«Point Lenana», rassegna delle prime interviste e recensioni

Emilio Comici

Emilio Comici, 1901 – 1940

[Riproponiamo su Giap la recensione di Point Lenana apparsa ieri sul “Corriere della sera” a firma di Daniele Giglioli. A seguire, link ad altre recensioni, riflessioni significative e interviste apparse su carta o su web. Segnaliamo che, per iniziativa di alcuni lettori, su Tumblr è nato un blog/archivio interamente dedicato al libro. Tra i molti materiali interessanti, anche l’audio completo della primissima presentazione, quella svoltasi a Trieste il 30 aprile scorso. Ricordiamo che questa settimana WM1 presenterà Point Lenana a Bologna mercoledì 8 maggio, a Mogliano Veneto giovedì 9, a Belluno venerdì 10 e a Treviso sabato 11. Tutti i dettagli qui.]

L’ARTE DI SALIRE PIÙ IN ALTO
DOVE LA VETTA RENDE LIBERI

di Daniele Giglioli

Un libro contro lo sconforto. Senza prediche o consolazioni a buon mercato, e anzi problematico, indugiante, perplesso, mai sfiorato dalla tetra litania del think positive. È l’impressione che si ricava dalla lettura di Point Lenana, scritto a quattro mani da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara sulla scia della fascinazione per una storia semplice, ma nella sua semplicità inesauribile.
Nel 1943, in piena guerra mondiale, tre prigionieri italiani in Africa evadono da un campo di concentramento inglese e scalano Punta Lenana, terza vetta del Monte Kenya, 4.985 metri sul livello del mare. Restano fuori 17 giorni, ridiscendono mezzi morti di fame e si riconsegnano agli inglesi. Uno di loro, Felice Benuzzi, funzionario coloniale e dopo la guerra diplomatico di buona carriera, narrerà l’impresa in Fuga sul Kenya, che nella sua versione inglese, «No picnic on Mount Kenya», stesa da lui stesso e non del tutto coincidente con quella italiana, conoscerà un grande successo internazionale. L’episodio ossessiona da tempo Santachiara, agente letterario e appassionato di alpinismo, che invia il volume di Benuzzi a Wu Ming 1. Sceglie lui non benché ma proprio perché, uomo di pianura, non sa nulla di montagna: una storia ha carisma se la sua singolarità non interpella solo gli affini, ma riesce a toccare corde universali. L’esperimento riesce, e di qui la doppia proposta: salire insieme sulla Punta Lenana, scrivere questo libro.
La prima cosa richiede allenamento, un po’ d’ansia e qualche giorno di escursione. La seconda è più difficile e comporta quattro anni di lavoro. Perché intorno alla storia-lievito di Felice Benuzzi, Giovanni Balletto ed Enzo Barsotti ne concrescono molte, moltissime altre, in potenza l’intera storia dell’Italia del Novecento, riletta a contropelo fino far raggiungere al libro la ragguardevole proporzione di cinquecentocinquanta pagine, più quaranta di bibliografia ragionata. L’indagine spazia dalla Vienna di Franz Joseph in cui Benuzzi è nato alla Trieste in cui è cresciuto maturando il suo amore per la montagna. Si sposta a Roma, prosegue per l’Africa, raggiunge l’Australia e l’Antartide, ricostruendo insieme alla vita dei protagonisti le traversie di un’Italia che si affaccia nel peggiore dei modi — il colonialismo, liberale prima e fascista poi — sulla scena della politica mondiale, dall’irredentismo giuliano alle squallide e criminali campagne di Libia e d’Etiopia. Sulla scena si alternano, con la tecnica dell’entrelacement dei poemi epici, i tre ordinary people resi celebri dai loro 17 giorni di libertà, altri alpinisti chi famoso e chi oscuro, tra cui molti scrittori di vaglia, e poi d’Annunzio, Mussolini, Badoglio, Graziani, il Duca d’Aosta, Omar Al-Mukhtar, il Negus, la guerriglia abissina, i ribelli Mau mau contro gli inglesi… Scalate e conquiste, memorie e massacri, accostati più che non stretti in un rigido nesso causale.
Tra storia e storie non c’è un flusso omogeneo di senso. Più spesso vuoti, intervalli, interrogativi. Era fascista, per esempio, Benuzzi? In che misura il suo gesto, e più in generale l’ethos dell’alpinismo tutto, è apparentato alla prosopopea del primato, della conquista, della maschia romana volontà di sottomettere? Accumulando incontri, interviste, letture e riflessioni, gli autori s’immergono in un arcobaleno di sfumature, lo sguardo sempre fisso all’evento-matrice: una fuga insensata, un atto libero e sovrano di sottrazione temporanea al comando — Benuzzi e gli altri non avevano alcuna possibilità di evadere davvero, nel 1943 l’Africa italiana non esisteva più da un pezzo — che risponde solo a un impulso di gioia solitario (a lonely impulse of delight / drove to this tumult in the clouds, cantava Yeats). Un piccolo esodo, una scommessa senza fini, un’avventura che a differenza di quella coloniale non esige il sangue degli altri, e che al ritorno trova le parole per dirsi ma non per esaurirsi in una spiegazione.
Con una scelta felice, Wu Ming 1 e Santachiara non saccheggiano il libro di Benuzzi: l’impresa vera e propria non è raccontata (né parallelamente rivelano, nella cornice, cosa hanno trovato loro sulla Punta Lenana). Coperto da un’ellissi, il cuore della vicenda viene lasciato al suo silenzio, in disponibilità per l’immaginazione, mentre la storia pubblica urla e stride sullo sfondo. Non da una battaglia ma da un’opprimente bonaccia sono fuggiti i tre prigionieri, ed è forse questo l’ombelico che connette quel frammento di passato, prima ancora che al suo tempo, al nostro presente. Nel 2009, scrive Wu Ming 1, mi sentivo sotto l’effetto di una perversa cappa aspirante che «risucchiava le energie buone e le disperdeva nello spazio, lasciando a terra i vapori nocivi, gli umori più cupi, le inettitudini più resilienti, i rancori più facili da coltivare»; una cappa che è ancora in funzione, e incolla in basso i corpi e le menti con quella mistura di accidia e sconforto che tutti conosciamo benissimo. Facile, ovvio, perfino comodo crogiolarcisi. Difficile invece è reagire. È di questa reazione — una reazione non risentita né subalterna — che si è fatta allegoria l’ascensione di Benuzzi e compagni.
Un’allegoria ben gestita, che elude ogni sovraccarico di significato. Non sono e non si sentono eroi gli eroi di questo libro, una patente che lasciano agli alfieri delle stragi. Non raggiungono la vetta più alta, non mirano alla gloria, non reclameranno per sé grandi spazi vitali a guerra finita. Non detengono il segreto della soluzione finale, espressione mostruosa se mai ve ne furono: «E tu volevi realizzarti in un’azione concentrata? Illusione! Esiste il campo di concentramento, ma non l’azione concentrata! L’azione che risolve veramente tutto, che realmente guarisce, non esiste», scrive Benuzzi, e miglior congedo non si può immaginare dal fascismo. Scesi dalla cima, tornano alla fatica dei giorni. Se qualcosa hanno imparato, se di qualcosa sono testimoni, è che un’alternativa, una ripartenza, una risalita è possibile ovunque. Non garantita, che è diverso, e non sempre: Benuzzi ha un lunga vita serena, Balletto muore suicida. Ora si tratta di convincercene noi.

