Un Link tra Hong Kong e #Bologna? FICO! – I partner della “Disneyland del cibo”.

Delegazione THE LINK al CAAB di Bologna. Foto Borella/Eikon

I partner cinesi del FICO. Delegazione THE LINK al CAAB di Bologna. Foto Borella/Eikon

di Wolf Bukowski (guest blogger)

Nell’insediamento abusivo di Shek Kip Mei un fornello si ribalta, un gioco di bambini cenciosi finisce male, un mozzicone cade su un materasso di paglia. O chissà che altro. In poche ore il fuoco – spietato compagno della miseria abitativa – lascia 53mila profughi cinesi senza tetto. Erano arrivati lì fuggendo dalla guerra civile tra i nazionalisti di Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek) e i comunisti di Mao Zedong. Ora guardano impotenti le fiamme, alimentate dal poco che possiedono, illuminare la notte di Natale del 1953 a Shek Kip Mei, nella colonia britannica di Hong Kong.

Il fuoco di Shek Kip Mei

53mila senza tetto su 300mila profughi, in una città dove il 20% dei 3 milioni di abitanti risulta essere squatter: sotto una tale pressione, il governo costruisce in pochi mesi edifici a sei piani con servizi in comune; poi, dai primi anni Sessanta, le case economiche (廉租屋) con bagno e cucina, qualcosa di simile alle nostre case minime o case Fanfani. Complessivamente, in dieci anni, lo stock residenziale pubblico passa da 33mila a 848mila unità abitative.
Le persone che le abitano devono mangiare, vestirsi e prendersi cura di sé –  dunque hanno bisogno di negozi. Così l’amministrazione costruisce alcuni centri commerciali, analoghi ai nostri degli stessi anni: luoghi di servizio, non di shopping experience. Un po’ come quello del Pilastro, quartiere popolare bolognese inaugurato nel 1966.

Il Centro Commerciale Pilastro

Dopo i moti filocinesi del 1967 il governo coloniale di Sua Maestà, spaventato, istituisce l’Housing Authority per sviluppare ulteriormente l’edilizia popolare; eleva l’obbligo scolastico e potenzia i servizi pubblici. Poi passa la paura, arriva la Thatcher e iniziano le privatizzazioni; nel 1997 gli inglesi se ne vanno e Hong Kong ritorna a casa, come cantano i CCCP, diventando Regione Autonoma Speciale della Cina comunista. Dove regna lo stesso liberismo e la stessa iniquità sociale (si veda qui l’indice di Gini, simile per i due paesi), con l’aggiunta di censura e feroce repressione politica.

Nello stesso anno scoppia la bolla finanziaria e immobiliare asiatica. L’Housing Authority, per non fare concorrenza ai costruttori privati, interrompe i progetti già avviati e si autoinfligge una crisi di bilancio; questa crisi diventa il pretesto per privatizzare le proprietà non residenziali. Ovvero: 131 centri commerciali con 8424 negozi, più di settemila chioschi e 395 uffici, compresi quelli affittati a servizi pubblici e studi medici; inoltre, decine di migliaia di parcheggi. Le preoccupazioni dei negozianti in affitto vengono placate con false promesse, mentre le opposizioni politiche sono emarginate o criminalizzate. Gli attivisti anti-privatizzazione vengono pedinati da giornalisti filo-governativi, mentre la causa legale contro la vendita degli assets intentata dalla signora Lo è descritta come un attacco “alla 11 settembre” a mercati e governo (vi ricorda qualcosa quest’assurda accusa di terrorismo?).

Lo Siu Lan

La signora Lo Siu Lan, vecchia pazza secondo i media governativi

È dunque in un clima di inganno e diffamazione che nel 2004 tutti gli assets non abitativi della Housing Authority vengono conferiti al fondo The Link REIT, le cui azioni sono vendute in borsa a partire dal 25 novembre 2005.

Nel 2006, The Link REIT rinnova gli appalti di pulizia e sorveglianza e 1400 lavoratori vengono licenziati dalle ditte vincitrici; il risparmio di The Link si traduce in spesa pubblica (la sorveglianza dei parcheggi viene assunta dalla polizia) e in condizioni di lavoro ancora più opprimenti per i dipendenti, che perdono la recente e non generalizzata conquista delle otto ore (si passa a 8 e 1/2 fino a dieci ore. Gli attivisti di The Linkwatch riportano casi di 14 o 15 ore), hanno salari più bassi della media del settore e talvolta vengono taglieggiati della spesa per l’uniforme che devono indossare. A fronte di questo, la qualità della loro malpagata prestazione lavorativa è controllata quotidianamente:
1) dai supervisori della ditta di pulizia,
2) da quelli del management del centro commerciale,
3) da quelli di The Link.

Gli addetti alla pulizia dei bagni non possono lasciarli per tutto il turno e non possono parlare con estranei. Se hanno finito il loro lavoro possono sedere per 5 minuti l'ora, ma solo secondo la pianificazione riportata dal cartello (Centro Commerciale Tze Wan Shan, nov. 2005)

Gli addetti alla pulizia dei bagni non possono lasciarli per tutto il turno e non possono parlare con estranei. Se hanno finito il loro lavoro possono sedere per 5 minuti l’ora, ma solo secondo la pianificazione riportata dal cartello (Centro Commerciale Tsz Wan Shan, nov. 2005)

Naturalmente erano proprio gli affitti commerciali (il non-core business) a portare soldi freschi e costanti alla Housing Authority: venuti meno quelli, la crisi dell’ente si aggrava. Come scrivono Chen e Pun: “le crisi reali e immaginarie sono solo un mezzo per perseguire la neoliberalizzazione del programma di edilizia pubblica.”

