Sulle lotte in Italia, a partire dallo sciopero europeo – Note in libertà #14N #14nit

Sciopero europeo

[Avrete notato che, negli ultimi tempi, stiamo dedicando meno tempo ed energie a Giap. E’ che siamo immersi nella scrittura, la stiamo praticando con febbrile intensità, studiamo e scriviamo a capofitto. E’ il nostro specifico, scriviamo libri, raccontiamo storie, non saremmo noi se non lo facessimo. WM1 sta terminando Point Lenana, l’intero collettivo sta lavorando a L’armata dei sonnambuli.
Però, ecco, sarebbe un peccato se, proprio in una fase come questa, di conflitto sociale che si ravviva, Giap mancasse di essere lo spazio di confronto che è sempre stato. Il fatto che noialtri siamo un po’ “ingolfati” e in semi-clausura non deve impedire a nessuno di utilizzarlo in tal senso. Inviteremo vari/e giapster a intervenire non solo come commentatori/trici, ma anche come guest blogger,  scrivendo post sulla fase che stiamo attraversando. Pensiamo a quel che ha fatto tempo fa Mauro Vanetti con Sfiga e rivoluzione, ma non è necessario che gli interventi siano altrettanto ambiziosi e articolati.
Intanto, per pungolarvi un po’, alcuni appunti volanti ispirati agli eventi degli ultimi giorni, a cominciare dallo sciopero europeo di stamane.]

A che punto è la notte? Nessuno può dirlo. Non sappiamo quante ore di buio ci siamo lasciati alle spalle, né quante altre abbiamo davanti. Gli orologi sono tutti in ritardo e le stelle sembrano ruotare a caso. Dall’altopiano si vede la prateria, punteggiata di piccoli lampi a ovest, a sud, a sud-est… Sono scintille. Ognuna fa storia a sé, perché la notte è umida e l’erba alta non si incendia. Tuttavia, potrebbe incendiarsi, se l’alba non tarderà e il primo sole asciugherà il terreno.
Nelle ultime ore le scintille si sono moltiplicate. Ciascuna brilla e si spegne senza unirsi alle altre, ma i piccoli lampi sono più vicini, chissà…
La domanda è: cosa può sconfiggere – o almeno ridurre – l’umidità che blocca le fiamme? Cosa può aiutare l’incendio a nascere e allargarsi?

Lo sciopero generale europeo ha toccato l’Italia, collegandola finalmente agli altri PIIGS dell’area mediterranea (Portogallo, Spagna e Grecia), proprio mentre partivano nuove lotte, se ne riaccendevano alcune “storiche” e svaporavano bluff padronali come quello della Fiat, che perde battaglia dopo battaglia nei tribunali del lavoro della Penisola. I picchetti dei facchini all’Ikea di Piacenza, quelli dei loro colleghi alla Coop Adriatica di Bologna, la collera dei lavoratori del Sulcis, gli operai che occupano la Sertubi Jindall di Trieste, i cittadini liberi e pensanti di Taranto in lotta contro l’ILVA, la Val di Susa che non demorde e rilancia l’offensiva contro il TAV, gli studenti che tornano nelle piazze, nuove occupazioni in molte città e scontri – o addirittura tumulti – ovunque si presentino i ministri di questo governo “tecnico”, il più ottusamente ideologico, asservito al capitalismo finanziario e impregnato d’odio sociale della storia della Repubblica.

Scontri Alcoa

Come? Berlusconi? Per favore, non spariamo cazzate. I clown del “centrodestra” (continuiamo a detestare quest’eufemismo) erano malvagi e corrotti, e hanno fatto parecchi danni, ma non sono mai riusciti a far passare controriforme e vessazioni come quelle che abbiamo subito negli ultimi dodici mesi, durante la nefanda “luna di miele” di Mario Monti con un’opinione pubblica strafatta di analgesici, che ancora non sentiva le rasoiate nella carne, guardava con fastidio le lotte di chi aveva già capito, e magari invocava le manette contro i facinorosi.

Il più grave problema di questo Paese, storicamente, è l’ignavia della piccola borghesia, che è la più becera d’Europa e oscilla perennemente tra l’indifferenza a tutto e la disponibilità a qualunque avventura autoritaria. Avventura “vicaria”, naturalmente, vissuta per interposto Duce che sbraita. Giusto un brivido ogni tanto, per interrompere il tran tran, godersi l’endorfina e tornare al proprio posto.
Finché non sente il dolore, l’italico cetomediume rimane apatico. Quando inizia a sentirlo, non sa dire cosa gli sia successo, blatera incoerentemente, dà la colpa ai primi falsi nemici che gli vengono agitati davanti (a scelta: i migranti, gli zingari, i comunisti, quelli che scioperano, gli ebrei…)  e cerca un Uomo Forte che li combatta.
In Italia come in poche altre nazioni, non c’è nulla di più facile che spingere l’impoverito a odiare il povero.

Ora la “luna di miele” è agli sgoccioli, l’effetto degli analgesici sta cessando, e anche la piccola borghesia torna a incazzarsi, ma a casaccio. La vedete? Si guarda di nuovo intorno in cerca dell’ennesimo duce. Porterà in palmo di mano chiunque le propini un buon diversivo, ricorra a retoriche nazionaliste da quattro soldi e mantenga l’attenzione su falsi eventi, nel senso di “false lotte”.
“Falsa lotta”, per capirci, è quella contro un falso nemico. Alba Dorata che sposta l’attenzione sui migranti mentre la maggioranza della popolazione greca lotta contro le politiche della Troika sta proponendo una falsa lotta. Ma ne abbiamo anche in Italia, a strafottere. Ne vengono proposte di continuo.

Tragica buffonata

E non sono un “falso evento” anche le primarie del “centrosinistra” (questo è invece un cacofemismo) dove tra amenità, pseudo-pantheon democristiani e scimmiottamenti della peggiore tv-spazzatura si invita la base del PD a scegliere il candidato premier? Ma il candidato premier per fare che? Il prossimo governo dovrà applicare il Patto di bilancio europeo (il cosiddetto “Fiscal compact”), cioè tagliare 50 miliardi di euro all’anno, e questo compito dovrà averlo ogni governo per i prossimi vent’anni! Il Patto è stato ratificato in parlamento, senza discussione, da tutte le forze che sostengono il governo Monti, PD in primis. Il PD ha anche votato senza colpo ferire l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. In Italia il pareggio di bilancio lo ottenne Quintino Sella, e sapete come? Sparando sul popolo che protestava per la tassa sul macinato. Ve la ricordate? L’avete studiata a scuola, sin dalle elementari. Historia magistra vitae, giusto?
Le primarie. Ma per favore… Di che stiamo parlando? Si chiede alle mucche di scegliersi il macellaio più simpatico. Il PD dovrebbe guardare a quel che è successo in Grecia al Pasok.

Solo le lotte vere possono scacciare quelle false. E in Italia le lotte vere ci sono. Il problema – problema tutt’altro che nuovo, tanto che annoiamo noi stessi mentre battiamo per l’ennesima volta su questo chiodo – è che sono ancora disgiunte tra loro.
Cosa può congiungerle?
L’organizzazione.
“Organizzazione” intesa prima come processo (l’organizzarsi) che come soggetto (la forma organizzativa).
Ed è qui che, ogni volta, gli animi, le tradizioni e le fantasie si dividono:
di che natura dev’essere questo lavoro di organizzazione? A quali forme deve portare?
Bisogna usare in modo nuovo e migliore le forme che già esistono, crearne di radicalmente diverse oppure entrambe le cose?
Dinamiche locali virtuose possono essere “esportate” oppure funzionano perché agiscono sulla singolarità di un territorio, di una situazione?
Di sicuro possono fare da esempio, e riecheggiare altrove, come la lotta della Val Susa riecheggia nei discorsi e nelle pratiche dei cittadini e lavoratori di Taranto. Questo è già un punto di partenza.

E quale contributo può dare ciascuno di noi, partendo da quello che fa ogni giorno? E’ sufficiente dare il proprio apporto sui social network, condividendo, ritwittando, proponendo appelli e petizioni? Dove si colloca il punto oltre il quale informare in rete diventa mero “clicktivism”, attività consolatoria e sostitutiva? Servono a qualcosa le petizioni in rete, o sono solo tappe di un percorso obbligato ormai sclerotico? Per quella che è la nostra esperienza, le mobilitazioni migliori si sono avute quando si è fatto a meno dei percorsi obbligati, e si è lasciato spazio alla fantasia delle persone, che in questo modo hanno prodotto un’informazione e una guerriglia comunicativa molto migliori. Se non ti dò una petizione da firmare, non ti consento di accontentarti di firmarla, e questa frustrazione può spingerti a inventarti altro.

Osservazioni alla rinfusa, forse anche alla boia vigliacca. Molto più in là non riusciamo andare, almeno con le premesse del discorso.
Dite la vostra.
Usate Giap.
Prosit. [WM1]

***

A proposito di lotte in Italia, leggete l’appello di Struggles in Italy. Date una mano a queste compagne e compagni che fanno un lavoro meritorio, di autentica militanza internazionalista.
E ancora:

Για την ευρωπαϊκή απεργία και τους αγώνες στην Ιταλία – Wu Ming #14N
(Questo post in traduzione greca)

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265 commenti su “Sulle lotte in Italia, a partire dallo sciopero europeo – Note in libertà #14N #14nit

  1. […] E qualche articolo nel pomeriggio che merita assolutamente tenere […]

  2. Premettendo che anni di militanza mi hanno “lasciato” con più dubbi e incertezze che convinzioni ferme, e che dunque anche le mie parole sapranno di “roba vigliacca alla rinfusa”, provo a dire quello che sento, partendo dal contingente (la giornata di oggi) per arrivare vedremo dove.

    1) Vorrei sottolineare il valore simbolico della giornata di oggi. Simbolico più che pratico, perchè non ho il minimo dubbio che le istituzioni nazionali ed europee che ci governano non prenderanno in considerazione minimamente questo sciopero generale. Oggi, per volere della CES (Confederazione Europea dei Sindacati), le lotte si sono mostrate unite contro l’austerità e contro le manovre europee che stanno strangolando il lavoro. L’internazionalismo che auspichiamo da tutte le lotte nella giornata di oggi è stato reale. Ed è un internazionalismo che travalica addirittura le nostre ideologie, perchè in quanto lavoratrici e lavoratori di questa parte di mondo, i percorsi sono realmente intrecciati: per uno studente spagnolo con un cassintegrato italiano, per una bibliotecaria portoghese con per un’operaio tedesco. Le scelte industriali ed economiche che vengono fatte sulle nostre teste dipendono ormai da una serie di condizioni che valicano i confini nazionali. Non ci si salva da soli ( e questo lo sappiamo da decenni), ma ormai non ci si salva neppure come singole categorie lavorative, men che meno se appartenengono ad un solo paese. L’edificio sta franando, e dentro ci siamo tutt*, parlando tutte le lingue del mondo. Aver raggiunto questo livello di unità nella lotta (ripeto, oggi solo simbolico) è comunque un passo avanti che reputo decisivo.

    2) Verso cosa stiamo andando, e soprattutto contro quale apparato stiamo muovendo la nostra energia ? Nemmeno io so rispondere, perchè l’umidità è troppo diffusa e generalizzata per indicare un’obiettivo chiaro e distinto. [Basti pensare che, anche oggi purtroppo, la mitizzazione dell’Evento, dello Scontro, ha funzionato, anche se in forme minori rispetto all’Ottobre scorso. Sembriamo ancora non capire che lo scontro frontale condensato in un’unica giornata ci lascia ammaccati e confusi e dunque in calo di energie per lotte che devono durare nel tempo]. Sono d’accordo con te che anche il solo riecheggiare di una forma di lotta valsusina tra le nebbie ingolfate di Taranto sia un punto di partenza non da poco. Ma vi scorgo comunque un difetto : la difficile continuità, che centra molto a mio parere con il problema dell’organizzazione. Vi sono settori di militanza che di organizzazione non ne vogliono sapere e continuano imperterriti a pensarsi, ad immaginarsi e a realizzare piccole lotte in piccoli luoghi senza aprirsi all’Altro. E questo, purtroppo, ha a che fare con la mentalità da piccoloborghesi che tu citavi, che in quei casi si denota come “piccolo interesse politico”, incapace di fuoriuscire dal proprio recintino. In questo, la miopia non permette di vedere che la tua “piccola lotta”, nel momento in cui la inneschi, è già parte della Lotta, riguarda milioni di persone oltre il tuo giardino, e non dovrebbe impedirti di cercare nell’altro, nel simile, qualcuno con cui camminare e lottare assieme. Credo, vado a memoria, che le fasi rivoluzionarie della storia siano state tali perchè ad un certo punto si è aperta la propria porta di casa ( o di sezione di partito, o di fabbrica, o di luogo lavorativo in generale ) per andare a cercare l’altro. Su questo punto, l’Italia è ancora molto indietro.

    3) Cos’è che può coagulare tutto questo e farlo esondare? Un movimento ? Un partito ? Una rete ? Questa è la domanda più difficile. Provo a fare qualche considerazione sulla base di 18 anni di militanza (in movimenti e partiti). Questi organismi, ciascuno nelle proprie specificità, hanno dimostrato di non essere all’altezza, anzi, negli anni ho potuto scorgere che in molti difetti si assomigliano, forse perchè assomigliano tutti alla società nella quale sono immersi. La dualità movimento-partito, allo stato esistente, non esiste. Non riesco a vedere in nessun partito esistente una strada privilegiata verso una lotta di successo, a meno che non si apra alle spinte e alle dinamiche che si aprono dal basso. Ma contemporaneamente, non riesco – più – a vedere nella lotta di un movimento avulso e chiuso alle istituzioni un qualcosa di fecondo, a meno che non cerchi teste pensanti e braccia disponibili anche nei partiti che siedono nelle istituzioni (comuni, province, regioni, parlamento). Trovo che il mischiarsi sia necessario e possa rispondere alla domanda : sono (saranno) efficaci le nostre lotte ? E se anche perdiamo 40 battaglie – e magari le perdiamo un pò perchè il FinanzCapitalismo è troppo irraggiungibile e un pò perchè dopo tanto remare a vuoto siamo rimasti in dieci, oppure perchè ci siamo divisi e ultradivisi ( comodo sport in cui a sinistra siamo capacissimi) – dicevo, se perdiamo una per una tutte le sacrosante battaglie che facciamo per una migliore organizzazione della società e dei singoli, stiamo comunque seminando qualcosa per il futuro ? Stiamo trasmettendoci visioni/competenze/strategie/tattiche dai più anziani ai più giovani e viceversa o, ad ogni autunno-inverno, tocca ricominciare daccapo nell’eterno ritorno dell’uguale ?
    Sono queste domande che premono negli ultimi tempi, frutto forse di un passo indietro nel cercare una prospettiva meno tossica e lacerante di quella che mi/ci ha portato a vivere in una società – quella italica soprattutto – che lentamente ha reso la volontà tanto pessimista quanto la ragione.
    Io non ho risposte, e sono disposto a cambiare questa mia visione con qualcosa d’altro. Probabilmente affermo cose banali o inutili. Ho comunque la netta impressione che il lavoro certosino e quotidiano sia prezioso, necessario e da difendere fino alla morte, ma che per uno sblocco della situazione debbano passare anni, forse decenni.

    Vi seguo con attenzione e curiosità,

    D.

    • Ma contemporaneamente, non riesco – più – a vedere nella lotta di un movimento avulso e chiuso alle istituzioni un qualcosa di fecondo, a meno che non cerchi teste pensanti e braccia disponibili anche nei partiti che siedono nelle istituzioni (comuni, province, regioni, parlamento). Trovo che il mischiarsi sia necessario e possa rispondere alla domanda: sono (saranno) efficaci le nostre lotte?

      Ecco, secondo me un grande problema delle strutture che organizzano i movimenti e un grande ostacolo alla loro capacità di incidere efficacemente sul reale in maniera duratura è costituito –appunto– dal fatto stesso che le strutture sono strutture. In altre parole: le strutture pretendono di costituire lo scheletro e l’architettura portante dei movimenti, anziché dare al movimento in quanto tale (“le masse”) margini di decisione e di azione reali. Al contrario, per garantire che la fantasia delle persone possa produrre informazione e guerriglia comunicativa, la struttura del movimento deve essere costituita da nuovi soggetti di espressione politica nati in seno al movimento piuttosto che dalle strutture che lo preesistono. Con questo non intendo dire, come fa Grillo, che il nuovo deve cancellare il vecchio, perché questo sarebbe ridicolo (e infatti Grillo lo è quando narra ogni lotta come una lotta del M5S), ma che il movimento debba sperimentare processi decisionali che scavalchino le strutture preesistenti. Così facendo, il movimento sarebbe in grado di mobilitare le masse; altrimenti, il massimo in cui le strutture possono sperare è di gestire le masse quando queste, a prescindere dalle strutture, per qualche motivo si mobilitano.

      La dinamica che molto spesso si osserva è che le strutture si limitano a riprodurre a livello politico la frammentazione di interessi tipica della mentalità piccoloborghese, di cui peraltro avete già parlato in precedenza. Da questo fatto dipende non tanto l’incapacità, quanto la mancanza di volontà politica, di “contaminare”.
      Ieri, a un incontro di movimento in vista dello sciopero generale, è stato invitato a parlare un compagno greco che ha definito Syriza un partito “socialdemocratico” accusandola (sic!) di essere vicina ai movimenti. L’opinione sottesa è che movimenti e partiti debbano restare due cose distinte e separate. Io invece non so cosa darei perché esistesse una comunicazione stretta e anche una parziale sovrapposizione tra le due cose.
      A me sembra che i movimenti rifuggano un confronto e una collaborazione con i partiti perché temono di non riuscire ad assolvere il ruolo di rappresentanza nel caso in cui dovessero riuscire a rivestire per un attimo un qualche incarico politico.
      Ovvero, è sempre la stessa storia: si vuole “difendere” le vecchie conquiste e “resistere” ai nuovi attacchi, ma non si pensa a come “vincere”.

      Ho l’impressione di aver esposto la questione in maniera molto confusa, chiedo perdono se magari non si capisce un cazzo ma ora sono davvero stanco e non riesco a trovare altre parole.

      • penso che, arrivati a questo punto, già il concetto di vittoria sia una contraddizione in termini, o meglio (per riprendere anche la conclusione di un’altro post) su quale “campo da gioco” si dovrebbe vincere, e soprattutto, accettare le regole di quel campo (piano) può essere considerata una vittoria?
        sono d’accordo sul fatto che è sempre la stessa storia.

        • De facto ho risposto alla tua domanda più giù, sotto il commento di Mauro Vannetti delle 10:33.
          Il commento che ho inviato contiene dei link, quindi immagino che ancora debba essere visionato da Saint-Just e che comparirà tra poco.

  3. ciao, sono d’accordo con tutto, tranne che su un punto: e cioè sulla presunta “eccezionalità” del ceto medio italiano.

    Secondo me l’odio del ceto medio impoverito verso il povero non è un'”anomalia” italiana, ma una costante nei paesi occidentali. Penso per esempio all’odio di classe che c’è in Gran Bretagna verso chiunque prenda sussidi pubblici, che arriva sino all’affermazione più o meno esplicito della “subumanità” del povero-inetto-fannullone.

    Il punto è che il ceto medio negli ultimi trent’anni s’è illuso di poter partecipare, grazie proprio “duro lavoro” (?), al banchetto immondo del neoliberismo. E questa illusione s’è talmente radicata che anche oggi, di fronte al collasso economico e alla spudoratezza con cui il famigerato 1% continua ad arricchirsi, il ceto medio impoverito preferisce rimarcare la propria distanza dalle classi popolari, piuttosto che ribellarsi. Secondo me è una delle questioni centrali della stagione apertasi nel 2008 – non solo in Italia, appunto, ma a livello globale.

    • Ritengo, come te, che la piccola borghesia abbia le medesime tare in tutto l’occidente capitalistico, e al tempo stesso penso che in quella italiana alberghi più becerume che in altre. Nell’esprimere questo giudizio, che ammetto essere puramente empirico, tengo conto della storia del Paese, del fatto che il suddetto “cetomediume” è stato la base sociale del fascismo, e che in tutti i rivolgimenti italiani il peggior nemico del proletario è sempre stato il piccolo borghese proletarizzato. Come vedi, vado un po’ più indietro rispetto agli ultimi trent’anni. Ma in generale, hai ragione.

      • Eheh…tutti piccoli Bounderby sti piccoli borghesi :-)
        Non ne sono del tutto convinto, sta il fatto che negli ultimi anni di Duce non ne sono stati eletti, anzi chi sta facendo il danno il problema dell’elezione a furor di popolo o meno, nemmeno e l’è posta.
        Inoltre pure a loro le cose non sono andate troppo bene…è un problema che ho citato sotto: non c’è un capitalismo, ci sono tanti capitalismi. E non sempre vanno d’accordo…

        • Guarda che prima del governo tecnico c’era un osannatissimo Uomo della Provvidenza, che per quasi vent’anni ha preso milionate di voti del ceto medio. Pur essendo un mega-plutocrate che pensava principalmente ai cazzi propri e su tutto il resto era un incapace assoluto, aveva l’appoggio dei padroni, e il nocciolo dei suoi fans più accaniti era tra i piccoli e medio-piccoli imprenditori, la famosa “base di Confindustria” che a un certo punto era anche disposta a spaccare l’organizzazione, perché riteneva il suo vertice troppo tiepido nei confronti di Silvio.

          Il principale alleato di Silvio era un altro ducetto, tale Umberto, che a Pontida radunava migliaia di mentecatti con lo spadone e l’elmo da vichingo.
          In entrambi i casi, era tutto cetomediume esaltato per un capo supremo che “aveva sempre ragione” (si diceva di Benito, poi si è detto di Silvio e di Umberto), leader di un partito autoritario ritagliato intorno alla sua figura, al cui interno non c’era spazio per il dissenso.
          Entrambi quei partiti indicavano falsi nemici: la Lega indicava soprattutto i migranti, Forza Italia (poi PdL) indicava soprattutto i comunisti.
          In entrambe le formazioni c’erano più che evidenti tratti di fascismo antropologico (e anche derivazioni esplicite dai neofascismi, si pensi a Borghezio o alla destra del PdL).

          Poi, con l’inizio della crisi, i padroni si sono resi conto (parecchio tardi) che l’Uomo della Provvidenza era più che altro l’Uomo della Sfiga, totalmente disfunzionale ai loro interessi, e il suo alleato leghista era un rottame, e da un momento all’altro ci siamo ritrovati il governo tecnico.

          Adesso, dopo un anno “strano”, lo stesso cetomediume, che sta peggio di prima ma non sa il perché e si ritrova orfano di capi, ne cerca di nuovi. Alcuni guardano a Grillo, ma forse quello è solo un prodotto transitorio. Staremo a vedere.

          E vorrei ricordare che anche prima del primo governo Berlusconi c’era stato un governo “tecnico”, il governo Ciampi, e quando il primo governo Berlusconi cadde, fu sostituito da un altro governo tecnico, il governo Dini. Noi oscilliamo continuamente dal polo del “rigore” tecnocratico a quello dell’avventurismo autoritario imperniato sul culto del capo.

          • Beh storicamente parlando esiste ancora un’appartenenza di classe che influisce sul voto, qui lo ricorda abbastanza bene:
            http://www.marx21.it/italia/quadro-politico/7963-il-voto-di-classe-in-italia-secondo-le-indagini-sociologiche.html

            Il problema è che però quando si vanno a fare i conti si scopre (o almeno è mia opinione) che i danni peggiori li ha fatti proprio il centrosx, in barba a chi lo ha sostenuto o immaginava un’orizzonte progressista-riformista-bla,bla..
            Penso a disastri come il pacchetto Treu, le privatizzazioni, l’entrata nell’euro, le guerre, ecc.
            E se, come per la piccola borghesia filo PDL-Lega, le colpe sono non solo degli esecutori politici ma dell’elettorato, temo che ben pochi si possano salvare in questo senso…

            • Beh, io credo che il centrosinistra abbia fatto esattamente ciò che era stato chiamato a fare: applicare ricette di destra e neoliberiste, pseudo-modernizzatrici. Ed è riuscito ad applicarle grazie alle “cinghie di trasmissione” che ancora aveva nella società e sui territori. Due interi set di cinghie di trasmissione, quello cattolico-sociale e quello ex-comunista. Interi apparati impegnati a far ingoiare pillole amare. Grazie a questi apparati, è riuscito a far passare senza intoppi leggi che, se le avesse fatte passare il centrodestra, avrebbero alzato grandi polveroni. Giustamente ricordi il pacchetto Treu, e tante altre ne potremmo dire, anche su repressione, corpi di polizia, carceri…

              Secondo me, se le coalizioni di csx non fossero state così instabili e litigiose (senza nemmeno un Fuhrerprinzip a fare da cemento!), la parte più intelligente dell’establishment economico-finanziario sarebbe stata più che disposta a tenersele. Prodi privatizzava, tagliava, imponeva i parametri che piacciono ai padroni… Solo che non era abbastanza, né gli si poteva chiedere di più, perché c’erano i kommunisti, i turigliatti che votavano contro, i discorsi sulla patrimoniale, i noglobal in parlamento, la CGIL che flirtava coi movimenti, la difficoltà di tenere insieme Mastella e il PRC… Tutto troppo brancaleonesco, non poteva tenere.

              Quando il Prodi bis è caduto, i padroni del vapore hanno preferito puntare di nuovo sul cavallo di centrodestra. Il centrodestra aveva il sostegno fideistico di una grande massa piccolo-borghese, non perdeva tempo con la democrazia interna, adottava metodi più spicci, usava la metafora della “nazione come azienda” ed era privo di senso del limite. E per Lorsignori, appoggiarlo era meno “contronatura” che appoggiare il centrosinistra.

              Ci hanno messo un po’ ad accorgersi di aver fatto una cazzata: il berlusconismo è andato in putrefazione poco dopo, a un anno dalla vittoria del 2008 puzzava già di carogna. Poi ha perso la maggioranza reale in parlamento, riducendosi a mercanteggiamenti coi vari scilipoti, a piccolissimi cabotaggi per non affogare. Mettiamoci la satiriasi (tutta mentale), le stronzate, il bunga bunga… A gente così non si poteva chiedere di accelerare sulle “riforme che servono al Paese”, quelle che “ci chiede l’Europa”, quelle della lettera di Draghi e Trichet.

              A quel punto Lorsignori hanno proprio interrotto la corsa, e chiesto a Napolitano il commissariamento dell’ippodromo.

              In soldoni, e semplificando ai massimi, a me sembra che sia andata così.

              • Concordo pienamente.
                Semplicemente, la scelta avuta negli ultimi 20 anni era fra due destre.
                Per l’appunto trovavo troppo generalizzante il riferimento alla piccola borghesia con le sue “colpe elettorali”: purtroppo quelle le hanno tutti e soprattutto credo che da questa crisi ci abbiano più che altro perso.
                Per dirla in soldoni, penso sia inutile e sbagliato incolpare il tabaccaio se non ci sono soldi…anche se il tabaccaio in questione è a Reggio Emilia ed ha il coraggio di tenere foto, accendini, e poster di Mussolini in bella mostra -.-

                • Certo che ci hanno perso. Ci perdono sempre. L’alleanza storica e, per così dire, “naturale” dovrebbe essere tra impoveriti e poveri, proletarizzati e proletari. Ogni volta che i poteri costituiti riescono a scongiurare quest’alleanza, giocando sul fatto che il ceto medio retrocesso ha ancora i valori e disvalori di prima e si crede ancora appartenente alla classe di prima, ci perdiamo tutti quanti. Il punto è che in Italia questo giochetto dopo la prima guerra mondiale ha portato al fascismo, che era una falsa rivoluzione confezionata a uso e consumo dei ceti medi, che ha avuto carta bianca dai padroni e ha prodotto morte e distruzione. Da allora, di “false rivoluzioni a uso e consumo dei ceti medi” per impedire che la loro proletarizzazione avesse un esito indesiderato ne abbiamo viste altre, e forse una la stiamo vedendo anche adesso.

      • sì avevo colto il riferimento.

        Però appunto, mi colpisce sempre l’odio di classe verso il povero che c’è quassù in Gran Bretagna – al punto da arrivare a pubblicare nomi e foto di chi “vive sulle spalle degli altri”:

        http://www.express.co.uk/posts/view/328659/Time-for-action-on-benefit-scroungers

        O anche verso i nomadi:

        http://www.flickr.com/photos/cliveandrews/5770471689/

        Lo dico perchè in Italia si ha spesso l’idea che i paesi del Nord Europa siano più “civili” – ci sono sicuramente delle differenze, ma l’individualista bieco e razzista del ceto medio mi pare una costante, purtroppo.

  4. Mi fa molto piacere finalmente sentire qualcuno che ricorda quale sia la vera e pericolosa destra, altròchè Berlusca ed i suoi…
    L’ho ricordato giusto ieri sul blog:
    http://ilbipolare.blogspot.it/2012/11/ombre-rosse.html
    ricordando l’altra stampella di questo governo, I Fantastici 5, nonchè i suoi illustri predecessori.
    Però, onestamente, non sono ottimista. Le lotte sono sacrosante, ma si fatica a trovare unità d’intenti, perchè se “il capitalismo è da abbattere” appare una frase sensata, i significati sono molteplici…anche perchè il Capitalismo non è un nemico rinserrato in una torre di vetro con l’insegna “Finanzcapitalismo” all’ingresso.
    Ci sono tanti Capitalismi, di cui alcuni più di altri hanno concorso a creare questa crisi.
    Sarebbe bello “cogliere l’occasione” per contro tutti, ma già sono dure le lotte territoriali come quella contro la TAV, figuriamoci il resto.

    • Quanto è vero!
      Sono profondamente d’accordo.
      Tutto il tuo scambio con WM1 credo sia utilissimo nel fare chiarezza sul fatto che per 20 anni in Italia abbiamo avuto 2 destre:
      – una un po’ cialtrona ed un po’ di ispirazione sociale ( intendo dire da destra sociale, fascista, nostalgica, prevalentemente dentro la lega più che nel partito azienda oggi disfattosi insieme al suo padrone ) e dentro qualche aspirante liberista in realtà totalmente incompiuto che attualmente fa la terza carica istituzionale dello Stato, finchè è rimasta li dentro
      – una compiutamente liberista e “mondialista”; un contraltare vero e maturo, ed in questa fase anche più forte organizzato ed avanzato, dell’internazionalismo di sinistra.

      Questi ultimi hanno capito molto bene che internazionalizzare i diritti del lavoro sarebbe per noi ( noi persone, noi lavoratori e lavoratrici, studenti, noi…”sinistra” ) auspicabile ma difficile; è preventivamente necessario armonizzare o direttamente unificare i rispettivi codici civili ed i diritti del lavoro, cosa spesso estremamente complicata date le differenze delle reciproche realtà produttive.
      Permangono, oltre a questo, le differenze linguistiche e culturali.

      Internazionalizzare gli interessi finanziari è invece molto più semplice, si tratta di coordinare l’azione di ristrette elites contro il nemico comune, cioè il lavoro, in nome di una leva molto convincente, cioè un maggiore e più immediato profitto.
      Bastano poche leggi e pochi accordi internazionali per decidere di permettere qualsiasi tipo di transazione finanziaria internazionale ( i 30 anni del dopoguerra furono invece fondati sulla “repressione” finanziaria. Ci hanno dato, pur con tante contraddizioni, 30 anni di pace e di progresso nei diritti e nella qualità di vita )
      Questo è il liberoscambismo: la libertà piena del commercio e delle transazioni finanziarie a livello internazionale, uno degli architravi del liberismo.

      Questa seconda destra, molto più avanzata e compiuta nella sua pericolosità, negli ultimi vent’anni si è chiamata centrosinistra.
      A breve rischia di essere più pericolosa che mai: si è ormai quasi completamente liberata dei propri elementi spuri che ne inceppavano il meccanismo di funzionamento.

      Verissimo poi il fatto che non esista UN Capitalismo, ma vari capitalismi.
      In questo momento, almeno nel nostro continente, questi capitalismi sono arrivati al nodo di una profonda contraddizione.
      Fino a qui hanno avuto un interesse in comune a farci il mazzo, ma adesso ( anche perchè noi non siamo sin qui riusxiti ad essere una potente controparte, in grado di ribattere colpo su colpo ) si trovano in lotta tra loro.

      Svalutare i nostri salari, le nostre aspettative di vita, svendersi il nostro futuro e rubarci il presente per un po’ ha messo d’accordo tutti al fine della massimizzazione del profitto, ma oggi alcuni di questi capitalismi rischiano di essere fagocitati da quelli più grossi ( sarebbe più opportuno dire che quelli periferici rischiano di essere fagocitati da quelli centrali ) e stanno cominciando a rendersi conto che non avrebbero più niente da guadagnarci.

      In questa contraddizione bisognerebbe essere capaci di infilare un cuneo, e poi martellarci sopra.
      Ogni appiglio deve essere sfruttato.

      Loro hanno sempre fondato la propria forza sul divide et impera…..

  5. mi pongo vari quesiti a cui non so rispondere.

    1) indirizzare la rabbia di questi giovanissimo sottoproletari urbani senza futuro in modo politico ( senza che finiscano coi razzisti) ma è una fascia della popolazione molta restia a parlare.
    2) come ottenere consenso con la radicalità?
    3) come non essere avanguardia e quindi non perdersi persone studenti e società civile che non condivide l’uso di questa violenza
    4) come spiegare che oggi come oggi il conflitto non si possa fare dentro i parlamenti
    5) ma soprattutto buttati giu questi cosa fare?

  6. Io mi intrometto a segnalare un non celato tentativo di Grillo di associarsi a e sposarsi con le realtà che oggi hanno affrontato una giornata di lotta in strada, attraverso un appello alla “diserzione” del celerino, esortando il suddetto a passare le linee. Il tutto richiamando il rovescio del solito tossicamente narrato “Pasolini su Valle Giulia”. Mi urgeva la segnalazione, specie a leggere le parole di WM1 sull’organizzazione, un lavoro quotidiano di opposizione di vita che non c’entra niente con il civismo virtuoso (questo sì decisamente populista) del M5S. Il post si incrocia con quello su quello del Grillo qualunque, ma quest’ingordigia di consenso è perseguita tramite purissima ingegneria politica, c’è la volontà di pescare ovunque. Pensavo fosse necessario spendere due parole per segnalare netta alternatività, impossibilità di rappresentare le lotte di giornate come oggi.

    • Ammiccamento che si conclude significatiamente con la seguente frase svelando il volto profondamente razzista di Grillo:
      “Togliti il casco e abbraccia chi protesta, cammina al suo fianco. E’ un italiano, un’italiana come te”.

  7. ciao! dico la mia su un paio di cose. sono daccordo che il punto sta nell’ organizzazione innanzitutto, prima che nelle rivendicazioni.ovviamente le cose che sto per dire sono al quanto scontate, pero, come si diceva nel post..here we go again…continuo a pensare che la frammentazione del lavoro e del sociale ( e la precarieta’ che e’ la sua applicazione materiale) abbiano rappresentato “il problema” per creare organizzazione negli ultimi 20anni. Il punto e’ che prima ci stavano una serie di condizioni storico/organizattive del capitale che permettevano di “organizzarsi” su una base comune di interessi immediati. quando questa condizione e’ saltata, sono saltate fuori anche le magagne di cui parli. cioe’ il fatto che lo spezzettamento del capitale ha fatto si che si frammentassero i nostri interessi e le nostre rivendicazioni, insieme ovviamente all’ atomizzazione del sociale. Tipo: i NOtav, i lavoratori della Sulcis, ecc… sono tutte lotte spezzettate che nn riusciamo a connettere. come si fa? secondo me, anzi, con chainworkers ci siamo fatti questa domanda per tanti anni. siamo partiti dalla nostra condizione e ci siamo chiesti: come facciamo ad organizzarci a partire dall precarieta e atomizzazione. Ora, abbiamo fatto tante cose, tipo la cospirazione precaria (cioe’ io ti do informaizoni sensibili sul mi padrone e tu fai la lotta nel mio posto e poi io aiuto te blablbabl..)..Pero una delle cose che abbiam ofatto era san precario. san precario era il tentativo di creare organizzazione non su un identita’ o su una rivendicazione, ma su un simbolo, una parola. Un po come Obama ha fatto nella campagna “Hope”..che cazzo e’ hope? nulla di preciso e quindi tutto. Ognuno ci puo mettere il significato che ci azzecca nella sua di condizione,ma questo crea le base per solidarieta’ e per l’organizzazione. 99% e’ la stessa cosa. anonymous, o anche luther blissett, quando ero piccolina e chiedevi chi e’? tutti..ustia, allora mi ci metto anche io. io credo che questo meccanismo sia la base per unificare delle lotte permettendo di “sentirsi ancora qualcosa”, tutti insieme.
    Poi ho cercato di riassumere, spero che si capisca.

  8. Per quella che è la nostra esperienza, le mobilitazioni migliori si sono avute quando si è fatto a meno dei percorsi obbligati, e si è lasciato spazio alla fantasia delle persone, che in questo modo hanno prodotto un’informazione e una guerriglia comunicativa molto migliori. Se non ti dò una petizione da firmare, non ti consento di accontentarti di firmarla, e questa frustrazione può spingerti a inventarti altro.

    Mi sono improvvisamente ricordato quel dicembre di ormai 12 anni fa, dove io ero ancora adolescente e sinceramente di economia me ne intendevo poco e niente, nonché stavo imprecando perché il Ministro di Economia, Cavallo, aveva interrotto la programmazione per parlare in “Cadena Nacional“.
    E ricordo infatti le facce allibite in casa che chiedevano conferma, che si domandavano se fosse serio, e il rumore, quel tintinnio strano che proveniva dalla strada. All’inizio erano applausi, sentivi comunque i passi e l’incazzatura nell’aria, improvvisa, senza pre-avviso appunto.
    Proprio come avete scritto. Nessuna petizione da firmare, nessun evento di facebook su cui cliccare la propria presenza, nessuna soddisfazione appagata. Tanta fantasia (mista ad ingenti quantità di rabbia ed altri sentimenti).
    Il giorno dopo ho assistito a quello che comunemente si chiama Cacerolazo. Non ero nel pieno centro di Capital Federal, ma vedere fuggire il presidente De La Rua in elicottero è stato abbastanza memorabile.

    Saluti :)

  9. Il problema non risolto è che c’è una cappa gigantesca sulla disponibilità a lottare: il ruolo dei partiti e dei sindacati.
    In Spagna persino il PSOE (gulp!) ha chiamato alla mobilitazione oggi, anche con spot televisivi.
    Qui la CGIL ha boicottato il suo stesso sciopero e i sindacati di base hanno fatto gli schizzinosi.
    D’altra parte non riesco a convincermi che il problema si possa aggirare solo cercando “forme nuove”.
    In ogni caso, pur senza facili ottimismi, gli eventi travolgono le intenzioni, qualcosa potrebbe anche succedere…

    • sono daccordo ovviamente con te. il fatto che il sindacato piu grande sia la forza resistente (nel senso che si opponga) e’un problema gigante. Pero nn son odaccordo quando dici che “nuove forme” nn siamo necessarie. Quello che sta facendo anche la CGIL e’ esattamente difendere vecchie forme che nn funzionano piu’. e la riorganizzazione del capitale ha sempre poi portato una riorganizzazione delle lotte. se pensi al passaggio dal sindacato di mestiere al sindacato categoria a inizio 900..gli IWW li hanno uccusi (letteralmente) uno a uno, ma l’idea che nuove forme di lotta e organizzazione servissero e’ poi passata e ha dato vita al sindacato come lo conosciamo oggi. Io penso che la cgil abbia un grosso problema nel distinguere gl iitneressi dell’ istituzione cgil con quelli dell’organizzazione dei lavoratori… E nn sono daccordo che gli eventi travolgono le intenzioni. ogni passo che facciamo dobbiamo avere chiaro dove andiamo. e si, sono facili ottimismi credere che le cose “succedano” senza la costruizione di relazioni certosine di fiducia che si construiscono nel rispetto e nelle lotte.

  10. Secondo me l’aumento della gravità della situazione economica-sociale spinge più gente a riflettere in maniera più profonda con il risultato che un maggior numero di persone vede finalmente la causa numero uno dei problemi: il Capitalismo. Appare sempre più chiaro che inneggiare alle manette o al carcere duro per le “Caste” corrotte non sia risolutivo, come dimostra il fatto che le politiche scellerate che provocano “rasoiate nella carne” dei cittadini possono essere attuate anche da tecnici capeggiati da un professore che non è coinvolto in processi giudiziari.
    E’ da diverso tempo che ascolto alcuni ragionamenti che cercano di difendere la bontà del Capitalismo. Per esempio ho sentito parlare di “falso Capitalismo” (come se quello vero portasse rose e fiori) e di “turbo Capitalismo” (come se percorrere a bassa velocità una strada che porta ad un burrone significasse evitare il burrone stesso).
    Secondo me questa difesa dell’indifendibile è legata alla paura che il Capitalismo sia riconosciuto come il nemico comune di ogni lotta (TAV, ILVA, FIAT, Trojka, ecc..) e che questo funga da collante in grado di aggregare le varie mobilitazioni. Forse questa consapevolezza si sta formando.
    P.S. La Polizia ha avuto il coraggio di diffondere le foto di un casco e di uno scudo delle FF.OO danneggiati dai manifestanti.
    http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/11/14/foto/scontri_polizia-studenti_casco_e_scudo_dell_agente_ferito-46635161/1/?ref=HREA-1

  11. Se abbiamo almeno alcuni punti su cui convergere, cosa aspettiamo?
    Io ci sono, e sono pronto ad alzarmi dal divano e scendere in strada.
    A disposizione.
    E voi?

  12. Aggiungo solo che il clickattivismo è un sintomo, ma non è la malattia. Quanto più si riuscirà a fare qualcosa nel reale, tanto più il sintomo sarà recessivo.
    Colpevolizzare il sintomo non serve.

  13. che fare?
    dobbiamo organizzarci – era il 1968 e io ero al ginnasio.
    e ora cosa posso fare? è diventata un’urgenza, bisogna occuparsi di politica di nuovo, in strada; non basta leggere, parlare, discutere, cliccare; riparto da una tessera (rifondazione, qui a viareggio è sinistra) per collegarmi con altri compagni.

  14. Attenzione, volantino molto importante dai lavoratori che stanno facendo il picchetto alla Centrale Adriatica [Coop] di Anzola (BO):
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/Volantino_picchetto_Coop.pdf
    Per far capire anche a chi non vive in Emilia come si lavora all’ombra delle Coop… (cough! cough! Ehm…) “”””rosse””””.

    • “Interessante” il volantino appiccicato alle casse dell’ inCOOP in cui (cito a memoria):
      “A causa dell’immotivato blocco [riferimento al picchetto ad Anzola], ci scusiamo per l’eventuale mancanza di prodotti negli scaffali e del danno subito dai consumatori e soci”

      Abbastanza vomitevole

    • Spero non di andare troppo OT, ma visto che WM ha citato l’Emilia e le coop, ieri sul Manifesto è uscito un reportage di Gabriele Polo che parla proprio del modello emiliano e del ruolo delle coop (rosse & bianche) anche nello spazzare via i diritti dei lavoratori: http://www.contropiano.org/it/archivio-news/documenti/item/12546
      Vale la pena leggerlo.