***

Point Lenana, le vette della razza (l’alpinismo non è roba da fasci)
di Luca Barbieri, dal blog A Nord Est di che, 29 aprile 2013

Point Lenana, assalto alla letteratura di montagna
Lorenzo Filipaz intervista Wu Ming 1 sul blog Altitudini, 30 aprile 2013

Wu Ming già Luther Blissett e il Nord Est alla guerra coloniale
Luciano Santin intervista Wu Ming 1 sul Messaggero veneto, 30 aprile 2013

Non c’è storia narrata in Point Lenana che rifiuti di opporsi al fascismo
Una riflessione di Maurizio Vito su suo blog Senza fissa dimora / Nomadic Subject, 30 aprile 2013.
«Non sono la vita e la morte di Felice Benuzzi, a mio avviso, a fornire la cifra allegorica di Point Lenana. Motore e straordinario protagonista dei suoi tempi e delle vicende planetarie (non è un’iperbole, visti i periodi trascorsi in ogni continente del globo), Benuzzi è il canalizzatore dello sguardo obliquo sugli eventi: la sua vita trascorsa vicino alle stanze dei bottoni, nelle vicinanze dei luoghi dove il potere si esercita permette agli autori di allargare la vista sulla storia e sulla società. Ma è Emilio Comici che, sebbene solo sporadicamente tangenziale alla traiettoria benuzziana, costituisce quella goccia colorata che si spande come un mulinello centrifugo, inarrestabile, nella vasca di Point Lenana

Point Lenana, scalata alla storia (pdf)
di Luca Barbieri, Corriere del Veneto, 4 maggio 2013

Speciale Point Lenana sul sito Einaudi

Point Lenana a Belluno

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58 commenti su “«Point Lenana», rassegna delle prime interviste e recensioni

  1. Comici che muore a 39 anni, non l’avevo notato prima. Età che si è portata via grandi, tormentati personaggi: Leopardi, P.B. Shelley, Dylan Thomas, Furio Jesi, e chissà chi altro. Grazie Wu Ming 1 e Santachiara, che ci avete regalato questa toccante ricostruzione, ennesima occasione di riflessione su vissuti letterari, esistenziali, storici. Su chi siamo, e su dove cavolo stiamo andando come comunità.

  2. L’attesa è finita e ci si tuffa nella lettura.
    Il libraio, mentre pagavo alla cassa, soppesando Point Lenana, mi ha detto: -Chissà perchè i libri dei WM sono così pesanti..- Gli ho risposto che non mi aspettavo che un venditore facesse harakiri con tale nonchalance. Abbiamo concluso che forse si tratta della carta..
    Buona lettura a tutti e grande wm1 per la dedica alla Libera Repubblica della Maddalena.
    Ci si vede a Torino a fine giugno

  3. Specifico che gli “alcuni lettori” che hanno aperto http://pointlenana.tumblr.com/sono i lettori di prova, o parte dei. Il tumblelog è stato inaugurato il 3 maggio, non è che ci siamo scofanati 600 pagine in tre giorni ecco :-))) abbiamo una vita!
    Adesso, man mano che il libro viene divorato, potete aggiungervi per aggregare contenuti, memorabilia, recensioni etc. inviando il vostro indirizzo e-mail tramite il form “ask me anything”
    Saluti

    • Sto ascoltando la registrazione di Trieste, un pezzo alla volta.
      Bellissimo l’intervento di Dušan Jelinčič, e bravo Lo.Fi. per l’ottimo lavoro di pulizia dei files audio.

      In teoria dovrei poter fare qualcosa su quel tumblr ma sono un po’ di corsa… metto qui, magari da aggiungere anche là, un riferimento all’articolo “I falliti” di Giampiero Motti:
      http://www.scuolamotti.it/varie/i%20falliti.pdf
      Se ne parla nel libro e anche qui su Giap, nell’anticipazione in occasione dell’uscita (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=12873).
      Come ben sa WM1, penso che da lì si possa far partire una delle sottotracce meno esplicite ma più intriganti del libro: quella degli alpinisti suicidi.

      • Grazie! Anche se in verità il merito non è mio… colui che ha registrato e poi sistemato i file audio si chiama Mauro Pasqualini, non voleva comparire ma non posso continuare a prendermi i meriti altrui :-)
        Purtroppo l’intervento più lungo, quello di Luciano Santin, è in parte rovinato (microfono troppo vicino e volume troppo alto – mancava l’addetto della libreria che solitamente si occupa dell’impianto), è un peccato perchè il suo intervento è stato veramente pregevole, con un po’ di pazienza però si riesce comunque ad ascoltarlo e “decifrarlo”.
        Visto che non l’ho fatto da nessun’altra parte colgo l’occasione per rendere noti e ringraziare i miei fiancheggiatori nell’organizzazione della presentazione di Trieste: oltre al suddetto Mauro Pasqualini, Martin Lissiach e Michele Sommariva. Fondamentali nell’attività di reperimento contatti, organizzazione, promozione e “volantinaggio”.

