioni, divenute operanti due mesi dopo col suo ritorno in Italia.

    Le memorie di Menini non sono un testo di facile reperibilità, ma un controllo con google books permette di verificare che effettivamente Menini, nelle sue memorie, parla del dispaccio ricevuto da Roma. La seconda manipolazione che avevo segnalato è la seguente. Presbite scrive:
    La relazione ufficiale spedita qualche giorno dopo ai governi di Roma e Belgrado dall’ammiragio americano Philip Andrews – comandante delle truppe di occupazione alleate nella Dalmazia centro-meridionale – ricalcò sostanzialmente la ricostruzione di parte italiana (…)
    La fonte indicata è Silvestri. Il quale però scrive:
    Il rapporto Andrews rimane quindi l’unico testo ufficiale sui fatti di Spalato del luglio 1920 e sul loro svolgimento; e come tale merita la più attenta considerazione, anche perchè esso collima in molte parti con la versione che il cap. Menini, incaricato di riassumere il comando del «Puglia» dopo la morte del cap. Gulli, diede dell’accaduto nelle sue memorie.
    “Collima in molte parti” è diverso da “ricalcò sostanzialmente”, soprattutto perché il rapporto di Andrews è del ’20 e le memorie di Menini sono del ’25. E Andrews dice esplicitamente di aver proceduto nell’inchiesta in totale autonomia, senza voler ascoltare nessuna versione di parte italiana o jugoslava. Motivo per cui la sua relazione non ricalca alcunché. Questo dicono le fonti.

    Nella sua UP, Presbite difende la “sua” voce citando un’intervista di Raul Pupo a “Storia in rete” (sì, proprio la rivista di Mastrangelo…) in cui l’accademico triestino afferma:

    Wikipedia è una di quelle cose di cui noi professori parliamo sempre malissimo ma poi andiamo a consultare quando siamo di fretta. Sull’Enciclopedia libera ci sono anche voci ben fatte. Ne cito una per tutte, quella relativa agli “Incidenti di Spalato” del 1920. La trovo fatta benissimo e per me è un modello di voce enciclopedica.

    Per tutto quanto detto sopra, questa affermazione, più che un punto a favore di Presbite, è decisamente un punto a sfavore di Pupo.