    • La polizia ha appena caricato il picchetto, pare che 4 lavoratori siano in stato di fermo. La #Coop non sei tu: la Coop siamo noi “e voi non siete un cazzo” #Bologna

  15. Grazie mille da tutto il collettivo di Struggles in Italy. Wu Ming è un punto di riferimento importantissimo per noi, sia perché ci ha dato la spinta iniziale a partire e sia per il sostegno che ci ha dimostrato nel corso di questi primi 13 mesi di vita. E grazie anche per queste riflessioni, che si collegano ad alcune conclusioni che abbiamo tratto noi stessi osservando le reazioni al nostro lavoro.

    L’Italia è un paese a cui dall’estero si guarda molto. E questo perché siamo uno dei pezzi più grossi di un sistema continentale che sta andando alla deriva. Da quello che accade qui, sia dentro i palazzi ma anche, ancora di più, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio, può dipendere molto. Sembra a volte purtroppo che questa consapevolezza sia più viva tra chi ci osserva da fuori che tra noi.

    Per quanto riguarda il nostro lavoro, vorremmo fare di più e meglio. Come dice l’appello che avete riportato, abbiamo bisogno di scrittrici e scrittori, traduttrici e traduttori, smanettoni e smanettone con le competenze più varie. Ne abbiamo bisogno per migliorare, ma anche un po’ per sopravvivere, per dare un po’ di respiro a chi magari si ritrova a dover fare i conti a tempo pieno con i guai della crisi. In nome dell’internazionalismo e di un’informazione ambiziosa, ambiziosissima, troppo per le nostre poche menti :)

    • I/le compagn* di Struggles hanno ragione: l’Italia è una sorta di punto di riferimento. Qua in Francia (dove dimoro provvisoriamente) lo sciopero europeo non l’ha cagato quasi nessuno, ma laddove se ne è parlato lo si è fatto in relazione all’Italia. Spagna, Portogallo e Grecia sono apparse (nei media) solamente a latere. E questo non solo per la gravità dei fatti, ma per le implicazioni insite nella politica e nella società nostrana, di cui alle volte tendiamo un pò a dimenticarci. Ieri, mentre stavo incollato al pc a seguire la giornata, m’è arrivata addirittura una chiamata della BBC (avevano il mio numero da qualche anno prima quando ero un pò più attivo) per avere un commento da studenti italiani…
      Siamo una sorta di palco con i riflettori accesi. Dall’estero lo si vede chiaramente.

      • la tua testimonianza valga a confutazione di chi vede lo sciopero europeo come una novità promettente. Dov’è la solidarietà di francesi, belgi, tedeschi, austriaci? Non si muovono, visto che la cosa non li tocca (per ora). E quando li toccherà? Ricordiamo che tutti i media di questi paesi (piccole eccezioni in Francia, che è in una situazione media e vede con antico fastidio lo strapotere tedesco) colpevolizzano i PIIGS, o GIPSI. Non solo la classe politica, ma anche noi (?) che l’abbiamo votata (???) per fare le cicale e non fare le riforme (???????????).

  16. Ciao a tutti ..
    Ho molto tempo (più di un anno) di scriverti…
    Un amico via Twitter, mi ha mandato il testo tradotto in greco.
    Scrivendo da Atene … (La città travagliata …)
    Credo che tutti voi sapete cosa succede qui.
    Oggi “i patroni venduti della nazione” GSEE (settore privato) e ADEDY (settore pubblico) anziché indire uno sciopero generale, hanno fatto solo tre ore di interruzione del lavoro a mezzogiorno.
    Ma il problema più grande qui è al momento… l’ indifferenza e il fatalismo.
    Il testo seguente (volutamente l’invio in greco) descrive esattamente la situazione…

    L’indifferenti… ( di Antonio Gramsci)

    «Μισώ τους αδιάφορους. Πιστεύω ότι το να ζεις σημαίνει να εντάσσεσαι κάπου. Όποιος ζει πραγματικά δεν μπορεί να μην είναι πολίτης και ενταγμένος. Η αδιαφορία είναι αβουλία, είναι παρασιτισμός, είναι δειλία, δεν είναι ζωή. Γι’ αυτό μισώ τους αδιάφορους.

    H αδιαφορία είναι το νεκρό βάρος της ιστορίας. Η αδιαφορία δρα δυνατά πάνω στην ιστορία. Δρα παθητικά, αλλά δρα. Είναι η μοιρολατρία. Είναι αυτό που δεν μπορείς να υπολογίσεις. Είναι αυτό που διαταράσσει τα προγράμματα, που ανατρέπει τα σχέδια που έχουν κατασκευαστεί με τον καλύτερο τρόπο. Είναι η κτηνώδης ύλη που πνίγει την ευφυΐα. Αυτό που συμβαίνει, το κακό που πέφτει πάνω σε όλους, συμβαίνει γιατί η μάζα των ανθρώπων απαρνείται τη βούλησή της, αφήνει να εκδίδονται νόμοι που μόνο η εξέγερση θα μπορέσει να καταργήσει, αφήνει να ανέβουν στην εξουσία άνθρωποι που μόνο μια ανταρσία θα μπορέσει να ανατρέψει.

    Μέσα στη σκόπιμη απουσία και στην αδιαφορία λίγα χέρια, που δεν επιτηρούνται από κανέναν έλεγχο, υφαίνουν τον ιστό της συλλογικής ζωής, και η μάζα είναι σε άγνοια, γιατί δεν ανησυχεί. Φαίνεται λοιπόν σαν η μοίρα να συμπαρασύρει τους πάντες και τα πάντα, φαίνεται σαν η ιστορία να μην είναι τίποτε άλλο από ένα τεράστιο φυσικό φαινόμενο, μια έκρηξη ηφαιστείου, ένας σεισμός όπου όλοι είναι θύματα, αυτοί που τον θέλησαν κι αυτοί που δεν τον θέλησαν, αυτοί που γνώριζαν κι αυτοί που δεν γνώριζαν, αυτοί που ήταν δραστήριοι κι αυτοί που αδιαφορούσαν.

    Κάποιοι κλαψουρίζουν αξιοθρήνητα, άλλοι βλαστημάνε χυδαία, αλλά κανείς ή λίγοι αναρωτιούνται: αν είχα κάνει κι εγώ το χρέος μου, αν είχα προσπαθήσει να επιβάλλω τη βούλησή μου, θα συνέβαινε αυτό που συνέβη;

    Μισώ τους αδιάφορους και γι’ αυτό: γιατί με ενοχλεί το κλαψούρισμά τους, κλαψούρισμα αιωνίων αθώων. Ζητώ να μου δώσει λογαριασμό ο καθένας απ’ αυτούς με ποιον τρόπο έφερε σε πέρας το καθήκον που του έθεσε και του θέτει καθημερινά η ζωή, γι’ αυτό που έκανε και ειδικά γι’ αυτό που δεν έκανε. Και νιώθω ότι μπορώ να είμαι αδυσώπητος, ότι δεν μπορώ να χαλαλίσω τον οίκτο μου, ότι δεν μπορώ να μοιραστώ μαζί τους τα δάκρυά μου.

    Είμαι ενταγμένος, ζω, νιώθω ότι στις συνειδήσεις του χώρου μου ήδη πάλλεται η δραστηριότητα της μελλοντικής πόλης, που ο χώρος μου χτίζει. Και μέσα σ’ αυτήν την πόλη η κοινωνική αλυσίδα δεν βαραίνει τους λίγους, μέσα σ’ αυτήν κάθε συμβάν δεν οφείλεται στην τύχη, στη μοίρα, μα είναι ευφυές έργο των πολιτών. Δεν υπάρχει μέσα σ’ αυτήν κανείς που να στέκεται να κοιτάζει από το παράθυρο ενώ οι λίγοι θυσιάζονται, κόβουν τις φλέβες τους. Ζω, είμαι ενταγμένος. Γι’ αυτό μισώ αυτούς που δεν συμμετέχουν, μισώ τους αδιάφορους.

    11 Φεβρουαρίου 1917»

    Italia attenzione…

    Le coscienze costruiscono nelle strade…

  17. Guardando le immagini degli scontri di ieri c’è una cose diversa rispetto agli scontri di un anno fa o giù di lì: sono decisamente generalizzati e condivisi. Questo per me significa che gli studenti hanno smascherato la beffa del “patto generazionale” con cui il governo copre le manovre di austerity. I figli (e le figlie, ne ho viste tante) non l’hanno bevuta, non si rivoltano contro i padri, ma contro i simboli dei padroni.

    Guardando le immagini delle manifestazioni in tutta Italia, la retorica violenza/non violenza, di cui oggi sono pieni i giornali, diventa superata e perde di significato. Ed è possibile che, a breve, anche parti della piccola borghesia possano seguire.

    Segnalo due foto delle cariche di Roma al book block che ho trovato fortemente simboliche:
    http://www.contropiano.org/images/350588.jpg
    http://www.contropiano.org/images/145831544-2fda9ba0-422d-4373-9c8a-41924dcf32a1.jpg

    ps sull’organizzazione la penso un po’ come Santiago. Anche perché credo che siamo nella tempesta, non c’è tempo per ripensare l’organizzazione e il rischio concreto è di cadere negli automatismi organizzativi che, storicamente, fanno più male che bene.

  18. Uhm…. scusate, capisco sia la foga che l’incazzatura, ma il pareggio di bilancio prima o poi bisognerà pur ottenerlo. In maniera del tutto diversa da Quintino Sella, ovvio, ma non è che fare debiti come se non ci fosse un domani sia una idea intelligente di sinistra…

    • Tu hai presente cosa implica inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione? Significa che il neoliberismo diventa ideologia economica *ufficiale* della Repubblica, e ogni altra sorta di politica economica è anticostituzionale. L’obiettivo è mettere ogni sorta di spesa pubblica sullo stesso piano, e sabotare ogni progetto di spesa sociale e solidale che implichi investimenti a lungo termine (e *ogni* spesa sociale implica un investimento a lungo termine). Il feticismo del pareggio di bilancio è subalternità all’eterno presente asfittico che ci è stato imposto come orizzonte negli ultimi trent’anni.

      • Io capisco che non si debba inserire il neoliberismo nell’ideologia economica ufficiale della Repubblica e sono d’accordo ma credo che l’opzione portata avanti negli anni ’80, ’90 etc. non sia ugualmente condivisibile (spendi e regala senza pensare al futuro).
        Quindi se non bisogna indebitarsi e indebitare le generazioni successive, e nel contempo non bisogna legarci le mani con ideologie neoliberiste, bisognerebbe trovare soluzioni alternative e praticabili.

        • Ecco , giusto per sfatare qualche mito e nel contempo rispondere a werner: per la verità il debito pubblico è sì cresciuto negli ultimi 30 anni ma non a causa del spendi e spandi.
          La spesa primaria, quella in sostanza decisa dai governi e dagli enti territoriali, si è stabilizzata intorno a metà anni ’80 ed è andata man mano decrescendo, tanto più più che spesso negli anni ’90 il deficit di bilancio era pure attivo…Non è un’eresia, sono dati del FMI. Quello è cresciuto sono gli interessi sul debito, ma quelli dipendono in buona parte dai mercati, in particolare dopo la separazione Tesoro-Banca d’Italia.
          Inoltre, ricordo che gli USA o il Giappone hanno un rapporto debito/PIL molto più alto del nostro ma questo non è un problema fintanto che l’economia ‘tira’.
          Suggerisco qualche giro su http://goofynomics.blogspot.it

    • Ti consiglio di leggere questo appello a Obama di diversi economisti contro la proposta dei repubblicani di inserire un emendamento sul pareggio di bilancio nella costituzione americana. La proposta infatti è stata rigettata non perché il governo americano sia formato da comunisti ma perché scriteriata sotto ogni punto di vista:

      http://www.cbpp.org/cms/index.cfm?fa=view&id=3543

    • Compà, purtroppo quest’idea che lo stato è come una famiglia che deve pagare i suoi debiti sull’unghia sennò viene lo strozzino a spaccarti le gambe è totalmente sbagliata ed è stata forzata nelle menti con malizia.
      Bisogna capire che quando lo stato spende a deficit… è come se solidificasse, in forza di un patto collettivo, le energie future di una popolazione che altrimenti resterebbero oziose, rendendole immediatamente spendibili per creare occupazione, sviluppo, progresso, e dunque ancora maggiori energie in un circolo virtuoso. Fare il contrario (sempre, ma tanto più durante una crisi) significa avvitarsi in una situazione in cui le energie umane, tecniche, organizzative, vengono DISTRUTTE con immensi costi sulla pelle, ovviamente, dei più deboli.

    • Ma chi l’ha detto, di preciso? Persino una schiera sempre più folta di economisti liberali, Paul Krugman in testa, va dicendo da lungo tempo che questo dogma monetarista è semplicemente delirante e porta, in fasi recessive, alla catastrofe. Per altro, prima di fare certe affermazioni è il caso di comprendere in cosa si traduce, materialmente, seguire la politica economica imposta dai “mercati”. Peggio del pareggio di bilancio c’è il cosiddetto fiscal compact, che richiede non solo di essere in pareggio, ma in avanzo, dovendo andare a ridurre costantemente il debito fino a una certa soglia. Due conti rozzi ma qualitativamente significativi li ho fatti qui:
      https://whiplash.noblogs.org/post/2012/07/21/si-scrive-fiscal-compact-si-legge-massacro/

    • L’Italia è una Repubblica democratica, non una azienda. Per questo motivo il ducetto Silvio non andava votato. Bisogna pensare al reale benessere della popolazione, e parlo di cultura, messa in sicurezza del territorio, tutela del paesaggio, solo per citare alcuni esempi. Bisogna investire proprio nell’ottica del domani e non nell’ottica dei figli di Trojka.

    • C’è anche un altro argomento da aggiungere oltre al già citato “divorzio” del 1981, che ha determinato il fatto che da li in poi lo Stato finisse per indebitarsi pagando interessi sugli interessi, mentre prima poteva finanziarsi avendo reale controllo del proprio indebitamento.

      Un argomento in più anche rispetto al fatto che qua son quasi vent’anni che lo Stato chiude il proprio bilancio anno per anno in avanzo primario ( cioè ha più entrate che uscite, al netto della spesa per interessi ).

      Un argomento che non nega il fatto che negli anni ’80 qualcuno che ha governato ed è morto latitante dopo varie condanne in contumacia, ha speso e spaso soltanto per finanziare clientele e sottoboschi della politica ( senza per altro che la sostanza dei conti pubblici mutasse per questo ).

      Un paese, per quanto disgustosa sia nel proprio redistribuire iniquamente la ricchezza, NON fallisce di corruzione, e la crisi presente NON è né in Italia né altrove una crisi del debito pubblico.
      Il primo paese sostanzialmente fallito è stato l’Irlanda.
      I parametri di Maastricht ( del tutto campati per aria, nessun economista aveva parlato PRIMA della validità di quelle soglie ) parla di rapporto debito/PIL al 60%.
      E’ quella la soglia per rispettare la quale adesso, col pareggio di bilancio e il fiscal compact vogliano tagliarci la gola per i prossimi 20 anni.
      Ecco, non dimentichiamoci che quando l’Irlanda ha fatto “crack” era l’unico paese in Europa che negli anni precedenti s’era dannato l’anima veramente per rispettare quel parametro ed aveva il rapporto debito/PIL al 44%.

      Il motivo era altro per l’Irlanda ed è altro per tutti i paesi PIIGS.

      La crisi presente è una crisi dei debiti PRIVATI che origina da squilibri commerciali all’interno dell’area euro creati dalla sua stessa architettura monetaria.
      I debiti PRIVATI sono nettamente cresciuti perchè la quota salari ( l’indicatore più efficace dello stato dei rapporti di classe è crollata ) è crollata.
      La quota salari è crollata a partire dalla Germania, ma poi da noi è andata molto peggio.
      Impoverendosi le persone è diventato un problema non solo permettersi qualche sfizio, ma anche andare dal dentista o far studiare un figlio, e per questo LE PERSONE si sono indebitate mostruosamente di più.
      Ad un certo punto le banche, in tutta Europa, sono rimaste esposte al rischio che i loro crediti rimanessero inesigibili e per evitare un mostruoso credit crunch dagli esiti potenzialmente disastrosi gli Stati hanno coperto i buchi con soldi pubblici.
      Cioè il debito nato privato è diventato pubblico.

      Questo meccanismo ha fatto esplodere il debito, non il fatto che gli stati siano “spendaccioni”.
      Quello è il pretesto di quei farabutti dei liberisti per attaccare gli stati a posteriori, nel loro furore classista che vuol vedere privatizzare TUTTO.

      Questo non vuol dire che i bilanci pubblici siano da trattare con leggerezza, vuol piuttosto dire un’altra cosa: l’unico modo per rinsanare un bilancio pubblico è far circolare il denaro nelle tasche dei milioni di persone che lavorano, fare in modo non che sprechino ma che possano spendere per vivere avendo in tasca il denaro per farlo, fare in modo che il lavoro basti per vivere, investire in istruzione, ricerca, assistenza sociale, pensioni, impresa pubblica che crei occupazione, sanità che curi veramente, controllo del sistema bancario ( va bene non far fallire le banche purchè se uno Stato caccia i soldi per coprire il buco contestualmente acquista l’istituto di credito in difficoltà e lo nazionalizza, e poi fa lui credito a condizioni più vantaggiose per le persone costringendo anche i concorrenti a ridurre i propri margini se non vogliono perdere tutti i clinenti ).

      In recessione bisona INVESTIRE, non tagliare.
      Una classe politica capace e non classista dalla parte dei più ricchi investirà, una classe politica incapace o in malafede spenderà senza investire, una classe politica capace ma classista contro i più poveri taglierà per rendere perpetua la crisi ( e ridefinire a proprio vantaggio i rapporti di forza sociali, continuando ad arricchire sull’impoverimento di tutti gli altri ).

      La vulgata della CRISI DA DEBITO PUBBLICO è da rigettare in blocco!
      Quella è la versione dei fatti, fasulla e smentita dai fatti ma raccontata a reti unificata, che giustifica gli interessi della finanza e costringe gli Stati a svender sé stessi, cioè a svendere i diritti della propria cittadinanza.

      Se non abbiamo le idee chiare PRIMA su questi argomenti è inutile andare in piazza e lottare, perchè lotteremmo per cosa?
      Per chiedere una arroganza verbale un po’ minore o una fedina penale pulita o che non siano dei vecchi laidi puttanieri da parte delle persone che avranno comunque il nostro placet nel tagliare la spesa pubblica – cioè i NOSTRI diritti – se accettiamo l’idea che il problema sia che lo stato ha speso troppo a deficit?

      Mai e poi mai! Ci taglieremmo le palle in questo modo.
      Lottare per uno Stato che spenda onestamente, spenda con competenza cioè investa in occupazione istruzione e cura sociale, che restringa brutalmente i margini di libertà della finanza, ma che in generale spenda DI PIU’.
      Questo ci serve, questo dobbiamo pretendere!

      Il pareggio di bilancio è la leva dei liberisti per sfilarci lo Stato da sotto il culo mentre ci stiamo seduti sopra; questo bisogna capirlo URGENTEMENTE!

  19. Questo post mi ha fatto pensare a un altro post piuttosto recente, in cui ancora ci chiedevamo se l’Italia avrebbe prima o poi reagito come Spagna e Grecia: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9833

    Ora, mi piacerebbe pensare che ieri il divario si sia colmato, ma sarebbe troppo ottimistico. La penisola iberica era paralizzata, lo sciopero greco, pur con tutti i suoi limiti, era di 48 ore… mentre da noi i lavoratori privati hanno fatto 4 ore di sciopero. La giornata studentesca è stata sicuramente molto partecipata e radicale, ma pure in quel caso eviterei di enfatizzarla solo perché è stata ancora una volta bersaglio di una repressione selvaggia (o perché in diversi casi ha scelto una tattica di piazza molto conflittuale). Forse sono influenzato dalla sfortunata circostanza di aver partecipato all’unica manifestazione dello sciopero che c’era nella mia città, che è stata piuttosto deprimente: comizi senza corteo rintanati in un parcheggio di fronte alla Provincia, partecipazione maggioritaria composta dai fedelissimi delle Camere del Lavoro, da Rifondazione, da un gruppetto di studenti inquadrati da Lotta Comunista; qualche capoccia dello SPI-CGIL distribuiva furtivamente tra i pensionati volantini a favore di Bersani. L’ultima frase dell’ultimo comizio è stata “W la CGIL!”. Amen.

    Non si può dire che a livello nazionale i lavoratori siano compattamente stati coinvolti da questa mobilitazione né che abbia ottenuto il risultato di bloccare seriamente la produzione – e non credo che a questo compito possano supplire gli studenti con blocchi della circolazione o occupazione di edifici istituzionali. Per la CGIL, era sostanzialmente un modo per mettere le mani avanti dall’accusa di non star facendo niente contro l’austerity e di dormire mentre in altri Paesi il sindacato si muove. Ma perché la CGIL si preoccupa di mettere le mani avanti? chi teme che possa contestarla? Questo è comunque sintomatico, se devi metterci un coperchio è perché ti aspetti che qualcosa stia per andare in ebollizione…

    Si dice che è stato un segnale di cambio di rotta, che almeno simbolicamente evocava la scesa in campo di una classe operaia continentale. Sembra anche a me; un simbolo anche con qualche importante base concreta: lo sciopero FIOM a Pomigliano (di 8 ore e non di 4), per esempio, è stato un grande successo; il clima nelle scuole, non solo tra gli studenti ma anche tra i docenti e il personale amministrativo, è davvero di rabbia e combattività. Pochi giorni fa dei ministri sono dovuti scappare con l’elicottero, come nell’Argentina evocata qua sopra da @santiago: Passera e Barca sono fuggiti da Carbonia perché gli operai avevano dato l’assalto alla sede della trattativa Sulcis.

    E il problema resta l’organizzazione. Una buona organizzazione non è necessaria perché scoppino le lotte, ma è necessaria per dare loro credibilità, per connetterle, per estenderle, per indirizzarle verso degli obiettivi, e magari se proprio ci va di culo anche per vincere. Avete notato che ai tempi del G8 di Genova spesso si negava la stessa necessità di avere delle organizzazioni strutturate, mentre oggi appena parli dieci minuti con qualcuno in un corteo o a un volantinaggio ti dice sconsolato che ci vorrebbe una buona organizzazione di sinistra ma “non è rimasto niente”? E va bene, almeno abbiamo imparato una cosa in questi undici anni. Dico, ma se tutti la pensano così, perché non la facciamo questa benedetta organizzazione? Perché non creiamo il partito di classe e un sindacato combattivo?

    Secondo me per tre motivi:

    1. I dirigenti esistenti non sono adatti. La dirò tranchant: non c’è un partito, un sindacato o un gruppo organizzato di una dimensione significativa su scala nazionale che non commetta sistematicamente errori anche gravi di analisi, di prospettiva e di tattica. In particolare, salvo qualche meritevole eccezione i sindacati sono burocratizzati, i partiti non riescono a tagliare nettamente i ponti col PD, i collettivi sono movimentisti e vivono di cortei e cazzate. I “capi” attuali di quel che si potrebbe chiamare movimento operaio e studentesco non sono semplicemente riformisti, sono pure un po’ sfigati (nei Paesi messi meglio di noi, sono pur sempre riformisti, ma almeno non sono sfigati! e non è una differenza da poco). La gente non ha voglia di impegnarsi in strutture che non scaldano il cuore e non danno una prospettiva.

    2. La pensiamo diversa tra di noi. Quando siamo in piazza a volte ci sembra di pensarla più o meno tutti allo stesso modo, ma appena ti fermi un attimo e fai mezza assemblea, ti accorgi che non è vero per niente e anche nei rari casi in cui si concorda sugli obiettivi si è in disaccordo sui mezzi per raggiungerli. Non è giusto sminuire questo problema dicendo che sono solo scazzi di bottega tra varie fazioni, anzi, se prendi cento “cani sciolti” e li metti a discutere ci saranno cento opinioni diverse, peggio degli scazzi tra gruppi e gruppetti.

    3. Quelli bravi sono mal cagati. Non c’è ancora un movimento di massa sufficientemente ampio e capillare da creare uno spazio sufficiente per l’emersione di punti di riferimento alternativi. Questo rende il compito straordinariamente difficile alle minoranze organizzate che lottano dentro le organizzazioni esistenti per rigenerarle o fuori da queste organizzazioni per rimpiazzarle. Siamo finiti in un cul-de-sac, perché chi ha un suo piccolo palcoscenico se lo tiene stretto, ad applaudirlo sono in quattro gatti ma fuori dal teatro non c’è nessuno; lo spettacolo però fa così cagare che nessuno ha voglia neanche di entrare a fischiarlo.

    Che fare? Per il punto 1, c’è da portare pazienza e grattarsi la rogna finché non si stacca la crosta. Per il punto 2, chiariamoci le idee più che si può, a costo di fare un corteo in meno e leggere un libro in più. Per il punto 3, cerchiamo quelli bravi e diamogli una mano. Chi sono quelli bravi? Torna al punto 2. :-)

    • “da noi i lavoratori privati hanno fatto 4 ore di sciopero”

      Solo se restavano a quel che dice la fiom, i cobas hanno proclamato 8 ore, io lavoro nel privato e ho fatto 8 ore.
      Il che però ci riporta al problema 1 del tuo elenco, con cui concordo pienamente. Non ho invece capito la soluzione che proponi per lo stesso punto.
      L’ostacolo principale però secondo me è il problema 2, e qui non concordo con la tua proposta di soluzione. Nella mia esperienza chi parla per rappresentare un punto di vista in una assemblea di libri ne ha letti parecchi, anche se magari qorientandosi troppo su quelli che sostengono la usa idea, e forse anche per questo le sue convinzioni sono così nette. Forse più che leggere di più servirebbe parlarsi di più, e farlo dando più importanza alle fasi di ascolto che non a quelle di parola, al contrario di quanto spesso succede. A volte il problema sembra essere un po’ di narcisismo e di incapacità di accettare critiche.

      • Hai ragione, c’erano sigle sindacali che hanno proclamato 8 ore di sciopero (e anche la CGIL nel pubblico), ma insomma l’aspetto sostanziale è che non si è trattato di uno sciopero che bloccava il Paese. (Tra l’altro non sono dell’idea che la radicalità o tanto meno l’efficacia di una giornata si misuri in ore di sciopero, specie in un momento di crisi dove lo sciopero di per sé può anche essere un risparmio per molti padroni.) In questo vedo la differenza essenziale rispetto alle altre due penisole europee in lotta.

        Sul problema 1 non ho una soluzione: l’opportunismo, il riformismo e tutto sommato anche il massimalismo, il settarismo e via dicendo sono sempre esistiti da quando esiste la sinistra e non mi viene in mente un solo caso nella storia mondiale in cui siano stati totalmente estirpati; qualche volta riesci a sconfiggerli, nel senso di metterli in minoranza tra le masse, ma continuano ad esistere, ad agire e a creare ostacoli politici. Per dirla scientificamente, sono l’effetto dell’influenza della piccola borghesia nel campo della classe lavoratrice; questa influenza esisterà sempre finché esiste la società divisa in classi, ma magari possiamo evitare che diventi egemone sui nostri movimenti di lotta.

        Sul discorso del libro, è una bella osservazione. Volevo dire che bisognava riflettere di più su come la pensiamo, e l’esempio che mi è venuto in mente è quello di un libro, mentre ci sarebbero esempi migliori come quelli che fai tu. Forse è indicativo che la prima cosa che mi sia venuta in mente è quella, gli spazi per pensare insieme si sono talmente ridotti…

    • Aggiungerei un punto 4 che forse è una variante del 2: c’è un problema di aspettative rispetto a quello che un’organizzazione potrebbe fare in questo momento.

      Ovviamente in astratto possiamo parlare di lotte più incisive, obiettivi più unificanti e cose del genere. Però sappiamo (o dovremmo sapere) che per rilanciare l’accumulazione capitalistica è necessario svalorizzare capitale improduttivo, e oggi la priorità di ogni governo non è di preparare le condizioni per un nuovo ciclo di espansione ma di difendere la propria quota di capitale morto dalla svalorizzazione. In altre parole paghiamo il debito non per risanare e riprendere a crescere ma per avere la possibilità di continuare a salvare le “nostre” banche e qualche pezzo della “nostra” industria, sperando che il grosso della distruzione tocchi a qualcun altro.

      In queste condizioni mi pare normale che frasi come “un’altro mondo è possibile” si riducano a “un’altra politica economica è possibile” e che prevalgano idee in definitiva keynesiane (investire sul futuro…) o peggio qualunquiste (abolire corruzione e sprechi…). L’aspetto positivo è che la crisi spinge all’unificazione delle lotte, ma dal punto di vista politico anche “i più bravi” possono fare poco di diverso da Lotta Comunista (so che non piace, e non dico che non si possa fare meglio), cioè partecipare ai movimenti contro l’austerità ma senza condividere le loro rivendicazioni politiche.

      Una prospettiva più promettente (anzi direi affascinante: è il sempre possibile che non si è mai realizzato) è che i movimenti “dal basso” inventino forme di auto-organizzazione e auto-gestione (“autovalorizzazione”) che consentano di resistere alla crisi senza fare affidamento su politiche economiche alternative.

      • @marcello

        Non sono sicuro di star seguendo bene il tuo ragionamento.

        Per ripristinare le normali condizioni di valorizzazione del capitale (ovvero: per tornare a far soldi), se ne deve distruggere un bel po’ (ovvero: si devono chiudere aziende). E fin qui OK.

        Ma non ho capito perché da questo ragionamento fai discendere che i movimenti contro l’austerità non possano avere alcuno sbocco politico alternativo. Semmai ne concluderei che l’unico sbocco veramente vincente sarebbe *non* ripristinare le normali condizioni di valorizzazione del capitale.

        Ossia, non si tratta semplicemente di uscire dalla crisi: se quello fosse l’obiettivo, tanto varrebbe lasciare carta bianca ai tecnocrati che coi necessari sacrifici prima o poi ce ne porteranno provvisoriamente fuori (mica qualcuno crede che ci sarà la recessione per sempre?). Si tratta di uscire dal capitalismo.

        • @Mauro,
          non stavo parlando dei possibili (e auspicabili) sviluppi delle lotte contro la crisi ma di quello che mi sembra “normale” che avvenga oggi.

          La distruzione di capitale implica ovviamente anche la distruzione di posti di lavoro, risparmi, ecc., cose che chiunque vorrebbe (giustamente) difendere, ed è normale che ci si immagini di poterle difendere con una politica economica diversa o (per i più fessi) tagliando qualche spreco. Fin qui direi che sono considerazioni banali.

          Se guardo per esempio alla Grecia mi dico che lì c’è stata una pesante svalorizzazione della forza lavoro, ma nessuna apprezzabile ripresa degli investimenti. Il principale problema è che il capitale “morto” continua a pretendere la sua quota di plusvalore, e la politica del governo greco intende proprio salvaguardare l’esistenza di questo capitale morto. Non è miopia politica, è più o meno l’equivalente del fatto che le guerre hanno lo scopo di distruggere il capitale in eccesso per rilanciare l’accumulazione, ma nessun governo prende la scorciatoia di bombardare direttamente le proprie industrie.

          Da questo per me consegue che i movimenti contro la crisi troveranno governi indisponibili a intraprendere politiche economiche alternative. In astratto questo potrebbe portare a rivendicazioni più radicali, ma se Keynes oggi in Italia è diventato incostituzionale non è “normale” attendersi che questo eventuale radicalismo resti impigliato in una visione keynesiana su come “uscire dalla crisi”? Certo che l’obiettivo dovrebbe essere uscire dal capitalismo, ma perché questo obiettivo prenda piede nei movimenti dovrà scontrarsi contro parecchie illusioni su come “salvarsi” senza farsi troppo male.

      • «Una prospettiva più promettente (anzi direi affascinante: è il sempre possibile che non si è mai realizzato) è che i movimenti “dal basso” inventino forme di auto-organizzazione e auto-gestione (“autovalorizzazione”) che consentano di resistere alla crisi senza fare affidamento su politiche economiche alternative»

        Concordo pienamente. L’autorganizzazione e la produzione di strutture nuove che siano espressione democratica reale delle esigenze delle persone, prese singolarmente o collettivamente, è la chiave del consenso. Ora, non dico per una tipicamente italica esterofilia, ma questo è, magari parzialmente, ciò che è stato fatto in Spagna dal movimento 15M: esso si è molto radicato proprio per la sua capacità di risolvere alcuni problemi quotidiani, anche senza “discutere dei massimi sistemi”. Per esempio, la lotta per il diritto alla casa ha ottenuto ottimi risultati contro gli sfratti.

        La stessa cosa si può dire di Occupy Wall Street, che ha operato sullo stesso campo, anche con iniziative singolari e innovative (credo), come quella del “Rolling Jubilee” (qui) lanciata sul sito “StrikeDebt” (qui). Stando alle dichiarazioni di David Graeber, praticamente “comprano debiti a basso costo” e poi materialmente li bruciano; gli ex-debitori riceveranno una telefonata del tipo «pronto? siamo quelli di occupy, abbiamo annullato il suo debito».

        Questi sono solo due esempi, ma non ne mancano altri.

        Penso alle reti del baratto o ai sistemi di scambio locale fioriti in Argentina durante la crisi del 2001 (anche se, pur non intendendomi di economia, ho l’impressione che queste, sebbene potessero temporaneamente alleviare la devastazione, non potessero e non possano essere considerate come una reale alternativa “di sistema”).

        Per non peccare troppo di esterofilia (della quale comunque penso di non essere affetto), esprimo un parere positivo in questo senso per alcune iniziative in Italia: come scordare infatti la recentissimamente sgomberata Casa dello Studente occupata, la Verdi15 a Torino? Ecco, anche quello è un buon esempio di risoluzione pratica dei problemi quotidiani e materialissimi delle persone. E infatti aderiscono in tanti.

        • non penso siano percorsi in conflitto tra loro, anzi mi sembra che organicamente si compenetrano.
          La discriminante (e reale differenza) tra i due (che chiamerei: resistere e sognare) è la prospettiva nella quale si inquadrano, come mi sembra emerga chiaramente da questo ramo di discussione.

  20. Premessa. Il giorno dopo: accendi il pc, ti immergi nella rete, e dopo pochi minuti di apnea tra sparate grilline, titoli della stampa e editoriali di giannini, ti fiondi su Giap perché sai che troverai quello spazio di riflessione e discussione di cui hai bisogno come l’aria. Ogni volta lo dai quasi per scontato ma non lo è affatto. Grazie a WM.

    Dopodiché, io ho bisogno di dire due cose. Di getto, e perciò sicuramente un po’ confuse. Già sentite, soprattutto, qui, e perciò forse pure un po’ noiose. Però, credo, ancora irrisolte, non dibattute abbastanza, e soprattutto credo non in via di metabolizzazione da un movimento nascente (che io, forse troppo ottimisticamente, vedo)

    Per andare al sodo, io vedo, non in termini assoluti e generalizzanti, ma per quanto riguarda l’espressione delle lotte in giornate come quella di ieri, l’avvicendarsi di un rituale, di una liturgia, che mi sta davvero sfiancando.

    Per l’ennesima volta, il giorno dopo le lotte sono ridotte a un problema di ordine pubblico. La giornata a un evento mediatico da consumare davanti a video e fotogallery. E intendiamoci, non sto semplicemente accusando la stampa o il sistema dei media mainstream di questo, io questo lo vedo anche tra di noi (uso noi in senso più allargato possibile, venitemi incontro. Noi nel senso “quelli che erano in piazza ieri”). Mi faccio un giro su twitter, sui blog, e mi viene in mente la guida al Riot Porn di @blicero.

    Per l’ennesima volta, nelle assemblee e nei dibattiti dei giorni prima arriviamo a comprendere e a dirci che il problema è complesso, è sistemico, è culturale, che non abita a Roma né tantomeno a Montecitorio (o meglio abita anche questi luoghi, ma solo marginalmente) e poi ci attrezziamo per l’ennesimo assedio alla zona rossa, a palazzi del potere che siamo i primi a considerare vuoti.

    Per l’ennesima volta il giorno dopo siamo prateria per le scorribande elettorali dei cacciatori di taglie. “Le violenze oscurano i motivi della protesta”, “Isolare i violenti”, “Soldato blu unisciti ai ragazzi” (excursus: a me la triade Casaleggio-Grillo-truppe cammellate del web mette terrore puro, dopodiché comunicativamente sono capaci di capolavori, seppur meschini, a cui è impossibile non rispondere chapeau. Quanti 18enni in più, affumicati ieri in piazza, leggendo le dichiarazioni di oggi, decideranno di tracciare una X sul M5S alle prossime elezioni?secondo me non pochissimi)

    Assedio – contatto con le ffoo – scontri – fermati – teste rotte – sampietrini – video online – articoli nè-nè di Repubblica – articoli deliranti della Stampa – sparate di Grillo – ferme condanne dell’arco costituzionale – controrassegnastampa del movimento – bilancio dei fermi – e via elencando

    “percorsi obbligati”, appunto.

    Che fare? Domanda sempre attuale, sempre urgente. Io, le mie compagne e i miei compagni ce la poniamo praticamente quotidianamente. Non riusciamo a prenderci una birra al bar senza finire col porcela. Guardiamo a Madrid e ad Atene, in Islanda e a Parigi. Cerchiamo di ragionare di linguaggi, pratiche, forme del conflitto, comunicazione. Delle condizioni di efficacia e dei concetti di sconfitta/vittoria. Arrivando spesso a generare due domande per ogni, parziale, risposta.
    Anche il tema dell’organizzazione, laddove essa è intesa alla stregua di un percorso unificante, mi convince pochissimo. Costruire IL partito, IL sindacato “giusto” per lottare e vincere mi sono sempre sembrate utopie inutili e, permettetemi, anche un po’ pericolose. A me sono sempre interessati di più i processi sociali reali. Come fa un linguaggio, una narrazione, a cambiare il clima culturale all’interno di una comunità politica e a determinare condizioni più favorevoli per l’efficacia di una lotta? Come fanno le pluralità a incontrarsi in uno spazio di riflessione comune, rendere comune anche l’azione, senza finire con il disperdere la ricchezza di posizioni, fagocitarsi o abbandonarsi alla guerriglia intestina? E via domandando..

    Allora, se il rituale mi sfianca, e il tema dell’organizzazione è oggi posto aldilà dell’esperienza dei soggetti che dovrebbero affrontarlo, provo a lanciare un’idea. Proviamo a vedere cosa succede se ribaltiamo un attimo la prospettiva, e riflettiamo su cosa “smettere di fare”? Ce la facciamo a riconoscere un tranello, studiarne forma e meccanismi di funzionamento, imparare a eluderlo, passarci la parola su come si fa, alla stregua di animali selvatici che devono necessariamente attraversare la foresta evitando di finire tutti quanti nelle mani dei cacciatori?

    Scusate, di nuovo, se mi sono espresso anche io alla boia vigliacca. Il cuore va a propano, le mani a benzina e la testa a diesel.

    • Avrai anche scritto di getto ma io condivido in pieno i tuoi dubbi e purtroppo non ho risposte semplici (e realisticamente attuabili)

  21. Ottimo intervento di WM1, e vedo anche nei commenti tanti spunti di riflessione davvero profondi e interessanti. Condivido il dubbio generale riguardo le forme di organizzazione delle lotte.
    Consentitemi di andare oltre e condividere con voi un dubbio che mi attanaglia, essendo sempre stato uno che crede nella possibilità di un mondo migliore (another world is possible).
    Sempre di più, a partire dalle reazioni ai fatti e dai ragionamenti politici delle persone “normali” (cioè non militanti e che non hanno mai fatto un minimo di percorso politico) che mi circondano, si sta facendo strada in me una paura: si possono realmente realizzare lotte trasversali e condivise, sui temi dell’organizzazione generale della politica e dell’economia?
    Cerco di spiegarmi meglio. Lotte locali e circostanziate ad alcuni argomenti (Ilva, Fiat, TAV) vanno avanti, crescono in partecipazione e su di queste ho pochi dubbi, in termini di realizzabilità, capacità di coinvolgere e possibilità di vincere.
    Ma qui stiamo parlando di unire tutte queste lotte. E francamente, non vedo prove passate che dimostrino la possibilità di creare, a partire da singole istanze, un movimento, un partito, un sindacato, che abbiano istanze più generali e di ampio respiro, e che non cada nel bieco qualunquismo e criptofascismo del grillismo.
    A questo punto, infatti, mi pare palese che coscienza di classe, capacità di immaginare il possibile, convinzione di poter cambiare l’esistente e interesse verso le sofferenze degli altri siano veramente nulle o prossime allo zero, nella maggior parte della gente, sia tra i “piccoli borghesi” che tra i “proletari”. Aggiungiamoci anche una certa ineducazione a parlare di politica con le categorie filosofiche appropriate, e capirete perché mi è sorto questo timore…

  22. […] e quando si guarda all’Italia da fuori. Al video, però, aggiungerei la lettura di Sulle lotte in Italia, a partire dallo sciopero europeo dei Wu Ming (commenti compresi). Perché, quando guardiamo da qua, si continuano a vedere mazzate […]

  23. La lotta ormai non può più vivere di compromessi. O si sta dalla parte
    di chi resiste fattivamente al neoliberismo, e alla repressione che
    produce, o è tutto inutile. Difficile è farlo in modo coordinato.

    In tal senso proprio in questi giorni in Toscana è nata una rete che
    si chiama “Spazi liberati. Toscana specchio d’Europa. Lotte locali e
    proposte dal basso” che mette insieme 17 realtà impegnate contro le
    politiche di destra delle amministrazioni locali a maggioranza, in
    regione, pd-sel-prc-idv-psi, forze politiche che si dichiarano di
    progressiste e/o di sinistra e anche da partiti sedicenti
    anticapitalisti. E in nome di una presunta governance dei fenomeni
    della globalizzazione prima e di un dovuto rigore nell’affrontare il
    debito pubblico oggi impoveriscono quella Democrazia fondata sulla
    Costituzione e figlia di quella Resistenza che proprio in Toscana ha
    visto una grande partecipazione della popolazione, fenomeno mai
    registrato altrove nell’Italia occupata dai nazifascisti. Per questo
    Spazi liberati si impegna a condividere analisi, conflitti sociali e
    mobilitazioni fondate sulle buone prassi di resistenza che pratica
    quotidianamente sui territori in cui vive e opera.

    Ecco il loro sito http://spaziliberati.wordpress.com/appello

  24. @ Mauro Vanetti e @ Matteo

    Vanetti, in un suo commento di qualche tempo fa, diceva che in Italia la merda non è ancora salita abbastanza perché l’incazzatura si generalizzi sul serio. Mi sembra che ci stiamo arrivando. Ecco, io ho il presentimento che soltanto ritrovarsi sulla stessa barca, con le falle e l’acqua che sale, possa portare a percepirsi come sulla stessa barca e a recuperare un po’ di coscienza di classe (si sarebbe detto una volta), o se si preferisce, di autoconsapevolezza. E’ una tautologia, lo so, ma anni e anni di individualismo e liberismo inoculati con la pompa non si spazzano via in altro modo, temo. Ciò non significa che la dura materialità della crisi sarà soluzione a se stessa, ovviamente. Si è detto a più riprese anche qui che l’uscita, anzi, la permanenza a destra nella crisi è una possibilità concretissima. Tuttavia spesso è questione davvero di poco perché la storia imbocchi un’uscita o l’altra.