    • Ogni tanto nella registrazione salta fuori qualcuno (non capisco bene chi) che dice “Wu Ming Primo”, che suona un po’ come il fondatore di una dinastia imperiale cinese :-D

    • Vedo che il BOT di Einaudi ha postato sul twitter [1] questa frase tratta da Point Lenana:
      Si mise a cantare la sua canzone preferita, Triste domenica, versione italiana dell’ungherese Szomorú Vasárnap. Raccolgo qui due note, magari Lo.Fi. ha voglia di mettere qualche link sul tumblr.
      Chi la canta nel libro è Emilio Comici, alpinista splendido e malinconico. La canzone ha una sua fama sinistra: si narra di decine di suicidi causati dal suo ascolto (probabilmente tutti da verificare). L’originale [2] del 1933 è di un musicista ungherese, ebreo e deportato dai nazisti, in seguito morto suicida davvero. La canzone è stata tradotta e cantata in altre lingue: oltre all’italiano (e allo spagnolo) esiste più di una traduzione in inglese. Nel link del BOT c’è la versione più famosa, quella di Billie Holiday [3], altro personaggio abbastanza drammatico. Esistono altre versioni anche recenti, una tra tante Sinead O’Connor [4].
      Le versioni italiane storiche di Triste Domenica mi sembrano due: una di Norma Bruni, bolognese (toh!) e una posteriore di Nilla Pizzi. Quest’ultima iniziò la carriera qualche anno dopo la morte di Comici, quindi sembrerebbe logico che lui abbia conosciuto la prima. Putroppo in rete non l’ho trovata, sarebbe interessante…

      [1] http://goo.gl/uHp6n
      [2] http://www.youtube.com/watch?v=E4Hbr6mQHV0
      [3] http://www.youtube.com/watch?v=KUCyjDOlnPU
      [4] http://t.co/RZfL8LNCM6

  4. Mentre aspetto di leggere, possibilmente sui monti su cui tornerò quest’estate, vi segnalo questo video:
    http://www.ted.com/talks/chimamanda_adichie_the_danger_of_a_single_story.html

    I pericoli di una storia unica, quella che mi pare che a 2, 4, 10 mani, stiate cercando passo dopo passo di spezzettare in mille rivoli di resistenza.

    • “La conseguenza di una storia unica è questa: essa rapina il popolo della sua dignità” …meraviglioso! Ho visto due libri di Chimamanda Ngozi Adichie tradotti in italiano, ma se mette nella scrittura la stessa chiarezza che ha messo in quella lezione non credo ci sia bisogno di traduzioni…

  5. Bello! bello! bello! che viaggio: storico, culturale, politico, umano; da Asce di guerra la strada percorsa è stata tanta, la lettura scorre, a volte corre nello sfogliare pagine affamati del dopo, o del prima. Se penso al CAI di Manaresi, si starà rivoltando nella tomba con le vostre incursioni antifasciste.

  6. Intervista a WM1 e Santachiara sul sito Einaudi:
    http://www.einaudi.it/speciali/Point-Lenana-intervista-agli-autori #PointLenana

  7. Sono andato in giro per librerie come al solito – e su 4 solo una aveva Point Lenana – avendo il libro tra le mani, mi sono venute in mente delle domande.
    Cosa ha spinto Wu Ming 1 a scrivere questo romanzo essendoci altri 2 libri che trattano la stessa storia? Cosa ha di diverso questo libro rispetto agli altri? Ho visto uno dei due libri in questione, e dalla mole si capisce che in point Lenana c’è qualcosa in più. Ma cosa dovrebbe spingermi ad acquistare questo libro rispetto agli altri ?, oltre alla fiducia che ho verso il gruppo Wu Ming.

    • il fatto che pesi di piu’, ovvio. per lo stesso prezzo hai un kilaggio di carta molto superiore.

      i due libri di benuzzi (“fuga sul kenya” e “no picnic on mount kenya”) raccontano in prima persona la prigionia, la fuga, la scalata e il rientro.

      “point lenana” non racconta praticamente nulla di quel che aveva gia’ raccontato benuzzi, ma racconta tutto il resto. racconta il fascismo di confine a trieste (credo si tratti della prima opera di narrativa in lingua italiana che affronta l’argomento in modo serio, facendo piazza pulita di tutte le tossine foibologiche su cui e’ stata ri-fondata l’identita’ nazionale italiana a partire dal ’90). racconta il colonialismo italiano (facendo piazza pulita della vulgata tossica autoassolutoria degli italiani brava gente). racconta la vita di benuzzi prima e dopo l’ “impresa”. indaga il rapporto tra alpinismo e fascismo, tra alpinismo e antifascismo. ribalta la retorica della conquista della vetta e spiega come l’alpinismo sia stato scuola di liberta’ per molti giovani cresciuti nel ventennio. racconta la storia di comici, e di come il regime abbia tentato invano di farne una propria icona. last, but not the least, “point lenana” racconta il modo in cui il libro e’ stato scritto, spiega il modo in cui e’ stato raccolto il materiale e le riflessioni alla base delle scelte stilistiche.

      per chi segue giap, e’ anche interessante vedere come nel libro risuonino molte discussioni fatte qui in questi anni, sulla cultura di destra, sul significato dell’ eroismo, sull’importanza delle pratiche, sul diventare adulti…

      • @tuco
        Lo dico a te che sei uno dei giapTrst :-)
        Una delle caratteristiche che ho trovato in P.L. fin dalle prime letture “di prova” è che fa venir voglia di andare a vedere i posti. Mica sono tanti i libri che fanno quell’effetto parlando di un luogo. Nemmeno sempre ci riescono i c.d. libri di viaggio.
        Per dire: io Trieste l’ho vista una volta da “turista” quando ero adolescente, e confesso che fino a qualche tempo fa mi sembrava che bastasse così, pensavo presuntuosamente di aver chiuso l’argomento. Ora mi piacerebbe trovare il tempo di tornarci con una lista di cose da “annusare” e possibilmente capire, una lista che viene tutta da questo libro.
        Ma anche peggio: non mi sarei mai aspettato che tra i sogni proibiti di montagne lontane da andare a vedere e toccare, quasi tutte in Latinoamerica e qualcuna in Asia, un giorno si sarebbe intrufolato il Mount Kenya.

        (E dunque, che razza di libro è questo?)

      • Aggiungo solo una cosa: il libro ha in appendice una ricchissima bibliografia ragionata, che consente:
        a) di trovare la fonte dei fatti narrati;
        b) volendo, di approfondire la ricerca su ognuno dei tanti argomenti oggetto di trattazione.
        In altre parole, il testo è in forma narrativa e “scorre” benissimo, appassiona e tutto quanto; lo sto leggendo e mi ha già portato in serio deficit di sonno arretrato; ma ha anche, direi, tutto il rigore di un libro di storia comme il faut.