    • Ciao Tuco
      Ma visto l'”endorsement” di Pupo non ti viene il dubbio che Presbite sia un suo allievo (credo che da qualche parte si sia vantato di star per laurearsi in storia) e che l'”endorsement” non sia per nulla casuale? Perché secondo me è la modalità operandi di Pupo ripetuta diverse volte. E spiego cosa intendo. Nella sezione riguardante le “Opinioni” del suo (e di Spazzali) “Foibe” inserisce tra “Le tesi militanti” anche Giorgio Rustia (pag. 123), caratterizzandolo come segretario dell’Associazione famiglie e congiunti deportati italiani in Jugoslavia e infoibati e definendo il suo libro Contro-operazione foibe “corposo” che avrebbe portato a numerose “contestazioni puntuali” di quanto scritto dalla Cernigoi in “Operazione foibe”. Poco più avanti, a pag. 126, c’è invece il capitolo intitolato “Negazionismo e riduzionismo”, in cui fa una serie di considerazioni senza citare nessun autore per nome, tanto meno specifica chi sarebbe negazionista e chi giustificazionista, ma aggiunge una nota in cui invita chi vuole approfondire a vedere i testi di vari autori, in primis naturalmente la Cernigoi. Di sfuggita aggiunge anche il mio nome, come autore della prefazione al suo libro (cosa verissima). Questo suo passaggio ha consentito che chi ci definiva negazionisti potesse richiamarsi al fatto che …lo diceva Pupo, uno storico accademico.
      Ma Pupo fa molto di più. Pupo ha pubblicato in una rivista storica che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere seria – i Quaderni del centro studi Vanoni di Trieste di parecchi anni fa (prima del 2000 credo) due articoli – uno di autore italiano e l’altro sloveno (la storica Nevenka Troha) sulla questione foibe. Il problema è che l’autore “italiano” è Giorgio Rustia, che viene in questo modo legittimato quale “storico” al pari della Troha. Cosa tanto più grave per il fatto che Giorgio Rustia all’epoca non era solo segretario dell’associazione citata da Pupo, ma anche presidente del ramo “culturale” di Forza Nuova a Trieste, il Centro studi Contropotere, nonché l’autore di un opuscoletto chiaramente negazionista sulla Risiera di San Sabba a Trieste (Un contributo alla verità sulla Risiera di San Saba, edito da: Centro studi storici della Guardia Civica di Trieste, Centro studi Contropotere, Associazione Congiunti deportati in Jugoslavia, Associazione amici e discendenti degli esuli istriani, fiumani, dalmati, Movimento nazionale Istria Fiume Dalmazia, Continuità adriatica; s.d.). Quindi un negazionista del giro di Forza Nuova legittimato quale storico dall’accademico Pupo. Accademico che continua su questa strada – quest’anno a tenere con lui i seminari per gli insegnanti del MIUR c’era Lorenzo Salimbeni, rossobruno ed eurasiatista nonché ex ducetto del gruppuscolo neofascita Generazione Europa (che ha avuto tra i relatori alle sue non molto partecipate iniziative anche il padre di Lorenzo, l’accademico Fulvio Salimbeni). Da quanto detto mi pare chiaro che non si tratta di “casi”, ma del fatto che Pupo si presta sistematicamente a dare legittimità storiografica a esponenti neofascisti più o meno scoperti, mentre bolla con l’infamante epiteto di negazionisti chi contesta le sue (e dei suoi amichetti) ricostruzioni.
      E’ un caso se nel capitolo dedicato agli “Altri negazionismi” della voce Negazionismo (https://it.wikipedia.org/wiki/Negazionismo)in wp – scritta nella sua versione attuale …. indovinate da chi? Dall’ottimo Presbite! – la fonte principe citata a sostegno del fatto che la Cernigoi sarebbe negazionista è il libricino di Pupo e Spazzali (per me e la Kersevan, che Pupo nemmeno menziona, utilizza l’escamotage che … l’avrebbe detto la Cernigoi che ci danno dei negazionisti, come a lei! Dimenticando tra l’altro che di negazionismo è stato accusato anche l’accademico Joze Pirjevec per il suo “Foibe, una storia italiana”, edito da Einaudi). Ma nella voce si cita tra gli “smascheratori di negazionisti” anche “..un ricercatore vicino alle associazioni degli esuli istriani, Giorgio Rustia…” che con il suo libro avrebbe contestato ” alla radice l’intera impostazione del saggio della Cernigoi, il numero delle vittime da lei proposto e inoltre ricostruì la storia personale di alcuni degli infoibati – non affrontata dalla Cernigoi – per smentire ipotesi di giustificazione sul loro infoibamento fatte da quest’ultima”. Invece di essere citato tra i negazionisti italiani della Shoah della stessa voce Negazionismo di wp Rustia diventa così “fonte” per bollare di negazionismo qualcun’altro.
      Il tutto legittimato dall’accademico Pupo, non da un nazi qualsiasi o da qualche giornaletto più o meno di provincia. Che ha fatto la stessa operazione fatta con Rustia e Salimbeni anche con Presbite.

  17. Salute a tutti, vi ho letto finora con grande interesse.
    Intervengo dopo il post di Tuco qui sopra sugli “Incidenti di Spalato” che dimostra – oltre ogni ragionevole dubbio – la disonestà intellettuale di Presbite e l’importanza di non mollare la presa.

    Cercando con poco sforzo se ne trovano altre, ve ne segnalo una abbastanza recente: La discussione sulla voce “Eccidio di Malga Bala”

    E’ interessante perchè:
    1) ci sono poche lenzuolate fumogene, tutto avviene abbastanza rapidamente e in modo lampante.
    2) Viene giocato tutto il repertorio Presbiteriano.
    3) L’utente che solleva educate obiezioni risponde ai maltrattamenti di Presbite pubblicamente e per le rime.