    Sinceramente non mi sento in grado di tracciare una prospettiva e non mi accontento di dire: ci vorrebbe l’organizzazione, il partito, il movimento-partito, questo e quell’altro. Il tempo condizionale comincia a starmi pesantemente sui maroni, bisogna imparare a usarlo il meno possibile. Non credo che l’organizzazione possa essere evocata, né costruita con un semplice atto di buona volontà politica. Per questo certi commenti – non vostri, di altri – anche su questo blog mi suonano spesso noiosamente dogmatici nel volerci ricordare che tutto ciò che manca è ciò che non manca: partiti, sindacati, sigle, associazioni, strutture vere e simulate. Ne abbiamo a iosa. Ma non sappiamo più che cazzo farcene. Lo so anch’io, al condizionale, cosa ci vorrebbe, ma tocca fare invece con quello che si ha, provando a cambiarlo, o inventarsi qualcos’altro se si è davvero molto bravi. Grillo & Casaleggio si sono inventati qualcosa. Qualcosa che riflette lo spirito dei tempi, non c’è dubbio, quindi qualcosa di inquietantemente efficace nella sua attualità, anche se durerà il tempo di una (aspra) stagione e potrebbe preparare il terreno a qualcosa di peggio.

    Per altro, è vero quello che dice Vanetti: il movimento del G8 di Genova pensava di poter fare a meno di un’organizzazione di massa che agisse in profondità e credeva, un po’ feticisticamente, nel movimento per il movimento. Grillo è un po’ anche figlio nostro, se vogliamo, che eravamo troppo ottimisti, troppo “leggeri”. Tuttavia non eravamo certo noi ad aver decretato l’inadeguatezza delle strutture novecentesche alla fase storica: era una constatazione. E non mi sembra che sia ancora stata smentita.
    Ecco perché noi altri siamo ancora qui a chiederci “Che fare?”, e non retoricamente, come se lo chiedeva quel tale che aveva già le risposte, quasi un secolo fa, ma con un certo smarrimento invece, perché noi veniamo dopo di lui e dopo il fallimento storico di ciò che dalle sue risposte è nato (e/o degenerato). Fingere il contrario sarebbe un po’ ipocrita, oltre che sciocco. La questione è quindi aperta.

    Per questo io sarei già contento che “noi” (il “noi” di Matteo) si riuscisse ad agire per fare scoppiare quante più contraddizioni possibile. Dall’interno o dall’esterno. Quelle dentro i partiti (le meno interessanti); quelle dentro i sindacati (che sono già più strategiche); quelle “in seno al popolo” (le più difficili da trattare); perfino quelle dentro le forze dell’ordine (roba da psichiatri).
    Lo so, vado in controtendenza: voi dite giustamente che ci sarebbe bisogno di unità, di coordinamento, e di soggetti politici che fossero in grado di farlo. Avete ragione, ma non vedo quale nuova soggettività possa nascere senza accelerare la crisi dei soggetti esistenti, senza liberare energie che ancora languono tra le mura delle strutture preesistenti (i partiti televisivi della pseudo-sinistra) o senza spingerle a uscire dall’angolo in cui si sono ridotte a incassare i colpi (i sindacati). Ma ricordiamoci sempre che ogni struttura – formale o informale, incluse quelle di movimento – è istintivamente autoconservativa, e spesso, quando butta male e ha qualcosa da perdere, lo diventa ancora di più. Esiste perfino un conservatorismo della militanza scadentistica, basato sulla coazione a ripetere, come fa notare con insofferenza Matteo. Dove stia di casa la rivoluzione non lo sappiamo mica.

    Insomma tutto questo per dire che il richiamo ai libri e alla discussione – in un momento di crollo dell’intelligenza, di veementi balbettii, di finti dibattiti televisivi e botta-e-risposta a 140 caratteri – mi trova assolutamente e luddisticamente d’accordo.
    Sono troppo massimalista? Boh. Forse.
    Seguimos en combate, si diceva.

    • Chissà perchè mi sento interpellato dal tuo intervento, sarà la coda di paglia. Forse sono tra coloro che han fatto interventi dogmatici “ricordando che ciò che manca è ciò che non manca”: se è così, vuol dire che non mi sono espresso bene. Se non è così, meglio.
      WM4, io non sto invocando alcuna riedizione di organizzazioni passate, nè rifacitura di esperienze ormai decadute o buone per la formalina in laboratorio.
      Quel che di sottile dice il mio intervento è che “ciò che esiste” è poco, davvero poco. Che ciò che esiste è ammalato dello stesso malore dell’intero paese tutto, e soprattutto che spesso, non è oggettivamente migliore di ciò a cui si oppone. E in ultimo, che ciò che esiste non può salvare sè stesso buttando a mare ciò a cui si oppone (partiti, sindacati, etc), per due motivi. Perchè quelle strutture per quanto vetuste, piegate al finanzcapitalismo e alla vulgata liberista, per quanto obsolete rispetto alle pratiche di lotta politica, per quanto indecenti nei leader e nelle posizioni espresse pubblicamente, esistono ancora. Ed esistere ancora vuol dire centinaia di migliaia di persone, vuol dire militanza diffusa, sogni, speranze, pratiche, competenze, che messe insieme non mi sembrano qualcosa di irrilevante. Ecco: io pongo il problema. Se dobbiamo partire da ciò che esiste già, non chiudiamo gli occhi su ciò che esiste davvero, anche se si pone – politicamente – a distanza da noi. Io sono stanco, se non davvero sfiancato, come Matteo. Perchè se gli attuali movimenti sono anni (un decennio almeno) che prendono botte e non avanzano di un millimetro e il giorno dopo si ripropone la stessa narrazione, allora vuol dire che DEVONO cambiare tattica, e strategia. Se mi avventuro ogni volta in una riserva naturale e ne esco graffiato sempre per colpa di tigri, linci e iene ridentes, beh, devo trovare il modo di aggirare sta riserva, oppure di entrarci in una maniera che non mi levi le energie. E le energie inutilmente sprecate, adesso, sono quelle dello scontro fisico, dello sfascio di cose, e soprattutto dell’infinito e solito dibattito del giorno dopo, dimenticato poi dopo 10 giorni e riproposto alla successiva manifestazione. Noi dovremmo cominciare a disertare certe pratiche, perchè dopo 18 anni di militanza, a me comincia a balzare il dubbio che chi è così affezionato a quelle pratiche e non ha ancora ottenuto un cazzo, forse non ha più molto da dire, e rincorre un conservatorismo e una rendita di posizione che fa specchio a quella delle istituzioni a cui ci opponiamo.

      • Credo che WM4 si riferisse a discussioni passate su cultura e politica, “struttura e sovrastruttura” etc. e non avesse affatto in mente il tuo intervento qui sopra.

      • @ punkow

        Io ti capisco perfettamente. Come capisco Matteo, appunto. E non credo che il tuo intervento fosse dogmatico. Anzi, se leggi tra le righe della mia replica a Vanetti e a Matteo, troverai una certa concordanza con quanto affermi. Quando dico che certe strutture vetuste vanno messe in crisi da dentro e da fuori sto comunque riconoscendo a queste strutture un ruolo e un posto nella società e/o nell’immaginario collettivo.

        Per intenderci: quando anni fa mi sono ritrovato a fare il lavoratore dipendente, anzi il socio-lavoratore di una cooperativa appaltatrice del Comune di Bologna, e ho avuto bisogno di mettere in piedi una vertenza collettiva con i datori di lavoro, sono diventato delegato CGIL e con quel sindacato ho ottenuto quello che volevo ottenere (e mi sono licenziato subito dopo, ma questa è un’altra storia). E tuttavia questo non mi impedisce affatto di essere ipercritico nei confronti di una megastruttura come quella: burocratica, conservatrice e in ritardo di almeno un decennio sull’analisi del mondo.

        Rispetto ai partiti ho un atteggiamento simile, anche se non ho mai aderito ad alcuno. Il mese scorso, qui su Giap, ho pubblicato un articolo su un referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie private a Bologna. Ecco quel referendum mette a nudo lo scollamento tra ceto politico-amministrativo del PD e base elettorale, spingendo il primo a giocare la partita contro la seconda. E questo è bene, perché smaschera i giochi, perché spinge la gente ad aprire gli occhi, etc.
        Insomma, io sono d’accordo con te sul fatto che certi ambiti sono tutt’altro che “irrilevanti” per tanta gente, per quanto possano essere politicamente insipienti, e che quindi decretarne la morte per obsolescenza lascia il tempo che trova.
        E ti seguo pure quando scrivi che “ciò che esiste è ammalato dello stesso malore dell’intero paese tutto, e soprattutto che spesso, non è oggettivamente migliore di ciò a cui si oppone”.
        Di questo parlavano anche Vanetti e Matteo. E alla soglia dei quaranta posso aggiungere che certe dinamiche vetuste – conservatorismo della struttura, coazione a ripetere, leaderismo, sudditanza femminile, prevaricazione, disonestà intellettuale – le ho conosciute tali e quali, a più riprese, in certi ambiti di movimento barricadieri. Mica per niente ho il pallino della questione culturale e dello stile comportamentale.

        Infine, rispetto alle pratiche, io non ho granché da aggiungere a quanto detto qui in altre occasioni. Gli scontri con le forze dell’ordine mi sembrano il minimo rispetto a quello che sta succedendo a livello sociale. Il punto è che il minimo non basta e ciò che davvero importa è quello che sta intorno, prima e dopo l’eiaculazione della battaglia in strada.

        • Wm4, siamo molto più vicini di quanto mi era parso, sarà la fragilità latente di questo periodo che mi rende insicuro addirittura nei miei interventi, e nell’interpretazione di essi.
          Dici bene: non è tanto una pratica di “entrismo” quella che ci serve, quanto un lavoro lillipuziano, che coinvolge i singoli e le comunità nei luoghi di conflitto e di laboratorio politico. Le persone che votano ( o sono legate ) al PD o a SEL o ad altre formazioni partitico-sindacali, negli ultimi tempi sono diventate davvero più sensibili a certi temi che sottolineiamo con forza da almeno 10 anni. E lo sono diventate anche perchè la realtà si è fatta talmente drammatica ( nel lavoro ) che solo i ciechi e gli stolti non riescono e non vogliono vederla. Per quel che si può, cerchiamo sponde, contraddittori, dialoghi anche con le menti migliori e le forze più fresche che abitano quei luoghi da noi non frequentati, chissà che la distanza attuale non diventi una complicità e una vicinanza che, in un futuro prossimo o remoto, possa unire ciò che adesso appare diviso.
          Ultimamente, uscito nel tempo da formazioni partitiche e da movimenti, mi è capitato di organizzare momenti culturali, di riflessione e condivisione, ai quali hanno partecipato cittadine e cittadini non per forza sovrapponibili nella loro visione politica. E hanno funzionato, caspita ! Alla lunga la partecipazione porterà qualche risultato, almeno lo spero, perchè altre strade mi sembrano difficilmente percorribili se non con questa visione di lungo periodo.

    • Questo discorso della merda che sale fino a che la gente non si incazza veramente mi ricorda vagamente l’ideologia del “tanto peggio tanto meglio” comune alle BR degli anni ’70 anche se prima di loro era usata anche dai fascisti e forse persino da Lenin. Insomma è comune ai rivoluzionari. Sono d’accordo che la rivoluzione è la via più rapida per togliere lo schifo ma spesso è anche sbagliata. Anche se più lunga e magari tortuosa io preferisco la via delle riforme.

    • @ WM4

      Non penso, però, che il richiamo alla necessità dell’organizzazione, a prescindere da chi lo fa, possa essere bollato come “dogmatismo”. A meno che, certo, non tendiamo a trasformare il confronto fra militanti in una specie di diatriba fra monaci medievali da vincere dialetticamente a suon di citazioni e finezze argomentative… ma ammesso anche che questa caricatura possa riflettere in parte la realtà, a me quello che interessa è la sostanza della questione, e la sostanza non ha nulla a che fare con la “discussione per la discussione” ma con la pratica concreta e con gli insegnamenti della storia.

      Sta di fatto che tutte le situazioni in cui moti rivoluzionari o azioni radicali si sono sviluppate senza che l’avanguardia si dotasse di strumenti organizzativi adeguati – e penso alla Rivoluzione Tedesca o alle lotte dei wobblies – hanno prodotto lotte eroiche che tutti oggi ricordiamo con infinita ammirazione… ma hanno anche prodotto altrettante sconfitte. E non certo sconfitte facilmente rimarginabili. Ora, la lotta di classe la si combatte per vincere, non per partecipare; e non abbiamo bisogno di martiri o di eroi.

      Per questo il tuo intervento mi lascia un po’ perplesso. Anche perché la prospettiva che poni alla fine (“far scoppiare più contraddizioni possibile”) in realtà non è affatto una prospettiva! Le contraddizioni esplodono a prescindere, sono il frutto delle condizioni oggettive; non è che spetti a qualcuno (singolo o collettività) di “farle esplodere”. Ma anche se fosse: va bene, appicciamo decine di focolai di conflitto… e poi? Incrociamo le braccia e ammiriamo il gran falò? Oppure ci mettiamo nell’ottica di trasformare il malcontento generalizzato in forza politica, capace di resistere all’offensiva di classe del capitale e magari di contrattaccare?

      E’ da qui – semplici domande, semplici risposte – che scaturisce la necessità impellente di costruire, costruire, costruire… non da qualche “dogma” enunciato da una qualche “autorità”. Né da un dibattito puramente intellettuale sulla questione.

      Poi è ovvio, ogni struttura tende all’autoconservazione. E vale la pena di porre l’accento su quell'”ogni” perché, in tutta sincerità, e pur nella mia breve esperienza di militanza, non ho mai visto manifestazioni di tendenza all’autoconservazione così marcate, come quelle che si presentano in movimenti con organizzazione e modalità aperte e non ortodosse. La tendenza all’autoconservazione è pressoché una legge di natura, che si impone in ogni situazione in cui ci sono degli obiettivi da raggiungere e, per farlo, è necessario coordinare le azioni in modo collettivo. Questa tendenza, a prescindere dalle conseguenze a volte negative che può avere, esiste per controbilanciare la tendenza opposta, e altrettanto naturale, dell’entropia; se quindi l’alternativa ai rischi dell’organizzazione dev’essere la dispersione, l’improvvisazione, la vulnerabilità, la disorganizzazione… beh, ben venga un briciolo di sano spirito autoconservativo!

      • @ Little Commie Craig

        Eh, no che non ce l’ho una prospettiva, altrimenti chissà, andrei in giro a testimoniarla, casa per casa, luogo di lavoro per luogo di lavoro.
        Ho scritto: “Sinceramente non mi sento in grado di tracciare una prospettiva”, e di solito scrivo quello che penso.
        Non ho la più pallida idea di come si trasforma il malcontento generalizzato in forza politica in grado di contrattaccare (del resto vedo che pure chi sostiene di avercela chiara quell’idea non è che stia ottenendo risultati brillanti, a parte forse Beppe Grillo, quindi a conti fatti sono in buona compagnia, per quanto ciò mi consoli pochissimo).
        Di conseguenza mi dedico a seminare più che a costruire, nella convinzione forse illusoria che una pianta sana alla lunga resista più di un edificio sbilenco (o ipotetico).
        Perché poi, è ovvio, il problema non è mica il naturale “spirito autoconservativo”, ma nasce quando l’autoconservazione e non la trasformazione del mondo (quindi anche di sé) diventa la ragione d’essere di una qualsiasi organizzazione. Problema per il quale non esiste una soluzione, ovviamente, e quindi tocca tenerselo e farci i conti (ho fatto pure il delegato CGIL, dicevo…). Ma almeno con la maggiore consapevolezza possibile.

        • Quella fra “costruire” e “seminare” è una falsa alternativa. Anche perché qui non si tratta di coltivare tante piccole piantine magari solidissime, ma isolate, bensì di far crescere… un bosco intero – visto che o la risposta alla crisi del capitale è collettiva, oppure non è.

          I rischi legati alla prevalenza dell’autoconservazione, così come la difficoltà a “ottenere risultati”, poi, non possono né devono essere un ostacolo. Il ragionamento non è su cosa possiamo realisticamente ottenere con il minimo sforzo, ma su che cosa è necessario. Se ragioniamo al ribasso, siamo fregati in partenza.

          Poi, ti dirò, questi discorsi in astratto lasciano un po’ il tempo che trovano, visto che, appunto, non stiamo parlando di filosofia ma di azione politica concreta e quotidiana. Il rischio che vedo nei tuoi interventi, in cui ribadisci il “ritorno ai libri e alla discussione” è che potrebbe far passare, magari involontariamente, un messaggio sbagliato: ossia che oggi il chiamarsi fuori dal lavoro dentro le organizzazioni brutte, sporche, vecchie, cattive e inutili, possa aprire a chissà quali forme innovative e potentissime di azione politica alternativa.

          Perché, se vogliamo ragionare sui “risultati” o sui “rischi”, vorrei sapere quanto paga o ha pagato storicamente il rifiuto di misurarsi nella pratica con gli unici strumenti che hanno permesso alla nostra classe di conquistare diritti e garanzie che oggi stiamo perdendo… e sarei anche curioso di sapere a cosa porta, politicamente, il fatto che tanti singoli “illuminati” limitino la loro azione politica al tenere il naso nei libri e a discutere individualmente, senza un progetto collettivo, con tante altre singolarità.

          • Il problema, Don, è che nemmeno il tuo modo di porre la questione dell’organizzazione sposta mezza virgola. Come se queste cose non le sapessimo tutti quanti. Non è con l’appello volontaristico e un po’ nevrotico all’organizzazione che si costruisce l’organizzazione.
            Abbi pazienza, è ormai un anno che, ogni volta che intervieni su Giap, scrivi più o meno sempre lo stesso commento, quasi con le stesse frasi, e ogni volta parti da una premessa, più o meno esplicita a seconda dei punti della discussione in cui ti inserisci: che discutere di narrazioni, comunicazione, diversi frame in fondo serve a poco, che bisogna fare il partito di classe etc.
            Questo approccio ha due evidenti problemi:

            1) non stai intervenendo in un blog qualsiasi o in un “normale” forum di militanti politici, ma in uno spazio *specificamente caratterizzato*, avviato e gestito da NARRATORI, che insieme a chi è interessato si interrogano sulle contraddizioni del presente a partire da una precisa ottica (quella di come il presente viene narrato o, se preferisci un altro frasario, della critica dell’ideologia) e con una precisa metodologia (lo smontaggio delle narrazioni dominanti); è evidente che qui si lavora per la ricomposizione di classe o comunque vogliamo chiamarla, ma lo si fa rispettando le peculiarità del nostro lavoro. Sono possibili e auspicabili tanti approcci, non uno solo. Il sindacalista fa le assemblee sindacali, il militante di un gruppo diffonde la pubblicistica del suo gruppo, e va benissimo, ma *quando viene qui su Giap* non sta facendo un’assemblea sindacale né sta diffondendo la pubblicistica del suo gruppo. Qui si discute con una certa angolatura. Chi la mette in questione già nelle premesse mi ricorda quei tizi che intervenivano alle assemblee sulla riforma universitaria lamentando che non si stesse parlando di Palestina.

            2) Riprendo uno degli aggettivi che ho usato sopra. Ricorderai che l’anno scorso, quando da anarchico stavi diventando marxista, ti ho fraternamente messo in guardia dall’adottare, spinto dalla foga del “neofita”, un approccio “nevrotico” alla questione dell’organizzazione. Siccome sei un compagno che stimo e che (pardon my French, fai conto che ci sia una faccina sorridente) *quando si toglie il palo dal culo* fa osservazioni acute e utili, rinnovo l’invito: noi che prima non eravamo anarchici, queste problematiche le abbiamo sempre avute presenti, e tuttora le abbiamo presenti. Per questo non abbiamo bisogno di ribadirle a ogni pie’ sospinto. Tra l’altro, esistono modi di ribadirle meno pedestri. Nelle discussioni che avvengono qui, anche altri pongono esplicitamente la questione dell’organizzazione, del partito di classe e quant’altro, e lo fanno anche nella loro pratica di ogni giorno, ma cristoddìo, non battono sempre sullo stesso chiodo nello stesso modo!

            • Non sarei neppure intervenuto in questa discussione, se non avessi dovuto rispondere ad un’accusa di dogmatismo e di velleitarismo (“atto di buona volontà politica”, “ragionare al condizionale” ecc.), dalla quale mi sono sentito parecchio chiamato in causa (e a ragione, viste le successive reazioni). E ho risposto non certo perché la cosa mi abbia infastidito a livello personale ma per ragioni strettamente politiche.

              Non mi sembra affatto di pormi il problema dell’organizzazione in modo “nevrotico”. Né di limitarmi ad “appelli volontaristici”. La rampogna coglierebbe nel segno se la mia attività si riducesse a postare ogni tanto un commento su Giap in cui ribadisco la necessità dell’organizzazione. Non è così, e la vita che faccio da un anno a questa parte mi è testimone.

              Comunque probabilmente hai ragione: l'”angolatura”, da un po’ di tempo a questa parte, ha smesso di entusiasmarmi; e non parlo tanto dell’angolatura specifica di Giap, ma dell’idea della “centralità della narrazione” in generale… un’idea che mi ha dato la spinta iniziale ad attivarmi politicamente, ma che oggi mi infuoca molto meno di quanto non accadesse fino a qualche mese o a qualche anno fa.

              Probabilmente sono io a sbagliare, forse prendo fischi per fiaschi e leggo erroneamente alcune derive poco entisiasmanti della pratica politica quotidiana come conseguenze di questa angolatura, mentre magari sono effetto di tutt’altro.

              Ad ogni modo, dopo questo scambio che mi lascia con parecchio amaro in bocca, penso che mi prenderò una lunga pausa da Giap e dintorni. Sarà un mio limite, ma a quanto pare il “bastone nel culo”, in questo momento di merda, è l’unica cosa che mi aiuta a reggermi in piedi.

              See you in the struggles to come, comrades.

              • Mi spiace per l’amaro in bocca, però, scusami, anche a me viene parecchio amaro in bocca nel vedere i nostri sforzi per tenere in piedi una critica dell’ideologia minimamente comprensibile, un lavoro culturale minimamente adeguato e un uso (si spera) non pacificato della letteratura… buttati nel calderone di discorsi postmoderni (la “centralità della narrazione” etc.) che avversiamo nella teoria e nella prassi. In nome di cosa, poi? Di un aut aut tra politica militante e cultura? Spero di no, perché, sinceramente, non potrei immaginare nulla di più antimarxista e contrario agli interessi degli sfruttati.

                Giova ricordare, ogni tanto, che lo stesso Marx aveva un interesse smodato per la letteratura e la filosofia, senza le quali non considerava possibile impalcare nemmeno la critica dell’economia politica. Riteneva l’insieme dei suoi scritti “un’unica opera artistica” e lo stesso “Das Kapital” un’opera letteraria.

                “Non si capisce”, dissero di quel libro i censori zaristi. Non ne proibirono la traduzione in Russia perché “tanto è troppo difficile da leggere, non causerà problemi”. Non si aspettavano niente di sovversivo da un libro di teoria pieno di metafore strane e citazioni da Shakespeare, Dante, Dickens, Platone, Cervantes, Byron, Democrito…

                E invece, pur essendo la Russia un paese precapitalistico, “Il Capitale” vendette migliaia di copie e fu per decenni l’unico paese europeo dove la teoria di Marx era davvero conosciuta e dibattuta. Lo stesso Marx non se l’aspettava, e negli ultimi anni della sua vita si interessò sempre di più alla Russia, presagendo che proprio là, nel più improbabile dei contesti, stava per succedere qualcosa.

                E poi, chi altri posso nominare? Gramsci? Il Trotsky di “Letteratura e rivoluzione”? Tutti intellettuali avulsi da the struggles?

                Il problema è il contesto: se ti dico che *qui* trovi un certo tipo di approccio e tanti altri sono possibili, non ti sto dicendo che quell’approccio è “centrale”, ma che contestarlo *qui* ha poco senso.

                Reggersi in piedi è importante, ma poi bisogna anche poter camminare. E sarebbe meglio farlo insieme.

              • @WM1

                Faccio un ultimo “strappo alla regola” prima di entrare nel club dei silenziosi a tempo indeterminato. Lo faccio perché nel tuo ultimo intervento dici delle cose che ritengo molto importanti.

                Non penso, né ho mai pensato, che esista un “aut aut” fra militanza e cultura. Pensarlo, oltre tutto, significherebbe per me rinnegare non solo tutta la mia formazione, ma anche ciò in cui credo più profondamente.

                Gli esempi che fai sono fondamentali. Dico due parole su Trotsky, perché dà la migliore dimostrazione di quello che penso.

                Ne “La rivoluzione tradita”, Trotsky dedica pagine e pagine ad una critica spietata della degenerazione della cultura sovietica sotto l’influsso del “termidoro” stalinista. Parte dall’analisi delle relazioni familiari (e del ruolo della donna), per arrivare all’educazione, all’arte, alla letteratura. Lo fa rivendicando praticamente ad ogni giro di frase l’importanza della libera critica e del superamento dei valori borghesi come elementi imprescindibili di una cultura socialista autentica.

                Mentre scriveva quelle righe, però, Trotsky stava elaborando anche in un altro modo la sconfitta dell'”opposizione di sinistra a Stalin”, il tradimento della rivoluzione, la degenerazione burocratica dell’URSS: stava gettando le basi per l’esperienza della Quarta Internazionale, ossia per la creazione di un’organizzazione politica in grado di tenere viva la prospettiva rivoluzionaria e internazionalista, messa a tacere dalla repressione e dal pervertimento della Terza Internazionale da parte della burocrazia stalinista.

                Trotsky, Marx e Gramsci sono stati sicuramente dei grandi intellettuali. Ma la loro grandezza di intellettuali dipende in modo diretto dal fatto che hanno messo la loro cultura, la loro capacità di analisi e la loro attività instancabile al servizio delle classi oppresse impegnandosi direttamente nell’organizzazione delle lotte e della vita politica, pagando anche con un durissimo prezzo a livello personale (miseria, carcere, assassinio) il loro impegno per la causa rivoluzionaria.

                Oggi mancano oggettivamente le condizioni che hanno permesso queste sintesi straordinarie fra lavoro dentro (o per) le organizzazioni ed elaborazione intellettuale. Gli intellettuali “organici” sono passati di moda, e rischierebbero comunque di passare per ridicoli; sicché le energie creative si concentrano (o si disperdono, a seconda dei punti di vista) altrove. Il “vecchio” viene liquidato (spesso troppo velocemente), ma al tempo stesso (e a meno che non mi sia perso qualcosa) non si intravede all’orizzonte nulla di veramente “nuovo” in cui valga la pena intervenire.

                Mi sembra che la conseguenza di tutto questo sia una situazione di relativa sospensione, in cui livelli elevati di analisi ed elaborazione intellettuale, molto più “ampi” che in passato grazie alla maggiore scolarizzazione e alla maggiore accessibilità della cultura, non riescono però a trovare uno sbocco soddisfacente.

                E’ da qui, forse, che nasce la mia “irrequietezza”. Il nichilismo diffuso nei confronti delle “vecchie” organizzazioni e la mia risposta piccata a questo nichilismo – legata anche al mio impegno concreto in un’organizzazione – sono due facce della stessa medaglia; sono forse (ma speriamo veramente di no) il riflesso della stessa sconfitta storica.

                Ad ogni modo, così come c’è chi si accontenta di vedere esplodere contraddizioni, c’è evidentemente anche chi, in una fase come questa, si accontenta di reggersi in piedi. E la mobilità ridotta, si sa, rende gli individui che ne sono affetti nervosi, ossessivi, insopportabili.

                Again… see you in the struggles to come!

          • Tranquillo, Little Commie Craig, non ho alcun messaggio. Io non predico e non insegno. E se rileggi i miei interventi, invece di rispondere con il pilota automatico, ti renderai conto che ho sostenuto esattamente il contrario di “chiamarsi fuori dal lavoro dentro le organizzazioni brutte, sporche, vecchie, cattive e inutili”, citando perfino esempi personali. Ma mi sa che non ci capiamo, quindi suggerisco di passare ad altro. Tanto più che, appunto, “in ogni momento è quello che siamo e che stiamo facendo che conta, non quello che progettiamo di essere e di fare” (J.R.R.Tolkien, ottobre 1940).

          • @ Little Commie Craig

            però scusa, tu dici @WM4

            “Poi, ti dirò, questi discorsi in astratto lasciano un po’ il tempo che trovano, visto che, appunto, non stiamo parlando di filosofia ma di azione politica concreta e quotidiana. Il rischio che vedo nei tuoi interventi, in cui ribadisci il “ritorno ai libri e alla discussione” è che potrebbe far passare, magari involontariamente, un messaggio sbagliato: ossia che oggi il chiamarsi fuori dal lavoro dentro le organizzazioni brutte, sporche, vecchie, cattive e inutili, possa aprire a chissà quali forme innovative e potentissime di azione politica alternativa.”

            Forse dimenticando che più sopra WM4 stesso scriveva:

            “Per questo io sarei già contento che “noi” si riuscisse ad agire per fare scoppiare quante più contraddizioni possibile. Dall’interno o dall’esterno. Quelle dentro i partiti (le meno interessanti); quelle dentro i sindacati (che sono già più strategiche); quelle “in seno al popolo” (le più difficili da trattare); perfino quelle dentro le forze dell’ordine (roba da psichiatri).”

            Insomma se l’invito è quello ad “agire anche dall’interno”, l’accusa poi non può essere quella di invitare a “chiamarsi fuori dal lavoro dentro le organizzazioni”.

            A me il ragionamento di WM4 pare tutt’altro che astratto.
            Proprio perché stiamo parlando di azione politica concreta e quotidiana.

            La dirò in modo brutale:

            in Spagna nel giro di due anni hanno (con esiti alterni, per carità): sperimentato nuove pratiche di protesta (l’acampada, il “megafono umano”), tentato nuove modalità di assemblea e processi deliberativi (sono arrivati a ragionare in chiave critica sull’uso dell’applauso !), costruito reti efficaci di mutualismo e cooperazione (quello della rete contro gli sfratti è l’esempio migliore. E non si pensi semplicemente a militanti che accorrono a fronteggiare gli sbirri quando suona l’allarme anti-sfratto, parliamo di una rete dove avvocati prestano il loro sapere e il loro lavoro, sono messe in piedi iniziative di auto-finanziamento, ecc..), praticato (con un relativo successo se si guarda per esempio al #14N catalano, con picchetti di quasi 24 ore e 1 milione di persone in piazza a Barcellona) una collaborazione “spinta” tra soggetti sindacali e movimenti sociali, pur rispettando le rispettive autonomie.

            In Italia filosofia ne facciamo eccome. Almeno negli ambienti “militanti”. E non sto mica dicendo che sia un male eh? Ci mancherebbe. Credo che in Italia la capacità di lettura di “cosa sia questa crisi”, sia sempre rimasta alta, e meno male.
            Però – e ripeto, mi sto esprimendo in modo brutale ma se mi metto a girarci attorno ci metto una vita e mi faccio capire peggio – ormai sono più di dieci anni che quando si parla di “azione politica concreta e quotidiana” noi ci mettiamo a provare la testuggine da portare in piazza.

            Sto volutamente esagerando.
            So che il lavoro quotidiano di tante compagne e tanti compagni nei loro collettivi e dentro la società nel suo complesso, è ben altro.
            Ne dico una, ma lo faccio per tutte, Action a Roma e il suo lavoro per praticare il diritto alla casa.
            Ma allora perché non si riesce anche in questo a fare quel salto di qualità di cui io credo abbiamo bisogno? Perchè certe pratiche di mutualismo e lotta diffusa non riusciamo a moltiplicarle?

            Sarò anche esterofilo, non so, ma io il movimento nostrano lo vedo “incartato”, inceppato.
            Ed è oggi che la cosa mi preoccupa maggiormente, perché se per quanto riguarda la generazione dei “reduci del luglio 2001”, francamente, lo avevo messo in conto, oggi c’è una generazione completamente nuova che si affaccia al movimento, anzi che lo costituisce.
            Il 10 novembre ho visto a Firenze un’assemblea nazionale di studenti e realtà di movimento durante la quale, fra i tanti intervenuti a parlare, NESSUNO aveva l’età per essere stato a Genova 11 anni fa. Io questo lo interpreto come un dato politico.
            E come un’enorme opportunità di interrompere percorsi obbligati e coazioni a ripetere, sperimentare qualcosa di nuovo davvero. Casaleggio queste cose secondo me le ha capite in anticipo. Ovviamente poi essendo a capo di un’agenzia di marketing metterle in opera è più facile che non portandole dentro la riflessione dei movimenti sociali collettivi. Però va fatto.

            Io mi ritrovo al 100% in queste parole:

            “Gli scontri con le forze dell’ordine mi sembrano il minimo rispetto a quello che sta succedendo a livello sociale. Il punto è che il minimo non basta e ciò che davvero importa è quello che sta intorno, prima e dopo l’eiaculazione della battaglia in strada.”

            Aggiungendo solo che questo per me non è “semplicemente” ciò che davvero importa, ma un’assoluta priorità.

            E aggiungo anche che questo forse va fatto anche attraverso qualche rottura coi padri e coi “maestri”. Non sto mica parlando di stronzate tipo la rottamazione eh, quella retorica non è nelle mie corde. Però la provocazione la lancio: che non sia ora, anche dentro i movimenti, di iniziare a teorizzare e praticare con più coraggio una qualche forma di parricidio? Che non sia questo tema oggi più strategico di quello sull’organizzazione? Disertare i passatismi, osare immaginare qualcosa fuori dai percorsi tracciati?

  25. una composizione sulla manifestazione di ieri montando frammenti di articoli: se vi garba è su

    http://officinedipoesialin.wordpress.com/

  26. Compagne e compagni, negli ultimi mesi vedo che la questione si è riproposta ciclicamente.
    Cosa, esattamente, sta succedendo?
    In un certo senso mi pesa dover riproporre una riflessione che anche qua sopra ho già provato a proporre ( sulla quale sono anche stato gentilmente “ripreso”, credo una volta da WM1, per esser andato un po’ fuori tema ), ma quello che sta succedendo in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, che è successo ancor prima in Irlanda ed a breve succederà anche in Francia, ha cause precisissime ed identificabili.

    Il lavoro è stato preso in mezzo da una manovra a tenaglia, a livello continentale, dalle classi politiche e finanziarie, e lo strumento di questa gigantesca lotta di classe al contrario è uno strumento monetario, che è stato istituzionalizzato mascherato da falso ed ipocrita internazionalismo sotto il nome di Comunità Europea e, più nello specifico, di moneta unica ( sarebbe meglio non confondere le cose; se ci fosse stata una volontà politica realmente solidale, cooperativa ed internazionalista la Comunità Europea avrebbe potuto essere una cosa eccellente. Va da sé che in tal caso l’avrebbero fatta in modo completamente diverso e non avrebbero preteso di forzarne la costruzione politica attraverso l’improprio ma efficace mezzo abrupto di una unità monetaria che non sta né in cielo né in terra ).

    A questo proposito vorrei riportarvi un po’ di citazioni che con un mio compagno che la pensa uguale a me abbiamo raccolto.
    Citazioni di personaggi che hanno avuto un grande peso nella costruzione di questa moneta che è stata appositamente studiata per fare il culo a chi lavora e spostare la sovranità dalle istituzioni alla finanza.
    E’ inutile che faccia l’ennesimo pistolotto.
    Chi vuole legge, poi si fa la propria idea, se siam d’accordo meglio altrimenti pazienza.
    Comunque son tutte cose che uscirono a mezzo stampa e verificabili, le citazioni di Monti in particolare risalgono ad un libro intervista a Monti scritto da Rampini nel 1997 ( http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842050902 alla faccia di quei poveri fessi dei complottisti, spesso oltretutto di estrema destra, che non han capito che tutto è avvenuto alla luce del sole, sostenuto da un progetto politico e culturale ben preciso e che la definizione stessa di “poteri forti” è dal punto di vista storico estremamente ingenua e fuorviante perchè quanto accade nel corso della storia non è semplicemente un susseguirsi di complotti in ordine cronologico, ma un gigantesco processo senza soggetto nel quale le azioni, individuali o di gruppo, che veramente contano ed acquisiscono un peso tale da incidere sulla realtà sono solo quelle che si muovono nella direzione tracciata da immense forze di natura impersonale, che potremmo anche definire come ideologie dominanti )
    Ad ogni modo se vi va di leggere questa collezione di citazioni di “brave” persone:

    “La costruzione europea é una rivoluzione, anche se i rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei professori. L’Europa non nasce da un movimento democratico. Essa si crea seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di dispotismo illuminato.”
    T. Padoa Schioppa

    “Sono sicuro che l’euro obblighera ad introdurre una nuova serie di strumenti di politica economica.E ‘politicamente impossibile proporli ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati”.
    R. Prodi

    “Un’Italia fuori dall’euro farebbe una concorrenza rovinosa all’industria tedesca. L’Italia deve quindi essere subito parte dell’euro, alle stesse condizioni degli altri partner”.
    H. Kohl

    “Era evidente, e tutti coloro che hanno partecipato a questa storia lo sanno, quando abbiamo fatto l’euro, sapevamo che sarebbe scomparso entro 10 anni senza un federalismo buggettario. Vale a dire con eurobond, ma anche con una tassa europea, e il controllo del deficit. Noi lo sapevamo. Perché la storia lo dimostra. Perché non c’è nessuna zona monetaria che sopravviva senza un governo federale … Tutti sapevamo che questa crisi sarebbe arrivata.”
    J. Attali

    «Abbiamo minuziosamente “dimenticato” di includere l’articolo per uscire da Maastricht.. In primo luogo, tutti coloro, e io ho il privilegio di averne fatto parte, che hanno partecipato alla stesura delle prime bozze del Trattato di Maastricht, hanno, ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne … sia impossibile. Abbiamo attentamente “dimenticato” di scrivere l’articolo che permetta di uscirne. Non è stato molto democratico, naturalmente, ma è stata un’ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti.”
    J. Attali

    “Tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l’onere dell’impopolarità ESSENDO PIU’ LONTANE, PIU’ AL RIPARO, DAL PROCESSO ELETTORALE. Solo che questo un po’ per volta ha reso grigia e poi nera l’immagine dell’Europa presso i cittadini.La minaccia esterna di oggi si chiama concorrenza. Questo è un fattore potente di spinta per l’integrazione, anche se l’Europa reagisce troppo lentamente a questa minaccia.Un altro fenomeno che viene percepito come minaccia esterna, e che sta spingendo l’Europa verso una maggiore integrazione, è la minaccia immigrazione.QUINDI LE PAURE SONO STATE ALL’ORIGINE DELL’INTEGRAZIONE, LE PAURE HANNO CAMBIATO NATURA, PERO’ RIMANGONO TRA I MOTORI DELL’INTEGRAZIONE”.
    M. Monti

    “Il rapporto fra democrazia e Banca Centrale è come un deposito che la politica fa in un luogo di lunga durata a cui affida in custodia valori che ritiene importanti.La stessa politica sa che questi valori saranno meglio tutelati, se affidati a qualcuno che può permetterselo trovandosi AL RIPARO DAL PROCESSO ELETTORALE”.
    M. Monti

    “La flessibilità, nel senso di mercati meno sclerotizzati. In particolare, un mercato del lavoro che consenta alle retribuzioni di essere PIU BASSE rispetto alle aree dove maggiori sono i livelli di produttività e il costo della vita”.
    M. Monti

    “In Europa i tecnocrati al potere non devono lasciare il continente sull’orlo dell’abisso per avere lo strumento con cui strappare ai governi le riforme che vogliono”.
    T. Geithner

    Ci sono poi tante persone che stanno operando sul fronte…chiamiamolo tecnico ( tecnico in buona fede ), per spiegare che la versione della crisi che ci stanno raccontando, e le misure conseguenti, sono tutte una menzogna che ha il fine di farci accettare misure inaccettabili facendo leva sulla paura e sul plagio.
    Gli studiosi, però, lo avevano detto con largo anticipo a cosa avrebbe portato pretendere di imporre una sola moneta a paesi con leggi diversi, lingue diverse, realtà socio economiche diverse: ad indurre una recessione perpetua, tutta a discapito delle classi economicamente subalterne.

    Vorrei ad esempio citarvi un paio di articoli che spiegano piuttosto bene perchè abbiamo la disoccupazione, tra i ragazzi e le ragazze neolaureti compresi ben al di sopra del 30%, perchè le garanzie contrattuali non esistano più e perchè il nostro futuro sia stato svenduto.

    http://www.emilianobrancaccio.it/2012/06/21/intervista-a-emiliano-brancaccio-sinistra-occorre-una-strategia-per-uscire-dalleuro/

    http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/08/articolo/5225/

    Oltre a questo potrei suggerire di leggere un bellissimo ed estremamente circostanziato libretto scritto da Fabrizio Tringali ( che è un delegato Fiom ) e Marino Badiale ( che insegna analisi matematica all’università di Torino ), che sono sicuramente dei compagni e che spiegano con l’incontrovertibilità dei numeri quel che altri economisti che collaborano con le banche d’affari e coi “governi tecnici” non ci racconteranno mai.

    E’ abbastanza paradossale una questione: come mi ha fatto recentemente notare il compagno Mauro Vanetti in una nostra discussione privata, a dire certe cose si richia di passar da “rossobruni”.

    Eh, che vi posso dire….non è che una cosa sia necessariamente sbagliata per il semplice fatto che a dirla siano ancora in pochi e tra questi anche personaggi un po’ equivoci, o stronzi fascisti conclamati come quelli del Front National in Francia.
    La stessa cosa si può dire avendo scopi sostanzialmente diversi.

    Da questo punto di vista, rispetto al discorso di partenza dei WM e in parte d’altri, io non credo ci sia un problema di coordinamento delle lotte.
    C’è, piuttosto, un problema a livello di obiettivi che ci si pone, dovuto anche alle analisi a fondamento delle proprie proteste.

    Perchè qua il problema non sono tanto i marchionne, ma piuttosto il fatto che i marchionne sono una conseguenza naturale, coerente ed inevitabile dell’architettura monetaria entro la quale ci hanno incaprettati; quindi protestare contro marchionne ed allo stesso tempo votare partiti che “senza euro andrete a fare la spesa con la cariola e morirete di fame” è una contraddizione in termini.
    E come prendere la tachipirina se hai un piede in cancrena; muori senza febbre, ma muori lo stesso, perchè la febbre è solo un sintomo e non la malattia.

    Oggi in Europa, non intravedendo nonostante tutte reali e concrete prespettive per “prendere il palazzo d’inverno” bisognerebbe fare quel che fece Roosevelt appena eletto nel ’32.
    Ed è l’esatto contrario di quel che vuol fare praticamente tutto l’arco parlamentare…

    ( notare che io i miei compagn* li ho piantati in asso nel momento mi son visto piovere in testa la decisione di andare col PD a tutti i costi invece di cercare di costruire una sinistra più aperta ed inclusiva ma non compromessa con chi sta dall’altra parte…. )

    Alla fine il discorso è: inutile che pensiamo di organizzarci se prima non c’è un’idea chiara di cosa vogliamo ottenere e del perchè questa cosa potrebbe portarci a star meglio, a spostare più avanti a nostro favore l’orizzonte del conflitto di classe.

    Ciò che mi fa paura non è la mancanza di lotte ( ci sono eccome, è stato giustamente detto ), ma il fatto che stiano lottando….a casaccio, o peggio con scopi contradditori.