      • @Tuco
        A proposito del fare storia seriamente a Trieste ti segnalo questa iniziativa: http://www.provincia.trieste.it/opencms/opencms/it/news/laboratorio_memoria.html
        I nomi in ballo fanno ben sperare (la prof.ssa Vinci, ad esempio, è una delle rare storiche italiane ad aver approfondito specificatamente le violenze fasciste sulla popolazione slovena)
        Tra l’altro hanno scelto di inaugurare questo Laboratorio della Memoria con una rassegna di cinema africano (imperniato sul concetto di amnistia e verità, in Sudafrica nel post-apartheid, in Algeria, Ruanda e Ciad)… il chè mi pare un buonissimo segno oltre che un dettaglio decisamente “pointlenaniano” ;-)

    • Vorrei aggiungere agli altri interventi che il libro nella prima parte risponde esattamente a queste tue domande.
      Io sto cercando di leggerlo piano piano per assaporarlo meglio, soprattutto perché come dice Tuco si ritrovano una riga sì e l’altra pure tante cose di cui si è già discusso qui e là e è bello vederle inquadrate in un unico contesto. È un libro bellissimo e confesso non mi aspettavo che mi prendesse così tanto, perché il ricordo più nitido che ho della montagna (a parte lo sci, ma è diverso) sono le bestemmie quando da ragazzina mi obbligavano a scarpinare per ore verso un rifugio. Che a un certo punto lo vedevi e pensavi di essere quasi arrivata e invece si camminava ancora per ore e quello stava sempre alla stessa distanza! Poi sì certo, alla fine arrivavi e dicevi “però, cazzo, ne valeva la pena” prima di svenire. E una volta in Val D’Aosta c’era anche un branco di stambecchi, chissà se esistono ancora…

      • Questo è un libro pazzesco: si può quasi partire da un argomento qualunque sulla montagna scelto a caso, e finire per trovare agganci tra le sue pagine. In questo senso, forse più che in ogni altro, è (anche) un “libro di montagna”.
        Faccio un esempio, partiamo dagli stambecchi. In Val d’Aosta esistono ancora (tranquilla Francesca!), e anche in Piemonte, nei territori del Parco Nazionale del Gran Paradiso situato a cavallo tra le due regioni. Il Parco fu istituito all’inizio del regime fascista (“che all’inizio ha fatto anche del bene”, parafrasando la cittadina Lombardi ;-) come evoluzione di una tenuta di caccia di Vittorio Emanuele II, con il preciso scopo istituzionale di proteggere lo stambecco. Durante il precedente utilizzo come riserva di caccia fu dotato di splendide mulattiere che nell’epoca d’oro del parco (dal secondo dopoguerra fino a qualche anno fa) ne hanno fatto la fortuna turistica. Alcune si spingono a sfiorare i 3000 metri di quota.
        (Apro una parentesi: anche nelle Alpi Marittime esisteva una riserva di caccia siffatta e altrettanto splendida, a sua volta dotata di una rete analoga di mulattiere; in tempi più recenti la zona è diventata il Parco Naturale dell’Argentera, poi confluito nel Parco Alpi Marittime).
        Il regime si pentì assai presto del bene fatto e il parco fu lasciato decadere già prima della guerra. A conflitto terminato si decise di restituire al PNGP la funzione di protezione degli stambecchi, ridotti quasi all’estinzione, e a capo del neonato Ente Parco fu nominato Renzo Videsott, veterinario, di origine trentina ma migrato in gioventù a Torino nel periodo tra le due guerre.
        Verso la fine degli anni Venti Videsott era stato frequentemente compagno di cordata di Domenico Rudatis in alcune prime salite di buon livello; in seguito quest’ultimo, con altri compagni di gran nome, diventerà uno dei più forti rocciatori degli anni Trenta. A differenza di Comici e di altri, Rudatis fu in tutto e per tutto, e probabilmente in buona fede, un alpinista organico al regime. In Point Lenana costui è l’autore del “cazziatone” ai danni di Felice e del suo amico a causa di una relazione un po’ imprecisa di una salita nel gruppo del Civetta, montagna che Rudatis considerava praticamente roba sua.

    • Anche se giudichi esaurienti le risposte che ti hanno dato gli altri giapsters fin qui aggiungo anche la mia voce, perchè rispondere a questa domanda è uno spasso.
      In fin dei conti è una domanda che ci siamo fatti tutti all’inizio, persino l’autore e i suoi famigliari, credo.
      Ti dirò di più, non solo esiste gia un libro (o due se si considera la dissonante versione inglese di Fuga sul Kenya) che parla in prima persona dell’impresa sul Kenya. Esiste già anche un libro che parla dei rapporti forzati tra alpinismo, nazionalismo e fascismo (quindi razzismo) che è Cime Irredente di Sirovich (conosciuto perlopiù a livello locale). E anche per ciò che concerne le malefatte in generale degli italiani, specie nelle colonie, c’è Italiani Brava Gente di Del Boca. Tutti testi citati e analizzati in Point Lenana.
      Allora la tua domanda non solo rimane, ma si moltiplica. La risposta è che il quid del libro sta proprio, più che nel semplice sommare, nel mettere a circuito questi argomenti. Non è tanto il cosa, ma il come. E’ la qualità dell’amalgama che fa riuscire il timballo più che gli ingredienti di per sè stessi. Amalgama che fa poi fiorire sotto-argomenti come funghi che sfuggono dai temi portanti e ne spostano il baricentro continuamente.
      Se leggi New Thing (senza contare il memorandum New Italian Epic, oppure, per dire, Arzestula) capisci che una certa ansia sperimentale ha sempre informato di sé l’opera solista di WM1, un desiderio di andare oltre, di riconfigurare incessantemente i modi del narrare, e Point Lenana riesce nell’esperimento di creare un oggetto narrativo a baricentro multiplo che da qualunque parte lo rovesci sta sempre in piedi – risultato a sua volta ampliato dall’apporto di Santachiara.
      Tutte le persone che l’hanno letto e che conosco mi hanno detto di esserne stati completamente presi, incollati alla pagina; considerando che non è un thriller, ma un’opera con continue fughe “saggistiche”, si capisce la sua eccezionalità. Ora sto leggendo “Asce di guerra” (che mi era sfuggito), un libro comunque molto bello ma che forse aveva qualche problema di baricentro. Come ha detto WM1 Point Lenana, assieme a Timira, sono tentativi di riproporre la formula di Asce di Guerra al netto dei suoi problemi. Tentativo par mio perfettamente riuscito (come anche in Timira, in quel caso in modo più aderente alla forma-romanzo).