Altrettanto aggressivo il comportamento di The Link nei confronti dei piccoli esercenti in affitto nei suoi centri commerciali. L’immagine coordinata e la standardizzazione che impone, oltre a spazzare via la varietà dei mercati cinesi, diventano un modo per promuovere supermercati e grandi catene distributive nel quartieri popolari (come scrive Sophia So Lok Yee).

Ma il passaggio chiave, come in ogni processo gentrificante, è la ristrutturazione/remodelling e i costi che comporta. Con gli interventi di “valorizzazione” di The Link del 2007-2008 gli affitti aumentano anche di 3 volte. Di conseguenza molti piccoli operatori abbandonano e la presenza dei negozi di grandi catene distributive cresce anche del 70%. È così che McDonald’s diventa il quarto partner di The Link, godendo peraltro di affitti al metroquadro assai più convenienti di quelli dei chioschi a conduzione familiare (paradossale? No: liberista). Lo stesso contratto di locazione imposto da The Link (tre anni senza possibilità di recesso neanche in caso di chiusura dell’attività) e altre infinite e onerose vessazioni perseguono chiaramente la gentrificazione commerciale.

Come abbiamo visto, secondo Chen & Pun l’obiettivo del processo è quello di arrivare alla privatizzazione del nucleo dell’Housing Authority: l’edilizia residenziale pubblica. Con calma, naturalmente, e sottotraccia, proprio come fa il Comune di Bologna con le case popolari del Pilastro (qui le inequivocabili dichiarazioni dell’assessora Gabellini).

Di nuovo il Pilastro? Ma che c’entra con Hong Kong? C’entra, c’entra: è proprio The Link REIT il “fondo asiatico” che investirà nel FICO, il parco tematico di Eataly che sorgerà in un Pilastro riscritto, cementificato e gentrificato.

È The Link REIT l’investitore straniero a cui Andrea Segrè, presidente di CAAB, spera di vendere una parte delle quote pubbliche di Fico, consegnando così a una maggioranza privata il patrimonio comunale CAAB.
Ed è per The Link REIT, per i The Link di tutto il pianeta costruiti sull’accaparramento di risorse comuni che Oscar Farinetti intende trasformare il meridione in “un unico Sharm El Sheik” e concedere 10 anni di esenzione fiscale a “tutte le multinazionali del mondo” che investano in Italia; ed è per i profitti di queste e dei loro partner (Eataly, Coop, Intesa-Sanpaolo per citare non a caso) che Renzi e Poletti tracceranno una rotta verso gli abissi per le condizioni di lavoro.
È per loro, ed è contro di noi; contro di noi e con lo stesso preciso gesto, nello stesso identico momento contro gli addetti e le addette alla pulizia dei centri commerciali di Hong Kong.
Non ci resta che pensare, costruire e praticare relazioni e contromisure che siano altrettanto globali. E ambiziose.

[Fonti principali e preziosissime di questo testo sono: la tesi The Victims of Privatization: the Case Study of the Link REIT in Hong Kong di So Lok Yee Sophia (2010) e l’articolo Neoliberalization and Privatization in Hong Kong after the 1997 Financial Crisis di Chen Yun Chung e Pun Ngai (2007).]

*

Nel frattempo, a proposito di tesi, Natale “Oscar” Farinetti si è laureato “honoris causa” in Marketing e Comunicazione per le Aziende all’Università di Urbino.

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4 commenti su “Un Link tra Hong Kong e #Bologna? FICO! – I partner della “Disneyland del cibo”.

  1. Dunque, correggo un’imprecisione: una quota residua di assets commerciali sono rimasti in mano alla Housing Authority, la cifra è contrastata ma dovrebbe essere intorno al 10%. Doveva essere privatizzata nel “secondo giro” ma le proteste contro The Link hanno sempre fatto slittare questa data.
    Vale la pena di leggere questo …

    http://www.scmp.com/comment/insight-opinion/article/1413662/housing-authority-has-no-business-being-shopping-mall

    …volgare corsivo (2014) del South China Morning Post che invita alla privatizzazione del residuo esaltando The Link e il costoso glamour dei centri commerciali rinnovati: “people like the
    changes and are happy to pay the prices
    .” Ne deriva che chi non può pagare di più è un conservatore che merita di essere infelice.

  2. per quanto riguarda la laurea a Farinetti gli è stata preparata una “calorosa” accoglienza.

    http://www.zic.it/urbino-studenti-e-precari-contestano-farinetti/

  3. Sì lo striscione urbinate raccontato nel link coglie nel segno: “la vostra eccellenza è la nosta precarietà”
    tutta questa retorica dell’eccellenza è funzionale all’esclusione; esattamente come la retorica della meritocrazia è funzionale alla costruzione di una società (e di una scuola/formazione) fortemente gerarchica e iniqua.

  4. Notizia sul Fatto di oggi 26 agosto 2014: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/22/eataly-world-lappalto-da-40-milioni-va-a-coop-rosse-e-al-presidente-di-ance-bologna/1096322/
    Sono persino deludenti nella loro prevedibilità…