    “Lo vuoi l’euro?”
    “eh certo, altrimenti quei 4 risparmi mi si svalutano dovrò andare a fare la spesa con la cariola, la benzina mi costerà del doppio” etc. etc. etc.
    A parte il fatto che queste cose non sono vere ed è facilmente dimostrabile, anche se intuitivamente sembrerebbe il contrario, il dramma è che un sacco di persona in assoluta buona fede che sono in piazza tutte le sante volte e si stanno facendo un culo così, risponderebbero in questo modo.

    eeehh, purtroppo la risposta è sbagliata.
    Chi vuole l’euro, ne sia consapevole o meno, vuole anche il PD, Monti, van Rompuy, e un negriero come quel tizio col maglioncino blu che se se ne fosse rimasto a Detroit avrebbe fatto un favore come padrone.
    La consequenzialità è diretta, e bisogna capirlo, altrimenti si perde tempo e magari anche sangue – visto che sembrano intenzionati a non andarci tanto per il sottile – a lottare a casaccio o per rivoluzioni che tanto ora non sono a portata di mano, quando invece lottando contro un obiettivo ben preciso ( quei tecnocrati al comando delle istituzioni europee e quella cazzo di moneta studiata apposta per farci il mazzo ) son convinto che di risultati si potrebbe portarne a casa molti e creare ampio consenso alla svelta.

    • Concordo.
      Come dicevo prima, bisogna occuparsi di “un nemico” alla volta…
      A proposito dell’appello di WM4, “Oltre l’austerità” può essere una buona base di partenza…
      http://temi.repubblica.it/micromega-online/oltre-lausterita-un-ebook-gratuito-per-capire-la-crisi/

    • Mah io sarei anche contento se si uscisse dall’euro, non foss’altro che per vedere come cambierebbero certe facce. Però si può uscire dall’euro senza sacrifici per salvare le banche? E d’altra parte, si può rimanere nell’euro senza sacrifici per salvare le banche? La risposta mi pare che sia no in entrambi i casi, e il problema è che penso che sarebbe preferibile evitare i sacrifici per salvare le banche.

      Sul piano più teorico diversi autori marxisti hanno chiarito fin da prima dell’euro che il suo scopo era di creare un “potere monetario” isolato dai meccanismi democratici (per i marxisti, isolato dalle conseguenze della lotta di classe, che spesso si trasmettono alla spesa pubblica), che poi non è altro che quello che dicono Padoa-Schioppa e gli altri che citi. Però poi, fatta questa considerazione, alcuni si sono anche chiesti: ma davvero esiste qualcosa a questo mondo che possa essere isolato dalla lotta di classe? Davvero dobbiamo accontentarci di leggere il patto di stabilità o lo statuto della BCE e di concludere che non c’è niente che possiamo fare se non torniamo alle valute nazionali? La discussione su questo punto non è chiusa.

    • Intanto chiedo scusa per l’imprecisione data dalla fretta e dalla mancata rilettura.
      Ho parlato del libro di Badiale e Tringali senza dirne il titolo.
      Si intitola La trappola dell’euro.

      @ilBipolare, hai citato un bel testo per capire cosa stanno facendo i padroni ai paesi cosidetti PIIGS.
      E’ una staffilata da 200 pagine e rotti mi pare, ma è gratis e scaricabile in rete: lo scopo era proprio diffondere consapevolezza e farlo in modo che fosse per tutti. Non serve aver fatto studi specilistici per capirlo, anche se è scritto da professori, ma permette di capire ESATTAMENTE i termini della questione.
      Un testo prezioso in questi frangenti per capire PER COSA ha un senso andare in piazza, e non solo per testimoniare che è importante esserci.
      Offre una idea precisa circa il “che fare”; poi si potrebbe discuterne perchè sicuramente ci saranno anche dei legittimi scetticismi.

      @ marcello: credo che nulla sia estrapolabile dal quadro della lotta di classe.
      In effetti il mio discorso, discorso che di certo non è solo mio ( anche Brancaccio del quale ho riportato il link è un autore marxista, giusto per specificare ) è volto a dire: quella moneta è uno strumento di classe, dei ricchi contro gli esclusi, io sono un escluso e mi sto prendendo le bastonate, la lotta di classe dal mio punto di vista è che intanto mi rivolto e ti tolgo il bastone di mano e se ci riesco allora, magari, posso anche impognare a mia volta una clava e fargliela pagare con gli interessi.
      Intanto però quel bastone glielo devo togliere di mano.

      No?

    • Scusa, forse sarà perché non ho capito fino in fondo le tue argomentazioni, ma io continuo a preferire l’euro. Dal mio punto di vista ha portato benefici e, sia perché ancora non mi fido dei politici ed amministratori italiani, sia perché non ho capito bene cosa ci guadagneremo uscendone vuol dire che per ora siccome voglio l’euro vorrò anche il PD, Monti, Van Roumpy ed il tizio col maglioncino.

      • L’euro è un’impalcatura monetaria figlia del centro-sinistra europeo. Se pensi che i partiti del centro-sinistra abbiano contribuito allo stato di cose presente, allora il salto logico successivo è che quest’impalcatura fa parte del problema.

        • Penso che il problema sia più complesso.
          Per quanto riguarda l’euro, sono entrati in gioco rapporti di forza anche a livello sovranazionale…A partire dall’entrata nello SME nel 79, discussa criticamente in tutti i partiti italiani dal PCI al PSI dino alla DC, erano ben chiari a molti se non a tutti gli effetti potenzialmente devastanti del cambio fisso sulle economie periferiche…Perfino figuri come Cicchitto lo avevano capito…
          http://il-main-stream.blogspot.it/2012/09/lo-sme-leuro-e-la-sinistra-italiana.html
          Non si può parlare di una costruzione appartenente ad una specifica parte politica, del resto tra chi ha detto di no all’Euro vi sono stati anche molti governi di destra.
          Il problema è semmai che governi di centrosinistra abbiano deciso di adottare un manganello politico come il “vincolo esterno” che ha portato ad impoverire le classi meno abbienti e ci ha regalato tanti bei contratti da precari, svendita di proprietà statali ed oggi pure un bel pareggio di bilancio in Costituzione.

          • Appunto, no all’Euro semmai lo hanno detto a destra, non nel centro-sinistra perchè sarebbe come mettere in discussione la loro linea di politica economica da quando hanno abbandonato il marxismo. Il PCI ai tempi prendeva lezioni da Modigliani e Schioppa, mica da Graziani. Prodi, Padoa-Schioppa, Attali sono alcuni degli artefici di questa europa e della sua moneta, e non si possono certamente ascrivere al campo delle destre. L’Europa e la sua moneta sono di centro-sinistra, che piaccia o meno.

            • Helmut Kohl era di centrosinistra?
              E Chirac?
              Mah. Dal momento che a governarci è il “partito trasversale dei mercati”, mi sembra un po’ ozioso cercare di stabilire se dell’euro, di Maastricht e dell’austerity abbiano più colpa i rosa o i grigi.

              • E’ proprio questo il punto, non è affatto ozioso cercare di capire chi ha fatto cosa visto che nel 2012 la fetta di elettorato ancora attivo nella sua maggior parte vota PD e accoliti convinti di fare i propri interessi anche di lavoratori. La storia degli ultimi 30 anni andrebbe scritta nei frontespizi di qualunque manifesto politico programmatico, altro che ozio. Il partito trasversale dei mercati ci governa più o meno dalla rivoluzione francese, è il partito trasversale dell’Euro che dobbiamo combattere ora per avere una possibilità di sopravvivenza e per poter soltanto pensare una soluzione socialista.
                All’interno di questo partito unico le posizioni si differenziano e il centrosinistra è l’area politica più compiutamente mondialista e liberoscambista, le destre nella costruzione europe hanno giocato una parte, non il tutto, e faremmo bene a ripeterlo in ogni occasione ci possa capitare. Scusami Wu Ming 1, ma questa tua percezione di oziosità è un bel problema, è IL problema. Altro che “dar fuoco alle miccie”, per bruciare che? Per fare cosa? Per annaspare appresso al che fare altri 30 anni? Mah.

              • Boh, ogni tuo intervento mi lascia più perplesso di quello prima. Mi sembra che abbia ragione Mauro: ogni tanto piove qui qualcuno che ha individuato IL male, IL problema, e chiaramente ha LA soluzione, perché è l’unico ad aver capito quale sia L’urgenza e ad aver individuato IL nemico. Tutti gli altri, invece, non hanno capito un cazzo. Reductio ad unum, nemica di ogni pensiero critico e politica di trasformazione della realtà.

                Per me, dicendo che l’euro (il quale, intendiamoci, mi fa schifo) è IL problema e che è unilateralmente un’invenzione del centrosinistra (ripeto: Kohl e Chirac? E la Merkel? E Sarkozy?) non si va a parare da nessuna parte se non a dire che:

                1) la soluzione è la lira, o meglio: la nazione e quant’altro, e chi conosce la storia d’Europa nel XIX e XX secolo sa quali direzioni prenda quasi ineluttabilmente qualunque discorso e proposta operativa incentrata sulla nazione: porta al “blut und boden” e alla guerra nel continente;

                2) le destre sono meno responsabili delle loro controparti reali fittizie, quindi 2 + 2 = 5, l’antifascismo è un ostacolo, le alleanze devono essere “né né”, si sta con chi è contro l’euro e tutte le altre sono problematiche secondarie.

                Non dico che tu stia dicendo questo: dico che, giù per quella china, là si va a parare.
                L’euro non è né di centrosinistra né di centrodestra, proprio perché il “partito dell’euro” è trasversale, come è trasversale quello di chi pensa che usciremo dall’euro felici e contenti, ciascuno finalmente padrone del proprio destino e libero dai tecnocrati… poi ci rimarrà malissimo quando in Europa scoppierà una guerra come nel ’14-’18 o nel ’39-’45, perché la sua reductio ad unum non contemplava quell’eventualità.

              • Destra e centro e sinistra mi sembrano categorie molto poco produttive quando si parla di euro. Semmai dovremmo parlare di confindustria, banche e sindacati, e in particolare del modo in cui questi ultimi si sono bevuti (consapevolmente o no) e ci hanno dato a bere il “sistema sociale europeo” come contropartita dell’euro. Non credo che dobbiamo risalire troppo indietro nel tempo per trovare grandi narrative che magnificavano questo sistema sociale. E sotto sotto, date le caratteristiche per molti aspetti clientelari del welfare all’italiana, un welfare più europeo non poteva dispiacere a nessuno (anche nei movimenti). Credo anche che questa idea di poter andare verso un welfare più europeo abbia generato (anche nei movimenti) l’illusione che da noi il liberismo alla Reagan / Thatcher non era e non sarebbe arrivato, non tanto per la capacità di resistenza dei movimenti ma perché i sindacati – nonostante il loro collaborazionismo – non l’avrebbero permesso.

    • Credo che l’euro sia uno strumento che può essere usato bene o male. Credo che, rispetto alla lira, per ovvii motivi di dimensioni, sia manovrabile (per interessi personali e quindi negativamente) con maggiore difficoltà. Personalmente sono più tranquillo con l’euro che con la lira in mano ai “nostri” amministratori. Fino a quando non troveremo soluzioni alternative valide alla pecunia bisognerà usarlo o tornare agli ovini.

      • “Fino a quando non troveremo soluzioni alternative valide alla pecunia bisognerà usarlo o tornare agli ovini”
        Non credevo che falsi argomenti del genere fossero accettati su giap.

        • Giap, inteso come comunità che discute, sanzionerà i falsi argomenti contestandoli con argomenti veri. Saint-Just interviene solo se uno manifestamente trolla, cioè interviene in malafede per sabotare il confronto. Una presa di posizione superficiale, ingenua o spiegata a cazzo di mulo non identifica automaticamente un troll.

          • Ok, spiego meglio,anche perchè il mio non voleva essere un’appunto a SaintJust ma solo un’evidenziazione di un modo di argomentare scorretto e fastidioso, che mi ha scatenato la reazione ‘allergica’ che si vede sopra
            “Fino a quando non troveremo soluzioni alternative valide alla pecunia bisognerà usarlo o tornare agli ovini” è chiaramente falso, perchè prima avevamo la lira e non eravamo agli ovini, in Russia, Giappone, Brasile… hanno monete nazionali e non sovranazionali e non sono agli ovini, quindi quella frase è una falsità evidente il cui unico possibile senso è di offendere chi la pensa diversamente.
            Visto che ci sono poi dico anche la mia su lira-euro. Non penso che l’euro sia l’origine di tutti i mali, e non penso che abbandonarlo sarebbe risolutivo. Mi pare però evidente che il fatto che lo stato debba acquistare la moneta al prezzo che il mercato stabilisce (cosa che non si da con le monete nazionali) è un ulteriore vincolo che sottomette lo stato al mercato, e quindi va rimosso. Come si è detto in vari altri commenti, non è però questo il punto fondamentale

            • Evidentemente non sono riuscito a farmi capire, viste le reazioni. Provo a spiegarmi meglio “Fino a quando non troveremo soluzioni alternative valide alla pecunia bisognerà usarlo o tornare agli ovini” in questa frase il soggetto voleva essere lo strumento denaro o pecunia e non l’euro. Per quanto riguarda la mia preferenza dell’euro rispetto alla lira avevo espresso il motivo poco prima. Sicuramente posso essere accusato di ingenuità, superficialità od altro ma vi posso assicurare che mi ero avvicinato per capire punti di vista diversi dai miei e sono disposto a cambiare idea. Esprimo quindi le mie opinioni in attesa di argomentazioni valide. Se abbasso troppo il livello (comincio a sospettarlo) toglierò il disturbo nel giro di poco.

              • Non mi pare che qui nessuno abbia mai proposto di abbandonare la moneta, il discorso in questo sottothread mi pare verta esclusivamente su quale moneta sia preferibile. Costruirsi un nemico e attribuirgli opinioni mai espresse da quelli con cui stai discutendo e facili da controbattere non mi pare un modo corretto di discutere. Tutto qui.

              • Semplice… a parte il discorso tecnico su cui bipolare enea e altri hanno chiarito, magari rileggi e capirai perché il tuo punto di vista ha dei bias (magari sei ricco de famija, non è una colpa): tu dici che ti fidi poco dei nostri amministratori, quindi meglio il podestà straniero. Ciò è un’ingenuità per molti motivi.
                1- Hai visto Aniene2 di Guzzanti? (http://www.youtube.com/watch?v=suKwJljvNFE) Se li chiami te, poi che te lamenti? Ma che davero davero?
                2- Sono al riparo di quel poco di democrazia eccetera eccetera il partito unico si è visto ecc ecc
                3- Come li combatti questi che stanno a Brussels e Francoforte? Prendi la Ryan e vai a picchettarli là? Poi vedi se non arrivano i proletari tedeschi e ti mazzulano, perché gli hanno spiegato a loro che la colpa è di noi cicaloni del sud. Manco la polizei devono scomodare!

              • @rapa Il discorso tecnico, perdonami, non l’ho capito. Non sono ricco di famiglia. Se può servire nell’economia della dialettica mi descrivo, sono un travet con moglie part-time e tre figli piccoli inoltre sono convinto che siano migliori le riforme alle rivoluzioni che spesso tendono, per essere sintetici, ad andare in vacca, ovvero sangue e morti. A me non mi interessa che chi mi amministra sia toscano (sono di Firenze) o siciliano, basta che lo faccia bene; allo stesso modo non mi interessa che sia tedesco o italiano l’importante sarebbe l’onestà e l’etica. Bisognerebbe superare queste problematiche legate al “Blut und Boden”; se siamo d’accordo proseguiamo nell’integrazione fra i popoli altrimenti, se riteniamo che sia la strada sbagliata dovremmo forse invertire la rotta e tornare alle patrie piccole (granducati) o piccolissime (città stato)? Io preferisco allargare la platea, in fondo “Divide et impera” è il sistema più usato dai dittatori.
                Non ho visto Aniene2 ma il discorso non cambia, quelli che ti amministrano ora li hai chiamati? E poi ti lamenti? Vuoi il governo locale per la comodità della protesta? Esiste una giusta dimensione per la nazione ideale? Non troppo grande e nemmeno troppo piccola? Per quanto riguarda l’euro come suggeritomi ho fatto un giro su goofynomics ed infatti “La verità è che se gli squilibri persistono non ci sono buoni e cattivi: gli sbilanci esteri hanno due lati e vanno gestiti dai due lati: chi ne ha beneficiato deve contribuire al loro riequilibrio quanto e più di chi ci ha rimesso, per il semplice motivo che ha più risorse per farlo.” Rimanendo nell’area euro e integrandosi maggiormente in Europa non sarebbe forse evidente che la parte più forte non dovrebbe avvantaggiarsi ingiustamente su quelle più deboli? Anche perchè essendo intimamente connessi non sarebbe conveniente.

              • @Corvus qui sopra, l’errore è quello di pensare all’euro come a un fattore di integrazione. Negli USA se uno stato va in deficit rispetto agli altri stati dell’unione il governo federale gli trasferisce fondi, il vincolo di bilancio si allenta e lo stato può cercare di riequilibrare i conti anche con politiche espansive: c’è l’unione fiscale. Nell’eurozona nelle stesse condizioni lo stato deve rispettare i parametri deficit/pil pena ulteriori sanzioni: c’è un’unione solo monetaria. Senza unione fiscale l’euro può avere il solo effetto di condannare i piigs all’austerità, chiunque governi.

                La domanda potrebbe essere perché non si può andare verso l’unione fiscale, che vorrebbe dire una maggiore integrazione. La risposta è che ai capitalisti del Nord conviene molto di più spremere i piigs che aiutarli con trasferimenti fiscali, anche a rischio di rompere il giocattolo.

              • @Marcello. E’ esattamente quello che intendevo. Io speravo che persone con più spessore e capacità rispetto a me vedessero in una maggiore integrazione europea una possibile soluzione ed un obiettivo non utopico verso il quale puntare. Una riforma basata su mutua assistenza e supporto fra le nazioni europee (con tendenza alla libera integrazione di altri paesi) . Laicità e uguaglianza fra uomini e donne in tutti i paesi del Mediterraneo. Secondo me i capitalisti dei paesi del nord Europa non vogliono rompere il giocattolo e non dimentichiamoci della componente etica e solidale della popolazione; il giorno di sciopero internazionale ne è un segnale da non trascurare. Non riesco a vedere i tedeschi come avversari da temere anzi penso che uniti saremo più forti; per questo vedo nell’abbandono dell’euro un passo indietro e non una soluzione praticabile.

              • Corvus, i lavoratori e le lavoratrici della Germania sono compagni e compagne.
                Anche io sono internazionalista, ed europeista.
                Siccome ho avuto l’onore ed il privilegio di aver conosciuto un bisnonno che è arrivato a 104 anni di vita e venne mandato, come tanti della sua età, a farsi ammazare nelle trincee della prima guerra mondiale ( ed il nonno ha importato a noi tutti una immensa lezione sulla guerra. Le sopravvisse per 84 anni e pur rimanendo lucido di mente fino all’ultimo a nessuno di noi parenti, MAI, raccontò nulla di quello che vide e di quelle che fu costretto a fare……a volte 84 anni di silenzio possono pesare più di 1000 parole…. ) ho letto una caterva di libri sulla prima guerra mondiale.
                Certo, ho letto Lussu, un anno sull’altipiano, ma ho letto anche tutto E.M.Remarque, che invece era tedesco e venne spedito a farsi ammazzare nelle fiandre, tornandone vivo per miracolo. Accusato di disfattismo per il suo secondo libro, La via del ritorno, che era la prosecuzione di Niente di nuovo sul fronte occidentale, dai nazisti che nel frattempo erano arrivati al potere, fu costretto a scappare dalla propria patria.
                Nel suo libro ama il prossimo tuo racconta la storia degli esuli, del loro continuo scappare attraverso le frontiere, sempre perseguitati.

                Uno dei personaggi principali in quel libro dice al protagonista: noi siamo i primi veri Europei, dobbiamo esserne orgogliosi anche se soffriamo.

                Il punto è che costruire un’Europa solidale presuppone la necessità di avere le condizioni politiche per poterlo fare.
                Se invece abbiamo questa, è perchè c’era la volontà politica di creare questa.
                E con le proteste che stanno montando nel Sud Europa tu al massimo puoi far saltare il disegno in atto, non ribaltarlo.
                In Germania i lavoratori li han fregati come da noi, e li hanno anche plagiati come da noi: loro ci credono che è solo colpa nostra che siamo fannulloni e tutti corrotti, e non vogliono finanziare il nostro fancazzismo.

                Noi non abbiamo diritto di costringerli, come loro non hanno diritto di costringere noi.

                “autodeterminazione” dei popoli.
                Ha ancora un significato, a sinistra, questa locuzione senza essere automaticamente tacciati di nazionalismo?

              • Io non mi sento molto distante dai lavoratori nord europei, a parte forse il fatto che hanno dei governanti migliori; non mi sentirei defraudato della mia *italianità* se avessi una burocrazia nord europea. Parimenti non credo che siano tutti plagiati anzi penso che la maggioranza pensi che siamo più o meno nella stessa barca anche perchè nelle manifestazioni importanti la presenza internazionale è sempre stata non marginale. Secondo le condizioni politiche per l’integrazione verso una nuova Europa solidale, a cui fai riferimento, ci sarebbero o per lo meno non sono così distanti. Per il fancazzismo hanno anche in parte ragione e penso che si incazzino pensando ai soldi che sputtaniamo nello stesso modo in cui mi fanno incazzare i greci con le pensioni alle figlie nubili dei dipendenti statali. Bisogna distinguere la solidarietà dalla presa per il culo dei fancazzisti difensori del proprio orticello. L’autodeterminazione ha senso ma in quale insieme (Europa, Italia, regione provincia, comune, quartiere condominio, famiglia o singolo) ti poni? Vado controcorrente lo so ma non mi dispiacerebbe vedere meno soldi pubblici sputtanati e per questo non giudico l’operato di Monti totalmente negativo almeno in alcune premesse mi piacerebbe vedere più etica cura ed attenzione verso la “res publica”.

              • @Corvus, credo che sia un obiettivo utopico (quindi anche bello, ma irrealizzabile). Al fondo l’unica comunanza di interessi tra le borghesie (per esempio) italiana e tedesca è nella compressione dei salari e nei tagli al welfare. I lavoratori italiani e tedeschi ovviamente hanno interessi opposti, ma hanno poco peso su scelte così strategiche.

                Incidentalmente, il dollaro come moneta unica USA non è nato dalla guerra d’indipendenza ma dalla guerra civile (di secessione). Lo so che non c’entra niente, però è un modello che mi ispira poco.

          • Scusatemi tutti, questa discussione secondo me è di fondamentale importanza per capire esattamente la dinamica di quello che sta succedendo in Italia ed in Europa, e quindi anche per capire cosa sia necessario fare per cavar fuori le gambe dal pantano. Vorrei seguire di più, partecipare di più, purtroppo un po’ per motivi familiari un po’ perchè son sotto concorso, mi manca il tempo per riuscirci come vorrei.
            Una cosa però sento di doverla dire: il senso del discorso che ha fatto WM1 poco sopra ( quello con l’elenco per punti ) mi ha lasciato come una statua di sale e mi ha fatto sentire un intenso, doloroso crampo allo stomaco. Non tanto e non solo perchè non sono d’accordo. Piuttosto perchè pur ritendendo le sue osservazioni ampiamente comprensibili – in effetti l’argomento è spinoso e foriero di potenziali contraddizioni da maneggiarsi con estrema cautela quindi andrà precisato molto meglio di quanto son sin qui riuscito a fare – quello che mi ha colpito è che ha detto le stesse identiche cose, praticamente con le stesse parole, che sono già emerse in lunghe ed estenuanti discussioni tra me e Mauro Vanetti negli ultimi mesi.
            In un certo senso credo che questo significhi che siamo giunti ad “nodo critico”, alle criticità che caratterizzano la sostanza profonda di due modi tra loro molto diversi di collocarsi a sinistra. All’aggettivo “diverso” non conferisco alcun giudizio di valore, non pongo la questione in termini di giusto o sbagliato, di meglio o peggio. Cerco solo di precisare i termini di una oggettiva diversità perchè credo possa aiutare a precisare i termini di due letture tra loro molto diverse di quanto stia accadendo. E cercherò di farlo con onestà intellettuale, giocando la mia partita intellettuale a carte scoperte.
            Facendo riferimento al “post madre” sulla crisi, nel quale per la prima volta si è accennato anche al dibattito sull’euro e l’UE, cioè il post “sfiga e rivoluzione” scritto da Mauro sul quale io e lui stiamo ininterrottamente “litigando” da mesi ( abbiamo esperienza di militanza attiva su territori contigui, lui è pavese ed io lodigiano. con la differenza che il partito non era lo stesso e non le è neanche ora, dato che per forti divergenze io ho sostanzialmente abbandonato il mio ).
            La mia personale, ed opinabilissima interpretazione, è che quel post sia tutto sbagliato, dalla prima all’ultima riga, perchè credo che siano sbagliate le sue ipotesi di partenza e che quindi sia sbagliato a cascata anche tutto il resto.
            Manterrò la mia promessa di giocare a “carte scoperte” esplicitando da subito a cosa io faccia riferimento, affinchè non possa neanche lontanamente sembrare che io voglia far subdolamente far passare degli “argomenti borghesi” nascondendoli o mascherandoli. Tantopiù che son convinto non si tratta affatto di argomenti borghesi ma, molto semplicemente, della presa d’atto d’una realtà fattuale.
            Sono una persona con una formazione “bastarda”, molto eterogenea, nella quale sono andato a pescare quanto mi sembrava buono nell’interesse delle classi lavoratrici da fonti tra loro anche molto diversificate, e la natura bastarda della mia formazione ( per carità, chiunque volesse giudicarla “incoerente” è liberissimo di farlo ) si ripercuote inevitabilmente nelle mia analisi della realtà.
            Io interpreto la crisi presente in una maniera strettamente keynesiana, dal punto di vista delle cause economiche che l’hanno determinata, ed in una maniera che deriva strettamente da Marx per quel che riguarda le motivazioni politiche e le conseguente sociali alle spalle del fatto economico.
            Da questo deriva che, secondo me, la crisi presente non è una crisi da sovraproduzione ( come quella del 1929 per intenderci, la crisi da sovraproduzione per antonomasia ) e che la crisi in Europa non è strettamente correlata con quanto avvenuto tra fine 2007 ed inizio 2008 negli usa con il fallimento dei Lehman Brothers; perchè quella americana era una crisi di natura strettamente finanziaria, che ha dato uno scossone destabilizzando il sistema anche in Europa, dato il livello di profonda interconnessione dei grandi istituti finanziari e di credito, ma dopo l’iniziale opera destabilizzante della crisi statunitense la crisi europea ha avuto una accelerazione ed è andata avanti sulla base di specificità e contraddizioni proprie, essendo a sua volta una crisi che nasce da squilibri commerciali tra i paesi interni all’eurozona le cui criticità erano evidenti già prima del 2007-2008 e che da quel punto in poi si sono semplicemente aggravate.
            La mia idea del perché politico che c’è dietro la semplice dinamica economica è invece questa: se consideriamo la crisi come una fase di transizione, nella quale le classi sociali combattono per ridefinire i reciproci rapporti di forza, capiamo anche che in un momento storico in cui il liberismo al governo non ha un forte contraltare, risulta essere nel suo interesse innescare e far perdurare una crisi. Quindi, purtroppo mi viene da dire, non abbiamo di fronte una crisi sistemica del capitalismo che si autodistrugge. Siamo di fronte ad una manovra politica consapevolmente desiderata. Che l’austerità non risolva bensì aggravi la crisi lo hanno capito anche i sassi! Ma qua è in gioco l’autoreferenzialità del potere, l’addomesticare definitivamente le classi lavoratrici e le loro rappresentanze sindacali, la realizzazione di un progetto di ristrutturazione sociale rigidamente verticistico e ferocemente classista, stabilendo che quand’anche non aumenti la produzione di ricchezza, chi occupa le posizioni di vertice sociale continuerà ad arricchire sull’impoverimento altrui innescando un ancor maggiore trasferimento di ricchezza dal basso verso l’altro. Il tutto condito da un quadro istituzionale nel quale la democrazia sia solo ed esclusivamente formale, e non sostanziale, il che è più facile a realizzarsi a livello di comunità europea che non di singoli Paesi, per via della lontananza delle persone dalle autorità, degli ostacoli linguistici, di una burocrazia volutamente farraginosa e complessa, e per la mancanza di “corpi intermedi” pan-europei ( cioè veri e propri sindacati e associazioni sovranazionali ) attraverso i quali la cittadinanza possa relazionarsi con l’autorità ed, eventualmente, esercitare pressione su di essa per farsi valere.
            Le classi dirigenti del centroeuropee ed i rispettivi interessi finanziari sanno benissimo che l’austerità genera ulteriore crisi; ma come per Napoleone Parigi valeva bene un messa, data l’entità della posta in gioco sul fronte dell’autoreferenzialità del potere, anche per loro l’istituzione di regole che disciplinino durissimamente le classi lavoratrici su scala continentale val bene una crisi!
            Cosa sta succedendo esattamentein Europa?
            Quello che penso è che stiamo assistendo ad un fenomeno che può essere spiegato facendo anche in questo caso ricorso a categorie del pensiero nate nel solco di Marx: il capitale finanziario sta conoscendo una fase senza precedenti, almeno in Europa, di concentrazione ed accentramento, prevalentemente in Germania e nelle sue economie satelliti più progredite – quindi ci metto dentro anche Austria e Benelux – e sta prendendo il sopravvento sul capitale industriale delle economie periferiche dell’area euro.
            Su questi fenomeni di concentrazione ed accentramento del capitale finanziario io ho appena cominciato a lavorare sul testo “Il capitale finanziario” di Hilferding. So che come opera ed autore è quantomeno guardato con un certo sospetto in certi ambienti, era pur sempre uno dei socialdemocratici che liquidarono brutalmente i conti con gli spartachisti Luxembourg e Liebknecht. Hilferding ragionava tuttavia secondo le categorie del pensiero di Marx e proprio la sua opera sul capitale finanziario è stato uno spunto tenuto in molta considerazione per elaborazioni successiva sul tema dell’imperialismo, anche da parte di Lenin.
            La stessa Rosa Luxembourg so che ha scritto varie cose sulla concentrazione di capitali, in particolare della finanza, tutta roba che dovrei ristudiarmi da capo con molta più attenzione, ad averne il tempo…..
            Ad ogni modo anche in epoca contemporanea, ed in Italia, son state compiute varie riflessioni sull’argomento. Ad esempio mi pare che si stiano ponendo nel solco di Hilferding, riattualizzandolo, buona parte delle riflessioni recenti del sociologo Luciano Gallino: http://www.einaudi.it/libri/libro/luciano-gallino/finanzcapitalismo/978880620701
            Ma non voglio buttarla troppo sul teorico, anche perché non ho lo spessore per poterlo fare seriamente; sono troppo le cose che sento l’urgenza di studiare molto più approfonditamente per affrontare una sfida di quel tipo.
            Ad ogni modo, i capitali finanziari si stanno concentrando in Germania ed economie satelliti, depredando le risorse delle classi lavoratrici ed anche dei capitali industriali delle economie dei paesi periferici, ed in questo fenomeno i trattati europei completamente incentrati sul concetto di “liberoscambismo” e la moneta unica, si inquadrano perfettamente, essendo del tutto funzionali alla realizzazione di questo fenomeno.

            Devo precisare in quest’ottica, visto anche il commento in particolare di WM1, che la lotta per la liberazione dall’euro NON è nella maniera più assoluta…”autoconsistente”, o meglio, è condizione necessaria per spostare dalla parte delle classi lavoratrici i rapporti di forza nel quadro della lotta di classe, ma NON è sufficiente.
            Per far fronte agli squilibri economici gli Stati fuori dall’eurozona hanno lo strumento della politica monetaria, banalmente perché hanno una sovranità monetaria ( prerogativa statutariamente impedita ed impossibile all’interno di un sistema a moneta unica ).
            Questo strumento non è una panacea di tutti i mali perchè la politica monetaria non conclude definitivamente i rapporti tra le classi, nè determina i modi di produzione, ma è appunto uno strumento di gestione degli squilibri economici degli Stati.
            Con l’adesione all’Euro, l’Italia e gli altri paesei europei, si sono preclusi quella strada e per far fronte agli stessi squilibri invece che svalutare la moneta, deflazionano i salari e i diritti.
            Attenzione, non lo fanno soltanto gli Stati indebitati (la questione del debito pubblico è più complessa, ma seguo per un attimo la falsa vulgata comune che vuole che i nostri problemi discendano dal debito pubblico ), anzi. La Germania è uno tra i paesi in cui la deflazione salariale è stata messa in pratica ormai da 10 anni come strumento del capitale per generare profitti senza redistribuzione; il surplus nel loro commercio estero è stato ottenuto proprio con questa formula.
            Ecco perché il senso del mio discorso, nella maniera più assoluta, NON è nazionalista.
            Io sono totalmente convinto e mi sento pienamente consapevole del fatto che il fenomeno che sta depauperando le economie periferiche dell’eurozona trae origine dal fatto che tra il 2000 ed il 2002 in Germania hanno fatto la loro “riforma del lavoro”, che ha introdotto come da noi forme estreme di precarizzazione e sfruttamento. Tutto è nato dalla classi dirigenti, politiche ( di entrambe le parti finatamente contrapposte ma liberiste fino a dentro il midollo delle ossa, SPD/CDU-CSU-Liberali ), industriali e finanziarie tedesche, che hanno fottuto le classi lavoratrici all’interno del proprio paese.
            In questo modo però loro, che hanno una industria più grande e quindi favorita nel lavorare su economie di scale e soprattutto molto meglio coordinata con la finanzia, hanno alimentato una politica commerciale di natura mercantilista, cioè tutta fondata sulle esportazioni, mentre i paesi periferici hanno in parte una industria più piccola, in parte meno coordinata con capitali finanziari comunque di minori dimensioni, e soprattutto non hanno più la possibilità di difendersi dalla deflazione salariale competitiva praticata dalla classi dirigenti tedesche rispondendo con una speculare svalutazione competitiva dei propri tassi di cambio.
            Alla fine se subisci una concorrenza di quel tipo, o ti difendi col tasso di cambio, o ti difendi riequilibrando il costo delle tue produzioni con quelle altrui attraverso le tasse doganali, o cerchi di rincorrere quella concorrenza sullo stesso piano che sta cercando di importi chi ti ha dichiarato una guerra commerciale.
            La prima cosa NON si può fare: c’è la moneta unica.
            La seconda cosa non si può fare: i trattati europei sono completamente intrisi di liberoscambismo, e fondati sulla piena e completa libertà di circolazione di capitali, merci e servizi.
            La terza soluzione significa adattarsi a cercare di difendersi dalla deflazione dei salari sullo stesso campo, cioè abbassando i costi tagliando gli stipendi e tenendo la disoccupazione alta.
            Cioè…un suicidio a sinistra, un massacro sociale senza precedenti nel nostro continente ( guerre mondiali escluse ).

            Con la lotta contro la moneta e contro i trattati liberoscambisti in sé e per sé NON SI RISOLVE un accidente, in termini di rapporti di forza tra le classi sociali, la battaglia è tutta da combattere ricominciando da capo.
            Il problema è che se non si esce da quel quadro istituzionale e monetario, io temo che non abbia nemmeno senso combattere, perché le condizioni che le classi dirigenti a capo dell’UE hanno istituzionalizzato ( a questo punto inserendo addirittura sanzioni automatiche ai paesi che non riescono a rispettare dati parametri attraverso i meccanismi del fiscal compact e le spoliazioni di sovranità dettate dal MES ) sono tali per cui è come pensare di combattere un incontro di pugilato avendo addosso una camicia di forza mentre chi ci ha dichiarato una autentica guerra commerciale non solo hanno mai e braccia libere, ma invece dei guantoni imbotti indossano direttamente un tirapugni d’acciaio.

            Altra cosa che terrei a far notare è che la “reductio ad unum” è quella sostenuta dai liberisti al governo ( e fa poca o nessuna differenza che siano all’interno dell’SPD, del PD, del partito socialista francese, o della CDU, del PDL o di chissà che altro ancora. E’ tutta una contrapposizione fittizia tra partiti che sono compiutamente rappresentativi della destra economica. Qua non c’è più distinzione se non nominale tra centrosinistra o centrodestra, ma tra chi è liberista e chi non lo è. E così funziona da circa 20 anni, in tutta Europa, anzi, i partiti che si sono dimostrati più compiutamente liberisti sono proprio i cosidetti riformisti dei vari centrosinistra europei ).
            Per loro il problema è tutto il debito pubblico.
            Ma è FALSO!
            Nell’analisi che ho proposto, che io sto studiando per approfondire in tutti i risvolti, non c’è assolutamente NULLA di mio e di veramente originale.
            Il problema è lo squilibrio commerciale, che oltretutto fa aumentare i cosidetti spreads; il debito pubblico è una scusa per colpevolizzare gli stati a posteriori col fine di smantellare la spesa sociale e la presenza dello stato nell’economia.
            Lo stanno dicendo tutti gli economisti in giro per il mondo, compresi i più prestigiosi, praticamente il discrimine è che non collaborino coi governi dell’austerità, non siano stipendiati dalla grandi banche d’affari e non siano di rigida osservanza liberista.
            Fatto salvo questo discrimine stanno dicendo TUTTI le stesse cose, facendo analisi unanimi e concordi.
            Sia che provengano da scuola marxista ( per l’italia potrei nominare il prof. Brancaccio, e per la francia Jacques Sapir, l’economista più ascoltato all’interno del Front de Gauche di Mélenchon e che ha anche scritto un dettagliato piano di fuoriuscita dall’euro per proteggere i lavoratori francesi dal mercantilismo della Germania:http://www.medelu.org/IMG/pdf/Sortie_de_l_euro.pdf ) sia che provengano da scuola keynesiana, per quanto ciò scateni in Mauro parossistici furori perché lo vedo molto preso dall’ansia di dimostrare che i keynesiani siano molto più nemici dei liberisti.
            Si potrebbero fari vari nomi italiani ed internazionali, ma per esempio in Italia ha spiegato perché auspichi la fine dell’euro Sergio Cesaratto dell’università di Siena, già citato da un altro compagno per il libro disponibile in ebook gratuito “oltre l’austerità”, mentre nel mondo ha detto che potremmo avere di che guadagnarci venendone fuori Joseph Stiglitz.
            Un altro che proprio un signor nessuno non è, come Paul Krugman, scrisse già nel 1997-1998 che l’euro era una follia, che avrebbe fatto esplodere la disoccupazione e provocato squilibri commerciali tremendi.
            Scuole diverse, concordanza d’analisi, e concordanza anche nel sostenere quale debba essere il primo passo per cavarsi fuori dal pantano.

            C’è poi il problema del liberoscambismo che meriterebbe di essere approfondito a parte.
            Anche quello è un argomento sul quale, scrivendone con Mauro, ho suscitato in lui reazioni praticamente scandalizzate. ( non solo in lui a dire il vero ).
            Il fatto è che credo, a sinistra, si debba riavviare un discorso seriamente approfondito sul protezionismo.
            Un altro argomento che di certo, preso di per sé, NON è la panacea di tutti i mali, ma resta pur sempre uno strumento che può essere utilizzato non banalmente per difendere gli interessi delle borghesie nazionali ma per difendere gli interessi dei lavoratori.
            Stabilire la piena libertà della circolazione di merci, capitali e servizi ( trattati europei, ma anche trattati del WTO su scala planetaria ) non può favorire gli interessi di chi lavora, perché scarica a livello planetario la competizione sul fronte dei prezzi completamente sul costo del lavoro, innescando un meccanismo di guerra tra poveri dal quale i lavoratori possono solo uscire sconfitti.
            E questo è un altro fronte di fondamentale importanza, in merito al quale bisogna riprendere in mano, senza che questo sia visto come motivo di scandalo, tanto Marx quanto Keynes, e bisogna pensarci su con calma.
            Faccio notare che anche su questo fronte, tra le persone che ho citato, anche se per motivi diversi, esiste una forte convergenza a livello internazionale e tra differenti scuole di pensiero ( esclusi i liberisti, avversari comuni ).
            Si sono infatti buttati a capofitto nello studiare misure essenzialmente di natura protezionistica che riterrebbero necessario applicare, tanto dei marxisti quanto dei keynesiani.
            Sono piuttosto il liberisti che vogliono assolutamente la piena e totale libertà di commercio.
            C’è un avversario in comune.
            Ma sui dettagli di questo aspetto ( uno dei tantissimi, altro che “reductio ad unum, la moneta è solo l’inizio ) passerei il turno perché il discorso è complesso, il mio tempo purtroppo poco e comunque vedo ci sono varie persone con le quali mi sento fortemente in sintonia che potrebbero proseguire questo discorso.
            Al massimo, raccogliendo l’invito di WM4 ad indicare vari potenziali materiali di studio sui quali riflettere ( non necessariamente essere d’ccordo, ci mancherebbe ), segnali questo libro di Brancaccio e Passarella uscito recentemente:
            http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/economia/9788842817772/lausterita-e-di-destra/
            Al suo interno, in particolare al capitolo 14, si propone una riflessione davvero interessantissima sul tema del “liberoscambismo” proponendo un confronto in parallelo tra 1) la tesi dei liberisti al potere 2) la tesi tradizionale del movimento operaio 3) quanto ne ha scritto Marx e 4) quanto ne ha scritto Keynes.

            • @enea

              Santo cielo Enea, ma ti accorgi che volente o nolente finisci dritto dritto verso il pianeta rossobruno? Ecco i passaggi dell’inquietante possessione di cui ti fanno oggetto gli spiriti maligni:

              Step 1. La crisi in Europa non c’entra niente con la crisi capitalista mondiale, è una cospirazione della borghesia europea che *fa finta* che ci sia un problema economico ma in realtà vuole solo fotterci (complottismo).

              Step 2. La crisi nei PIGS è dovuta al malvagio capitale finanziario mitteleuropeo che vuole distruggere il buono e utile capitale industriale mediterraneo (contrapposizione fra finanza straniera e industria nazionale… dove l’ho già sentita questa?).

              Step 3. Il debito è un grande imbroglio, non c’è alcun problema ad indebitarsi, basta avere la sovranità monetaria (proto-signoraggismo).

              Step 4. Bisogna innalzare barriere commerciali nell’interesse del popolo lavoratore (protezionismo cioè l’anticamera del nazionalismo).

              E comunque no, non credo per niente che i keynesiani *di sinistra* siano il peggiore dei nemici. Penso che siano un po’ come i socialisti utopisti dell’Ottocento, simpatici compagni con qualche strana fissazione e spesso anche molto preparati nelle cose che a loro interessano, ma che finché non si svegliano un po’ o non si fanno da parte impediranno al movimento di svilupparsi e di entrare nell’età adulta.

              • Lo so bene Mauro, questo discorso me lo hai già fatto, e ci siamo scambiati le nostre valutazioni quindi sai che si tratta di una opinione che rispetto, da una persona che rispetto, ma che proprio non sono d’accordo e che mi ha anche fatto molto male.
                Io sono un antifascista convinto, vengo da una storia familiare di antifascisti e militanti della sinistra alla sinistra del PCI e non mi sono mai mescolato né mai lo farei, con ratti che si mascherano per far passare messaggi razzisti con altri mezzi, con chi dice che essere italiano sia intrinsecamente meglio che essere qualsiasi altra cosa.
                In un certo senso posso riconoscerti un’altra volta ancora che tu stai segnalando una pericolosità potenziale che in effetti può diventare consistente: il mio discorso sta difendendo tra le altre cose anche il concetto di sovranità nazionale.
                Capisco che si tratta di un concetto da maneggiare con estrema cautela, perchè tra il difendere il concetto di sovranità nazionale ed il finire col fare, invece, l’apologia della nazione, per una persona con una coscienza antifascista meno solida della mia….beh, uno potrebbe sapere dove comincia ma non è detto che sappia dove possa andare a finire….