      • Quel che ha appena scritto molto bene @Lo.Fi mi trova pienamente in sintonia: sia sul piano “contenutistico” che per la forma (il suo essere UNO), Point Lenana riesce a far sì che la somma delle parti sia qualcosa in più del tutto, ma anche e soprattutto qualcosa di diverso dal “tutto” che ci si sarebbe potuti aspettare: io nella lettura di Point Lenana ho trovato più di un invito, più di un’indicazione, a seguire traiettorie che dopo avermi portato al bordo della narrazione mi spingevano oltre, fuori dalla narrazione compressa nell’oggetto-libro Point Lenana.

        Come ha già scritto @tuco è “interessante vedere come nel libro risuonino molte discussioni fatte qui in questi anni”; credo che questo vada sottolineato, l’attivismo culturale quotidiano dei Wu Ming – via Giap, con la cooperazione della comunità che si è creata attorno – entra poi nella loro produzione narrativa (cosa a cui pensavo anche nella recente lettura di “Giap. L’archivio e la strada”) attivando processi di amplificazione dell’esperienza di lettura, rendendo accessibili diversi piani di lettura, offrendo materia in cui anche le nostre – di lettori – storie personali e famigliare entrano in vibrazione, in traiettoria, in collisione, con quelle che troviamo scritte sulla pagina.

        Per me gran bel viaggio, questo Point Lenana.

        E siamo solo all’inizio, no? :)

        • Avevo appena finito Timira quando WM1 ci ha mandato le anteprime di PL. Ma forse non è questo l’unico motivo che mi ha reso inevitabile collegarli.
          Secondo me i due libri, al di là delle affinità e dei “gemellaggi” evidenti, costituiscono una svolta nella produzione WM. Non so se e quanto questo sia stato voluto e pianificato, o se invece si sia trattato di una reazione “fisiologica” alla svolta degli eventi in questo tempo, alla svolta della composizione chimica dell’aria che respiriamo. Io parlerei di un nuovo livello di “maturità”, non tanto o non solo nel lavoro degli autori quanto nel fatto di richiedere anche al lettore un “lavoro” e una crescita supplementari: coraggio, alziamo il livello per non farci sommergere.
          Non mi stupirei di trovarmi a fare le stesse considerazioni all’uscita del prossimo romanzo di gruppo.

          • Beh @VecioBaeordo, speriamo che “L’armata dei sonnambuli” confermerà il nuovo “livello di maturità”, che anche io ho riscontrato nei citati Timira e PL.
            C’è una differenza fondamentale fra i due però, almeno secondo me, che credo abbia influenzato tutta la stesura di PL – ma anche tutto il lavoro di ricerca e approccio – ed è la conseguenza diretta di quell’intuzione che sta alla base di questo progetto, un’intuizione che è ora una scommessa vinta da Santachiara: coinvolgere un *uomo di pianura*, un *materialista storico* come WM1 in questo progetto, porlo “fuori dalla «zona di comfort»”. Ora, mi piacerebbe sapere se un po’ non si siano sorpresi anche gli autori stessi delle conseguenze di questa scelta sulla forma che via via è andato prendendo il testo: se inizialmente l’idea era coinvolgere uno digiuno di montagna per calarlo – per poi rendere sulla pagina – nelle sensazioni che Benuzzi & soci provarono nel salire la Punta Lenana, mi sembra che a lavoro terminato questa scelta abbia pesato e influenzato molto di più tutta la costruzione del libro. “Mettere alla prova il proprio scrivere” dice a proposito WM1 nell’intervista sulla rivista del Touring Club. Io credo che a cascata questa scelta abbia, forse inaspettatamente, portato a porsi anche su un livello più *intimo*, a chiedersi quali sono le ragioni che spingono gli uomini, gli alpinisti, a salire sulla cima di una montagna, in un rapporto di riflessività con l’invenzione stessa delle montagne da parte dell’uomo, attraverso la scrittura e la narrazione. Tanto che, di questo sono convinto, la figura meglio riuscita del romanzo è quella di Emilio Comici, dietro cui però io scorgo l’ombra di Gian Piero Motti; quest’ultimo poco citato nel testo ma a cui il libro stesso è dedicato, figura il cui incontro credo abbia influenzato e molto il *digiuno* WM1 (per Santachiara non sarà stato certamente una “scoperta”), l’incontro con l’alpinista-scrittore che scriveva di «falliti», che divideva gli alpinisti fra «uomini dell’azione» e «uomini della nevrosi».

            • Per come l’ho vissuta io, devo dire che la “differenza fondamentale” indicata da mr.mill mi suona al contrario come una “somiglianza fondamentale”.
              Così come Santachiara ha attirato WM1 fuori dalla sua “zona di confort” geografica (la pianura), così Antar Mohamed e Isabella Marincola hanno tirato fuori WM2 dalla sua “zona di confort” geopolitica (il colonialismo visto e criticato con gli occhi di un maschio, italiano, bianco). È vero che il rovesciamento del punto di vista, il “talking back” degli sfruttati, è una cifra stilistica wuminghiana, ma praticarlo in maniera così diretta è davvero un altro paio di maniche. Credo che Antar Mohamed, in questo senso, abbia avuto un’influenza importante anche per Point Lenana, dove gli autori sono meno esplicitamente meticci che in Timira.

              • Vero. In effetti detta così quella che mi pareva una differenza suona come un elemento di comunanza fra Timira e PL. È chiaro cosa intendi quando scrivi “Antar Mohamed e Isabella Marincola hanno tirato fuori WM2 dalla sua “zona di confort” geopolitica (il colonialismo visto e criticato con gli occhi di un maschio, italiano, bianco)”. Fuori dalla “zona di comfort” si sta un po’ a disagio, ci si fa molte più domande, il livello d’attenzione rimane più alto…
                grazie di avermi spostato la lampada, sotto questa luce la linea di continuità fra Timira e Point Lenana si fa più marcata e contemporaneamente più sottile, non solo per alcuni temi trattati :)

  8. Grazie ragazzi, risposta esauriente, ma adesso al posto di comprare un libro mi trovo a volerne comprare altri 2 ;-). In più mi avete incuriosito tantissimo su Trieste, mi sono trasferito da un anno nel nord-est e tutti mi hanno detto di visitarla ma nessuno finora mi aveva convinto, però aspetterò prima di leggere il libro.

    Il commento non è troppo breve, ma ne approfitto anch’io per scrivere: porci fascisti figli di troia (cit.).