    In breve: Presbite si inserisce nella voce a Luglio 2016 con l’intento di riscriverla radicalmente giudicandola una schifezza.
    Incrocia i ferri con l’utente Il Tuchino che presidiava la voce fino a quel momento, lo doma coi soliti trucchetti e si accinge a cambiarla.
    Nel Febbraio 2017 un utente critica l’uso di una unica fonte, storiograficamente molto debole e viene bullizzato dal Presbite con tutto l’armamentario a disposizione.

    Molto istruttivo. Molto ignorato dalla pagina Dicono di me… di Presbite

    Ecco cosa dicono di lui:

    https://acutocomeunapalla.blogspot.it/2017/03/eccidio-di-malga-bala-ce-del-marcio-in.html
    https://acutocomeunapalla.blogspot.it/2017/03/eccidio-di-malga-bala-ce-del-marcio-in_27.html
    https://acutocomeunapalla.blogspot.it/2017/03/eccidio-di-malga-bala-ce-del-marcio-in_28.html
    https://acutocomeunapalla.blogspot.it/2017/03/eccidio-di-malga-bala-ce-del-marcio-in_29.html

    E le considerazioni successive sui pilastri di WP:
    https://acutocomeunapalla.blogspot.it/2017/03/i-pilastri-sono-marci.html

    Buona lettura.

    • Salve a tutti,

      Forse sono un po OT ma il commento di Piersante mi chiama in causa.

      Lo scorso dicembre ho pubblicato un lunghissimo (ma proprio “issimo”) post sul mio blog personale in cui svisceravo quello che in sostanza é il testo di riferimento alla versione “horror” dei fatti di Malga Bala: il libro “Planina Bala” di Antonio Russo. Il post espone punto per punto numerosissime criticità, illogicità, contraddizioni, interpretazione soggettive, manipolazioni e forzature inverosimili che rendono evidente che quel libro é del tutto inutilizzabile come fonte storica.

      Il post é citato più volte nella pagina di discussione della voce “Eccidio di Malga Bala” da..’utente Paolo, autore del blog linkato qui sopra da Piersante.

      Ho trovato interessante osservare la discussione per il modo in cui il mio post viene inquadrato. Da un lato l’utente Paolo lo segnala correttamente per quello che é: non una fonte né una ricerca storica ma un lavoro di analisi logica che evidenzia trucchi e contraddizioni di una fonte invalidandone del tutto l’attendibilità; mentre dall’altro Presbite é partito dalla premessa che il post dovesse essere trattato come fonte e quindi, provenendo dal misero blog di un signor nessuno, l’ha dichiarato non accettabile.

      Interessante perché tale posizione di partenza é il perno su cui ha fatto leva per bypassare il succo della questione (osservazioni logiche sul testo di Russo) e porre il discorso su binari del tutto fuori rotta (l’enciclopedicità di un blog) verso le maglie strette della burocrazia wikipediana.

      Citando Paolo dalla pagina di discussione della voce: “[…] un blog personale non sarà utilizzabile come fonte, ma la logica in esso contenuta può essere utlizzata per pesare la credibilità delle affermazioni contenute nel libro di Russo. E purtroppo i contenuti del libro di Russo mi pare non escano particolarmente bene da questo vaglio”.

      Anche se non si tratta di nulla di originale trovo sia comunque importante esporre i meccanismi usati per impantanare un discorso avverso [in questo caso: (1) spostarne i binari sull’ (2) appiattimento di oggetti diversi (fonte/analisi critica)]

      I “giochetti” di Presbite ovviamente non si son fermati qui ma il “cambiamento di binario” iniziale mi pare di certo quello più importante.