                Però per il resto mi riproponi argomenti che sinceramente io non considero né appropriati né consistenti.
                Quindi ribadisco, in questo caso pubblicamente:

                1) La crisi della bilancia dei pagamenti nei commerci esteri in Europa non c’entra niente con la crisi dei mutui subprime negli USA, che per l’Europa ha solo rappresentanto uno scossone iniziale.
                Non vi è ALCUN complotto, tutto è stato fatto alla luce del sole e pubblicamente, come da citazioni nel post iniziale, come da mio ragionamento iniziale sulla stupidità metodologica del complottismo e come anche potresti, tu e chiunque altro, verificare di persone leggendo sul sito voci dalla Germania, dove vengono tradotti in italiano articoli della stampa tedesca nella quale i democristiani, i liberali ed i socialdemocratici tedeschi, quello che io ho scritto qua, lo dicono pari pari al proprio popolo: “abbiamo conquistato una posizione di supremazia commerciale e ce la teniamo stretta forzandola attraverso moneta e patti di stabilità, e ce la teniamo stretta. D’altra parte loro sono cicale, non hanno fatto le riforme, e quindi non hanno diritto di lamentarsi”.
                Leggere per credere.

                2) non ho detto questo, ho detto piuttosto un’altra cosa, ugualmente difficile da digerire per un marxista ortodosso. A fronte di una classe lavoratrice che se la sta pigliando in saccoccia a livello continentale, non esiste UN capitalismo cattivo che la sfrutta. Esistono vari capitalismi, tutti sfruttatori, ma in lotta asperrima tra di loro. I capitali finanziari ed industriali centroeuropei stanno vincendo su quelli periferici. Coi capi di Confindustria noi DOBBIAMO FARE LA LOTTA DI CLASSE. Ma se come il sindacato, con l’introduzione del vincolo esterno del “ce lo chiede l’Europa” ( quante volte ce lo siamo sentiti dire mentre lo prendevamo dove non è piacevole prenderlo? ), ha subito una perniciosa mutagenesi trasformandosi da soggetto di rappresentanza e lotta a semplice azienda fornitrice di servizi, anche Confindustria dovesse cambiare status diventando Senzaindustria, dato che all’orizzonte non vedo possibilità concrete e rapide di prendere la Bastiglia e fare a modo nostro, noi che facciamo? Facciamo la lotta di classe per emanciparci dallo sfruttamento in un contesto di disoccupazione generalizzata?
                Non mi sembra utile.

                3) Il debito non è un imbroglio, e l’indebitalmente pubblico NON è una bazzecola, ma non è questo il problema che stiamo attraversando, e sarebbe un problema incomparabilmente minore avendo vera ed effettiva sovranità monetaria. Ed anche qua lo ripeto: lo riconoscono anche un sacco di economisti marxisti che puntano il dito contro la stessa cosa contro la quale lo puntano anche i keynesiani: il divorzio BankItalia-tesoro del 1981.
                Questo argomento non lo nominano MAI i liberisti, perchè ne hanno il proprio tornaconto: puntare il dito contro il debito pubblico come unico vero problema, infatti, presuppone come unica possile soluzione ciò che i liberisti vogliono, cioè tagliare spesa pubblica, tagliare servizi, tagliare welfare, privatizzare TUTTO, estromettere definitivamente lo Stato, e quindi la volontà del popolo ed il suo interesse, dai fatti dell’economia.
                Con questo il signoraggio e relativo complotto, del tutto inconsistente ed inesistente, non c’entra NULLA.

                4) Io non chiuderei MAI E POI MAI le frontiere alle persone. Ciascuno ha diritto a cercare una vita migliore, la fuga dalla guerra, dall’oppressione.
                Ma in buona parte ridurrei la libertà di commercio, limiterei drasticamente la mobilità dei capitali, stabilirei vincoli estremamente severi circa quali operazioni di finanzia internazionale sia lecito o non lecito fare.
                E’ uno strumento economico, non necessariamente borghese, menchemeno necessariamente fascista.
                Dopo il 2001 i presidenti Kirchner in Argentina come credi che abbiano fatto?
                E….credi che il commercio con l’estero sia più libero dentro la UE o tra il Venezuela di Chavez ed il resto del mondo?

                Sempre su questo Mauro, un altro argomento.
                La prima guerra mondiale non è stata semplicemente figlia del fatto che un nazionalista serbo ha sparato una rivoltellata ad un arciduca austroungarico.
                Era figlia anche di un processo economico che coinvolgeva realtà estremamente più ampie.
                Era figlia anche del laissez faire, il degno progenitore dell’odierno liberismo, la piena e completa liberta finanziaria internazionale degli Smith ed ancor più di Ricardo, che si esplicava anche attraverso la propria forma più odiosa, quella imperialista.
                Poco prima della prima guerra mondiale la circolazione dei flussi finanziari aveva raggiunto livelli eccezionali.
                Ma questo aveva anche creato estreme tensioni tra paese, reciproche morse debitorie/creditorie.
                Gli stati, in realtà, non stavano aspettando altro che il pretesto giusto per liquidare manu militari queste tensioni commerciali che si erano esasperate.
                Quindi no, lasciare la piena e totale libertà di commercio e di movimento finanziario a livello internazionale è ciò che mette a repentaglio la pace, non quale norma protezionistica ben temperata e mirata.

                Ciò detto anche io credo, anche questo credo di avertelo già scritto, che il keynesismo non sia una ricetta per il futuro di lunga durata, perchè instaura un sistema che pur non essendo una macchina macinauomini non risolve comunque pienamente il problema dello sfruttamento, dal punto di vista morale.
                Oltre a questo le ricette espansive keynesiane funzionano, ti tirano fuori dalla crisi, ed i keynesiani in buona fede Keynes in primis hanno a cuore l’argomento della piena occupazione, così come lo abbiamo a cuore che noi il capitalismo lo vogliamo superare, o distruggere ( io, direi, superare. Tu spazzar via. Sempre dalla stessa parte stiamo ).
                Tuttavia i keynesiani non tengono conto d’un problema: l’economia alla fine ha molto, moltissimo di convenzionale ( una moneta la puoi fare in un modo o in un altro, il commercio idem ). La termodinamica invece non ha proprio niente di convenzionale e nella sfida vince. E il pianeta è già sovrasfruttato, sovrapopolato e sovrainquinato.
                Qua spazi e risorse per espandersi esponenzialmente ed all’infinito non ce ne sono più.
                La loro è una ricetta di passaggio…ma….ci tocca….
                Intanto non perpetuiamo una recessione che è tutta a nostro svantaggio e bacciamo si che venga abortita una costruzione antidemocratica.
                A quel punto…la nostra lotta ricomincia da capo.

                Io la vedo così.

                Sai quanto mi pesi la solitudine, grave in generale per l’uomo che è fatto per la vita sociale, grave due volte per un compagno, che è fatto anche per la solidarietà.
                Per tutta la vita alla fine è stato così.
                Per i comunisti puzzo di keynesiano, e quando gli spiego come declino il mio rapporto con internazionalismo ( cui puro sono molto favorevole ma con argomenti del tutto diversi a quelli “standard” ) e sovranità mi guardano storto.
                Per i keynesiani puzzo di keynesiano.
                Con la destra non ho un cazzo a che spartire.
                Io magari sbaglio, ma ho il coraggio delle mie idee e mi espongo senza problemi alla critica, anche se il prezzo è continuare a sentirmi solo.

                Avevamo tutti quanti detto che dobbiamo porci domande, studiare, confrontarci?
                Per me è difficile, ma credo di portato una cariolata ed una sporta di argomenti non scontati.
                Diamoci dentro e vediamo se reggono.

              • Direi di poter aggiungere poco a ciò che dice Enea…Solo vorrei rivolgere un invito: non chiudetevi in una gabbia da soli. Ora, noi mangiamo, beviamo, defechiamo, ed tilizziamo se non il vocabolario, almeno lo stesso alfabeto dei rossobruni.
                Che poi se di pianeta si tratta,deve essere se non altro spazioso, dato che sono all’incirca una dozzina.
                Comunque d’accordo o meno sul tema euro si/euro no, la cosa cerchiamo di vederla a partire dalle basi più semplici, con pallosi ma necessari ABC economici e non cavilliamo sull’utilizzo di termini più o meno approvati del Comintern. Poi per carità, le prospettive possono essere lungimiranti ecc, ma se non ci si intende sui concetti elementari,ed io sospetto le incomprensioni partan soprattutto da lì, non ci si comprende proprio.

              • @Enea qui sopra,
                il futuro ‘senzaindustria’ che preconizzi non può essere frutto della tua impostazione keynesiana. Però mi pare giochi un ruolo molto importante per sostenere la tua prospettiva e francamente non capisco come lo giustifichi. Il fatto che la borghesia italiana non investa non significa che si stia suicidando o che sia emigrata in massa, è che manca l’incentivo (per motivi che un marxista ricondurrebbe alla sovraproduzione).

              • Mentre Marx lavorava a “Il Capitale”, scrisse a Engels che non vedeva l’ora di finirla con “questa merda economica”, per poter passare a un livello più complesso dell’analisi materialistica.

                Lo ricordo per segnalare che l’economia politica ha poco senso senza la storia. E’ immersa nel divenire storico, le sue stesse categorie sono storiche, nel senso che bisogna usarle “in situazione”, tenendo conto di moltissime altre cose. Sono i neoliberisti o gli assurdisti della Scuola di Vienna a credere che l’economia sia una scienza autonoma, il fatto stesso che esistano figure come gli “economisti” è un’assurdità.

                Allora, in concreto: l’ultima volta che l’Europa è stata investita da una crisi prodotta dal fallimento del liberismo, il capitalismo continentale si è affidato ai fascismi, che, come dicevo sopra, erano false rivoluzioni a uso e consumo dei ceti medi impoveriti, stabilizzazioni autoritarie del quadro che però ricorrevano al frasario della sovversione, ideologie borghesi che usavano una retorica antiborghese, al contempo nutrendosi di quel che ripescavano dalla pattumiera della storia (dal trash “nibelungico” alla “romanità”, qualunque mito del suolo e sangue etc.). Lo sbocco naturale di quella fase del capitalismo fu la guerra europea e mondiale.

                Ora, guardando a quel che succede in Grecia con Alba Dorata, in Ungheria con il governo Orban etc., e ascoltando il ventre populista d’Europa che borbotta, io dico che uno sviluppo di quel genere non è affatto improbabile.

                In parole povere, penso che la fase sia più avanzata di quel che pensate voi, il pendolo sta oscillando pericolosamente e non mi attarderei in quella specie di sineddoche che nomina monetarismo e neoliberismo come se fossero le uniche strategie del capitale. Ritengo pericoloso pensare di poter volgere la fase a vantaggio dei movimenti sociali senza offrire una chiara e concreta alternativa internazionalista (e quindi “europeista”, ma basata sulla denuncia di questa UE), di classe e antifascista (o, se volete, anti-populismo di destra). Qualunque pasticcio retorico che recuperi la “patria” va a giocare nel campo avversario, dove siamo in inferiorità numerica (tra chi agita quei concetti ci sono molti più fasci che compagni), tecnica (perché quei concetti sono più bravi ad agitarli loro) e psicologica (troppe volte a troppi compagni è “partita la brocca” e si sono trovati smarriti nella terra di nessuno).

              • mi sembra che le lotte nascenti europee siano ben piu ambiziose di quanto sembrino perche’ ci portano direttamente al cuore di un problema globale. la lotta non e’ per tornare ad una riautodeterminazione dei popoli locali ma per sovvertire la governance mondiale (forse europea in questo caso ) che ci dirige. le lotte ci portano dove la sinistre hanno volutamente fallito ossia a destituire la governance dei mercati (di cui tutti i governi locali sono emanazione), siamo tornati ad una forma trascendente del potere politico che vive di molte regole ineluttabili e fideistiche che non possono essere piu’ messe in discussione, beh la lotta odierna combatte queste *regole divine* con questioni immanenti di sopravvivenza dell’ uomo e del territorio. parlare di monete, di politiche supply siders verso demand siders sminuisce i bersagli della lotta, questo e’ l’inizio di una guerra al bersaglio grande il resto sono dettagli.

              • Il tuo discorso, ancorché retoricamente efficacissimo, fa acqua da tutte le parti appena al posto di “fuori dall’euro” ci metti un altro tema purtroppo condiviso da cattivissime compagnie, ovvero il “Palestina libera”; ecco cosa ci mettono in bocca molti illustri commentatori per fare associazioni infamanti:
                Step 1. La crisi mediorientale non c’entra niente con la geopolitica, è una cospirazione sionista (complottismo)
                Step 2. La crisi in Palestina è dovuta al malvagio capitale ebraico plutocratico contrapposto ai buoni pii e tradizionalisti musulmani agricoltori. (dove l’ho già sentita questa?)
                Step 3. La pulizia etnica in palestina è comparabile all’Olocausto (proto-negazionismo [!?!?!])
                Step 4. Bisogna attuare forme di lotta contro gli interessi israeliani attuando il boicottaggio commerciale (cioè l’anticamera dell’antisemitismo)

                Questi procedimenti retorici sono all’ordine del giorno tra i media… Ma noi NON possiamo ragionare così: dobbiamo continuare a dire PALESTINA LIBERA, perché è giusto santo lenin, e poi spiegare in dettaglio quello che ci differenzia dai ratti!

              • @rapa non capisco la veemenza contro l’euro e la compiacenza sul debito, che dovrebbe essere un bersaglio piu’ importante. l’odierno keynesismo privatizzato serve solo a far salire i prezzi degli asset inflazionati e a far pagare il conto ai lavoratori, i rentier li combatti ristrutturando o meglio fallendo sul debito. il paradigma monetarismo/keynesismo ha perso di significato perche’ entrambi sono tesi a remunerare il capitale, uno dal lato dell’ offerta l’altro dal lato della domanda. chi utilizza ancora questa contrapposizione di scuola non vede che inghilterra e stati uniti(iperkeynesiani) stanno messi peggio di noi, perche’ non stiamo piu’ gestendo i cicli dell’ economia qui stiamo affrontando la fase terminale del capitalismo as we know it. E’ in atto un cambio di paradigma epocale e noi lo vogliamo affrontare con una cassetta degli attrezzi vecchia ? chi parla ancora di hayeck contro keynes non storicizza la situazione. Secondo me le lotte hanno come obbiettivo l’abbattimento del totem trascendente del profitto e della profittabilita’ o almeno c’e’ il tentativo di cambiarne il significato.
                “Il profitto è una forma mutata del plusvalore, una forma in cui viene dissimulata e cancellata l’origine del plusvalore ed il segreto della sua esistenza. In realtà il profitto è la forma fenomenica del plusvalore.”
                (K.Marx-Il Capitale- III)

            • L’euro fa schifo, ma perché uscire dall’euro dovrebbe essere un nostro obiettivo? Alla fine credo che sappiamo tutti che la decisione sarà presa in base al calcolo, nei diversi stati, se i propri interessi imperialistici si giocano meglio da soli o in consorzio, o meglio se i costi per mantenere in piedi il consorzio valgano i benefici. E’ un calcolo difficile anche per loro, e potrebbero sbagliare (ai tedeschi è capitato altre volte, e anche gli italiani non scherzano), ma noi che c’entriamo?

              I fattori già indicati da Hilferding e Lenin – fusione tra banca e industria, esportazione di capitale – caratterizzano l’Italia come paese imperialista, sia pure di secondo piano. La cosa che ritengo veramente assurda è che qualcuno pensi di difendere gli interessi del proletariato italiano persuadendo la borghesia italiana ad adottare certe politiche economiche. Li prendiamo per scemi, o siamo scemi noi? Una cosa è pensare, come potrebbe fare uno studioso di economia di orientamento marxista, che alla borghesia italiana converrebbe il ritorno alla lira e un po’ di protezionismo, altra cosa è proporre al proletariato e alla borghesia di darsi obiettivi comuni.

              • @marcello Sono d’accordo che la scelta euro si/no la prenderanno altri secondo i calcoli costi benefici che hai citato. Ma cosa intendi per proletariato italiano?

              • @Corvus,
                ehm capisci bene che una risposta analitica richiederebbe un certo sforzo. In breve, da un punto di vista oggettivo il proletariato è la classe formata da chi per vivere (e riprodursi) deve vendere la propria capacità lavorativa (forza-lavoro), indipendentemente dal tipo di impiego, dalla forma contrattuale e anche dal fatto di essere in senso stretto nullatenente. C’è però un elemento soggettivo che modifica i contorni. Per esempio un manager stipendiato potrebbe appartenere ‘oggettivamente’ al proletariato, ma il suo ruolo nella produzione lo colloca dalla parte del capitale. D’altra parte molti lavoratori in proprio (tipo partite IVA), che formalmente sono imprenditori di se stessi, possono considerarsi parte del proletariato.

                In generale, parlare di classi come borghesia e proletariato implica l’assunzione che una classe possa esercitare il potere per sé, per i propri interessi, e quindi un certo livello di coscienza dei propri interessi. E’ per la mancanza di interessi propri che la piccola borghesia non viene considerata una classe, anche se ha un peso sociale non indifferente soprattutto nei paesi imperialisti.

                Infine, per ‘italiano’ intendo ovviamente chi sta in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza o dall’essere in regola coi permessi.

              • Semplicemente, 1 il ritorno alla lira converrebbe sia al proletariato italiano sia alle imprese, sia ai bottegai, eccettuati i rentiers.
                2 E’ una cosa che accadrà, mettiamoci l’anima in pace. Accadrà dopo un pò di scontri di piazza in Francia, e cara grazia se non l’uscita non sarà gestita dalla Le Pen. E quando succederà, chi sarà stato dalla parte dell’ovvietà in tempi non sospetti avrà un grandissimo capitale politico. Lo sa Grillo, lo sa Berlusconi, lo sa la Lega, lo sanno i fasci – solamente noi aspettiamo che succeda, pensando che questo ci confonda con la merda e la borghesia… quando la semplice difesa dei proletari dovrebbe imporci di denunciare a gran voce questa truffa – senza, senza, senza dimenticare le altre – ovviamente!

              • E’ sacrosanto denunciare l’UE com’è stata realizzata, la BCE, le politiche monetariste, la mancanza di democrazia, il gioco al massacro, l’uso dell’euro come arma contro i lavoratori. Solo che va fatto lottando per un’altra Europa, per un’unione dal basso, per la solidarietà tra i lavoratori dei diversi paesi, intensificando iniziative di lotta come lo sciopero europeo, e inventandone anche altre. Io davvero la ritengo l’unica modalità che ci salvaguarda dall’assecondare derive orripilanti, che l’euro rimanga o che si afflosci come un fiore morto.
                Quest’impostazione mi sembra in tutto e per tutto alternativa a quella di schiacciarsi retoricamente sulle cose che dice Grillo, su visioni neo-nazionaliste e su discorsi che *partono* dall’uscita dall’euro.

              • WM1, sai che penso di aver capito qual’è la differenza tra le nostre visioni?
                Tu credi che si possa “impostare la lotta sull’uscita dall’euro”, e pensi che io e altri la pensiamo così. In realtà io sono assolutamente daccordo su tutte le tue enunciazioni. La differenza è… tecnica :D.
                Io penso, perché sono stato convinto da argomentazioni che ritengo solide, che la fine dell’euro sia un processo su cui la nostra azione può influire pochissimo. Lo penso inevitabile, per: le menzogne delle classi politiche del centro, in cui esse stesse sono intrappolate (si pensi all’impasse, autolesionista per la germania, degli aiuti alla grecia); le speculazione internazionale, che colpirà durissimo appena le crepe greca, spagnola, portoghese, italiana si allargheranno a sufficienza; e soprattutto la situazione francese, che sta peggiorando e vista la refrattarietà dei cugini a farsi commissariare, porterà, anche se in modo doloroso, alla rottura.
                Essendo inevitabile, come… il tramonto del sole, che l’euro fallisca, è secondo me fondamentale essere tra quelli che additano il re nudo, *prima ancora* di dire (ma dicendolo!) che se invece di essere un re nudo fosse un… parlamento con le mutande… un soviet benvestito… sarebbe meglio. Ma il re, è un re, ed è nudo ragazzi. Nudo bruco. E quando lo vedrà chiunque, (e molti, moltissimi già lo sospettano) non vorremo aver tergiversato.
                p.s.: non sto dicendo che su giap si tergiversa, anzi! però come puoi vedere ci sono addirittura dei monetaristi (lo sappiano o no), molti che confondono l’euro con l’europeismo, o la BCE con il buon imperatore che si salva dai piigsministri corrotti (Corvus, ce l’ho con te! :) ), altri come maurovanetti che dicono che l’argomento è rossobruno, o keynesianodimmerda, e quindi che cuocia da solo mentre noi pensiamo ad altro… a me brucia il culo! Ahi! Ahi! Ahi!

              • No, guarda, hai capito zero spaccato. Secondo me, che l’euro crolli o stia lì dov’è (e non ho la minima idea di cosa succederà, perché non sono un fattucchiero né un economista, che poi sono spesso la medesima professione), la prima preoccupazione delle sinistre, dei movimenti, dei lavoratori e quant’altro dovrebbe essere quella di mantenere la lucidità e la barra puntata verso la solidarietà tra gli sfruttati, cercando di renderla transnazionale. E in ogni caso, contrastare per quanto possibile ogni ricaduta sciovinista, nazionalista, populista di destra, xenofoba, razzista e quant’altro. Perché lungo quella via c’è solo la guerra tra poveri. Organizzarsi per contrastare questi ripiegamenti, per quanto difficile o quasi impossibile possa sembrare. Dovrebbe essere l’ABC, l’internazionalismo.

              • Grazie WM1 e Rapa per essere stati chiarificatori (non avevo capito molto dei precedenti interventi). @WM1 La solidarietà internazionale è una priorità. Condivido pienamente. @Rapa Sei stato chiarissimo ma io non riesco a prevedere che l’euro cadrà perchè se lo riterranno conveniente lo faranno sopravvivere, ma ti ringrazio per la chiarezza e se vorrai sbilanciarti anche temporalmente su questa chiaroveggenza, quando accadrà avrai oltre al credito politico anche un fedele adepto :-).

              • WM1, ti devo assicurare che ho capito, e condivido, le tue proccupazioni, il tuo internazionalismo ce l’ho radicato anch’io. Però oggi non riesco a farmi capire. Ribadisco prima di andarmene fuori dai coglioni, che per me, è l’euro la vera origine contingente della fiammata di nazionalismo… di cui siamo entrambi preoccupati. I fannulloni greci! i nazisti tedeschi! questi concetti da cosa nascono, se non dalle menzogne dette a reti unificate per non ammettere [perché non ci hanno ancora spolpati]che l’euro è tecnicamente morto? Chi pensava in questi termini fascisti, razzisti e nazionalisti prima di 2 anni fa, apparte tre stronzi? Oggi vai sui media tedeschi e dipingono i greci con toni nazisti a reti unificate! I commenti sul fatto quotidiano che insultano, a seconda del tipo di destra, greci e spagnoli gaudenti o tedeschi krukki, c’erano due anni fa, apparte nella sezione sportiva? La gente pensa questo. E non è per caso. C’è un disegno per la guerra fra poveri chiarissimo e portato avanti su tutti i media. Buona fortuna a contrastarlo. E buona fortuna a convincere chi oggi sta meglio avendo pagato un caro prezzo (es.? operai volkswagen) che gli stronzi non siamo noi mediterranei. In italia non ci siamo riusciti per un cazzo, vedi percentuali della lega. oh, saranno fisse mie.

              • Rapa, anche ai tempi dell’ascesa del nazismo la colpa era stata delle politiche liberiste, da un lato, e dell’assetto europeo di allora (quello deciso a Versailles nel 1919), dall’altro. Ciò non toglie che *non* bisognava dire le stesse cose della NSDAP. Non è una “reductio ad hitlerum”, ma un invito a distinguere la ricostruzione e denuncia delle cause dall’indicazione di una strategia.

            • Il compagno enea commette due gravissimi errori fattuali:
              1 – a dire Parigi val bene una messa fu Enrico IV, non Napoleone… ahi ahi ahi
              2 – non sentirti solo, siamo in tanti :)
              Scherzi a parte, sono daccordissimo.
              Vorrei solo attirare l’attenzione di WM1 e altri intervenuti su alcuni brevi punti:
              – Il termine patria, il concetto di italianità degli amministratori, l’antieuropeismo (non limitato alla pura critica di EU, BCE, mov. di capitali) li RIGETTO con sdegno assoluto, né, sono sicuro, appartengono a enea e agli “antieuro di sinistra”. E poi scusate: una volta che sappiamo (almeno qua!) che siamo tutti cittadini del mondo e di una classe, c’è molta differenza tra dire “sono italiano” e dire “sono europeo”? Sono entrambi raggruppamenti dalla **pesantissima** storia colonialista o no?
              – Il fatto di condividere dopo 10 anni una frase (l’euro ci ha fottuti) col mio prozio sclerofascista mi ha fatto preoccupare, all’inizio. Ma questa frase ha la stessa valenza politica del dire “oggi piove”. E’ il contorno che fa la differenza. E davanti agli amorfi che ci vedono discutere, si può negare o sminuire l’assoluta evidenza di un concetto? Penseranno che li prendo per culo. E quando si passerà al dettaglio della questione, crederanno… a lui! In più non capisco proprio mauro vanetti quando parla di percorso che va a finire sul pianeta rossobruno. Allora quando dico Palestina libera su che pianeta arrivo?
              – LA BARBARIE COLONIALE VIVE ANCHE NEL PROBLEMA DELL’EURO! Incredibile? Per niente. Tutte le ex-colonie francesi che utilizzavano il franco CFA:
              Mali
              Benin
              Camerun
              Costa d’Avorio
              Ciad
              Niger
              Burkina Faso
              Repubblica Centrafricana
              Repubblica Democratica del Congo
              Repubblica del Congo
              Gabon
              Guinea Bissau
              Guinea Equatoriale
              Senegal
              Togo
              (Colonie Francesi Africane, poi divenuto Comunità Francese dell’Africa) continuano a utilizzarlo, con lo stesso acronimo per giunta, e cambi FISSI: anche dopo l’euro. E il suo carattere di strumento di dominazione diventa semplicemente lampante, ora che tocca a noi!
              In conclusione, perché io, bipolare, enea e altri ci stiamo prendendo tanto fastidio? Proprio perché, come dice WM1, il fascismo sta arrivando. Non è negando TUTTO quello che dicono che li si combatte, ma partendo dall’evidenza verificabile, che ahinoi è lì, per trarne conclusioni di sinistra, magari sempre più di sinistra quando si vedrà quanto avevamo ragione, conclusioni che la maggioranza (amorfa, che ragiona con la pancia, ma non impermeabile al buonsenso) possa fare proprie.

              • Scusa, Rapa, tu scrivi:

                “una volta che sappiamo (almeno qua!) che siamo tutti cittadini del mondo e di una classe, c’è molta differenza tra dire “sono italiano” e dire “sono europeo”?”

                Appunto: “almeno qua”. E fuori? Date per scontata una consapevolezza di classe e internazionalista che dovrebbe funzionare da antidoto o anticorpo al nazionalismo “cattivo”, e permetterci di ricorrere a un nazionalismo “buono”. Questo in Italia, con la storia che ha questo Paese, le tossine che sono sempre in circolazione, i localismi velenosi, il familismo amorale, i processi disgregativi che negli ultimi trent’anni hanno messo i lavoratori uno contro l’altro. Auguri! Vedremo in quanti capiranno.

                E non si tratta di negare puerilmente l’autoevidenza di alcuni fatti che stanno in bocca *anche* ai fasci: si tratta di non usare i loro stessi concetti, di non concedere nulla alla loro visione del mondo. Perché queste concessioni, anche quando sembrano intelligentissime e tatticamente geniali a chi le fa, sono sempre subalterne, “di rimessa”, controproducenti.

              • Verissimo caro WM1! E infatti… nè qua, nè fuori, a meno di mie amnesie e svarioni, ho usato il concetto di italianità. Anzi, a livello tecnico, la teoria della aree valutarie ottimali richiederebbe non una valuta italiana, ma una per il centronord e una per il centrosud. Dettagli successivi.
                Rilevavo soltanto, in quel punto, che nella scelta delle parole c’è poca differenza tra propugnare una “italianità” e una “europeità”: entrambe sono state usate in maniera razzista, colonialista, sono concetti entrambi insudiciati. Nella pratica quotidiana (ottimamente aiutato dagli anticorpi di Giap!) io cerco sempre di spiegare tutta una visione, in cui ci sono le valute di area ottimale, il recupero di forza contrattuale dei salariati, la fine dei movimenti di capitali selvaggi, l’eutanasia dei rentiers, e poi una idea mia di socialismo, una idea mia di democrazia… tutte cose che però a prescindere, richiedono… l’uscita dall’euro e dalla tecnocrazia (fascista): senza che sto fatto faccia risorgere, ulteriormente, le destre.

              • La roba sozza a cui ti riferisci tu è la retorica sulla “identità europea”, spesso con tanto di “radici cristiane” etc. Ma io mi riferivo all’europeizzazione delle lotte, che con le bubbole sull’identità europea c’entra poco (anche perché deve includere, mettendola in posizione centrale, la conflittualità della forza-lavoro migrante).

              • @rapa

                Di rado ho visto qualcuno autosputtanarsi così bene in una discussione: :-)

                “a livello tecnico, la teoria della aree valutarie ottimali richiederebbe non una valuta italiana, ma una per il centronord e una per il centrosud”

                Hai dirottato la tua astronave verso il pianeta rossobruno per farla naufragare in Padania…

                Ma non è che i vostri “tecnicismi” su come gestire in modo “ottimale” l’economia capitalista sono un filino subalterni alle ideologie dei padroni?

              • Ah mauro! ah mauroooo :)
                Me le stai facendo un pò girare con queste accuse. Padano a me che brigante ce moro! (si scherza eh, ma che lo dico a fare, tanto ora mi darai del neoborbonico!) :)
                Invece di farti viaggioni, perché non ti togli il cerume dalle orecchie e cerchi di capire questa simpatica teoria delle aree valutarie ottimali? NON AREE LEGISLATIVE, NON AREE STATALI, NON AREE RAZZIALI: AREE VALUTARIE. VALUTARIE. Due monete libere di fluttuare tra loro in modo che l’industria e i servizi della zona con merci (e dunque moneta) meno richieste diventi più competitiva per effetto del cambio, senza costringere la gente a emigrare in quel cazzo di nord dove piove e c’è la nebbia e mi viene la depressione! Cosa che i capitalisti della zona ricca e della zona povera ENTRAMBI odiano, perché gli uni non vendono i loro fottuti surplus e non lucrano interessi sui debiti che faccio per comprarli ecc., gli altri perché non essendoci più il 30% di disoccupazione mi devono aumentare il salario!
                Meglio di così, fratello mio, non lo so spiegare. P.s. mi aspetto, dopo questa paziente spiegazione, che la prossima volta che usi uno straw man argument sia qualcun altro a fartelo notare.

              • Accidenti, non riesco a starvi dietro.

                Intanto WM1 ha messo l’accento su una cosa secondo estremamente importante: il tentativo di ricondurre una presa di posizione politica che discende direttamente da un’analisi economica, anche alla propria dimensione storica. In che percorso una simile scelta si inserirebbe?
                E’ decisamente giusta anche la necessità di precisare come si inserisca una data presa di posizione nelle presenti contraddizioni sociali.

                Qui in effetti il tema diventa parecchio delicato, però vedo che il compagno rapa ( mi scuso per aver cannato la citazione storica, proprio qua, dove la persone si accorgono al volo se uno sta facendo con la cultura come con la marmellata…spanderla sottile sottile quando se ne ha poca… :-D ) ha azzeccato qualche paragone che mi sembra calzante, come quello della mistificazione che ruota intorno al “Palestina libera”, che bisogna avere il coraggio di dire anche se poi è pieno il mondo di gente che ti darà dell’antisemita per questo motivo ed effettivamente, a volte, a dire “Palestina libera” la compagnia non è delle migliori che si possa auspicare…

                In effetti sarebbe il caso di cercare di storicizzare il senso delle contraddizioni economiche che oggi stanno esplodendo e credo che questo sia il posto giusto, anche perchè con la Storia WM ci lavorano.
                In secondo luogo sarebbe in effetti necessario farlo un discorso su “un’altra Europa”, d’altra parte bisognerebbe comunque essere consapevoli del fatto che c’è un problema nel qui ed ora, e quindi bisogna essere ragionevoli nel capire se sia possibile o meno fare un’altra Europa qui ed ora.
                Temo di no.
                E’ tuttavia vero che se non specifico che invece sarebbe possibile, la differenza tra quanto sto chiedendo io e la differenza tra quanto sta chiedendo un fascio del Front National, di fronte al popolo, potrebbe in effetti apparire labile.
                E questo un problema di coscienza…me lo pone, e CAZZO SE MI BRUCIA questa cosa, altroche!

                Io non so se sono preparato per storicizzare veramente tale questione, al massimo, su due piedi, posso riuscire ad imbastire un excursus.
                Qualcuno in precedenza, non ricordo chi, aveva linkato una pagina del blog di informazione di Badiale e Tringali, i due compagni uno della Fiom e l’altro che insegna matematica dei quali io avevo invece citato il libro. In quella pagina è a sua volta presente un link alla trascrizione stenografica della seduta alla camera dei deputati del 13 dicembre 1978, una seduta estremamente importante perchè li è cominciata per l’Italia la storia di cui qui stiamo parlando. Ci sono i resoconti degli interventi e delle dichiarazioni di voto riguardo la votazione di far entrare l’Italia nello SME, concettualmente il precursore dell’euro, e per la cronaca quel fallimento che portò già alla crisi del 1992-1993, con relativa uscita dallo SME e svalutazione del 25% rispetto al valore dell’ECU cui eravamo allora ancorati ( concettualmente è come dire che già una volta siamo usciti dall’euro, è stata dura anche perchè Amato la gestì malissimo ed a senso unico, ma non accadde una catastrofe ).
                Rileggendomela ho notato che le contrarietà più forti espresse venivano dal PCI, il quale era consapevole del fatto che una simile architettura avrebbe scaricato il costo della competizione commerciale tutta sul costo del lavoro, ma che alla fine si piegò cercando di contrattare condizioni che fossero meno un capestro.
                Perdendo anche su questo secondo fronte, come sempre quando ci si rifugia vigliaccamente in battagline e scaramucce di retrovia.
                Tuttavia vi furono anche dei voti apertamente contrari.
                Furono i compagni del PdUP.
                Oh, sarà che la storia di quel pezzo di sinistra, comunista ma un po’ eretica, è quella che ho particolarmente nel cuore anche perchè papà aveva militato nel PdUP-Manifesto ed io ci sono cresciuto immerso dentro a quella storia ed il segno credo si veda e sia indelebile, ma lo dico in particolar modo ad uso del compagno WM1: rispetto agli argomenti che poni non c’è veramente niente che io possa dire o spiegare ancora, sul significato profonda della fregatura che ci hanno rifilato, sulle ricadute sociali ed economiche, ed anche sull’inquadramento storico del processo europeista e sulle ricadute sociali, che sia una sola virgola in più rispetto ai discorso che fecero i compagni Lucio Magri e Luciana Castellina alla camera quel giorno.
                Quando tutto questo sarà finito, e Rapa dice bene inevitabilmente finirà, anche se bisogna ancora vedere come e potrebbe anche finire male, io credo che se saremo riusciti a fare in modo che l’esito sia democratico e non socialmente distruttivo, quel discorso sarà opportuno INSEGNARLO NELLE SCUOLE AI BAMBINI, perchè credo spieghi in modo perfetto cosa significhi amare il proprio paese ed impegnarsi per esso senza per questo neanche lontamente cadere in un discorso nazionalista e sul “terra e sangue”, ed al contempo dia anche una spiegazione esaustiva di come la sinistra debba combattere per l’internazionalizzazione degli interessi del lavoro, ma stare ben attenta a non cadere in compromessi che porterebbero solo all’internazionalizzazione degli interessi del capitale.
                Quindi se vogliamo dare una dimensione storica a questo discorso ben venga, è fondamentale.
                Ma per farlo credo che dobbiamo partire dai compagni Magri e Castellina, che il 13 dicembre 1978 avevano già detto tutto.
                Veramente, quel discorso merità lettura, è un lavoro di filologia storica dal quale credo che da sinistra non possiamo non partire.
                http://www.camera.it/_dati/leg07/lavori/stenografici/sed0383/sed0383.pdf#nav

                Immediatamente successivo al discorso di Magri è estremamente interessante, per fare un rimando all’oggi ( all’ascesa di un fronte del NO dell’estrema destra fascista e neonazista all’UE che si delineava in quegli anni, e che è cresciuta coerentemente alle pessime premesse ), l’incipit del discorso del deputato Valsenise.
                lo riporto, perchè c’è da trasecolare:
                “Signor Presidente, onorevoli
                colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, la posizione del Movimento sociale italiano-destra nazionale, favorevole all’immediata
                adestione al sistema monetario europeo, deriva in via logica dalla vocazione europeista del nostro partito. Una vocazione europeistica che si è fatta concreta negli ultimi mesi, attraverso da realizzazione
                di, collegamenti con altre forze vive
                dell’Europa, attraverso la promozione dell’Euro destra, cioè di una idea di solidarietà di base tra i popoli d’Europa, per un patto che vuole essere premessa a maggiori
                spinte unilficanti del nostro continente.”

                Borghesie che prima “fanno il danno” sapendo benissimo a chi stanno andando a fare il culo, e adesso si prendono il merito di voler essere contrari per motivi di “purezza nazionalistica” quando invece è proprio colpa loro, ed ERA LA SINISTRA, QUELLA VERA, AD ESSERE CONTRO, IN NOME DI UN IDEALE DI INTERNAZIONALISMO BEN PIU’ NOBILE.

                Io ammiro molto il lavoro vostro, di intellettuali e scrittori, di decolonizzazione degli immaginari, di demistificazione delle false narrazioni.

                @WM1: direi che di false narrazioni di dimensione europea, con la quale ci hanno fottuti tutti, sono riuscito a scovarne una. Gigantesca per di più.
                A questo punto però mi difetta la competenza perchè non sono né storiografo né filosofo.
                Dobbiamo lavorarci su, storicizzare, inquadrare in una prospettiva sociale, tutto quello che vuoi.
                Ma prima dobbiamo dirlo al nostro popolo che….ci hanno truffati!

              • @rapa

                Non serve che alzi la voce, so cos’è la teoria delle aree valutarie ottimali (e proprio perché lo so, so quanto sia un bluff la tua sicumera nell’affermare cosa prescriverebbe precisamente per l’Italia o per l’Europa…).

                Il problema è che avete letto un paio di banalità di economisti borghesi e venite qui a farci “pazienti spiegazioni” come se vi avesse illuminato Geova in persona sul monte Sinai, senza capire che anche le teorie economiche sono spesso ideologie che riflettono ristretti punti di vista di classe.

                La proposta di due monete diverse per il Nord e per il Sud è una storica rivendicazione leghista, evidentemente implica la divisione del Paese (o conosci Stati unitari che abbiano due monete?) e il mettere i lavoratori del Sud ancora più in concorrenza con quelli del Nord, equivalendo nei fatti alla creazione di gabbie salariali (o mi sai spiegare come potrebbe esistere un contratto collettivo nazionale senza una moneta comune?).

                Mi fa piacere che non sei consapevole delle implicazioni reazionarie delle cose che sostieni, ma queste implicazioni sono lì e rispondere giurando sul 25 Aprile e su Anna Frank che sei antifascista e giurando sulla ‘nduja e sulla cozza pelosa che odi la Padania non ti fa spostare di mezzo grado il timone, limitando a lastricare la tua rotta di buone intenzioni. Abbiamo già visto all’opera questo modo di procedere nella discussione sul grillismo e in molte altre.

                La cosa curiosa è che in questa crociata protezionistica anti-euro avete deciso chissà perché che chiunque non sia d’accordo coi vostri guru preferiti se la intenda con la BCE e voglia a tutti i costi restare nell’euro. Non è così, semplicemente, come ha già osservato @raffaele, il punto è che non vogliamo farci portare a spasso dagli scontri tra fazioni contrapposte degli economisti borghesi.

                Non ci capiterà tante volte nella vita di avere un’occasione buona come questa per cercare di uscire dal capitalismo approfittando delle contraddizioni dilanianti che paralizzano i nostri nemici in una rissa continua. La cosa meno lungimirante che potremmo fare è entrare anche noi nella rissa.

              • @Rapa, @Enea,
                se la questione è che dopo il crollo dell’euro (se avverrà) volete poter dire “avevamo ragione noi”, io questa soddisfazione ve la lascio volentieri, i miei strumenti non mi consentono di fare previsioni. Ma Enea ha posto la questione dell’uscita dall’euro come obiettivo delle lotte e questa è una cosa un po’ diversa.

                Purtroppo con l’euro siamo finiti tra i piigs. Dico ‘purtroppo’ perché nella mente di molte persone questo equivale a essere paese periferico, territorio di conquista, con una borghesia ‘venduta’ che fa gli interessi degli imperialisti stranieri e soffoca anche le aspirazioni della borghesia ‘sana’. Questa analisi è pericolosa per tutto quello che ha scritto WM1 e su cui non torno, ma voi come persone che maneggiano gli strumenti dell’economia, anche keynesiani, dovreste riconoscere che per l’Italia è un’analisi, come minimo, priva di fondamento.

              • Si, @mauro, mi hai sgamato, anche se sono del gargano (in realtà più giù ancora) sogno di diventare verdano. :)
                No, però scusa ma mi fa molto incazzare il fatto che le mie idee, invece di essere confutate nel merito, vengano semplicemente bollate prima di rossobruno, poi leghista, poi illuminato, reazionario, crociato ecc.. E’ comodo esimersi, mettendo un’etichetta, dallo spiegare perché una cosa intuitiva come questo benedetto meccanismo domanda/offerta, che spiega elegantemente i motivi per cui tutti i paesi che hanno agganciato il cambio ad altri più forti ne hanno guadagnato colonialismo, emigrazione forzata, sofferenza, deindustrializzazione e razzismo tra i popoli, sia falsa. “storica rivendicazione dei leghisti” è sufficiente? Accusare di sicumera per aver fatto un’osservazione incidentale? Beh sti cazzi, io ci ho pensato a lungo ma non so confutare questa teoria, mi conforta però che neanche tu ci riesca. D’altronde (colpa mia) nemmeno t’ho fatto capire che non cerco di costringerti a baciare la pantofola di keynes ma portarti ad ammettere che forse una forte denuncia dell’euro può valer più, adesso, di mille citazioni di Karl buonanima. Oh, mi hai fatto venì l’amarezza sai, perché io *credo* di sforzarmi sempre per capire quello che hanno in testa gli altri, cercare i punti comuni e lavorare su quelli, per ottenere quello che vogliamo un pò tutti. Tu sembri pago dell’applauso che ti tributa il tuo pubblico invisibile. Amen, ma chiediti se non è questo atteggiamento che pian piano ti porta, alla fine, a fare il tuo soviet… in due.

              • @rapa

                Guarda, mi scuso perché dalla battuta sulla Padania siamo finiti in un flame che non era affatto necessario. Di solito non metto le faccine in modo paraculo e quella volta l’ho messa proprio per mettere le mani avanti sul fatto che era una battuta e non volevo offenderti.