  9. Appena tornato dall’incontro di Mogliano Veneto e com’era prevedibile ha regalato grandi suggestioni e spunti. Per me era la prima volta dal vivo con (un) WM e il primo acquisto di un cartaceo. Farò sacrifici per altro, ma regalandolo alla mia ragazza spero di poter espandere il pubblico del NIE, di cui l’amico o/e compagno in giacca bianca ha ribadito la necessità. E come ha detto WM1, dato che è legittimo prestare i libri e dimenticarsi a chi li si è dati, “comprate, comprate, comprate”
    Spero ci incontreremo a Verona o in Valsusa!
    Se posso permettermi la metafora, in questa realtà da prigione a cielo aperto, quando mi capita di sentirmi come Benuzzi, vengo su giap a trovare il mio Point Lenana; un caro abbraccio!

    • Solo per la precisione: la battuta era “Ricomprate, a me fa piacere” :-) Il riferimento era alle copie prestate che non tornano indietro, annoso problema denunciato da più lettori in quel di Mogliano :-))

      • Ipse dixit. Mi scuso per l’infedeltà della citazione ma l’emozione e il piacere mi hanno trasformato in un 15 urlante al suo primo concerto :-) la lucidità si perde e la necessità di acquistare il passo da montanaro anche nei sentimenti si fa pressante. Grazie ancora!

  10. Ho letto Point Lenana in tre giorni, con il passo regolare imparato sull’Adamello. Uno zio, in estate, ci metteva tutti in fila e dietro a lui anche i/le più riottos* camminavano, in silenzio: una fila di cugin* che accordavano il passo su chi quel giorno andava più lent*.
    Ho letto Point Lenana e non mi ha mai abbandonato, in quei tre giorni, la stessa sensazione: quella di imparare un passo lento e regolare, di imparare a osservare e distinguere, a riconoscere i segni del cambiamento del tempo, a guardare gli animali da lontano senza importunarli, a non raccogliere fiori preziosi, quella di imparare a dosare la forza fisica, e però anche osare.
    La pazienza, soprattutto la pazienza operosa serve per leggere Point Lenana. “In questo libro, nessuno è menzionato senza motivo” (p. 341). Ecco, l’altra metafora che userei per queste pagine è quella che le associa a tappeti beduini: fili di lana a volte ispida, aspra, per nulla morbida. Fili annodati, ma anche tesi fin quasi a spezzarsi. E però, no, quando sei al punto di rottura, quando ti viene da pensare: “Sì, vabbè, ma che c’entra?”, la tensione si allenta, un altro nodo si forma. Sai che alla fine il disegno si comporrà (“In quel momento, diversi percorsi iniziarono a convergere”, p. 390).
    Ho letto Point Lenana e mi ha fatto molto felice imparare parole nuove, ad esempio il meraviglioso aggettivo “tonitruante” (che, per vezzo letterario, avrei usato una volta sola per vantarmi di un hapax…), e mi ha fatto molto godere leggere pagine con un punto di vista, in cui il narratore sa cosa vuole fare: capire, cioè indagare, cioè giudicare, e quindi raccontare.
    Ho letto Point Lenana e in alcune pagine mi sono arrabbiata per il linguaggio sessista, e però poi ho capito che doveva essere così: che mi dovevo arrabbiare, e molto. In altre ho riso, in altre sorriso, perché questo libro ha anche un lato ironico da non trascurare.
    (e la chiusura, come in tutte le letture circolari, non c’è)

    • Invece il mio passo di lettura è a scatti irregolari: il viaggio sarà più lungo di tre giorni. Point Lenana è il regno di “mircopolitica e segmentarietà”. Si rischia l’embolia da un momento all’altro, ma ne vale la pena.

      Buona lettura ;-)

  11. io sto leggendo point lenana con calma e arriva danae che mi dice come va a finire!
    così non vale.

    Bolognesi a votare A

  12. vabbè, la prossima volta scrivo SPOILER
    ma niente paura: continua a leggere con calma… un libro circolare non comincia e non finisce :-)

  13. Io sto ancora leggendo, a passo lento ma deciso, e devo dire che l’incontro di Mogliano mi ha regalato nuovi spunti e riflessioni riguardo alla lettura.
    Posso solo fare un appunto? A pagina 129 si parla di Adua, e si dice che la battaglia è dell’11 marzo, quando in realtà io ho sempre saputo che si svolse l’1 marzo! Scusate la puntigliosità :-)

    • Un errore di battitura di quelli odiosi, un tasto battuto due volte, e la cifra in più che resta “camuffata” nella frase anche dopo svariate riletture. Mesi a verificare l’esattezza di dati e citazioni più “hard”, e poi – come spesso accade – l’errore si annida nelle “banalità di base”. E monta su un nervoso… Si rischia di apparire sciatti, il refuso sembra più di un refuso e rischia di gettare cattiva luce su tutto il resto. C’è gente che non aspetta altro… Grazie mille per la segnalazione, farò correggere in ristampa!

      • Una cifra in più messa lì per errore non pregiudica l’immenso lavoro svolto e il fantastico risultato che avete ottenuto, ne sono convinto!
        Non peccate sicuramente di sciatteria, un refuso capirà a tutti; questo anche, e soprattutto, tenendo conto della fatica improba che avete fatto per scrivere questo libro. Quindi non crucciarti troppo, non ne vale la pena :-)
        Complimenti per il libro comunque, scorre via che è un piacere,

      • C’è una cosetta che non mi quadra anche nei titoli di coda (pag. 556) dove si parla dell’intervento della Francia in Mali nel gennaio 2012. Nel 2012 è iniziato il conflitto, ma la Francia mi pare sia intervenuta solo a gennaio di quest’anno.

        • Naturalmente sì, dovrebbe essere “gennaio 2013”. L’intervento in Mali è avvenuto proprio mentre ci accingevamo a scrivere i Titoli di coda. Altro refuso. Segno pure questo, grazie.

      • segnalo un altro refuso. a pag. 573, il titolo originale in sloveno dell’antologia di kosovel e’ “ostri ritmi” e non “osti ritmi”.

  14. Wu Ming1 grazie del gradito omaggio. Sono proprio curioso di leggere il libro, e credo di poter partecipare alla presentazione di Milano del 21 giugno, dove ti racconterò di nuove ricerche sulle vette della patria.