  18. Del tutto per caso e forse buona ultima mi sono imbattuta in questa roba qui:
    https://www.wikiberal.org/wiki/Constitution_du_24_juin_1793
    come per il rossobrunismo (cosa di cui in realtà so molto poco e quel poco per averlo letto qui) si tenta di costruire un’aria di famiglia, a partire dall’impaginazione e dalla citazione delle fonti, ma con un tono che lascia pochi dubbi. Tuttavia è così mainstream da poter diventare senza troppi sforzi una nuova enciclopedia se altrove l’aria cambiasse. Purtroppo tutta la discussione avvenuta sotto questo post dimostra che il rischio di essere messi in discussione certi autori troppo disinvolti non lo corrono. Ai manipolatori della storia su wikipedia la porta è lasciata aperta, anzi spalancata (la gerarchia per cui chi scrive più contributi diventa più autorevole di un altro è semplicemente dare le mani libere a chi è più forte e ha una sola idea in testa, demolire la realtà per veicolare la propria lettura e riscrittura, anziché prestarsi a rigorosi e lunghi riscontri – non direte che la fuffa delle discussioni con JA e presbite sia rigore scientifico!) e il problema diventano quei rompiscatole che secondo i custodi non si impegnerebbero abbastanza nella burowikicrazia…
    Di cui ho avuto un brutto esempio sulla versione francese. Avevo parlato qui di una assurdità nella voce su Pinelli in wikipedia.fr e qualcuno di voi l’aveva corretta. Personalmente non potevo toccare quella parte della voce, però avevo voluto inserire un testo nella bibliografia e il rapporteur l’aveva immediatamente cancellato indicandomi come vandalo. Su suggerimento del giapster wikipediano gli avevo scritto più volte: non mi ha mai risposto. Per cui io ormai su wikipedia sono un vandalo. Poco male a livello personale: non avrei potuto contribuire con la solerzia dei bravissimi (per le classifiche wikipediane) JA & co.
    Ma inquadrando la cosa in un contesto più vasto mi basta per sapere cosa pensare del progetto…

  19. Per quanto riguarda il “revisionismo” su Giuseppe Solaro, va menzionato l’importante articolo di Gino Candreva, “La storiografia à la carte di Giampaolo Pansa”, in “Zapruder” n. 39, gennaio-aprile 2016, pp. 126-35. Come dice il titolo, l’articolo di Candreva è una disamina dei vari volumi che il giornalista Pansa ha dedicato alla storia della Resistenza e dell’immediato dopoguerra, a partire dal fortunato “Il sangue dei vinti” (Sperling & Kupfer, Milano 2003).

    Candreva mette in luce i vari elementi del “metodo” pansiano. Pansa assume in modo del tutto acritico la pubblicistica dei reduci repubblichini; le tesi di Pisanò e affini assurgono a vero e proprio dogma interpretativo; quando Pansa “cita fonti non allineate alla sua tesi è solo per piegarne il senso alla narrazione che il giornalista ha scelto”, operando “un evidente rovesciamento metodologico: si parte da una tesi precostituita e si cercano, selettivamente, le fonti che la convalidano”.

    Tale rovesciamento, peraltro, non si verifica solo nel metodo, ma anche nei contenuti: “i protagonisti del regime fascista che ha provocato dieci anni di guerra in Italia, dall’invasione dell’Etiopia nel 1935 alla seconda guerra mondiale, ha affamato il paese e imposto una sanguinaria dittatura, vengono presentati come le ‘vittime’ di coloro che hanno represso o sterminato per un ventennio”. Citando poi un’osservazione generale di Nicola Gallerano sulla rivalutazione revisionista del fascismo, Candreva nota come anche in Pansa gli aspetti storici e politici del regime cedano il passo “all’approccio biografico; alla personalizzazione della vicenda storica e all’apertura indiscriminata verso il privato e lo psicologico”. Lo scopo è suscitare commozione per la misera sorte dei fascisti e sdegno nei confronti dei loro “persecutori” partigiani.

    Se il “metodo” è simile, e i contenuti sono identici, non stupisce ritrovare in Giampaolo Pansa gli stessi risultati di certo “revisionismo” wikipediano analizzato da Nicoletta Bourbaki. Cosicché il brigatista nero Giuseppe Solaro, che ancora nell’aprile 1945 capeggia scorrerie squadriste contro gli scioperanti di Chieri e pochi giorni dopo, dalle colonne de “La Stampa”, emana deliranti proclami contro plutocrati, massoni ed ebrei, diventa nelle pagine di Pansa “un buon padre di famiglia i cui unici torti erano la fedeltà ai propri ideali e l’apertura al dialogo con la classe operaia”…

    L’articolo di Candreva si può ora scaricare liberamente, assieme all’intero numero della rivista, qui:

    http://storieinmovimento.org/2016/03/07/trentanovesimo-numero/