                Il fatto è che da vent’anni cerchiamo di contrastare le minchiate dei leghisti e mi fa un po’ specie che ora tra compagni qualcuno possa tirar fuori come niente fosse l’idea che la soluzione “ottimale” sarebbe dividere l’Italia in due per avere due valute, senza che gli suoni subito una sirena d’allarme nel cervello. Paradossalmente forse è proprio stando sotto il Gargano che ti scatta meno l’allerta, perché queste storie non le hai dovute sentire ogni giorno per bocca di quella gentaglia.

                E no, non mi sono limitato a etichettarti, quello era solo condimento polemico messo per goliardia, ma l’argomentazione essenziale che ti ho esposto è questa: avere due monete equivale a dividere il Paese (non esistono Paesi unitari con due valute regionali) e implica la disarticolazione del CCNL. En passant, rovescia questa argomentazione e capisci perché in prospettiva credo che sia necessaria una moneta unica europea (non l’euro, un’altra): perché sono favorevole a ripianare le differenze economiche, sociali e salariali tra italiani, tedeschi e polacchi. Questo non lo può fare un capitalismo europeo unificato, ma lo potrebbe fare un sistema economico diverso.

              • @mauro bene così, almeno qua quello che unisce dovrebbe essere sempre più di quello che separa.
                Ci unisce il fatto che non vogliamo dividere l’europa, né l’italia. La differenza: pensavo a un sistema di monete di aree economicamente omogenee, fluttuanti, sotto una moneta “di conto” utilizzabile per riequilibri solidali, come voleva essere il bancor su scala mondiale. Ci unisce il fatto di voler difendere gli interessi dei lavoratori, e anche il sogno di un modello economico equo e giusto. Ci divide comunque il fatto che io penso di dover proporre, oggi, soluzioni funzionali in (non: a) questo modello in cui viviamo, che sembra pur sempre godere dell’assenso della grandissima maggioranza delle persone; interpreto questo come segno che un vero (auspicabile) cambiamento di paradigma sarebbe imposto, più che spinto dal basso… e che quindi ci sia parecchia strada.
                In ultimo, resto convinto dalle mie ricerche (che non tratto come la Bibbia, ma in maniera scientifica) che una moneta unica in paesi diversissimi approfondisca gli squilibri a tutto vantaggio delle classi dominanti di ambo le parti. Una moneta unica come la intendi tu, potrebbe essere forse sempre un bancor europeo? sarebbe una cosa bella simbolicamente e utile all’occupazione, dunque a salari e diritti. Non c’è però la volontà politica, e la propaganda degli ultimi anni non fa ben sperare. Ci unisce ancora, però, la convinzione che questo non sanerebbe tutti i mali del capitalismo.

              • Anche qua, sulla questione gestita con civiltà alla fine, per carità, ma comunque carica di un fraintendimento di fondo che non si risolve circa l’esempio del compagno Rapa sul fatto che il meridione sia in deficit commerciale con il settentrione, da cui emigrazione forzata, il fatto che la disoccupazione al sud fa comodo al padrone per minare le condizioni lavorative mie che invece un contratto ce l’ho etc. etc. etc.

                Qua non si tratta nella maniera più assoluta di voler dividere il paese, dando ragione così a quegli stronzi dei legaioli, per potersi mettere ad utilizzare due moneta, si tratta di squilibri commerciali e degli strumenti che possono essere funzionali a risolverli, tipo ad esempio l’utilizzo delle VALUTE REGIONALI COMPLEMENTARI.
                Che servono, con la loro liquidità che apportano al sistema e alla loro ristretta localizzazione, ad aiutare le economie delle regioni depresse a rilanciarsi senza rimanere oppresse dalla morse di debito/credito nei confronti delle regioni ricche.

                Prova a digitare su Google “Berliner Regio Geld”.
                Ecco, oltre a quella ne utilizzano su base locale circa un’altra ventina.
                Funziona meglio delle gabbie salariali, che invece fu una grande conquista da sinistra abolire ( perchè se fai circolare meno denaro di stipendio per fare lo stesso lavoro la regione resta depressa e chi la abita dovrà andare da chi è più ricco ad indebitarsi! ).
                In Germania la usano, ne usano non meno di 20.
                E non hanno smesso di sentirsi la stessa Repubblica Federale Tedesca ed un popolo coeso per questo motivo.
                Lo fanno anche in Francia, ne hanno 2 o 3 mi risulta, e non un francese ha per questo rinnegato “libertè, egalitè, fraternitè”.

                Ti faccio un altro esempio: prima che la scelta “PD a tutti i costi” invece di “una sinistra nuova più aperta ed inclusiva ma coi suoi punti fermi, tra i quali no al liberismo e non al PD” mi costringesse a trarre le mie conclusioni ed a tornare cane sciolto, era successo che i fasci di forza nuova son venuti a lodi a fare una assemblea proprio sulla questione dell valute regionali.
                La cosa che ci fece indignare è che il sindaco, un democristianone che la metà basta e che adesso pare voglia dimettersi senza nemmeno avere finito il proprio mandato per andarsene in parlamento al seguito di Renzi, immediatamente concesse una sala.
                Non solo: l’aula magna del liceo classico PUBBLICO Verri.

                Siccome ero pur sempre uno dei dirigenti provinciali chiesi io di avere l’onore di scrivere una letteraccia al sindaco per richiamarlo al suo dovere di non concedere ai fasci spazi, menchemeno in un liceo pubblico: http://www.sellombardia.it/lodi/pagina.asp?id=3009
                E poi gli si è lasciato uno striscione fuori dal liceo con scritto che la presenza dei fascisti a Lodi non è gradita ( offrirgli il pretesto per far le vittime facendo cordone e robe simili preferimmo di no, per evitare che diventasse uno strumento nelle loro mani per farsi pubblicità, ed in effetti poi si ritrovarono a discutere in una decina ).

                Nello stesso tempo però, nella mailing list locale del partito, io mi sentii di dover “cazziare” i miei compagni e compagne che ironizzavano su “e di che cosa vogliono parlare poi? delle monete regionali? AHHAhHAHahAH, e a quando ritornare al fiorino pavese, allo scudo lodigiano, alla corona cremasca”.
                Perchè era un argomento stupido, provincialistico, dettato dall’ingoranza di chi non guarda a cosa succede ad appena 400 km da casa propria ( e poi sarei io quello che non è internazionalista? ) e non studia le dinamiche reali analizzando quali possa essere le soluzioni tecniche meglio funzionali a perseguire i propri scopi.

                Questo tipo di atteggiamenti, nella crisi presente, sono atteggiamenti da aspirante suicida.
                Mentre infatti il centrosinistra è preso a farsi le seghe mentali sul nulla, tipo Casini si – Casini no, e Rifondazione si ostina a non voler dire ciò che invece sarebbe nel suo dna DOVER DIRE, il risultato è che le destra neofasciste e neonaziste europee, alle quali 30 anni fa l’UE come stava nascendo andava BENISSIMO, negli ultimi 15 anni si sono appropriate di argomentazioni economiche *neutrali* per spiegare il senso delle distruttive contraddizioni che stavano emergendo.
                E quando arriverà il patatrack, e arriverà, saranno loro a poter capitalizzare il proprio “noi lo avevamo detto prima”.

                Risultato?
                L’UE si dissolverà, ma non per ricostruirne un’altra tutta diversa fondata su princìpi di solidarietà, ma sulle chiusure nazionalistiche.
                E quel giorno sarà peggio per tutti.

                Per scongiurare questa prospettiva la sinistra si deve riappropriare subito di argomenti che una volta furono suoi e ripulirli di quanto di razzista ci hanno incrostato sopra.

                Le destre nazionali stanno crescendo espnenzialmente di consenso grazie alla crisi e alla scure dei tagli, al disagio sociale, alla rabbia che monta, questo perchè le sinistra europee da oltre 20 anni si sono appiattite ( o non si sono ribellate ) ad una costruzione politico-economica che aveva effettivamente portata internazionale, ma che era imperialismo, non internazionalismo.

                Fare la lotta sovranazionale per il potere è molto più semplice: nel loro caso sono solo delle ristrettissime elite che si devono mettere d’accordo e si devo organizzare.

                Nel nostro caso, riproponendo un argomento che avevo già accennato ma che ho visto che è stato ignorato, come si fa ad organizzare una lotta di popolo quando di mezzo ci sono ostacoli linguistici, giuridici, l’assenza di “corpi intermedi” ( sindacali ed associativi ) per relazionarsi con una autorità lontanissima ed esercitarvi sopra pressione?

              • @enea

                Molto interessante questa storia dei fascisti che a Lodi fanno una conferenza sulla moneta locale in una sala comunale! A Pavia è successa una cosa simile e se possibile ancora più grave: Forza Nuova ha fatto una conferenza in una sala comunale sul signoraggio e sulla moneta locale; a questa conferenza ha partecipato un assessore “in rappresentanza della giunta” (PdL-Lega-UdC) che ha chiesto ai fascisti di avere documentazione più precisa per vedere come poter mettere in pratica le loro ricette contro la crisi!!

                La cosa imbarazzante è che anche in questo caso tu non ti renda conto che si tratta di una minchiata fascistoide/leghistoide, e che addirittura te la prenda con i tuoi compagni che giustamente deridevano l’idea di uscire dalla crisi facendo una moneta locale. Il collegamento tra “moneta di popolo” e signoraggismo è molto stretto, non a caso lo SCEC sponsorizzato dai grillini (la “moneta di popolo” più diffusa in Italia) è basato sulla teoria del complotto signoraggista. Ho già spiegato più compiutamente come la penso nelle FAQ sul signoraggio pubblicate da Carmilla: http://www.carmillaonline.com/archives/2012/03/004236.html

                Il “Regio Geld” e altre cagate simili diffuse in tutta Europa (nelle mie FAQ citavo la sterlina di Brixton e il SIMEC del compianto ciarlatano Giacinto Auriti, ma lo stesso De Magistris si è fatto inciurlire da queste scempiaggini) lungi dal dimostrare l’utilità rivoluzionaria di questo strumento dimostrano semplicemente che si tratta di una perdita di tempo, adatta a chi manca delle più basilari nozioni di economia.

                E, purtroppo, non abbiamo tempo da perdere. E, per fortuna, abbiamo qualche nozione di economia.

              • Mauro ma perchè fai così, perchè perchè???????

                Ma che cazzo c’entra il signoraggio?
                “cripto-signoraggismo” è uguale uguale uguale a dire “complotto-pluto-giudaico-massinico”.
                Infatti noi siamo pochi e quelli li stanno salendo.
                Quanti siete della tua tendenza in Italia?
                2500?
                3000?
                Il Front National sfiora il 20% in Francia.
                Alba dorata piglierà il 16%.

                Se vuoi sconfiggere il capitalismo dei borghesi prima devi studiare come funziona, e non sparare slogan a caso.
                Le monete regionali non c’entrano una fava con i complottismi signoraggisti, coi nazisti, con quel cristo che se li porti tutti quanti in gloria!

                I fasci mescolano, rimestano e tutto quello che vuoi.
                Prendi 5 argomenti buoni, ci metti dentro una mistificazione, e mentre tu stai li a sparare slogan senza prenderti in mano un libro e senza renderti conto che il governo federale tedesco e il governo francese lasciano che le regioni aiutano le economia locali con monete locali senza per questo essere nazistoidi e “cripto-signoraggiste” perchè è una cosa che può funzionare bene, intanto la Le Pen fa una campagna elettorale con la quale spiega in maniera inoppugnabile ai lavoratori francesi perchè essi stiano perdendo il lavoro, quando l’avranno perso faremo 2+2=4, e a noi tutti ci toccherà goderci lo spettacolo dei pogrom perchè tu “l’economia dei borghesi non la studio perchè tanto adesso facciamo la rivoluzione”.

                Ma da, ma per piacere!

                Non sono io che snobbo l’epica delle lotte, anche io come te ho passato buona parte della mia vita in corteo con il pugno alzato e una bandiera rossa, solo che prima studio per capire per cosa cazzo sto combattendo, tu invece SAI da prima per cosa stai combattendo, l’hai studiato a memoria, HAI FEDE.

                Sai chi ha questo tipo di approccio metodologico?
                Adesso ti offendi e mi dispiace, ma a un certo punto me le tiri fuori con le tenaglie: I PRETI!

              • @enea

                Ho spiegato nel link che ho fornito il collegamento tra signoraggio e moneta locale o di popolo (il vantaggio della moneta locale è appunto avere il controllo, almeno potenziale, del reddito da signoraggio) e anche molto sinteticamente perché si tratti di misure assolutamente inutili. Il fatto che insieme a Forza Nuova e a Beppe Grillo lo porti avanti lo Stato tedesco, cioè il principale artefice dell’austerity a livello europeo, dovrebbe farti venire qualche sospetto ma vedo che niente ti smuove.

                (Sull’accusa – tipica di chi si crede illuminato da qualche guru del web – di non aver mai studiato quello di cui parlo, francamente credo che il mio curriculum vitae non sia un argomento particolarmente interessante per gli utenti di Giap, quindi risponderò sinteticamente solo questo: ti sbagli.)

              • Ragazzi, continuare questo dibattito è insensato e controproducente. E’ diventato un flame del cazzo (anche nel senso di testosteronico, tant’è che fin dall’inizio non c’è una sola donna che stia parlando di questa storia euro sì / euro no), e su Giap non vogliamo flame del cazzo. Vi invito robustamente a mollare la pezza. Sotto, in questo stesso thread, si sta discutendo anche di altre cose, forse meno equivocabili/equivocate. In questo sotto-thread abbiamo perso tutti, e d’ora in poi noi admin impareremo questa lezione, calibrando i post in modo che le discussioni non portino a queste derive.

            • Se veramente la fase è così avanzata come dite, se veramente la “via neo-keynesiana” (che comunque non vuole copiare passo passo la teoria del suo eponimo ma tenta sempre più di correggersi a sinistra) non può essere l’avvio di una rivoluzione che risolva la crisi, allora mi dispiace, ma siamo fottuti. I movimenti sono troppo indietro, la coscienza di classe è al limite del nullo, noi stessi siamo arrivati troppo tardi: non abbiamo possibilità concrete di fare una rivoluzione in breve tempo, di uscire di sinistra dalla crisi e ci aspetta un nuovo ventennio di fascismi vari. L’unica cosa che possiamo fare e cautelarci dalla guerra imperialista che questi scateneranno andando in qualche paese a neutralità perpetua tipo la Svizzera e l’Islanda.

              • Se vuoi caricaturizzare le argomentazioni degli interlocutori, fai pure, ma così non se ne esce. C’è modo e modo di adoperarsi per “uscire a sinistra dalla crisi”. Io e altri pensiamo che alcuni di questi modi siano (se non soggettivamente, quantomeno oggettivamente) ambigui, e in ogni caso eccessivamente rischiosi, perché richiedono di muoversi in una zona-limite dove gli enunciati oscillano spaventosamente tra sinistra e destra. Non vedo le condizioni per muoversi bene in una zona del genere. Enea ha usato l’aggettivo “labile”. Ecco, io sono per una differenza il meno labile possibile tra i movimenti che stanno agendo in Europa e nel mondo e la destra populista/fascistoide (e nel caso di Alba Dorata, para-nazista). L’alternativa da offrire deve essere netta.

              • Non volevo dire niente del genere, né offendere né caricaturizzare nessuno. È chiaro che l’alternativa da offrire deve essere il più netta possibile, il problema è trovare il limite di ciò che è possibile. Per me una rivoluzione socialista non sarà possibile almeno per i prossimi vent’anni, né a livello europeo, né a livello italiano. Per me un approccio neo-keynesiano può essere la base per un cambiamento, soprattutto culturale. Ad oggi non mi sembra ci siano le condizioni per espropriare tutti i mezzi di produzione e darli in autogestione ai lavoratori e ancora meno ce ne sono che i lavoratori se li prendano da soli.

              • Per me sarebbe già abbastanza netto non maneggiare rifiuti tossici come patria, nazione, confini etc. Anche perché è il miglior modo di escludere i migranti dalla lotta, che invece li riguarda e coinvolge come e più di altre soggettività. Preferirei si fosse più dialettici, cioè si usasse la dimensione sovranazionale che ci hanno imposto contro chi ce l’ha imposta, anziché tornare alle piccole patrie del cazzo. L’internazionalizzazione della lotta potrebbe cambiare di segno all’unione europea per combattere l’Unione Europea. E’ più o meno quel che scriveva Raffaele. Se per lottare si parte dalla parola d’ordine dell’uscita dall’euro, mi sembra che ci si autoescluda a priori da quel tipo di approccio. Inoltre, non capisco come nell’Italia di oggi si possano vedere le condizioni perchè un’uscita dall’euro venga gestita meglio dall’uscita dallo SME di vent’anni fa, che già fu traumatica. Dove le vedete queste condizioni? Chi sarebbero i “buoni” che candidate per gestire in modo democratico, sociale e “keynesiano di sinistra” l’uscita dall’euro? Mi fate dei nomi? No, perché a dire che parlare di rivoluzione è utopico son bravi tutti, bisogna poi vedere se le misure “concrete” che propongono sono concrete davvero o sono addirittura più idealistiche del parlare di rivoluzione.

              • @WM1 @Mauro
                “Se per lottare si parte dalla parola d’ordine dell’uscita dall’euro, mi sembra che ci si autoescluda a priori da quel tipo di approccio.”
                Ecco il problema è questo. Qui proprio non ci intendiamo. Il succo è che non sarebbe affatto una contraddizione uscire dall’euro e nel contempo condividere le lotte del proletariato a livello europeo. Per il semplice fatto che la moneta comune non unisce un bel niente, ma divide. Se Mauro conosci la teoria delle AVo, dovresti sapere che la moneta non è un orpello simbolico, ma una valuta rappresentativa degli equilibri economici di un’area: per questo esistono i tassi di cambio. Toglierli ha sempre portato a svantaggi oggrettivi per chi aveva valute deboli e vantaggi per chi aveva quelle forti. Chi ci rimette?In un sistema capitalistico come il nostro soprattutto chi fa da scaricabarile, ossia le classi subalterne, che si accollano gli oneri sui salari…almeno fino a che il livello della m**** non sale troppo come accade oggi. Saranno pure banalità tecniche di economisti borghesi, (come quelle di Marx?) ma tant’è: con l’euro abbiamo fatto “parti eguali fra diseguali” ed il risultato è stato devastante, perchè i risultati stanno nel disastro del settore privato da prima dello shock finanziario dagli USA. Per rispondere a WM1, l’uscita dallo SME non è stata traumatica, sono state traumatiche le misure prese per rimanerci il più possibile, tipo bruciare tutte le riserve di valuta estera per per evitare (inutilmente) svalutazioni, nonchè come oggi usare misure draconiane per tagliare (anche lì per nulla) la spesa pubblica.
                Dopo l’uscita le cose sono andate meglio, almeno per alcuni anni, com’è ovvio che fosse con la ripresa delle esportazioni ecc..
                Ora ovviamente nessuno di noi oggi individua qualcuno che possa evitare lo scempio ma del resto non sono appelli (a) politici quelli che stiamo facendo, ma cercando di capirci qualcosa prima di tutto no?

              • Non sto parlando di euro e di Europa adesso. Il discorso che facevo più sotto si riferiva all’organizzazione internazionale degli stati dopo la rivoluzione. Non ho parlato di uscita neo-keynesiana dall’euro ma di uscita neo-kenyesiana dalla crisi (o meglio, di politica neo-keynesiana come imput per un percorso di uscita dalla crisi di stampo marxista).

                Dire “fate i nomi” non ha senso, come io non posso individuare per certo chi può fare le politiche neo-keynesiane, così voi non potete individuare per certo chi può fare un’insurrezione internazionale. Discutiamo piuttosto di quale delle due idee è più realistica, anzi più realizzabile nel breve-medio termine, dato che a lungo termine potrebbe accadere qualsiasi cosa.

                Per me non possiamo riuscire ad infondere la coscienza di classe alla maggior parte dei lavoratori del paese in un tempo ristretto, perché partiamo di una situazione in cui la coscienza di classe appartiene a una porzione minuscola dei lavoratori, perché non abbiamo abilità nella comunicazione mediatica né mezzi mediatici (e questo vale anche per i nuovi media) e perché l’azione sul territorio è insufficiente a diffonderla dato che per riuscirci richiederebbe un’organizzazione politica che vi agisca a lungo (e non è detto che basti).

              • Cernunnos, prova a rileggerti i miei commenti e poi dimmi dove avrei detto che ci sarà l’insurrezione internazionale hic et nunc. Bah.

                A parte che – triste constatarlo – anche tra i compagni spadroneggia lo stereotipo dominante della rivoluzione come “putsch”, ora X, Gran Giorno, che serve precisamente a far perdere la percezione di cosa sia un processo rivoluzionario (che è per forza un processo di lungo termine, difficile e accidentato) e a caricaturizzare chi parla di uscita dal capitalismo, descrivendolo come un pirla che pensa di poter prendere il Palazzo d’Inverno domattina…

                A parte questo, io ho sempre fatto riferimento alla necessità di un coordinamento europeo delle lotte e di usare la dimensione sovranazionale dell’austerity per sovranazionalizzare le resistenze. Questo sì, si può fare ora. Poi si vedrà.

                Sono diversi giorni che chi scrive in questi termini su Giap viene definito dai compagni “eurocrati” (nel senso che affermano il primato del problema dell’euro) come uno che parla in astratto, che non può essere capito dai lavoratori, che non coglie l’urgenza, perché bisogna proporre una via d’uscita concreta e praticabile subito, bisogna affrontare un problema alla volta e *adesso* il problema è l’euro, bisogna uscire subito dall’euro e gestire la cosa in modo che non sia un passo indietro ma avanti etc. Sto parafrasando, ma è una specie di distillato dei vari commenti lasciati qui.

                Al che viene spontaneo dire: se va fatto adesso e gestito in un certo modo, *chi* può farlo e gestirlo secondo voi?
                Al che mi rispondete in due:
                – mannò, non stiamo mica dando indicazioni politiche, stiamo solo cercando di capirci qualcosa (ilBipolare)
                – non ha senso chiedere i nomi, stiamo solo cercando di valutare quale delle due opzioni sia più realistica a breve-medio termine (tu)

                Ora, per me non c’è assolutamente nessun dubbio che a breve-medio termine l’uscita “propulsiva” e “di sinistra” dall’euro sia IMPOSSIBILE, mentre un maggiore coordinamento delle lotte contro l’austerity e un innalzamento del loro livello siano più che fattibili.

                Ma tanto stavate ragionando in astratto, quindi il problema della realizzazione non si pone.

                Poi gli “intellettuali” che ragionano sul nulla saremmo noialtri. Rob da matt!

              • Avevo scritto ieri sera due interventi articolati nei quali rispondevo a delle critiche e ponevo delle domande a WM1 che però si son persi, sono io pasticcione, ci riprovo.

                Intanto sono totalmente d’accordo con chi ha espresso che il problema crescente delle destre nazionaliste e xenofobe è dato dalle tensioni che stanno esplodendo.
                In particolar modo è dato dal fatto che, come ho mostrato tirando fuori il discorso alla camera dei deputati sull’entrata nello SME, la contrarietà a questa UE e a questa moneta, nasceva da solidissimi argomenti di sinistra che poi la sinistra ha perso per strada lasciando il mopolio di ottimi argomenti alla destra ( che invece era favorevole ) ed adesso se ne serve strumentalmente per finalità proprie che noi possiamo solo aborrire.
                Ma tant’è; hanno un valido pretesto, che una volta era un nostro giusto argomento.
                Possiamo perdere nel peggiore dei modi lasciandogliene il monopolio o possiamo riprendercelo, ripulendolo degli argomenti pericolosi che loro ci hanno incrostato sopra.
                Resta il punto che come l’ascesa del nazismo è stata determinato dall’insostenibilità del capestro di Versailles, oggi la destra xenofoba monta a causa dell’insostenbilità delle politiche UE e della moneta, e quando si taglia poi va a finire che “è sempre colpa dell’altro e del diverso”, e se si votasse domattina Syriza vincerebbe ma dovrebbe anche fare i conti con alba dorata al 15%…..

                Ciò detto WM1, chi può pilotare una fuoriuscita dall’euro fatta a condizioni per cui non siamo noi a rimetterci [ cioè preoccupandosi prima di farla a) di indicizzare i redditi fissi all’andamento dell’inflazione b) bloccando le frontiere ALLE FUGHE DI CAPITALI, non di persone, in modo che chi ha un grande capitale non possa portarlo all’estero 3 giorni prima dell’uscita e farlo rientrare in Italia una settimana dopo essendo di colpo diventato più ricco del 30% in una settimana c) regolando i movimenti di capitali in modo che le azioni delle industrie già svalutatissime non vengano in blocco acquisite nel momento dell’ulteriore svalutazione che ci sarebbe necessaria per non lasciar morire di anossia ogni nostra produzione alimentando la disoccupazione che ci strangola ]?

                Noi, offrendo il nostro pieno appoggio al Front de Gauche francese, in modo che Mélenchon abbandoni i suoi ultimi tentennamenti e sposi finalmente e definitivamente le chiare indicazioni che Sapir gli ha fornito ( e che ho già citato così spesso che comincia a venirmi il mal di testa ).
                I francesi, che in generale non ci stanno neanche per il cazzo a farsi commissariare da un progetto imperialista tedesco, a differenza di noi che siamo disponibilissimi a farci commissariare perchè siamo convinti che tanto “non siamo capaci di governarci da soli” ed infatti siamo abituati ad essere domaniti dall’esterno.

                Relativamente all’Italia Rifondazione potrebbe e dovrebbero cavalcare una battaglia di questo tipo.
                Perchè E’ NELLA SUA STORIA.
                Basta leggersi Magri cosa disse nel ’78 e ricordarsi che Magri fu il primo capogruppo alla camera di Rifondazione dal ’91 al ’94, prima che il partito si compromettesse con un progetto europeo che non gli piaceva per puntellare governi a guida democristiana che ci hanno fottuti col loro europeismo fasulli, solo perchè dall’altra parte c’era berlusconi.
                Rifondazione potrebbe, se si decidesse a dire “su questi temi abbiamo sbagliato per motivi tattici, ma noi eravamo contrari e abbiamo capito di dover tornare ad esserlo”.
                Rifondazione potrebbe se si decidesse a dare ascolto a quella gran mente di Emiliano Brancaccio, che sta sbraitando a vuoto da due anni senza che abbiano il coraggio di ascoltarlo solo per paura di dover ammettere gli errori passati, e che ha oltretutto anche formulato una proposta di “altra Comunità Europea” tutta diversa da questa, basata sullo standard retributi europeo e sulla solidarietà, ma che sa benissimo non essere realizzabile ora e da dentro, perchè ora e da dentro non c’è quella volontà politica, quindi il massimo che si può fare è arrestare il corso degli eventi distruggendo QUESTA UE.
                Brancaccio ha spiegato perchè a Syriza è mancato un soldo per fare una lira: http://www.emilianobrancaccio.it/2012/06/18/syriza-paga-lambiguita/
                e ha un’idea ed una proposta molto precisa per fare una “Europa altrimenti” fondata sulla solidarietà:
                http://www.emilianobrancaccio.it/2012/09/14/lo-standard-retributivo-europeo-sullinternational-journal-of-political-economy/

                Ma per poter fare “l’Europa altrimenti pensata” prima bisogna distruggere quella che c’è, perchè la sua struttura di rappresentanza non è democratica né rappresentantiva, perchè i suoi trattati sono costitutivamente intrisi di liberismo, perchè in sintesi l’UE E’ la forma storica che il potere del capitalismo finanziario ha assunto nella nostra epoca e nel nostro continente e l’euro è la sua arma, e noi questo non possiamo cambiarlo da dentro, dobbiamo combatterlo e distruggerlo da fuori.

                Ora la mia domanda è: essendo convinti che l’argomento sia valido, come si fa, con che parole bisogna esprimerlo, affinchè possa passare senza urtare le sensibilità internazionaliste ed affinchè non si creino motivi di confusione con chi l’UE, adesso non prima, la contesta per motivi di nazionalismo xenofobo spicciolo?

              • i neo-keynesiani sono i neoclassici, stanno dall’altra parte.
                Keynesiano o post-keynesiano, sono la “rive gauche” di quella scuola di pensiero.
                E no, non è una scuola rivoluzionaria, loro non mirano a risolvere definitivamente il problema dello sfruttamento, vogliono sono farci stare meglio e farci avere la piena occupazione.
                Non sarebbe giusto alimentare fraintendimenti.
                Secondo me loro sono una necessità di passaggio. Al momento però hanno una ricetta valida e sperimentata per cavarci fuori dal pantano.
                Il problema è che il potere l’ha messa fuori legge, sapendo benissimo cosa gli conviene.
                Imponendo Mes e fiscal compact tu non metti fuori legge la rivoluzione proletaria, perchè essa per definizione è fuori legge rispetto allo status quo che vuole sovvertire.
                Ciò che viene messo fuori legge è Keynes.
                E per poter tornare a servirsene, anche solo transitoriamente, occorre contestare l’istituzione che ne ha imposto la messa al bando.

              • Allora ok, niente insurrezione, niente neo-keynesiani (ancora non ho capito perché), coordinare le lotte a livello internazionale. E chi dovrebbe coordinarle le lotte a questo livello? E soprattutto come dovrebbe coordinarle? E una volta internazionalizzate che si fa?

              • Io penso che questa sia la sotto-discussione più frustrante, avvitata su se stessa e greve di equivoci che Giap abbia mai conosciuto. Ne sono più che convinto.
                E’ uno di quei casi in cui Giap fallisce, e chi ha letto ne esce più confuso di prima. Rileggendola dall’inizio, ci si rende conto che tutti gli interlocutori hanno fatto la boxe coi fantasmi di posizioni che gli interlocutori non avevano enunciato. Non solo: posizioni differenti sono state schiacciate l’una sull’altra, di modo che a un certo punto, da articolata discussione tra singoli, piena di sfumature, è stata rappresentata come schermaglia tra due schieramenti.

                Io posso solo ribadire che ho cercato di indicare un rischio, che continuo a ritenere grave: quello di non riuscire a far distinguere, nella vulgata e nel minestrone mediatico, un uso di sinistra del frame della… “riscossa nazionale contro gli eurocrati” e del ritorno alle nazioni dal suo uso di destra, che è largamente egemone e immediatamente comprensibile a tutti, perché si rivolge alla panza anziché al sale in zucca. Il pericolo è di fare da portatori d’acqua alle destre populiste o addirittura neonaziste.

                Avete tutti riconosciuto (e ci mancherebbe altro!) che questo rischio c’è, ma non è che mi abbiate granché rassicurato al riguardo.

                Per me, tutti gli altri discorsi (keynesismo sì / keynesismo no, euro sì / euro no) sono importanti nodi teorici, ma siccome in questo post si parlava di strategie, io dico che dal punto di vista delle strategie sono variabili subordinate del problema principale, che al momento mi sembra essere: come unire il maggior numero possibile di soggetti sociali colpiti dalla crisi per farli combattere insieme contro l’austerity con una prospettiva *di classe*.

                Per me dire che le estreme destre avanzano per colpa dell’UE fa parte dell’analisi delle cause, ma da lì non si ricava automaticamente una strategia per combatterle. Non è indicando i loro stessi identici bersagli e usando concetti facilmente confondibili coi loro che le combatteremo efficacemente. Così facendo, tireremmo loro la volata.

                Dixi et salvavi animam meam.

  27. L’appello dei facchini Coop di Anzola alla città di Bologna http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=dnAcPNDfZlA

  28. Volevo fare una riflessione partendo dalla la giornata del 15 ottobre dell’anno scorso. Anche allora si trattava di una mobilitazione internazionale, sull’esempio dei tre grandi avvenimenti del 2011: le primavere arabe, il movimento 15 maggio degli indignati spagnoli, gli statunitensi di Occupy Wall Street. C’era, se non proprio ottimismo, almeno un po’ di entusiasmo anche in Italia, per come le cose potevano cambiare, sulla scia del referendum di giugno. Nei giorni precedenti quella manifestazione, particolarmente disgraziata solo a Roma, molti non erano del tutto consapevoli dell’amara realtà che oggi è evidente anche a chi non vuol vedere. E cioè che le politiche di austerità prefigurano per l’Europa un’era di “capitalismo reale”, in cui le istituzioni sono ormai totalmente asservite agli interessi dei grandi capitali finanziari e speculativi, delle banche, e in alcuni casi, come in Italia con Monti, sono direttamente i rappresentanti di questi soggetti che si pongono alla guida delle stesse istituzioni. In pratica questa tendenza capitalistico-ragionieristica, lo abbiamo visto nel corso del 2012, riduce le persone, le vite umane, solo alla voce “costi” in bilancio.
    La differenza con il 14N, oltre alle diverse modalità organizzative, sta proprio nella consapevolezza che abbiamo acquisito quest’anno in Europa e in Italia e che inizia a farsi largo tra varie fasce della popolazione. Il solito bombardamento mediatico si fa meno efficace, nel frattempo alcuni blocchi sociali serbatoi di voti della destra sono scoppiati, il Pd si gioca qualche carta sempre sull’orlo della liquefazione, la Cgil è costretta a rincorrere i Cobas e proclamare lo sciopero con la Ces.
    Eccoci dunque al “che fare”. Sul tema “organizzazione” siamo d’accordo. E’ arrivato il momento di connettere le lotte antiliberiste e antifasciste sul territorio e provare a farle convergere su obiettivi comuni. Quello dell’ “organizzarsi” è, come è noto, l’unica norma imperativa del pensiero di Marx. Ma, come giustamente facevano notare alcuni, l’organizzazione, anche se non è necessariamente un soggetto ma una pratica comune di più soggetti, può diventare un semplice atto di buona volontà se non ci sono obiettivi chiari e condivisi. Credo però che i temi e gli obiettivi non manchino e siano individuati dalle varie realtà in lotta, le quali ormai sono ben lontane dai comitati versione NIMBY che pure pullulavano fino a qualche anno fa. Molte di queste realtà riescono a superare la singola vertenza per cui sono nate ed esprimono una forte contestazione del “sistema” in generale. Quello che finora è mancato ma che può iniziare è l’esercizio dell’egemonia. Diventare “egemoni” in senso gramsciano e quindi, prendendo una citazione dai Quaderni:

    “Le egemonie germinate precedentemente diventano “partito” , vengono a confronto ed entrano in lotta fino a che una sola di esse o almeno una sola combinazione di esse, tende a prevalere, a imporsi, a diffondersi si tutta l’area sociale, determinando oltre che l’unicità dei fini economici politici, anche l’unità intellettuale e morale, ponendo tutte le questioni intorno a cui ferve la lotta non sul piano corporativo ma su un piano “universale” e creando così l’egemonia di un gruppo sociale su una serie di gruppi subordinati”

    Non è quello che hanno fatto i capitalisti dagli anni ’70 ad oggi? E’ arrivato il momento di ribaltare la situazione e riprenderci Gramsci.

  29. Continuo la “trasmissione” da Atene oggi …
    Fascismo galoppare. E ‘la “stampella” dello status politico ed economico qui.
    Credo che tutti avete imparato quello che è successo su 30/9/2012.
    http://eagainst.com/articles/antifalice-in-monsterland/
    In Italia (Firenze) è stato fatto questo video da compagni per la solidarietà…
    http://www.youtube.com/watch?v=XLOESazVHL4&feature=player_embedded
    anche quei giorni a Bologna…
    https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=mlx7_wE1wTg
    Oggi è stata la prima manifestazione ANTI-FASCISTA e ANTI-STATO con moto (probabilmente saranno più in futuro).
    http://www.youtube.com/watch?v=q3gRJwzPBAM&feature=youtu.be
    Questo giorno non è casuale.
    Secondo il governo greco oggi lo Stato è in verde perché l’Europa non ci hanno dato il contributo finanziario promesso.
    Ha lanciato oggi la tre giorni di festeggiamenti della “Rivolta Politecnico” (è fatto il 17/11/1973 presso la giunta militare greca), che si conclude con la marcia nella notte di Sabato …
    Dobbiamo rompere questa indifferenza
    c’è ovunque!
    La gente deve svegliarsi in tutta Europa …

  30. Forse il punto più importante è quello relativo all’organizzazione. A noi interessa questo. Come possiamo renderci utili? Quando si terrà la prima udienza? E’ già iniziato il processo? Se semio svejati tardi stamattina. Era alle 09.00? Cosa ha detto il giudice? sto fijo de na mignotta! Se ce vojiono sordi noialtri… nun ce stanno eh! Spendiamo tutto quello che abbiamo per formare noi stessi, ché è una gran fatica. Non sempre ci riusciamo. Sicuramente vi sarà capitato in vita vostra d’incontrare un pappagallo che ripeteva i suoi “fetidi luoghi comuni” a mo’ di filastrocca: “il pareggio de bilancio ce vo’ perchè avemio speso troppo in questi anni de vacche grasse, sempre a spende! Mo’ basta!”, ripeteva indefesso. L’uccello esotico si è messo in fila a prendere l’ostia che gli spetta, “pareggio di bilancio”. Come fare a parlare con il piccolo borghese che si è messo in fila? Secondo noi qui sta la chiave, contrastare la tiritera.
    Per contrastare sta tiritera bisogna studià, sà?
    Manco te puoi far trovare impreparato na vorta, perché se no te puntano l’indice: “vedi, vedi vedi!?”, dice. Ignorare la tiritera? Solitudine.
    Non sappiamo, scusate.

  31. Momento di pausa, dopo aver inviato il primo capitolo della tesi al prof, incrociando l’incrociabile… e leggo la discussione, e penso che il capitolo su “lavoro tra fordismo, post-fordismo e crisi economica” non sarebbe stato lo stesso se non ci fosse Giap… devo ringraziarvi quindi, e scusate l’OT.

    Calzano bene le riflessioni che fate qui con quel che sto approfondendo. Il punto finale è che da rovesciare è il capitalismo. Secondo me, al di là delle giuste questioni sull’organizzazione, sui riferimenti partitici/movimentisti, e oltre, l’orizzonte è sempre la fine del capitalismo. E credo e spero che ci si stia arrivando in tanti. Forse pecco di ottimismo, ma i segnali comincio a vederli. Nel mio piccolo ci provo a fare qualcosa, anche se non è mai abbastanza.

    • concordo pienamente con te. Dopo tutte le analisi fatte su come uscire dalla crisi è ora di iniziare a raccontare una storia diversa a tutti quelli che si lamentano del lavoro, delle tasse, etc….la realtà la si cambia con nuovi miti e quello che io nel mio piccolo faccio con persone che nemmeno conosco è dire : inutile che ti lamenti se non hai capito che è il capitalismo come sistema che non funziona, che tutti i correttivi che nella storia sono stati apportati non hanno funzionato. E’ ora di iniziare a percorrere un altra via….

  32. Giusto per dire due cose, ma terra terra, sul macrotema organizzazione sviluppato maggiormente da vannetti, WM4, Mauro e qualcun altro. Non credo che serva quello che c’è già come dice il wu ming e la pluralità e la decentralizzazione mi sembrano segni costituivi di questa nuova ondata proveniente da occupy e post 15Ott nostrano. Solo dico una cosa: noi siamo in provincia a L’Aquila. Non ci rappresenta nessuno e non siamo scesi in piazza con la cgil proprio per non replicare quel quadro di provincia così bene descritto da Vannetti. Il fatto è che però abbiamo avuto poco tempo per preparare la giornata del 14 nov sul nostro territorio proprio perchè siamo autonomi dalle vecchie rappresentanze scadute ma neanche sapevamo bene dove guardare. Non vivendo in una grande città il 14novembre si è avvicinato troppo di fretta e come strumenti abbiamo avuto solo twitter e qualche portale di movimento che a spizzichi e bocconi ci faceva capire qualche traccia sull’ORGANIZZAZIONE della giornata. Alla fine siamo scesi in piazza dando anche una buona lettura e affidandoci anche al nostro istinto e fantasia http://3e32.tumblr.com/post/35780445434
    anche perchè le condizioni materiali che ci viviamo affiancate al nostro percorso sul territorio che dura ormai da più di 3 anni, hanno fatto in modo che l’analisi risultasse corretta. Ma davvero dobbiamo stare incollati a twitter? Senza calare assolutamente niente di pesante e centrale (e lasciando spazio alla fantasia) si può forse pensare un attimo ad un primo livello ri-organizzativo che sia rete dalla quale emettere segnali e qualche coordinata. E’ bene essere capillari ma per stare ovunque – cioè sui territori – c’è bisogno anche di un lavoro ulteriore che sappia diffondere parole chiave e pratiche sui territori che possono(o potrebbero) recepirle. Altrimenti si lascia presa alle vecchie rappresentanze. Ecco come si fa a non lasciare spazio a queste senza crearne di nuove? Senza nessuna conclusione volevo segnalare questo aspetto riguardo la questione organizzazione e vorrei che fosse presente che lo sto facendo qui su giap altrimenti non saprei dove.

  33. Ok, ci ho messo sei anni a leggere i commenti e il post, ma ci sono. Io provo a dare una risposta, forse già data in passato. Difendere il proprio luogo di lavor o partecipare a uno sciopero europeo, se si è precari, è di fatto impossibile o quasi. La paura di perdere il lavoro diviene folle. Io ieri ero in piazza a Torino. Ormai quasi trentenne, dopo un rapido giro di chiamate ai compagni della mia età, ero quasi l’unico che stava in mezzo allo sciopero ero io, assieme a robGast69. La quasi totalità dei miei compagni di lotta studentesca (gente che ha fatto l’onda, gente che ha fatto politica attiva all’università) erano tutti a lavoro. Lavoro precario, quello dove lo sciopero lo fai se quel giorno è “off”. Cosa che ho fatto anche io, è inutile fare i fighi. Però è un problema che mi pongo per davvero. Se il luogo di lavoro non mi appartiene, è transitorio, le soluzioni sembrano due. O io mi astengo dalla vita politica perché non me lo posso permettere dal punto di vista economico, o partecipo e poi svengo dalla fame quando non mi rinnovano. Oppure, e qui faccio una proposta bislacca, la protesta entra nei miei luoghi di lavoro attraverso scioperi di mutuo soccorso precario, in cui la protesta viene portata dai miei compagni, dove io non posso portarla. Il mutuo sciopero, insomma. Se il capitale diventa liquido, la protesta deve mutare. Se le aziende decidono di esternalizzare i rapporti di lavoro, i lavoratori possono esternalizzare con forme mutue di protesta la loro partecipazione politica. Ovvero: se tu non puoi protestare per te stesso, io lo farò per te, e tu lo farai per me. Io lo farò per voi, voi lo farete per me. Io lo farò per noi, noi lo faremo per me. Non so quanto potrebbe funzionare, ma mi sembra un rimedio il più collettivo possibile a un tentativo di sistematico isolamento del lavoratore.

  34. Abbiamo messo insieme una lista delle manifestazioni italiane del 14. Crediamo che sia utile per avere un’idea a volo d’uccello sulla giornata. Con tutte le contraddizioni, le divisioni e le coazioni a ripetere, qualcosa si è mosso davvero.

    http://strugglesinitaly.wordpress.com/2012/11/16/european-strike-a-list-of-about-all-demonstrations-in-italy/

    Sicuramente qualche corteo è sfuggito alla nostra vista. Chi volesse può segnalarci le mancanze (o gli errori) nei commenti al post.