  15. Il mio primo commento su Giap! #PointLenana mi sta “rovinando” le giornate, è un contenitore inesauribile di spunti, riflessioni, diramazioni. La sua bibliografia, per chi come me è amante della montagna e delle tematiche affrontate da Wu Ming, è una gioia.
    Una curiosità: riguardo la lotta tra i generi all’interno del CAAI e al divieto di partecipazione femminile al sodalizio, particolarmente gustosa è la lettera sull’argomento di Massimo Mila a Stefano Ceresa, presidente del Gruppo Occidentale CAAI (in Mila M., L’altra faccia della mia persona, Vivalda, Torino, 2010): “Caro Ceresa, non potendo intervenire domenica all’assemblea del Gruppo Occidentale del CAAI, cerco di aderire alla tua gentile richiesta di esporre un parere motivato sulla questione dell’ammissione nel Club Alpino Accademico di alpiniste che presentino i requisiti richiesti. Tra questi requisiti, non mi pare che lo statuto della nostra Associazione menzioni anche i testicoli, ergo tutto quello che posso dire è che mi meraviglio che nel 1965 dopo Cristo si possano ancor porre seriamente certi problemi. (…) Non posso perciò far altro che affermare il mio parere favorevole all’ammissione nel CAAI di donne che posseggano i titoli richiesti agli alpinisti di sesso maschile”.

  16. Sull’argomento “violenze di guerra e rimozione”, segnalo un’interessante iniziativa, purtroppo già avviata, dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana:
    http://www.istoresistenzatoscana.it/pdf/programma_Nostra%20storia_2013.pdf

  17. l’ho finito ieri (mi sono regalata mezza giornata di ferie solo per leggere) è bellissimo e ho ricominciato a leggerlo dall’inizio.
    in ordine sparso: come fa a sapere come ci si sente quell’attimo prima di scendere? (ma forse è Santachiara); non è solo arrivare in vetta, è molto più la fatica del camminare-arrampicare che, mentre lo fai, ti pacifica la mente e il corpo (lo dice Comici a un certo punto); quanti suicidi espliciti, ma quanti anche quelli, apparentemente non suicidi ma esiti dell’andare in montagna “accettando il rischio”, come si dice in giuridichese, dell’evento; lontananza geografica e storica da quelle zone (Venezia Giulia, Trieste) ora più capite forse anche se non ancora sentite; sembra che la storia sia passata alle spalle di qui (Versilia, la storia è arrivata, fermandosi anche un bel po’, nel ’44) ; possibile che una tale manica di pazzi sanguinari e imbecilli abbia governato l’Italia per venti anni? adesso devo leggere un Lungo viaggio attraverso il fascismo, sempre accantonato; devo comprare altre copie per regalarle; si rafforza la sensazione di non stare in Italia (quella dei protagonisti del libro) ma in Toscana, non so perchè, forse dipende dalla conformazione qui, tra California e Portogallo, con il mare davanti e le Apuane a chiudere dietro; non è vero che gli amici toscani gettano sale sulle ferite! (difesa d’ufficio) lo fanno per sdrammatizzare è un modo di manifestare l’affetto (nessuno ci capisce…); adesso basta chiacchiere, torno a leggere.
    grazie.

  18. Ho finito il libro ieri, ed ancora a caldo vorrei fare un breve commento e una domanda.
    Che con Point Lenana si abbia a che fare con un UNO lo si capisce a livello psico-fisico da una strana impressione di shock cognitivo che ti pervade appena lo finisci, e che ti riempie la testa di singolari domande, tipo: “Ma cosa ho letto?”, “Dove sono stato?” E, soprattutto, “Ma chi ha parlato?”. Piu’ che la fusione di generi, che sarebbe un semplice exploit tecnico-virtuosistico, e’ il tentativo continuo e riuscito di spostare il punto di vista a provocare tale stato di, ripeto, fisico straniamento. La sensazione, una volta arrivati in fondo, e’ di essersi svegliati in cima ad una montagna, e dover ricostruire faticosamente, mentre si beve una meritata tazza di caffe’, i passaggi (onirici o reali?) che si e’ compiuto per arrivare la’, ricordare i vari appigli su cui si sono appogiati gli scarponi, le sporgenze cui ci si e’ aggrappati. Un libro che, una volta chiuso, ti costringe (e bada bene, non “ti spinge”) a lavorare di testa, che nel momento in cui dovrebbe appagarti te la fa pagare cara di esserti preso la briga, ma pure il gusto, di arrivare fino in fondo.
    Poi alcuni dubbi rimangono, ma ancora incerti e confusi, quindi, se-mai, ad un’altra volta.
    L’unico che volevo tirar fuori ora e’ il seguente: perche’ avete scelto di chiamare la Guerra di Liberazione “Guerra Civile”?

    • In primis, grazie per la descrizione dell’effetto che ti ha fatto #PointLenana :-) In secundis, complimenti per l’attenzione, l’espressione “guerra civile” è usata una sola volta in tutto il libro, per giunta en passant. In un altro punto usiamo l’espressione “guerra di liberazione”, e in un’altra parte raccontiamo l’inizio della Resistenza (o almeno il “menarca” della Resistenza, cioè gli scioperi del marzo ’43) restituendogli la sua connotazione di classe. Ecco, queste sono le tre dimensioni della Resistenza secondo lo storico Claudio Pavone, che nel 1989 pubblicò un’opera monumentale, uno dei testi storiografici più importanti del Novecento italiano: Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza.
      La nozione di “guerra civile” era sempre stata tenuta presente dalla storiografia antifascista più seria, ma non la si era mai esplorata a fondo, perché era impugnata in un certo modo “livellante” dalla destra neofascista, e perché quegli eventi erano consegnati all’unidimensionalità del mito, quindi si doveva parlare solo e sempre di guerra di liberazione. E’ solo con l’uscita del libro di Pavone che la nozione viene definitivamente appropriata e ritematizzata “da sinistra”.
      Secondo Pavone per restituire la guerra partigiana alla sua complessità bisogna analizzarla come uno scontro molteplice, come minimo triplice:
      – guerra di liberazione (contro un esercito straniero di occupazione);
      – guerra civile (contro nemici italiani, ovvero le forze militari e civili dello stato-fantoccio collaborazionista con capitale a Salò);
      – guerra di classe (lotta di lavoratori e vendetta contro padroni, agrari, la grande borghesia).
      Va da sé che:
      – se si descrive la Resistenza unicamente come guerra civile, senza definirla anche di liberazione e di classe, si fa un favore ai fasci;
      – se la si descrive unicamente come guerra di classe, se ne mitizza un aspetto, semplificandola, senza tener conto della natura anche multipartitica e interclassista del movimento partigiano;
      – se la si descrive unicamente come guerra di liberazione, si ricade in quella mitologia patriottica e consolatoria che, tra l’altro, è servita a porre l’accento sui crimini “tedeschi”, mettendo in ombra l’apporto fondamentale del collaborazionismo fascista.
      Solo tenendo assieme queste tre dimensioni è possibile capire qualcosa degli accadimenti di quei quasi due anni di scontro, e dei lunghi strascichi del dopoguerra.

      • Sono esterefatto. Sebbene una voce nel libro non faccia che avvertire il lettore che niente in Point Lenana e’ casuale e che ogni nome e’ li’ perche’ ci deve stare, non immaginavo un tale livello di controllo e gioco di specchi tra fonti e narrazione, tra cornici di riferimento e realizzazione “artigianale”, al punto che termini o concetti sparsi, all’apparenza in modo casuale, in luoghi differenti del libro rimandano ad una precisa scelta (a sua volta multi-prospettica) di posizionamento rispetto al periodo storico narrato. Proprio a questo alludevo nella mia similitudine tra PL e una scalata in sonnambula di una montagna: non basta guardarsi indietro (o di sotto) per capire dove e come si e’ arrivati, occorre uno sforzo ulteriore e massiccio sia mnemonico sia cognitivo per ricostruire il percorso (o uno dei percorsi) che si e’ fatto.
        Purtroppo non si puo’ applaudire nel commento di un blog.
        Alla tua spiegazione, della quale ti ringrazio di cuore, aggiungerei solo che forse uno dei grandi problemi della Resistenza e’ che non e’ stata (non gli e’ stato permesso di essere) abbastanza guerra civile…
        Vorrei anche ringraziare vecchio Baeordo per aver esplicitato in modo perfetto un aspetto effettivamente centrale in PL, cui avevo fatto caso ma senza riuscire a coglierne a pieno le sfumature.
        A questo punto mi sa che mi tocchera’ pure a me di iniziare la seconda lettura, mannaggia alle scalate e al mal d’Africa…

        • Ah, scusate, sono esterrefatto con due erre, nel modo tradizionale insomma…e visto che credo cio’ non basti per fare di cortezza virtu’ aggiungo le solite scuse per gli apostrofi al posto degli accenti, ma queste tastiere inglesi sono profondamente etnocentriche…

    • Ho quasi finito la seconda lettura, lentamente, prendendo nota, cercando i riferimenti, e lo straniamento di cui parli non passa comunque. Hai detto bene: fisico straniamento.
      Hai fatto caso quanta fisicità in questo libro?
      In primis lo spunto della storia: andare a piedi sul monte Kenya da totale neofita, con lo scopo preciso di cambiare il modo di scrivere in seguito a un cambiamento nell’uso del corpo.
      Poi, fin dall’inizio, una cura singolare (quasi un accanimento) nella descrizione di ciò che succede ai corpi in particolari situazioni: dalla descrizione degli effetti dei due tipi di edema, verso l’inizio, agli effetti delle armi chimiche durante i racconti degli orrori coloniali.
      Infine (riassumo qui ciò che avevo già scritto a WM1 durante la lettura di prova) l’alternanza tra i racconti delle porcate coloniali e i racconti di alpinismo e alpinisti, in particolare quelli di Comici. L’effetto di questi ultimi intercalati all’angoscia opprimente, fisica, della macelleria africana trasmette secondo me una sensazione altrettanto fisica di “sollievo respiratorio”, di “interruzione dell’apnea”, che ho sempre associato all’andare in montagna. In questo senso la costruzione di certi passaggi incarna (nei polmoni, nei nervi, nella pancia) il riscatto dall’orrore, che e’ una delle letture della fuga sul Kenya di Benuzzi e compagni.

      • Aggiungo: una delle frasi che ho letto di più su Giap negli ultimi anni è tenere il culo in strada. Piccola riflessione fisica en passant.
        WM1 sfodera questo libro nato dal camminare.
        WM2 dopo Il Sentiero degli Dei se ne esce su Giap con il progettone di continuare a camminare il TAV anche in pianura, operazione sicuramente più complessa che in montagna.
        Allora perché in strada bisogna tenere il culo e non le gambe, o i piedi?
        Un amico anni fa mi chiese:
        – Cosa usi per camminare?
        – Le gambe, che domanda.
        – Fammi vedere.
        Ci alziamo, io mi avvio e lui si mette mezzo metro dietro di me e mi tiene per le tasche dei pantaloni, con due dita per mano e nessuno sforzo.
        – Dai, cammina! Cosa aspetti?
        Risultato: nemmeno un passo. Il piede si alza e torna al punto di partenza. Se si blocca il baricentro, nulla si muove. E il baricentro, guarda caso, è subito sopra il culo.

        Tenere il culo in strada non significa usarlo per sedersi, ma per camminare.

  19. Sinceramente Point Lenana mi ha sorpreso: volevo leggerlo sopratutto per conoscere la storia di Felice Benuzzi, ma la forma di oggetto narrativo non identificato mi ha davvero catturato (non l’avrei mai detto), il risultato è che ho letto il libro in pochi giorni.

    La montagna non l’ho mai veramente conosciuta, non credo che i monti sardi siano un giusto termine di paragone, ma PL mi ha fatto davvero viaggiare.. un’esperienza che paragono a “Nelle terre emerse” di Jon Krakauer, anche li l’autore paragonava una sua esperienza personale, caso voglia che sia una scalata in montagna, con l’avventura di Christopher McCandless.

    Andando avanti nella lettura, in riferimento al colonialismo italiano, mi continuavo a ripetere “ma perché queste cose non le dicono nelle scuole?”, sono stufo di sentir dire che il fascismo a parte le leggi raziali del ’38 e l’entrata in guerra non ha fatto nulla di male, o ancora che non ha fatto morti prima dell’entrata in guerra…..

    Ps. Ho letto pure la parte bibliografica, per me è un record: ma quindi dovrei mettere completamente in discussione tutto quello che ho letto in “Cristo con il fucile in spalla” di Ryszard Kapuściński???

    Pps. Ho apprezzato molto la multimedialità del libro, cioè la possibilità di leggerlo affianco ai contenuti multimediali di pinterest, mi piace pensare il futuro del libro in questi termini più che in un freddo e-book.

    • “Dovrei mettere completamente in discussione tutto quello che ho letto in “Cristo con il fucile in spalla” di Ryszard Kapuściński”

      Non l’ho letto ma, viste le rotonde, levigate, bellissime panzane che ha sparato in altri libri, qualche sano dubbio è lecito coltivarlo. Diciamo che gli piaceva “abbellire”. Ma non era mica l’unico, eh…

  20. […] e agosto. Intanto è partito il passaparola; del libro si discute intensamente (un bel dibattito è sotto questo post); un gruppo di lettori cura su Tumblr un blog interamente dedicato a Point Lenana  (nella sezione […]