  35. Salve a tutti. È un po’ che vi seguo e ho deciso infine di unirmi alla comunità. Sono uno studente ventun’enne di lingue e letterature moderne, ex-militante nel pdci e in altre piccole organizzazioni bordighiste (un bel salto, eh? XD), da un paio d’anni sono politicamente fermo. I miei riferimenti sono Hume, Rousseau, Marx, Rosa Luxembourg e una puntina di Lenin. Per la letteratura Blake, i decadenti, Ungaretti, Palazzeschi, Tolkien. Odio Pirandello. Per la musica Wagner, i Led Zeppelin, Elisa, i Finntroll.

    Dopo questa breve e spero non completamente inutile presentazione voglio dire la mia sulla questione del rapporto organizzazione-movimenti, locale-nazionale. Per me il problema principale è una pressoché totale assenza di coscienza di classe. Il no tav, l’operaio dell’Ilva, l’esodato, il minatore del Sulcis non hanno alcuna consapevolezza di appartenere alla stessa classe sociale. Riescono a trovarsi uniti o perché si trovano quasi casualmente a manifestare lo stesso giorno (come accaduto appunto il 14) o perché qualche organizzazione che ne condivide tutte le lotte cerca di metterli in comunicazione. E purtroppo l’unico che riesce a fare ciò oggi è Grillo che però come sappiamo non li unisce in virtù della comune appartenenza di classe ma in virtù della distanza dalla politica e dai partiti tradizionali.

    In questo senso non credo che i movimenti possano riuscire ad autoconnettersi in un un’unica struttura, almeno per quanto riguarda l’Italia. Deve essere la struttura ad andare verso i movimenti, un po’ quello che in passato ha fatto Rifondazione. Ora, vuoi per il fallimento dell’esperienza del governo Prodi, vuoi per l’ulteriore diffusione dell’incoscienza e del disimpegno degli ultimi anni che solo la crisi sembra riuscire a rallentare, i movimenti non si fidano più di strutture che vengono loro incontro. È vero anche il fatto che ci sono anche strutture che con Prodi non hanno avuto niente a che fare (come il PCL) e che le coscienze sono state un minimo scosse dalla crisi, questo vuol dire che non bastano una struttura coerentemente rivoluzionaria e una serie di movimenti in lotta (altrimenti in Grecia avrebbero già il socialismo). Senza una coscienza di classe le strutture continueranno ad essere rifiutate.

    Sta a noi “intellettuali” cercare di diffondere questa consapevolezza nella massa. Il problema che ci si pone quindi è come fare. Anche qui la situazione è estremamente critica. Trent’anni di berlusconismo hanno atrofizzato i cervelli, tanto che la massa rifiuta il ragionamento. Provare a spiegare qualcosa è diventato quasi impossibile, nessuno ti ascolta se sente puzza di eccessivo di ragionamento (fenomeno collegabile all’aumento della dispersione scolastica). Anche quando troviamo degli interlocutori generalmente finiamo con allontanarli per via di una diffusissima incapacità comunicativa. Non solo non ci vogliono ascoltare, noi non siamo capaci di attirare l’attenzione. Dovremmo cercare secondo me di rivedere da capo le nostre strategie di comunicazione, introducendo anche tecniche di marketing e condendo i nostri discorsi con abbondanti dosi di retorica, anche perché le classi dominanti stessi fanno abbondante uso di queste tecniche, ed il semplice ragionamento logico-discorsivo è impotente contro di esse.

    “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto”.

  36. Bah, non so voi Wu Ming e Giapsters vari, ma il mio morale in tema di lotta è a terra. Sento sempre di più la necessità di intervenire attivamente per fermare questo nuovo medioevo in cui ci stiamo cacciando e da cui probabilmente non usciremo che fra decenni (cioè, usciranno, i nostri discendenti, sempre se ne avremo) ma, forse per mia cecità, non riesco a trovare nessun gruppo di persone a cui unirmi per lottare. Almeno nella mia città ci sono solo sparuti gruppetti di giovani comunisti che, in quanto a efficacia e organizzazione, mi hanno lasciato piuttosto perplesso finora, e inoltre vorrei evitare di entrare a far parte di un’organizzazione con l’etichetta politica, la tessera, il vangelo di partito ecc. A parte questo le altre persone con cui mi capita di conversare su questi argomenti non fanno altro che farmi avvicinare di un passo al cancro al fegato, dato che il prototipo che li rappresenta è un disperato incazzato nero che odia in toto la politica, pur non sapendo cosa sia, invoca la guerra civile per tirare qualche scoppiettata a destra e a manca e magari il ritorno di un qualche ducetto, per risparmiare sugli stipendi dei politici. Ah, e che non si chieda loro di muoversi in prima persona, sono disperati ma non fino al punto di tirare fuori le palle per riconquistarsi un po’ di autostima e dignità, non sia mai. Dar la colpa ai politici ok, ma non chiedete di prendersi responsabilità. Tengo famiglia, adda passà a’nuttata, non sono studiato, nessuno mi ha imparato, tu sei raccomandato, c’hai il culo parato, chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato. E qui viene fuori il lato peggiore del sottoscritto, perché pur sentendo che è sbagliato, davanti all’Italiano medio io divento improvvisamente e disgustatamente antidemocratico. Vedete un po’ voi se c’è da essere ancora ottimisti.

  37. secondo me si stanno confondendo scopi e mezzi; è un compito ineludibile per chi oggi è a sinistra cercare di ricostruire una coscienza di classe dopo vent’anni di oppio berlusconiano e consorti (in questo intendendo anche i partiti che hanno avuto come unico argomento l’antiberlusconismo), e questo va fatto in strada ripartendo dalle lotte locali, dai disagi e contraddizioni dei cittadini e cercando con pazienza di inserirli in una connessione e in un discorso politicamente più ampio; e a questo scopo utilizzare anche quelle parti delle strutture già esistenti che si mostrano disponibili a discutere e agire in questo senso; e sempre a questo scopo cercare di ottenere la massima comunicazione possibile tra tutte le iniziative-comitati-associazioni-ecc. Altro, invece, è studiare e capire quale possa essere l’alternativa economica percorribile perchè, è ovvio e ci si ripete, nel sistema capitalistico i governi sono comitati d’affari dei grandi potentati economici; in mancanza di una visione del diverso possibile, ogni intervento, pur sacrosanto, per non far passare l’alta velocità, per avere una gestione pubblica dell’acqua, una scuola pubblica funzionante e via elencando, rimane una lotta socialdemocratica (nel senso ottimo, sia chiaro, di rivendicazione per una gestione partecipata e democratica).
    Forse – ma la mia è una domanda – per ora è questo il livello su cui può attestarsi il “fare” di sinistra; allora però utilizzando tutto quanto è utilizzabile anche, perchè no, riciclando sigle e strutture perchè quello che manca alla fine sono le risorse umane, compagni che si prendano la briga di studiare, scrivere, andare, parlare ecc.

  38. Ci mette paura la crisi nella forma di questa fine del 2012?
    Bene.
    Teniamo conto che nei prossimi due anni lo sarà molto, molto, di più. Le scelte sono già state fatte, l’avvitamento prociclico non è reversibile, non con quelli che sono al timone adesso o quelli che ci saranno tra qualche mese. Non solo da noi.
    La Guerra Mondiale del Debito è entrata ormai da tempo nel sesto anno, la sua dimensione economica è ancora dominante ma cede un pezzetto alla volta verso quella guerreggiata, che allarga giorno dopo giorno le sue frontiere.
    I futuri 24 mesi vedranno due fondamentali scenari all’opera, che poi sono uno solo: Iran ed Europa.
    Non c’è alcun complotto, nessun disegno occulto. Si tratta di convergenze di interessi, di linee di faglia aperte da tempo, di logiche conseguenze di scelte e tendenze operative già da un ventennio.
    E’ tutto molto visibile, ma a nessuno è permesso uno sguardo dall’alto. Tutti, da soli o a gruppetti, affoghiamo nella recessione.
    Cosa succederà?
    Seguo con interesse la discussione, sempre di buon livello, ma temo non dipenda da noi.
    Sarei anche d’accordo con una buona parte delle argomentazioni che spingono per un’uscita dall’euro. Con un discreto ma. Nel momento stesso in cui l’euro si dissolve, e l’uscita dell’Italia significherebbe questo, l’Europa continentale torna a essere territorio di guerra guerreggiata.
    Questo non lo decideremo noi, anche se una scadenza c’è, ed è molto ravvicinata. E’ il fiscal compact.
    Si tratta di una misura insostenibile, non solo per l’Italia ma per qualsiasi paese, e il 2014 è di fatto la data di scadenza dell’Europa come ce l’hanno raccontata finora.
    In teoria, bisognerebbe essere capaci di anticipare i tempi, impedire che le bombe a orologeria esplodano nei momenti e modi previsti. Accelerare la crisi invece di rallentarla. Rovesciare i governi di tre quarti dell’europa in diciotto mesi e mettere il timone in tutt’altra direzione.
    Non mi sembra che siamo in grado, nè qui che altrove.
    Ciò non significa che bisogna aspettare inerti, e inermi, la fine.
    Fa piacere vedere che ormai i ministri non possono più circolare, e così deve continuare a essere.
    Le persone devono comunque stare in strada, sempre di più, così almeno non restano a casa, chi ce l’ha, a grattarsi la rogna e i disastri da sole.
    Forse questo è il momento più di saldare nuovi legami sociali, costruire embrioni di mutua assistenza solidale, che di pensare a improbabili partiti per futuri governi.
    E’ la mia sensazione, nient’altro.
    L.

    • Anch’io penso che quello di stare più tempo in strada e solidarizzare attorno a lotte locali specifiche sia un buon punto di partenza. Resta poi il problema di come coordinare le lotte a livello nazionale ed internazionale (a volte ho la sensazione che in italia ci si guardi un po’ troppo l’ombelico, che si spenda molto tempo a chiedersi quale sia l'”anomalia” italiana, senza poi trovare il modo di agire). Vivo a Barcellona da circa un anno e molte esperienze che vedo qui vanno in questa direzione. Alcuni esempi concreti: la gente del “barrio” accorre in massa quando la polizia va a sgomberare la casa di chi non riesce più a pagare il mutuo; si fanno collette tra i vicini per pagare la multa del migrante africano trovato a rovistare nel cassonetto delle immondizie; alcuni colleghi di un dipendente licenziato illegalmente a seguito di una malattia dall’azienda Telefónica si mettono in sciopero della fame insieme a lui per chiedere il suo reintegro. Il 14N ci sono stati picchetti in tutta la città a partire da mezzanotte e lungo tutto l’arco della giornata. Il centro era bloccato, niente mezzi pubblici, tutto chiuso, atmosfera surreale. La manifestazione della sera è stata immensa, parzialmente divisa tra quella dei sindacati maggioritari e quella dei sindacati anarchici e dei movimenti. Lotte e modalità distinte ma raggruppate attorno ad alcuni punti fermi comuni. E’ vero, qui la “crisi” morde più duro (e gli effetti si vedono quotidianamente e a occhio nudo) c’è un retroterra storico e culturale differente, ci sono mille fattori distinti rispetto all’Italia. Però qualche buona pratica si potrebbe provare ad inglobarla (e certo non dico che in Italia non ce ne siano), senza attendere di non avere proprio più nulla da perdere.

    • Sì, Luca.
      Come capita spesso dài forma precisa a sensazioni che ho anch’io, a pensieri impensabili che cerco di pensare lo stesso fino in fondo.
      “L’Europa continentale torna a essere territorio di guerra guerreggiata” è un incubo ricorrente che ho da sveglio. Tu porti ragioni “larghe”, io percepisco confusamente nel piccolo che troppa gente non vede l’ora, e arrivo alle stesse conclusioni. E’ una voglia che si legge sui giornali ma trasuda anche dai tizi delle palestre, si sente l’eco dei raid anti-immigrati e si cerca di pensare che sia “lontano” ma spesso i discorsi sentiti sul tram sono perfettamente in sintonia, si chiudono blog sulla rete (wormfront o come si chiama) ma si vede gente che in pieno giorno scende al semaforo con la mazza da baseball (successo alla moglie di un amico poche settimane fa senza conseguenze, ma la sola minaccia è già un fatto tragico in sé, credo).
      Abito un condominio e un quartiere dove gli anziani sono maggioranza: pagheranno la crisi e la guerra (in qualsiasi sua forma) senza capire cosa staranno pagando, e direi senza gli strumenti e i presupposti per poterlo capire se non troppo tardi o forse mai.
      Per assurdo, una forma distorta dell'”embrione di mutua assistenza sociale” che dici lo sta facendo in Grecia proprio Alba Odorata (http://www.guardian.co.uk/world/2012/sep/28/greek-police-victims-neo-nazi?CMP=twt_gu). Siamo già oltre il rischio che succeda, sono già attrezzati, anzi “organizzati”, e faranno scuola.
      Mutua assistenza sociale, se ben ricordo, era anche quella del Black Panther Party nei quartieri neri di New York (bibliografia su “New Thing”) ma mi pare che i presupposti fossero diversi, in particolare il dislocamento delle forze in campo. Oggi e qui gli schieramenti sono confusi e granulari, mentre l’organizzazione di cui si parla in questo post secondo me richiede (anche) una scala topografica (e prescindere da internet). Una logistica in un certo senso “medioevale”, come il contesto a venire.
      Boh…

  39. Se prendiamo per buono lo scenario che emerge da questa discussione, riassunto e ricomposto con una visione “dall’alto” nel commento di luca, siamo già un bel passo avanti.
    Nel senso che alla fine, la questione partito-organizzazione Vs mutualismo-sconnessione delle strutture esistenti, si pone abbastanza in secondo piano, o almeno in un secondo momento.
    Se questa è una guerra non ancora dichiarata formalmente non ci possiamo permettere l’immobilismo. Se abbiamo capito di essere davanti a un plotone di esecuzione dobbiamo muoverci per forza. Metterci comunque in cammino, se ci teniamo. Poi vedremo che tipo di forma può avere, che tipo di forze può mettere in gioco, ma l’importante è camminare. Posso essere d’accordo su molti interventi di ostilità all’Euro ma concretamente come agiamo? Sosteniamo una lista No Euro? Stessa cosa per la Ue e la Nato? E’ chiaro che queste istituzioni ci fanno schifo ma in questo momento, possiamo solo discutere ma non abbiamo le forze per rovesciare un quadro che ci vede come dei microbi, senza nessun soggetto collettivo di mediazione che possa far valere le nostre istanze (ammesso che tali soggetti poi possano effettivamente servire). Magari su livelli più bassi possiamo agire e contribuire al cambiamento delle coscienze che è in atto. Ad esempio, non siamo stanchi di veder andare al macello frotte di quindicenni nelle nostre città? Non possiamo fare proprio niente per salvaguardare non solo la loro integrità fisica, ma anche quella mentale, quella su cui agisce la propaganda dei media e che è il vero obiettivo delle intimidazioni delle forze repressive? Se riuscissimo a fare qualcosa per loro sarebbe già tanto.
    Certo, siamo messi male, ma non lo erano anche gli antifascisti che nel ventennio si sono fatti anni di carcere o di confino? Restavano comunque in un quadro organizzativo e ideologico da cui traevano la loro forza morale e noi questa àncora non l’abbiamo. Però insomma, diversamente da loro, possiamo ancora far molte cose…

  40. Avviso ai naviganti: nebbie testosteroniche a banchi.
    Mò si parla pure di parricidio, siamo a posto.

    Mi direte che devo intervenire nel merito, ma io sinceramente non so proprio come da qui si possa andare avanti in modo sensato, anche avendo a disposizione altissimi strumenti teorici (che io non ho).

    • Infatti. Dove è “evaporato il nome del padre” (del genitore simbolico, per essere corretti) non è possibile alcun parricidio. Dovremmo invece prenderci la responsabilità di essere padri e madri di noi stessi/e. Il nemico è l’anomia, non una “ipernomia” che sinceramente non vedo da nessuna parte. Solo che l’anomia non si è mai superata coi richiami volontaristici, coi rimbocchiamoci-le-maniche. Si è superata quando dalle contraddizioni reali sono emerse forme nuove e qualcuno ha saputo riconoscerle e valorizzarle.

      • Chiedo venia, se nell’abuso della metafora ho clamorosamente mancato il bersaglio.
        Chiedo venia una seconda volta perchè non mi sono reso conto di stare seminando sgradevoli scie di testosterone.
        A questo punto riprenderò il consiglio espresso da WM4 nel suo primo commento e mi metterò a studiare un po’ di più intorno ai concetti che poi finisco con l’usare incautamente, magari incominciando proprio dal post di WM1 sul tema, prima di tornare a cimentarmi.
        Volevo solo puntualizzare che la mia voleva essere, appunto, una metafora. Nemmeno io avevo in mente il Complesso di Edipo, e nel parlare di “uccisione del genitore simbolico” continuavo a pensare a un campo tutto interno alla sinistra e a una cornice temporale non troppo lontana nel tempo. Insomma ho forzato, evidentemente troppo, la mano metaforizzando quel fenomeno di “coazione a ripetere” dei movimenti sociali negli ultimi 10 anni che mi pare riconosciuto. Sul quale poi, mi rendo conto, anch’io in questa sede sto insistendo un po’ troppo, perciò ora la smetto. Semplicemente, anche a me interessano quelle forme nuove che emergono dalle contraddizioni reali.

        • Metafora a parte, si capiva cosa volevi dire. Il problema è che a sinistra non ce li abbiamo più, i genitori simbolici. O meglio, qualcuno ce n’è, nelle pieghe del paese reale, ma sono pochissimi.

          Sì, qualcuno di noi ha qualche riferimento etico in personaggi morti da tempo, ma il genitore simbolico è una persona vivente, uomo o donna, col quale abbiamo un rapporto diretto e che, in una o più fasi della nostra vita, ci aiuta a mettere in equilibrio il “desiderio” (la necessità di creare, di realizzarci, di combinare qualcosa nella vita, di dare un senso e una progettualità al nostro essere qui) e la “legge” (non tutto ci è dovuto, non possiamo fare quel cazzo che ci pare, dobbiamo avere rispetto degli altri etc.). Questa figura può essere un genitore in senso stretto, ma anche un fratello o sorella maggiore, un insegnante, un collega con più esperienza, whatever.

          Oggi, a sinistra, c’è un’intera generazione di attivisti che figure così ne incontra davvero di rado, perché – appunto – non c’è più il “nome del padre” (l’espressione è sessista perché Lacan *era* sessista, ma il genitore simbolico non ha genere :-)). Tocca fare da soli, cercare quell’equilibrio per i cazzi propri, con grande smarrimento e fatica.

          Se a sinistra avessimo genitori simbolici, io mi guarderei bene dall’ucciderli.

    • Ah, il richiamo del testosterone… a volte ci si ricasca, abbi pazienza. Io mi sono fatto la dose e non dovevo. Ma mi ritiro in buon ordine rapido come sono entrato.
      La lucha sigue.

      • Non capisco perché tu debba ritirarti. Boh sinceramente mi lascia abbastanza di stucco questa reazione. Si può parlare di questa cosa sì o no? E’ off topic? Ditemi che dico cazzate, che vedo cose che non esistono, va benissimo. Io non voglio censurare nessuno, non voglio zittire nessuno. Però in questo modo sono io che vengo zittita.

        • Mi ritiro propro perché non dici cazzate, dici giusto: la nebbia testosteronica si è fatta fitta e la visuale rischia di accorciarsi, al punto che pure tu forse vedi dell’ironia nelle mie parole, quando invece non ce n’è un grammo. Ripeto: la lucha sigue.

  41. La discussione mi sembra un po’ stanca, ma anche da questo punto di vista è interessante. Siamo già stanchi a guerra appena iniziata? Sarebbe logico chiedersene i motivi. Secondo me, molto semplicemente, è la mancanza di obiettivi immediati nella cornicie di una più ampia visione del mondo. Le pratiche mutualistiche di Alba Dorata sono molto importanti per la sua radicazione territoriale, ma i nazisti un progetto immediato ce l’hanno, anche in rapporto all’Euro e all’Europa? Noi? Preferiamo nascondere l’argomento sotto il tappeto di una prossima rivoluzione. La questione organizzativa può essere soltanto figlia di una comunanza di obiettivi, altrimenti finirà che si impegneranno tutte le energie per cercarla e una volta ottenuta ci guarderemo in faccia per capire cosa fare. Oppure, al solito, ci accontenteremo di aver ben organizzato un corteo, radicale o meno, con scontri o meno. Cosa porterebbe sollievo immediato ai lavoratori, ai disoccupati, ai deboli di questo paese? Capiamolo e poi andiamo a raccontarlo in giro.

  42. Vari punti, provo ad elencarne alcuni:
    1) mi trovo vicina alle considerazioni sulla necessità di avviare percorsi di mutualismo. La crisi economica secondo me sta significando in Italia una disgregazione del tessuto sociale, un rinchiudersi nelle famiglie e nei singoli. Trovo questo movimento di chiusura e di taglio di legami il meccanismo più pericoloso della crisi. Uno perchè porta a depressione e senso di sconfitta personale, due perchè impedisce a dei movimenti di partire. In questo quadro dunque avviare forme di solidarietà collettiva (dalle mense sociali ai doposcuola e la banca del tempo, dagli sportelli legali gratuiti per lavoratori e migranti, all’offerta culturale gratuita per dare solo alcuni esempi) mi sembra non solo un’azione giusta ma anche politicamente sensata. Per ricostruire un tessuto sociale, per farci capire che insieme si vive meglio e siamo più forti, ma anche per conoscerci e prenderci a cuore le vite degli altri.

    2) è vero come dice WM1 che delle lotte in Italia ci sono e che alcune anche risuonano tra loro e che in ogni città Monti o i ministri vengono contestati. Da chi però? Attivisti. Niente di male in questo, anzi. C’è però un problema che mi sembra stia avanzando. Gli attivisti, come tutti, non hanno più soldi e di conseguenza tempo, per fare gli attivisti. Tra chi lascia l’Italia per trovare lavoro altrove (io sono tra queste) e chi deve sbattersi per raccattare lavoretti part-time, il tempo e la disponibilità fisica e mentale per la politica diminuiscono sempre di più. Risposta possibile a questo problema è quella di fare in modo che i compagni attivino forme di autosussistenza, con il problema di capire dove trovare i soldi nel momento in cui i bandi sono sempre più scarsi e con il problema politico per me ben più grosso di capire se questa soluzione sia politicamente sensata oppure no. Perchè da una parte andrebbe a ‘preservare’ realtà di cui abbiamo bisogno, dall’altra parte rischia di andare nel senso contrario del punto 1 e dunque a diventare una dinamica chiusa piuttosto che aperta all’incontro. Vero però che potrebbe essere un nuovo cooperativismo, dunque esempio riproducibile, risposta concreta alla crisi. Grande casino direi.

    3) vedendo le immagini dello sciopero europeo mi è sembrato di vederci come dei pesci fuor d’acqua, o in una rete, che si dimenano come forsennati per vivere ma che non sanno come farlo. Mi hanno colpito le immagini dell’assedio al parlamento portoghese: una massa di persone arriva davanti al parlamento, butta giù le transenne. Ci sono poliziotti sulle scalinate ma non troppi e la folla non assalta i poliziotti, non assalta davvero il parlamento. Non credo sia per paura quanto la sensazione è che la gente non voglia “prendere” il parlamento, che se riuscisse a entrare non saprebbe cosa farsene. Il che non è per forza una cosa negativa per me, può voler dire che c’è un totale misriconoscimento di quella istituzione, ma allo stesso tempo ci pone delle domande appunto sull’organizzazione. Perchè un’organizzazione è vero che funziona se è abbastanza chiaro quale o quali sono i suoi obiettivi. C’è un grande bisogno di dire no a questa vita di sacrifici che ci stanno imponendo, ma per il momento oltre a questo c’è poco. E’ un problema enorme ovviamente e sinceramente su questo non so nemmeno da dove cominciare per trovare risposte.

    4) infine, non potrei esssere più d’accordo con WM1 quando parla della bassezza della media borghesia italiana e in particolare oggi leggo questa cosa in chiave generazionale. Ovvero, sono sempre più schifata dal comportamento degli ‘adulti’ di questo paese, che come qualcuno ha scritto su fb, manda i giovani in piazza da soli a prendersi le manganellate. Questi adulti che magari dicono pure ai figli di protestare perchè è tutto uno schifo, e poi quello che continuano a fare nella pratica ogni giorno è pensare alla propria famiglia e that’s it. Ovvio che alcuni ci sono costretti a vivere solo per campare, ma non tutti, forse non la maggioranza oggi in Italia. Ma moltissimi pensano che in fondo la cosa giusta da fare e l’unico modo per sopravvivere alla crisi (anche perchè è vero che le lotte in questi anni non c’hanno lasciato manco una vittoria, altro punto che non apro adesso ma che dovremmo discutere), sia tutelare sè e i propri cari (e magari a sto giro votare CinqueStelle). Il problema è che i propri cari sono un nucleo molto ristretto, e così torno al primo punto del mio post per dire che la crisi produce atomizzazione nella società e che abbiamo bisogno di creare legami, di fare in modo che le perosne per le quali ci preoccupiamo davvero non siano solo la nostra famiglia e i nostri amici più stretti. In fondo dobbiamo vederla come un’opportunità: laddove non ci sono legami sarà difficile crearne di nuovi, ma possiamo decidere insieme di che tipo debbano essere. Il modo più efficace per fare ciò adesso credo che sia quello che ho descritto: cooperazione, mutua assistenza, in spazi occupati come per le strade, nelle università e nei luoghi di lavoro. Altri ce ne sono, come ad esempio occupare case e teatri. Altri ancora ce li dobbiamo inventare.

  43. Molti commenti a questo post mi riconfermano l’ idea che queste giornate mi stavano suggerendo.
    Non so quanto il popolo dello stivale differisca dagli altri nella rabbia e nelle risposte che sa dare a questa crisi, ma quello che vedo è che quando e solo quando l’ acqua sale tutt* corrono ai remi, in sandali o in giacca e cravatta che siano.
    Il carattere ricompositivo della “classe precaria” avutosi nella giornata del 14 in molte città è dovuto, bisogna ammetterlo, innanzitutto alla diffusione dei problemi della crisi a sempre più componenti sociali. Vedere gli operai a fianco di quegli studenti che fino a qualche anno fa “protestavano anzichè stare a studiare”, le critiche sempre meno pesanti che le testate nazionali e le discussioni casuali riservano nei confronti delle dinamiche di piazza più conflittuali, la gente che è incazzata.
    E mentre si cade sempre più giù sembra che qualcosa stia salendo, come una bilancia a doppio piatto, una legge di conservazione.
    Se così fosse, per quanto indifferente possa sembrare, dobbiamo (anche) aspettare che le cose facciano il suo corso, non perchè non abbiamo tutte le intenzioni per cambiare rotta, ma perchè ci stiamo accorgendo solo ora che l’ ultimo bivio l’ abbiamo passato da un pezzo, quando abbiamo voluto prendere questo vicolo cieco dal terreno sempre più scosceso.
    Attendere non è sinonimo di starsene con le mani in mano, quanto invece di saper aspettare organizzandosi, raccogliere nella lotta chi giorno dopo giorno a causa dei sobbalzi della nave contro gli scogli si accorge dell’ imminente impatto.
    Forse l’ unica sfida rimasta è quella di accellerare i nostri tempi contro quelli della crisi, intersecandoci, garantendoci una solida unione al momento in cui ci approssimeremo al baratro, per cercare di alleviare la caduta.
    Una caduta impossibile da prevedere, ma inevitabile, purtroppo e perfortuna.

    Cosa può aiutare l’incendio a nascere e allargarsi?
    Attendere con attenzione l’ ora più calda della giornata e il seccarsi dell’ erba. Poi le fiamme.

  44. Anche il dibattito qua sopra conferma che si sta facendo strada anche in ambienti “antagonisti”, e pure con una certa arroganza, un frame distorto che riduce la questione all’uscita dall’euro e all’adozione di qualche misura protezionista o di politiche monetarie espansive. Dal punto di vista diciamo “narrativo”, chi porta avanti queste idee ostenta scetticismo e fastidio per l'”epica” delle grandi lotte, della possibilità di una rivoluzione, della necessità di organizzarsi e riflettere.

    Si tratta di un punto di vista “frettoloso”, che tratta noialtri come dei fessi perché cospiriamo alternative “impossibili” mentre la crisi impone delle “urgenze” a cui solo il tal blogger di un geniale economista keynesiano inascoltato, o il tal sito signoraggista, o il tal leader populista, possono dare una risposta immediata e popolare. In questo vedo una simmetria quasi perfetta con la retorica dell’emergenza nazionale che ha giustificato i governi tecnocratici in Europa, il ricorso a misure “insufficienti ma necessarie”, agli “esperti”, ai “volti nuovi” ecc.

    Purtroppo mi sembra di leggere spesso lo stesso scetticismo e lo stesso ripiegamento verso la scorciatoia anche in chi invoca il mutualismo non come complemento o come leva di lotte più generali e rivendicative, ma come fuga da problemi troppo complicati. Ho partecipato negli ultimi anni a una manciata di interessantissime attività “mutualistiche”, di solidarietà attiva e di sostegno concreto a chi è colpito dalla crisi; provateci, e poi ditemi se tutti i problemi che sorgono nell’affrontare la situazione secondo i metodi più convenzionali delle lotte rivendicative non emergono esattamente allo stesso modo anche in quei casi – in particolare, i problemi dell’organizzazione, dell’interconnessione di realtà diverse, dell’allargamento del consenso ecc. Provateci.

    Io interpreto tutto questo come una sorta di resistenza all’accettare la complessità e la pesantezza di questa fase; una resistenza che quando non è arrogante merita rispetto perché ha un suo forte fondamento psicologico. Abbiamo un tremendo bisogno di una soluzione, già è stata una bella fatica (mentale e non) passare all’opposizione rispetto alle facili soluzioni offerte dall’Establishment, già ci siamo presi mazzate e denunce ai cortei, e ora dobbiamo pure impegnarci (mentalmente e non) per una soluzione complicata, controcorrente, rischiosa, noiosa, difficile, demodée…? *Ma chi ce lo fa fare?*

    Ecco, forse una domanda che ho letto sottotraccia in molte cose di Luther Blissett/Wu Ming, è “Chi ce lo fa fare?”. Credo che sia una domanda che merita di essere il tema di ulteriore letteratura, soprattutto di questi tempi; io penso che ci possa essere dell’epica, e quindi si possa bandire lo scetticismo post-moderno o l’individualismo o il “nuovismo”, senza retorica del sacrificio eroico.

  45. in un commento precedente wuming1 parlava di giap come luogo di *smontaggio di narrazioni dominanti*, io vorrei dare un contributo a smontare il dibattito pro e contro euro o meglio a destrutturare la lettura unicamente finanziaria della crisi. Senza entrare nei dettagli, ci sono ormai decine di pubblicazioni di professoroni che si definiscono etrodossi che spiegano in modo ineluttabile come l’euro sia un fallimento e come lo fosse ad origine e di come sia la ragione di tutti i mali che ci attanagliano. i professori hanno tecnicamente ragione la moneta unica crea delle contraddizioni e degli antagonismi enormi che se non affrontati possono portare a disastri.
    ma e’ qui il passaggio ambizioso, la moneta unica sta’ creando una forza destituente dal basso comune in tutta europa che cresce incessantemente, uno sciopero tipo n14 di portata europea non si era mai visto, tornare alle monete ora vorrebbe dire disinternazzionalizzare le lotte, rinchiudersi nei singoli orticelli nazionali e sopratutto dimenticarsi quale e’ l’epicentro del problema : la demolizione del lavoro subordinato e l’esaltazione della competitivita’ come credo trascendente.
    una lettura approfondita della lotta all’austerity si dischiude in decine di frammenti che vanno dal reddito di cittadinanza ad un welfare unico a condizioni di lavoro uniche per tutti, alla protezione dell’ intelligenza collettiva e di tutti i beni comuni. E allora vogliamo rinunciare ad un fronte potente di lotta di portata transnazionale per tornare a parlare di inflazioni e svalutazioni competetive ?
    i tecnicismi antieuro sono equiparabili all’ ottusita’ delle ricette dei tecnocrati pro euro perche’ in linea teorica sono entrambi corretti ma in nessuno dei casi si storicizza la crisi. se non si abbatte il totem della competitivita’ dell’ efficienza e della produttivita’ (tutti concetti che si traducono in sfruttamento dei lavoratori e dell’ ambiente) non c’e moneta locale che tenga, i problemi rimangono, forse cambiano nome ma rimangono tali e quali . Io vedo con grande preoccupazione il dibattito sull’ euro da sinistra perche’ andrebbe ancora una volta a sviare l’attenzione ed a dividere un fronte europeo di lotta in un momento cruciale della storia in cui si puo’ vincere.

    • …è un po’ come dire che il nazifascismo non era male perchè univa tanti nell’antifascismo :-)

      • beh forse mi sono espresso male io, non penso che la moneta unica sia un male quindi non e’ comparabile a nessuna forma di dittatura, io penso che la moneta unica sia neutra e non sia il problema reale, non penso che sarebbero state rose e fiori senza moneta unica, non mi sembra che l’inghilterra stia passando un periodo di floridita’ ed eguaglianza. Penso che la moneta unica stia facendo emergere contraddizioni che gia’ esistevano ma le sta’ facendo emergere in un tempo comune ed in luogo che sta’ diventando comune. Le origini della crisi vanno ricercate negli anni 90 o addirittura 80 in periodi pre euro, secondo me l’ euro e’ il falso nemico che ci accingiamo a combattere a vuoto. riva e marchionne scomparirebbero con la lira o si rafforzerebbero ? se tesoro e banca d’ italia si unissero di nuovo aumenterebbero i salari, smonterebbero la tav e ripulirebbero taranto ? io ho dei seri dubbi.
        Penso che la battaglia contro l’ euro possa diventare addirittura controrivoluzionaria e controproducente, lottare per dettarne le regole potrebbe diventare un terreno comune di lotta di milioni di persone , un collante internazionale senza precedenti. @bipolare sono sicuro che scherzassi :-p

        • No non scherzavo, anzi ti citavo:

          “la moneta unica sta’ creando una forza destituente dal basso comune in tutta europa che cresce incessantemente, uno sciopero tipo n14 di portata europea non si era mai visto”

          ma ora che dici che sei favorevole capisco che intendevi dire che l’euro ha unito i lavoratori europei contro le politiche di austerity (addirittura)…Pensavo invece ti riferissi all’euro come causa principale di questa crisi e quindi come “nemico comune” (il paragone col nazismo era ovviamente un’esagerazione).
          Beh questo è uno dei casi che Mauro citava sopra, tutti d’accordo ma…non troppo :-)

    • Penso che tu abbia colto nel segno: ai capitalisti e ai burocrati di Bruxelles non interessa ciò che può dirti un Bagnai o un Borghi. Non è vero che, se uno o più paesi usciranno dall’euro, seguiranno le procedure ordinate e razionali dei professorini. Seguiranno la logica del profitto dei padroni, e in particolare dei padroni tedeschi, o comunque di chi avrà la forza di imporre la propria volontà.
      Gli slogan dovrebbero essere quelli della riduzione dell’orario della giornata lavorativa, della patrimoniale…ripeschiamo gli evergreen e attualizziamoli, è molto semplice.

  46. Ricollegandomi al post di Raffaele qui sopra, dal momento che il 14N è stata una prima risposta internazionale, seppur timida, alle politiche neoliberiste sovranazionali, può qualcuno spiegarmi perché farebbe tanto schifo una parola d’ordine del tipo “per una federazione delle repubbliche socialiste sovietiche europee”?????

    P.s. sì, esattamente, un po’ vuole essere una provocazione…

    • @miche

      “Federazione socialista europea” mi sembra una buona parola d’ordine anche non come provocazione!

      Toglierei la parola “sovietica”che oggi come oggi è poco comprensibile; una “repubblica sovietica” non è altro che una “democrazia consiliare” ma considerato che per quasi settant’anni si è chiamata “sovietica” una cosa che non aveva alcun soviet si rischiano fraintendimenti. :-)

      Però, insomma, il concetto che si deve rifare un’altra Europa uscendo da questa a me non sembra difficile da capire, né da spiegare; il problema è che spesso su questo punto manca chiarezza, e chi avanza una prospettiva continentale (e oltre) sembra che in qualche modo difenda l’idea utopica di poter correggere e riformare dall’interno l’Unione Europea. Dovremmo inventarci un’altra bandiera europea – e che ci sia del rosso per cortesia.

      • Hai ragione, Mauro, oggi la parola “soviet” è il contrario del concetto chiaro e concreto: quasi nessun lavoratore sa di cosa stai parlando, se parli di soviet.
        Giustamente, bisogna ri-insegnare il concetto (e la pratica) di consiglio dei lavoratori o consiglio operaio, che poi così ti distingui anche dai destroidi che l’italiano non sanno più cosa sia.
        Il problema è che lo slogan degli stati uniti socialisti d’europa (o quel che è) è chiaramente giusto, ma solo per pochi (tra cui diversi giapsters)…e per gli operai? Se noi proponiamo l’uscita dal capitalismo a lavoratori che non si possono definire nemmeno classe, vista l’assenza di coscienza e di organizzazione, quali risultati speriamo di ottenere?
        Se non riusciamo a elaborare un programma di transizione che riesca a ottenere delle vittorie, o perlomeno a limitare le sconfitte prossime venture, è inutile estrinsecare a briglia sciolta i nostri bei sogni. Oltretutto, ai capitalisti che stanno facendo la battaglia valutaria per vedere chi vince tra euro e dollaro, e per vedere se l’euro crolla o no, non interessa nulla dei nostri slogan: la storia si muove comunque lungo i suoi binari capitalistici quando il movimento operaio e i suoi partiti sono deboli come oggi.
        C’è da considerare che, se è vero che l’Europa si avvia verso il capitalismo “puro” statunitense, eliminando sempre più le differenze culturali e sociali che la contraddistinguono degli usa, noi dovremmo pensare che ““Un concreto passo avanti verso il movimento reale è degno di centinaia di programmi” e agire di conseguenza, lasciando perdere le parole d’ordine giuste ma al momento totalmente inefficaci,o non avremo le forze necessarie quando effettivamente e storicamente sarà il momento di fare la federazione socialista europea. Momento che auspico essere vicino.

      • Ah, un’altra cosa: non sarà il caso di applicare la dialettica anche all’euro? Non sarà il caso, cioè, di studiare in che modo l’euro si rivela utile per le borghesie europee nella loro lotta contro la loro crisi, e nella lotta contro la valuta dollaro? A cosa serve parlare di euro e di UE, se non comprendiamo come pensa e perché agisce in certi modi la classe dominante?

        • Riconosco a tutti quelli che qui sono intervenuti contro l’euro (anche se non sono d’accordo con la loro prospettiva) di avere spiegato la sua natura “di classe”, nei limiti dell’accettabile senza andare OT. Su giap c’era già un post di Mauro Vanetti sul tema. Insomma lo studio del come l’euro sia utile alle borghesie europee è abbondantemente avviato, salvo forse l’aspetto di concorrenza con il dollaro al quale si interessano soprattutto i marxisti.

          Da qualche parte qua sopra ho aggiunto qualche considerazione sul perché l’euro sia parso appetibile anche ai sindacati, consapevoli che avrebbe comportato come minimo un lungo periodo di moderazione salariale. Penso che abbia giocato molto l’illusione del welfare all’europea, quel qualcosa che ci rendeva diversi da / alternativi a gli Stati Uniti. E’ un’illusione che secondo me pesa anche sui movimenti di oggi. Per esempio il reddito di cittadinanza è una rivendicazione anche ‘giusta’, ma quello che circola nel discorso collettivo è qualche lontano ricordo di quello che erano i sistemi di welfare del nord Europa.

          • Mi pare una posizione intellettualmente onesta, così come ho trovato proficua la discussione.
            Solo una chiosa: pensare l’euro come strumento classista non significa non volere la formazione di una democrazia europea, così come voler tornare alla moneta sovrana non è una nostalgia nazionalista (almeno non per forza).
            Significa semplicemente riconoscere l’ovvio, ossia che la gestione dell’euro è stata anti-democratica, anzitutto perchè, per citare enea-Monti, “al riparo dal processo elettorale”. Si può lavorare per un’Europa democratica, ma questa non lo è e non lo era, mentre per poco che sia, qualcosa a livello nazionale si ha.
            Pensare che avere un’unica valuta portasse tutti ad avere maggiori diritti, o un welfare alla nordeuropea è stato un grosso errore ed ora i fatti lo dimostrano.
            Certo quando usciremo non scorreranno latte e miele, forse altri conflitti ancora più pericolosi nasceranno, ma insomma…Un gradino per volta,no?

            • Una parola d’ordine come “federazione socialista europea” apre ad una contraddizione in seno alla sinistra, non solo italiana, non da poco.

              Il frame euro sì, euro no credo sia ormai uno dei dibattiti più accesi tra noi compagni.

              Personalmente penso che ritenere valida una parola d’ordine come quella del ritorno alle valute nazionali sia controproducente e fuorviante.
              Nella storia d’Italia abbiamo avuto un esempio, quello dell’unificazione del 1861, che secondo me ha enormi similitudini con il processo che stiamo vivendo oggi con l’ unione europea.

              E non considerare quella fase come quella di oggi derivante da un processo dialettico dei blocchi storici dominanti è un errore di fondo che non possiamo permetterci.
              Davvero si pensa che il problema dei braccianti agricoli e dei contadini del sud Italia post unificazione fosse la lira??
              Un ritorno al ducato avrebbe significato realmente qualcosa di progressivo??

              Vero è che oggi non si è più in una fase di capitalismo primitivo, tuttavia si è propria sicuri che in futuro una lira contro il dollaro avrebbe così tanta vita facile considerando anche che si sarebbe tagliati fuori in larga parte dai mercati di sbocco principali, essendo per di più un paese importatore di energia??

              Se oggi si sta vivendo un processo di franco-germanizzazione dell’europa come allora avvenne un processo di piemontesizzazione del meridione è perchè il blocco storico struttura sovrastruttura franco-tedesco è prima di tutto il più avanzato d’europa, in secondo luogo è il centro geografico del mercato unico europeo ed infine sono entrambi paesi esportatori di energia almeno fino a Marzo 2011.

              Da comunista allora dico che volgere lo sguardo contro la grande borghesia franco tedesca ed i loro vassalli negli altri paesi europei deve essere la parola d’ordine chiave odierna, l’obiettivo la presa del potere europea in chiave socialista.

              Non è nè un sogno nè un utopia, è ciò a cui il proletariato europeo deve guardare per non perdere il treno con la storia.

              E personalmente a me questa prospettiva scalda anche il cuore e sentirmi accomunato ad un operaio spagnolo o greco o portoghese o olandese o francese o tedesco ecc. mi dà una forte carica.

              Fronte unico e prospettiva socialista europea.

              • Esatto. La lira sarebbe un passo indietro. Un ritorno alla frammentazione. Qualsiasi lotta non verrebbe pregiudicata da una moneta comune. Il rischio che l’Italia ed il sud Europa diventi economicamente debole come il meridione italiano dopo l’unificazione è un’altra questione.

    • “Perché farebbe tanto schifo una parola d’ordine del tipo “per una federazione delle repubbliche socialiste sovietiche europee”?????”

      Perché ai lavoratori dell’Europa non può fregare di meno. Abbiamo già tantissime difficoltà a cercare di convincere i lavoratori della necessità di una rivoluzione socialista, se addirittura gli diciamo che la vogliamo fare su scala europea, per costruire uno stato europeo non possiamo aspettarci altro che una sequela di pernacchie e un’ulteriore fuga a destra dei giovani che essendo inesperti tendono a vedere come unica differenza fra noi e i fascisti (che in tempo di crisi tendono sempre a rivalutare la loro idea “sociale”) l’atteggiamento verso l’Europa. Dovremmo smetterla con l’europeismo noi di sinistra, ci ha fatto solo del male.
      Tutto questo non vuol dire certo che dovremmo puntare al protezionismo e all’isolamento e nemmeno vuol dire una rivalutazione del “socialismo in un solo paese” che è chiaramente impossibile. Dovremmo piuttosto puntare a costruire un’organizzazione internazionale tipo ALBA in America, che comprenda più che altro i paesi mediterranei dato che una relazione con essi può riuscirci più facile (per similitudine delle condizioni di sviluppo) ed utile rispetto a quella con i paesi scandinavi ad esempio.

      • Sono molto scettico sulla possibilità di traslare in Europa esperienze latinoamericane. I contesti sono lontani, e le storie dei due continenti sono radicalmente differenti. L’Europa ha una storia davvero *pesante*, non mi stancherò mai di ripeterlo.

        Per dire, le sinistre latinoamericane possono usare con meno remore la parola “patria”, perché lì ha anche la connotazione di “patria grande”, intesa come l’intero continente. E’ un’idea che risale fino a Bolivar ma trova la sua più compiuta espressione in Jose Martì, che tra l’altro insisteva molto sulla natura *creola* e *meticcia* del continente-patria.

        Qui da noi, le parole “patria” e “nazione” attivano subito tutt’altro sistema di riferimenti. Se il frame “europeista” ha avuto un relativo successo, non è per chissà quale complotto mediatico-tecnocratico-massonico, ma è perché è stato presentato come antidoto alle logiche che avevano causato due guerre mondiali di fila con epicentro in Europa, e centinaia di milioni di morti. Questo non possiamo dimenticarlo, non possiamo schiacciare riflessione e prospettiva sul presente che viviamo o al massimo sul passato recente. Si finisce per fare giochini geopolitici d’accatto.

        Ad esempio: tu parli di “paesi mediterranei”, intendo immagino quelli dell’Europa meridionale e quelli del Nordafrica. Non è così semplice dire che siamo sulla stessa barca. Noi siamo stati e in una certa misura – anche se politicamente e militarmente “declassati”, perché subalterni agli USA – siamo ancora un paese colonizzatore e razziatore, e il mediterraneo è stato la nostra zona di colonizzazione e razzia. Basta elencarli per rendersi conto che l’Italia (l’Italia unita, lasciamo perdere la storia precedente) quegli stati li ha invasi quasi tutti, e altri li voleva invadere ma non c’è riuscita.

        Albania: occupata nel 1919, ri-invasa nel 1939, gli italiani vi hanno compiuto numerosi crimini di guerra e contro l’umanità, le cui ripercussioni non ha mai affrontato in maniera minimamente seria.

        Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro: terre che abbiamo invaso, occupato, “italianizzato”, devastato a più riprese dal 1918 al 1945. Un legittimo sospetto nei confronti dell’Italia è ancora molto diffuso in tutti i Balcani.

        Grecia: invasa nel 1939, e anche lì, crimini di guerra e massacri a iosa.

        Libia: invasa nel 1911, “riconquistata” negli anni Venti e Trenta, ci abbiamo sperimentato ogni sorta di schifezza (torture, deportazioni, impiccagioni di massa) finché in Cirenaica non abbiamo compiuto un genocidio. Il rapporto tra Italia e Libia è sempre stato condizionato da questi pesanti precedenti, che adesso sembrano messi “in frigorifero”, ma torneranno fuori.

        Due casi a parte, non assimilabili ai precedenti ma comunque citabili a qualche proposito, sono la Spagna e la Tunisia.

        Spagna: nel 1936-38 l’Italia ha contribuito a stroncare la repubblica spagnola e a insediare una dittatura che poi è durata quarant’anni.

        Tunisia: volevamo prendercela nel 1881, e invece se la sono presa i francesi, così almeno possiamo dire che certe cose le han fatte loro e non noi. Ciò non toglie che avevamo tutta l’intenzione di farle.

        Per fortuna, in buona parte di questi casi, vi furono anche italiani che combatterono dall’altra parte, con le resistenze antimperialistiche, ma il ruolo ufficiale del loro paese era diverso.

        Da noi manca il presupposto della “patria grande”, ogni investimento sulla nazione deve fare i conti con il sangue (inteso come crimini compiuti ma anche come retorica della stirpe). Temo che un’ALBA fatta di “piccole patrie” mediterranee – per giunta, se ho capito bene, in esplicita contrapposizione al Nordeuropa – sarebbe un festino di cadaveri insepolti.

        Non sono sicuro di essermi spiegato come avrei dovuto.

        • E io non sono sicuro di aver capito bene XD

          Tu dici che in America c’è una cultura “pan-americanista” che ha permesso che ALBA e i vari movimenti locali si svilupassero e si affermassero, cosa che in Europa non c’è. Messa così però sembra rafforzare la mia affermazione: in America, pur avendo questo collante culturale comune si sono limitati ad una semplice organizzazione di cooperazione economica; da noi senza avere alcun collante culturale abbiamo fatto un’organizzazione semi-politica e spingiamo per la costituzione di un vero e proprio Stato.

          Il nostro rapporto storico col mediterraneo (al tuo elenco aggiungerei la Turchia e toglierei la Spagno dato che lì abbiamo anche mandato migliaia di persone a combattere contro Franco) è un ulteriore motivo per pensare ad una semplice cooperazione economica, invece che ad un’unione politica che è troppo impegnativa dal punto di vista culturale. È più facile farci accettare da quei paesi come gente con cui fare affari che come fratelli coi quali unirsi.

          Le parole patria e nazione purtroppo sono state distorte a tal punto che si tende ad associarle al fascismo eppure non mi pare impossibile recuperarle. Pensiamo alla figura di Garibaldi, tanto per fare un esempio, che dopo aver combattuto per anni contro i francesi per fare l’Italia, andò a combattere coi francesi per difenderli dai tedeschi. Più che altro penso che DOBBIAMO recuperarli perché i lavoratori rifiutano quasi in blocco il concetto di Europa come unità antropologica e politica e se insistiamo coi propositi europeisti non facciamo altro che lasciarli in pasto ai fascisti. In fondo si tratta di scegliere fra una nazione che è percepita come esistente ed una che è considerata inestente, non si tratta di escludere la parola nazione dalla nostra relazione coi lavoratori.

          I rapporti fra i paesi e fra i popoli possono cambiare molto velocemente. I francesi e gli inglesi si sono combattuti per secoli eppure a metà ottocento sono riusciti a diventare alleati.
          Pensiamo anche ai finlandesi, che per secoli sono stati una colonia svedese e nel dopoguerra contribuirono con gli svedesi a fondare il Consiglio nordico.

          L’opposizione col nord Europa comunque è puramente economica: siccome loro sono in una condizione di sviluppo economico assai maggiore rispetto ai paesi del sud Europa è più sensata una cooperazione economica fra paesi economicamente simili che fra paesi diversi.

          • @Cernunnos

            Parlerò con lavoratori diversi da quelli a cui parli tu, ma io tutto questo odio verso l’Europa non lo vedo. Direi anzi che uno dei problemi è che si ingoiano ancora molti rospi in nome della necessità di “stare in Europa”; in Grecia, dove ci sarebbero motivi ben più forti che in Italia di avere in odio l’Unione Europea, l’argomentazione che ha permesso di contenere la crescita elettorale di Syriza è proprio quella che con una vittoria di Tsipras si sarebbe rischiato “l’isolamento”, e lo stesso Tsipras ha dovuto opportunisticamente inseguire questo sentimento di massa.

            Addirittura, in Italia, uno dei Paesi più europeisti del continente, anche i fascisti parlano sempre di Europa. Troverei piuttosto inquietante che ci mettessimo proprio noi a fomentare un nazionalismo ristretto che è superato dalla stessa borghesia.

            Si tratta semmai di separare l’europeismo inteso come aspirazione storicamente fondata all’unità del continente da una sua realizzazione distorta e reazionaria che si chiama Unione Europea. Del resto, questo è esattamente lo stesso processo con cui si sono unificati i popoli dell’ex Impero Russo sulla base della distruzione della “prigione dei popoli” zarista, della sua base economica, del suo apparato statale, della sua ideologia, dei suoi simboli. Anche la Resistenza europea si è basata sulla negazione dell’unificazione europea come la intendeva l’asse Roma-Berlino, ma al tempo stesso su un’aspirazione all’unità continentale su basi diverse (un’aspirazione immediatamente frustrata dalla divisione in blocchi ecc., ma idealmente c’era quella spinta).

            Il fatto è che unificare l’Europa è un’esigenza storica pressante, quel che vediamo con questa crisi è che il capitalismo non è in grado di farlo veramente, così come il capitalismo italiano non è stato in grado di unificare veramente il Paese. Non credo che possiamo rispondere a questa contraddizione in modo diverso che prendendo su di noi questo compito storico. In questo vedo una certa assonanza con due casi simili ovvero l’unificazione della Patria Grande latinoamericana e l’unificazione della macronazione araba, con l’avvertenza segnalata però da Wu Ming 1 e cioè che lì si tratta dell’unificazione di regioni del mondo a carattere prevalentemente coloniale, mentre qua siamo tutti in varia misura dei colonizzatori.

            Se l’America Latina e il mondo arabo possono unificarsi solo vincendo una lotta contro un forte imperialismo esterno e in subordine la debole “borghesia compradora” locale, noi dobbiamo soprattutto combattere contro un potente imperialismo interno. Anche solo dal punto di vista narrativo, simbolico, propagandistico, non è una differenza da poco.

          • Il problema, secondo me, è che dalla giusta critica dell’Unione Europea reale (che, sono d’accordo, è una roba mostruosa) si fa derivare una critica generalizzata a qualunque discorso “europeista”, e anziché ripensare dal basso la contro-Europa delle lotte e della solidarietà, si torna indietro, alla patria e alla nazione. Sulla base di cosa? Del fatto che i lavoratori “non vogliono più sentir parlare d’Europa”.

            Ammesso che la premessa sia vera, mi sembra che la strategia che se ne trae sia davvero al ribasso e di corto respiro. Invece di diffondere consapevolezza critica, spiegare agli incazzati e ai disperati che la controparte non è l’Europa come spazio comune, ma l’UE + la Banca Centrale Europea, istituzioni sovranazionali al servizio di sfruttatori e speculatori, dovremmo adagiarci sulla confusione, assecondarla, cavalcarla, nell’illusione di saper gestire “da sinistra” il contraccolpo che ci riporterà alla patria e alla nazione? Su quel terreno, sarà sempre più brava la destra populista, perché è il *suo* terreno, sono i suoi frame, è la *sua* composizione di classe a essere ricettiva a certi discorsi.

            A me sembra che ci sia una gran voglia di internazionalizzazione delle lotte. Io uno sciopero europeo non lo avevo mai visto, è una novità importantissima, ma a distanza di pochi giorni mi sembra che chi discute di lotte se la sia già dimenticata. Anni a dire “Peoples of Europe rise up!”, poi quando cominciano a rise up diciamo che è più importante il piano nazionale?

            Attenzione, pensiamoci dieci, cento, mille volte prima di riattivare il frame della patria. Tu citi Garibaldi, che era assolutamente in buona fede, ebbe simpatie per il socialismo e solidarizzò con la Comune di Parigi, ma non c’è bisogno di leggersi tutte le ricerche di Banti per vedere che proprio nella retorica patriottica del Risorgimento c’erano già in nuce il nostro imperialismo, il fascismo, le avventure coloniali. I Carbonari dicevano che l’Italia doveva arrivare fino al Montenegro, cosa che poi cercò di realizzare il fascismo nel ’41, tra inenarrabili massacri. Lo stesso Mazzini diceva che bisognava prendersi i Balcani. La prima guerra d’Abissinia la fece il governo di Crispi, che era stato un braccio destro di Garibaldi.

            L’esempio della patria “panamericana” lo facevo precisamente per dire questo: là riescono anche a ragionare in termini di patria, perché comunque hanno una grande koinè. Possono “accontentarsi” di meri rapporti economici tra nazioni, perché un sostrato di internazionalismo e continentalismo ce l’hanno sempre. Conosce periodi floridi e periodi di magra, ma è sempre attivo. Qui, UE o non UE, abbiamo bisogno di un livello superiore, il “continentalismo” va tenuto vivo soffiando nel mantice, altrimenti si ricade in quella storia di invasioni reciproche, massacri, retorica sui confini, terre “irredente”, suolo e sangue e tutta la merda che conosciamo.

            • Io e Mauro abbiamo scritto in contemporanea due commenti che dicevano le stesse cose.

              • @WM1

                Almeno noi due possiamo costituire una federazione socialista.

              • Io parlerei con quei lavoratori che negli ultimi anni hanno votato Lega. Dubito che siano tutti diventati improvvisamente razzisti beoti da comunisti che erano.

                Non mi pare comunque che l’Europa sia “un’esigenza storica pressante”.

                I popoli russi dopo essersi ribellati alla “prigione zarista” si riunirono… nella prigione stalinista. Nel mondo arabo l’idea di unificazione è portata avanti soprattutto dai partiti islamisti in virtù di una opposizione all’occidente in quanto luogo degli infedeli. Allo stesso modo si origina l’idea fascista di europa, che quando non è basata sulle “radici cristiane”, si fonda su un ridicolo panindoeuropeismo (che esclude i popoli di lingua satem e include gli uralici =_=’).

                Sul discorso dei garibaldini, dei mazziniani, ecc. del patriottismo italiano che si è trasformato in nazionalismo, vorrei annotare il fatto che questo è successo in Italia ma non è detto che debba andare così. In Irlanda sono riusciti a produrre un’idea nazionale anche di sinistra, tanto da annoverare fra i loro padri James Connolly e non hanno sviluppato alcuna idea imperialista.

                La forma dello stato dipende dalle esigenze della classe dominante ma una volta abolita la società classista potremo scegliere la forma statale migliore e come per la Palestina proponiamo l’idea “due popoli, due stati” per l’Europa dovremmo proporre 27 popoli 27 stati (anzi, servirebbero pure più stati, per i catalani, i baschi, gli scozzesi, i bretoni, i gallesi, ecc.). Il che, una volta attuato il socialismo, non potrà più portare ad odi nazionalista allo stesso modo in cui l’Europa della borghesia non può in alcun modo essere una garanzia per la pace.

              • Cernunnos, scusa, ma il parallelismo non funziona. L’Irlanda non è mai stata una potenza imperialista, noi sì, da sempre. Nell’anno della morte di James Connolly (1916), noi avevamo già preso l’Eritrea, la Somalia e la Libia, avevamo tentato di prenderci l’Abissinia e stavamo combattendo una guerra per prenderci i Balcani, l’Albania e addirittura possedimenti in Anatolia, tutta roba che ci era stata promessa col Patto di Londra del 1915. L’Irlanda è stata storicamente una colonia, noi siamo stati storicamente colonialisti, anche prima dell’Italia unita: Venezia era una potenza coloniale, Roma è stata per mille anni l’epitome del centro dell’impero. La nostra tradizione è imperialista, non ci sono cazzi, e il nostro nazionalismo l’ha sempre richiamata tutta in un colpo, come si può ben vedere leggendo il testo dell’Inno di Mameli.
                Precisando a scanso di equivoci che considero i “neoborbonici” dei poveracci e delle teste di cazzo, vorrei ricordare che anche l’Italia unita è l’esito di un processo coloniale, quello dello stato piemontese, che anche prima dell’Unità d’Italia partecipava già per conto suo a conflitti imperialistici (vedi guerra di Crimea).
                Quindi, da noi parlare di patria e nazione è un filino più rischioso che farlo in paesi che sono stati sempre e solo colonie e hanno sviluppato la loro idea di patria in opposizione a un imperialismo. Noi *eravamo* (e direi che tuttora siamo) un imperialismo.

              • @ Wu Ming 1: Sì, hai ragione, il paragone con l’Irlanda è inconsistente. Eppure mi rifiuto di arrendermi all’idea che sia impossibile per l’Italia realizzare un nazionalismo senza imperialismo (ovvero un patriottismo). Nazioni fratelle di nazioni al posto di nazioni che si mangiano nazioni e di nazioni che odiano altre nazioni.

            • Appunto si tratta di vedere come la borghesia europea è mutata e sta mutando ed entrare nelle contraddizioni che provoca.

              Se il blocco storico egemone non è più espansivo ma oligarchico come sta succedendo, esso modifica il suo blocco storico di classi subalterne (il ceto medio in regressione) e di popoli subalterni nella periferia ricapitalistizzata e ricolonizzata.

              E allora si tratta di entrare in quella dicotomia che si sta instaurando intensificando i frames contro l’oligarchia europea come tra l’altro mi sembra stia, pur timidamente, avvenendo nelle lotte.

              Inoltre, per restare sempre nel topic della ricerca della contraddizione, se può servire il buon Grillo promosse non molto tempo fa un sondaggio sul suo blog sull’uscita o meno dall’euro e per suo grande stupore la maggioranza è stata a favore di una permanenza tanto che il problema è stato per il momento messo sotto al tappeto…

              P.s. nella federazione siamo già in 3 =P…

  47. Buonasera a tutti,
    come sempre ottima discussione. L’argomento da un pò di tempo è sempre quello, l’organizzazione.
    Sono un pò di giorni che ci rifletto, ma a me sembra sempre più evidente che finchè non faremo i conti con il concetto di *rappresentanza* difficilmente scioglieremo il nodo gordiano e centrale dell’organizzazione politica.
    Può esistere un’organizzazione che faccia la sintesi politica delle differenti lotte sociali articolate nei territori senza divenire rappresentanza politica di quelle lotte? Secondo me, è molto difficile.
    Il problema è che in questo ventennio tutti i movimenti politici e sociali sono nati sotto l’ombra di una feroce e incessante critica della rappresentanza. Se c’è un punto politico condiviso anche dalle aree politiche più differenti sta proprio nel tentativo di ripensare i concetti di rappresentanza e delega del politico.
    Ora, siccome il nodo centrale di oggi, che ogni tanto emerge ma il più delle volte rimane sottaciuto, è quello di un’organizzazione che riesca a dare un contenuto politico comune a tutte le varie articolazioni della lotta di classe, secondo me questo nodo non può essere sciolto senza una presa di posizione netta e soprattutto chiara sul concetto di rappresentanza politica.

    Detto in estrema sintesi, credo che organizzazione significhi (anche) rappresentanza. Fino a quando non ci chiariremo che un conto è criticare le attuali forme deteriorate di rappresentanza, un altro è criticarne il concetto in quanto tale, difficilmente caveremo un ragno dal buco.

    Un saluto
    Alessandro

    • Giusto, è vitale (soprattutto per i comunisti, se consenti la parolaccia) che sia chiara una cosa: non è vero che tutti possono fare e decidere tutto. Da qui nasce la necessità di delegare compiti a “commissari” che hanno le competenze adeguate a portare a compimento tali compiti.
      Il problema per me (ma non solo per me) è che la critica alla rappresentanza deve avere come punto fermo il pensiero che essa non può che essere critica della rappresentanza borghese, cioè della “democrazia” parlamentare attualmente in vigore in Italia e in gran parte del mondo capitalista. La critica della rappresentanza, cioè, deve saper evidenziare le contraddizioni e le mancanze della rappresentanza borghese (borghese perché funzionale al dominio dei borghesi sulla società) e porre in alternativa la rappresentanza e la democrazia dei lavoratori, cioè i consigli operai (vedi sotto mia risposta a mauro).

      • (vedi *sopra* non *sotto*) mannaggia ai commenti brevi impostabili.

      • parli di una rappresentanza che rimanga sullo stesso livello di ciò che rappresenta?

        • Io parlo dei lavoratori che delegano ciò che non riescono o non possono fare a dei delegati-commissari, i quali chiaramente non devono diventare una casta o una pseudo-classe avente prerogative esclusive; quindi sì, la rappresentanza non deve essere ad un “livello superiore” rispetto ai rappresentati.
          In questo senso, è chiara la proposta di limitare lo stipendio dei deputati dei partiti operai ad una paga equivalente a quella di un buon operaio specializzato.

          • livello superiore?casta?pseudo-classe exclusive?…stai parlando di sindacato!

            • Eh, anche questa è una cosa seria: non abbiamo un vero sindacato di classe…anche perché, come ho già scritto, manca la coscienza, quindi è difficile che i lavoratori si organizzino adeguatamente, nè in ambito sindacale nè come partito.
              Infatti, è inutile chiedere scioperi prolungati finché i sindacati (visto che i consigli operai non ci sono) non organizzano casse di resistenza: la gente deve mangiare.

  48. Su questo argomento bisogna andarci coi piedi di piombo, perchè diversi aspetti delle critiche di questi anni al concetto di rappresentanza non sono campati in aria e vanno affrontati.
    Il problema è che il rifiuto della delega politica ha da una parte prodotto quello che tu dici, e cioè che “tutti fanno tutto”, per cui senza una divisione dei compiti tutti i compagni si seguono tutti i percorsi creando confusione e scarsa efficacia.
    Un altro aspetto, fondamentale, è che l’assenza di criteri formali e riconosciuti di crescita politica e di distribuzione delle competenze non hanno prodotto un’assenza di accentramento politico (a questo punto, magari!), ma lo stesso accentramento però non fondato su criteri di democrazia interna, ma basato su altre logiche, più indirette, informali, poco chiare.

    Insomma, invece di regolare chiaramente – democraticamente – la logica della rappresentanza, che inevitabilmente si produce nelle strutture politiche, non la si è affrontata, teorizzando il tutto con il rifiuto di tale logica. Questo non ha prodotto nulla di buono, almeno secondo il mio parere.

    Cosa c’entra tutto questo con un programma politico che unisca le lotte? Secondo me c’entra, perchè rifiutando il concetto di rappresentanza politica, ognuno dovrà occuparsi unicamente delle proprie lotte, e nessuno avrà la delega politica per sintetizzare politicamente tutte quelle lotte che invece devono essere sintetizzate per produrre un programma politico che si efficace.

    Ovviamente, sto tagliando con l’accetta dei discorsi che sarebbero molto lunghi.

    Alessandro

  49. @ Alessandro Militant

    Sono d’accordo che il problema è proprio quello della rappresentanza e dell’idea di rappresentanza. E’ quella che è entrata in crisi ormai da tempo, al punto che il fenomeno M5S si basa proprio sulla negazione della delega, vista come origine del farsi “casta”.

    E sono d’accordo anche sul fatto che assumersi questo problema, invece di negarlo, come pretendono Grillo e un certo qualunquismo “né-né”, è indispensabile se non si vuole incorrere nel rischio dell’attesa di un nuovo dux populi, uomo del destino, etc. A patto però di assumerlo – appunto – come problema da affrontare e non soltanto come soluzione.

    Non possiamo fare finta che la centralità assegnata al machiavellico partito-guida di gramsciana memoria e leniniana origine non abbia creato le premesse per la sua autonomizzazione dalla classe. Equivarrebbe a ignorare il paradosso di una repubblica sovietica senza soviet (a cui accennava Vanetti in un suo commento), che ha caratterizzato l’esperienza comunista del XX secolo. Ci si è spinti un bel po’ al di là del naturale istinto di autoconservazione di un’organizzazione politica che qualcuno rivendicava in questa discussione; si è addirittura finito per retroagire “contro” la classe. Ma questo è sempre possibile nel momento in cui ci si concepisce come un’avanguardia illuminata, perché ciò può implicare anche volere salvare la classe da se stessa. Il passo dalla dittatura del proletariato alla dittatura sul proletariato si è dimostrato davvero corto. Quando si enuncia “tutto il potere ai soviet” e ci si ritrova a reprimere i soviet (perfino quando ci si chiama Trotzky) la contraddizione, il paradosso, chiamiamolo come ci pare, è servito su un piatto d’argento. Il che non significa che dentro quella contraddizione non si debba agire, sia chiaro, ma – ancora una volta – con il massimo grado di consapevolezza e di trasparenza possibile e non evocando l’organizzazione e il partito come semplice necessità primaria della lotta di classe.

    Ed eccomi quindi a battere sul tasto della cultura politica e dell’etica (oltreché della narrazione di sé e dell’epica), etc. etc.
    Il mio non è il tic di uno zapatista ormai demodé (sic!), ma un richiamo al realismo. Quando mi è capitato di avere a che fare con il sindacato, così come con certe esperienze di movimento, ho potuto constatare che certe logiche e certi usi e costumi da organizzazione “terzinternazionalista” – ancorché ormai con risultati caricaturali – sono tutt’ora intatti, a prescindere dal grado di radicalità che tali strutture esprimono e dalle loro dimensioni.

    Certi aspetti sono un lascito della “nostra” storia, e oggi contribuiscono a produrre sfiducia nella delega e nella rappresentanza. Rispetto alle quali, lo ribadisco caso mai non fossi stato abbastanza chiaro, non ho nulla in contrario.
    Ma solo a condizione che non ci si nasconda da se stessi.

    • @ Wu Ming 4
      Ma guarda, sono perfettamente d’accordo. Infatti il concetto di rappresentanza, come dicevo, va ripensato, ma nel senso di organizzato meglio, non eluso come problema (e qui mi pare che siamo d’accordo). Il partito leninista-gramsciano (che comunque prevedono due tipi ideali di partito abbastanza diverso, l’uno di quadri politici, i rivoluzionari di professione, l’altro il partito di massa, pesante, articolato in ogni ambito sociale), se ha fallito, va indagato dove e perchè abbia fallito. Ha fallito perchè quel concetto di rappresentanza “è sbagliato”, oppure perchè ha prodotto delle degenerazioni che col concetto originario centravano ben poco? Oppure, quel tipo di organizzazione porta inevitabilmente alla degenerazione?
      Ad oggi, l’unica forma organizzativa che ha portato alla rivoluzione sociale è stata l’organizzazione politica del Partito Comunista. Sicuro che quel modello organizzativo sia *sbagliato*, o sia fallimentare?

      Per me, l’unica forza comune che possono avere un contadino della Val di Susa in lotta contro il TAV, un operaio della FIAT di Cassino, uno studente di Bologna e un senza casa romano, oltre alla loro condizione sociale, è un programma politico comune, un programma che dev’essere portato avanti, al centro, da dei rappresentanti politici. Come produrre dei rappresentanti politici “reali”, che siano davvero il frutto di un movimento che dalla base sale verso il centro (e non viceversa)? Come renderli sempre condizionabili dalla base, con processi di controllo politico reali, con mandati sempre in corso di verifica e mai assegnati una volta per sempre? Questa è una parte della discussione che dovrebbe affrontare la sinistra, partendo dal presupposto, come tu dicevi, che è uno dei problemi da affrontare e non la soluzione ai nostri mali.

      Alessandro

      • @ Alessandro Militant

        Non riesco a pormi la questione nei termini di modello organizzativo *sbagliato* da principio o *degenerato* in seguito. Sinceramente sono concetti che faccio davvero fatica ad applicare alla storia politica. Non credo, cioè, che esista un Metodo Rivoluzionario originale, efficace, integro, etc., e le sue degenerazioni. Esiste la storia, ovvero il declinarsi concreto del metodo e dei metodi, volta per volta, a seconda delle circostanze specifiche. L’idea di una corruzione progressiva della buona novella originaria mi suona al contempo troppo religiosa e troppo banale. Anche perché dipende sempre da quale punto d’osservazione si sceglie per guardare la storia. La quale storia non lo so se può essere maestra di vita e di politica. Credo ci serva a comprendere il presente e le sue dinamiche, piuttosto che a fornirci precetti.

        Ma al di là di questo, resta hic et nunc il problema concreto che espliciti: “Come produrre dei rappresentanti politici ‘reali’, che siano davvero il frutto di un movimento che dalla base sale verso il centro (e non viceversa)? Come renderli sempre condizionabili dalla base, con processi di controllo politico reali, con mandati sempre in corso di verifica e mai assegnati una volta per sempre?”.
        Se ci pensiamo sono proprio le domande a cui pretende di dare risposte Beppe Grillo. Proprio per questo raccoglie consensi a sinistra. E li ottiene perché le sue pseudorisposte suonano nuove e liberatorie rispetto all’offerta politica che lo circonda (vedi ad esempio la baracconata ignobile delle primarie).
        Quindi sì, è vero: ripensare la rappresentanza e la sua organizzazione, è forse l’impresa improba, ma necessaria, del tempo che viene. Ehm… sono davvero cazzi amari.

        • @Wu Ming 4

          Pierre Broué ha saputo spiegare meglio dello stesso Trotskij le condizioni in cui operarono i trotskisti e le altre forze di opposizione che cercarono di evitare la trasformazione dell’URSS in una “repubblica sovietica senza soviet”. Il libro a cui mi riferisco è “La rivoluzione perduta”.

          L’impressione che mi sono fatto, e che secondo me getta una luce interessante su certi meccanismi, è che lo stalinismo non si impose affatto attraverso un’usurpazione del partito ai danni della classe operaia, *anzi*: le resistenze alla degenerazione burocratica dentro il partito erano molto più forti che nella classe. Stalin utilizzò il plebiscitarismo *contro* l’avanguardia organizzata. Si vede anche ne “La fattoria degli animali” come le pecore siano i migliori alleati di Napoleon. La prima cosa che fa Stalin per schiacciare l’opposizione di sinistra è la “leva leninista”, ossia far entrare cani e porci nel partito per annacquarlo e favorire il conformismo burocratico.

          I “soviet senza partito” non avrebbero rigenerato la rivoluzione, perché di per sé votare non è una panacea, e vediamo del resto che è proprio tramite l’azzeramento dei corpi intermedi di aggregazione e partecipazione che si impongono ovunque l’individualismo, l’egoismo, la ristrettezza di vedute e quando serve anche l’uomo forte. Se ci pensiamo, fu anche con la trasformazione del PCI in partito di massa che Togliatti ne completò la stalinizzazione, mentre il PCd’I partito d’avanguardia due-tre decenni prima era un partito rivoluzionario. Non voglio fare l’apologia dei pochi ma buoni, solo dire che l’avanguardismo leninista più che un germe di stalinismo storicamente è stato un ostacolo che lo stalinismo ha dovuto schiacciare in vari modi – molti dei quali piuttosto cruenti.

          Questo mi fa pensare che la retorica grillina ma anche movimentista sulla democrazia diretta e sulle assemblee permanenti come talismano contro la burocrazia di partito possa essere una visione un po’ semplicistica. Ci sono modi apparentemente molto democratici per burocratizzare e sputtanare democraticamente “per alzata di mano” un movimento di lotta, uno sciopero, una rivoluzione.

          (Mi scuso per l’excursus ancora una volta russocentrico, ma piaccia o non piaccia sempre all’Ottobre si va a finire quando si scava un po’.)

          • @ Mauro Vanetti

            La retorica grillina è assolutamente semplicistica, altroché.
            Tuttavia la dinamica che descrivi, e che Orwell aveva colto, in effetti, mi sembra soltanto focalizzare meglio il problema, più che ribaltarlo.
            L’impegno di Stalin nell’eliminare i rivoluzionari è stato certosino, e pure Togliatti ci si è messo d’impegno, a modo suo, eccetera, ma questo cosa dovrebbe portarci a dire? Forse che il problema è il passaggio dal partito-avanguardia al partito di massa; dalla rivoluzione permanente alla conservazione del potere, etc. Una volta che l’abbiamo detto resta il fatto che quella retroazione – l’avanguardia che si è fatta “casta” burocratica di mediocri e parassiti (per dirla nella pseudo-lingua grillina) – si è verificata nelle circostanze create dall’azione precedente. Azione della quale fa parte anche la repressione del soviet di Kronstad (1921), come sai meglio di me, a dimostrazione del fatto che ci sono cesure, ma ci sono anche contraddizioni problematiche che preparano il terreno per tali cesure.
            Questo non significa affatto che lo sbocco stalinista fosse e sia sempre necessario, è chiaro, ma, come rispondevo a Militant, ciò non toglie che tocca fare i conti con tutta la storia che abbiamo alle spalle come processo dinamico, e che ancora in buona parte abbiamo tra i maroni (ché lo stalinismo è un abito mentale durissimo a morire, proprio perché è stato assai funzionale ed efficace).

            • Non è un meccanismo abbastanza comune a molte rivoluzioni quando raggiungono il potere? Distruggere le varie correnti con cui hanno iniziato a combattere ma che differiscono da sottili divergenze di pensiero? Queste correnti diventano nemici terribili ed alla fine sopravvive solo il più feroce (Danton-Trotskij). Lotte intestine che spesso mandano tutto in vacca.

              • @Corvus

                Vabbe’, se è per quello è un meccanismo comune non solo nelle rivoluzioni: la gente litiga. Specie in politica: Berlusconi e Bossi, Berlusconi e Fini, Prodi e Bertinotti, Prodi e Mastella… Conosco anche alcune persone che si sono sposate, hanno fatto dei figli e poi hanno litigato. Non mi pare un’argomentazione particolarmente forte né contro né a favore delle rivoluzioni.

                @Wu Ming 4

                Non mi sognerei di aprire un dibattito complessivo su un tema spinoso come l’ammutinamento/golpe/insurrezione di Kronstadt, su cui è difficilissimo farsi un’opinione chiara vista la multipla stratificazione propagandistica. Dico solo che, se parliamo delle origini dello stalinismo, sarebbe interessante vedere dove sono finiti qualche anno dopo il capo della ribellione, Stepan Petrichenko, e quello che è considerato (un po’ forzatamente) il capo della repressione, Lev Trotskij.

                Trotskij nel 1940 viene ucciso da un agente della GPU stalinista. Petrichenko nel 1940 viene arrestato dalla polizia finlandese in quanto agente della GPU stalinista. Sarà un caso eh. ;-)

            • @maurovannetti Argomentavo di rivoluzioni e dei protagonisti che iniziano ad ammazzarsi e continuano con epurazioni e stermini per divergenze su come condurre una rivoluzione e mi rispondi che è normale che la gente litighi. Il problema è che le rivoluzioni dopo la parte iniziale devono essere gestite ed in quel momento ognuno si sente depositario della salvezza dell’umanità contro le orde reazionarie e per il bene della stessa è, anche se a malincuore e con molti distinguo, pronto ad innalzare la posta in gioco fino alle estreme conseguenze. Altro che litigare..

  50. il tema del mutualismo è quello che mi interessa di più e che mi pare più produttivo (e meno ‘testosteronico’), fra quelli emersi in questa discussione.
    sono d’accordo con quanto scritto da MartinaM qui sopra, e francamente non capisco invece le critiche cui accennava Mauro Vanetti, poiché “i problemi dell’organizzazione, dell’interconnessione di realtà diverse, dell’allargamento del consenso” di cui parla, anche se reali, per la mia esperienza derivano soprattutto dal fatto che le pratiche mutualistiche sono anzi troppo rare, troppo poco agguerrite (troppo ‘apologetic’) , troppo poco sostenute e rivendicate dalla rete attivista ambiente, troppo spesso troppo monogenere (femminilizzate e ‘feminilizzanti’, in termini identitari, di prestigio, e soprattutto in termini economici), troppo connotate religiosamente e/o moralisticamente (il volontariato cattolico in italia, ma anche, in generale, l’idea e le tradizioni storicamente alla base delle ‘charity’), e soprattutto troppo limitate nello spazio e labili nel tempo.

    e la ragione è in parte quella indicata in parte da MartinaM stessa: per l’attivismo ci vogliono soldi e/o tempo e/o luoghi comuni in cui la coscienza di classe possa formarsi o consolidarsi, vale a dire soprattutto tempi e luoghi comuni in cui le forme di organizzazione più adatte ai vari modi e fasi del lavoro (e anche della vita ‘pratica’, non ‘produttiva’!) possano emergere, essere sperimentate e magari abbandonate, riprese, modificate, migliorate, finché quelle giuste non si consolidano e, si’, sviluppano la loro propria rappresentanza orizzontale (‘sindacato’),
    o addirittura la loro propria versione di una possibile ‘democrazia consiliare’.

    e siamo d’accordo in molti credo che il precariato è il problema più grosso e urgente in questo senso, proprio perché rende difficili o impossibili forme d’organizzazione in buona parte irrecuperabili perché dipendenti da condizioni politiche e sociali in cui il lavoro ha tutt’altra forma da quella di questa fase capitalista.
    e a questo sentire comune aggiungo volentieri che il precariato è soprattutto ‘una questione femminile’, sia perché è una condizione ricorrente nella storia della posizione sociale delle donne, sia perché ‘femminilizza’ ulteriormente chiunque tocchi (e questo in gran parte perché il lavoro domestico e la cura dei bambini non sono stati trattati come problemi ‘abbastanza politici’ dai socialismi occidentali ogni volta che sarebbe stato cruciale farlo; e questo errore si ripete ancora ogni giorno ‘a sinistra’, nel femminismo vissuto sempre come corpo estraneo, separato).

    allora, la mossa che a me pare ovvia logicamente e visceralmente, è guardare a cosa s’è fatto con successo in fasi capitaliste ‘simili’: per esempio in fasi in cui,
    in europa, i padroni fottevano gli operai e lavoratori ( e in particolare le operaie e le lavoratrici) in modi prima inimmaginabili, e contro i quali non esisteva o non era ancora diffusa una griglia di lettura affidabile e stabile, né tantomeno un programma di lotta, né le istituzioni per sostenerlo.
    faccio solo un esempio, il primo che mi viene in mente (ma uno che comunque mi sembra più utile di quello dei soviet): in questi giorni sto leggendo un libro che descrive l’emersione del welfare in vari paesi europei :’maternity and gender politics – women and the rise of the european welfare states 1880-1950s (ed. by gisela back and pat thane, routledge). e lo fa a partire delle mille ‘pezze’ che sono state messe in vari paesi europei (italia, francia, spagna, germania, norvegia, svezia e gran bretagna) per rispondere a emergenze sociali grandi e piccole legate alla maternità e al lavoro delle donne, le quali poco alla volta,
    per effetto pare più che altro cumulativo, hanno dato luogo ai welfare di questi paesi come li conosciamo adesso.
    ora, il dato per me più interessante che emerge da questa lettura comparante, è la totale eterogeneità delle esperienze che hanno dato luogo a questo ‘welfare’ (cui probabilmente fra l’altro faremmo meglio a dare un altro nome, nostro, più antagonista), di fronte alla relativa equivalenza finale dei vari sistemi nazionali
    (pure nelle differenze di forma e quantità degli ‘aiuti’).

    tutto qua, non ho una morale da trarre da questa osservazione, né tantomeno un’idea per una soluzione.
    vi propongo solo questo: di provare a riflettere di più:

    1) sul fatto che la questione di genere è FONDAMENTALE nella riflessione che stiamo facendo, e
    2) che le pratiche di organizzazione non sono mai state progettate in astratto e calate dall’alto su una situazione di lavoro (pagato o no, dichiarato o no, dipendente o no, ecc;), ma sono sempre ‘emerse’, lentamente, confusamente, contradittoriamente (spesso per esempio a iniziativa religiosa-moralista-corporativista-borghese), e soprattutto a partire dalla progressiva presa di parola e iniziativa d’azione SITUATA di chi questo lavoro lo fa-lo ha fatto-lo farà, col proprio corpo, mettendoci sangue, latte, e altra materia corporea varia.

    (a questo punto 2) è chiaro che in tanti ci pensiamo già e agiamo di conseguenza, ma mi pare bene insistere)

    questa crisi in questo senso non è diversa dalle altre (e alla sua comprensione secondo me, a fini pratici di lotta in generale, il problema ‘euro/non euro’ aggiunge poco, anche se invece probabilmente puo’ essere utile in tante vertenze specifiche). il capitalismo è cambiato, ha nuove forme, oinoi, ce lo diciamo spesso su giap e altrove.
    and so what? ci diciamo altrettando spesso che il capitalismo non ha mai fatto altro che cambiare e non ha mai fatto altro che rimanere uguale a se stesso.
    il punto è che la critica teorica al capitalismo non puo’ e non deve essere confusa colla pratica attivista: io vedo la pratica attivista come un’attività quotidiana
    che puo’ avere infinite forme, vettori e intensità, ma il cui tratto fondamentale è che si cerca di risolvere una situazione pratica grave e urgente avec les moyens
    du bord, con quello che capita sottomano, e poi ci si ferma a riflettere su quel che si è fatto, e lo si collega – al livello più basso, più orizzontale possibile -con chi sta facendo la stessa cosa, nello stesso posto o altrove. intendo, si resta concentrati su questo: si tiene fermo e intransigente il piano pratico, cercando la soluzione migliore possibile, e poi si generalizza, ma solo quanto basta per creare le basi per rivendicazioni comuni sempre più ampie. solo cosi’ secondo me fa montare l’onda di un’ organizzazione che ha qualche speranza di avere senso, di resistere, e di durare quanto basta perché altre più forti possano darle il cambio,
    senza che tutto il lavoro si trasformi precocemente in merda a causa delle tipiche guerre interne di cui a sinistra siamo maestri e golosi.

    non voglio fare la lezione a nessuno, e mi scuso se ho detto banalità, e se sono andata off topic, ma non volevo lasciar cadere nel vuoto quanto scritto da MartinaM, che mi pareva importante, e sottovalutato.

    • @dzzz

      Nel mio piccolo ho partecipato a queste tre forme di lotta mutualistica:
      – occupazione di una casa per una famiglia sfrattata (abbiamo vinto, abitano ancora lì);
      – raccolta alimentare a sostegno del presidio Elnagh di Trivolzio (abbiamo perso, anche se abbiamo ottenuto la cassa integrazione);
      – raccolta e distribuzione aiuti ai terremotati al campo delle Brigate di Solidarietà Attiva di Cavezzo.

      In tutti questi casi ho visto che è un tipo di lotta utile e che può entrare in simbiosi con le lotte rivendicative, ma in nessuna di queste esperienze ho visto che questa modalità “risolva” i problemi che si riscontrano nel cercare di estendere e organizzare le lotte rivendicative. Mi sembra anzi che le difficoltà che si trovano là si ritrovino qua, e viceversa. Il che non vuol dire di non farlo, o di trovare una terza via; infatti dicevo “Provateci” e non retoricamente: vale la pena ed è utile. Basta non farne un feticcio o una panacea.

      Esempi sparsi di problemi che ho trovato:
      – “organizzazione”: è difficile mettere in piedi e tenere in piedi l’organizzazione necessaria per fare queste cose, più o meno altrettanto difficile che costruire un partito di classe, un sindacato combattivo, un collettivo radicato ecc.;
      – “interconnessione”: è difficile convincere chi è stato aiutato in un particolare problema pratico a dare una mano a qualcun altro che abbia lo stesso problema o addirittura un problema diverso, non succede automaticamente ed è più o meno lo stesso tipo di difficoltà che si riscontra quando si cercano di unificare le lotte rivendicative di gruppi e categorie diverse;
      – “consenso”: quanto meno il tuo intervento ha caratteristiche caritative e “di tampone”, tanto meno è facile raccogliere consenso tra la gente che non è direttamente colpita dal problema, e anche quando magari ti danno una mano poi, come faceva notare più sotto @Cernunnos, non è che necessariamente si ricordano di te o aderiscono a una visione del mondo più ampia.

      Aggiungo una provocazione. In Grecia Alba Dorata pare che stia facendo un lavoro efficace di sostegno ad alcune famiglie in difficoltà per la crisi. Certo, ti aiutano solo se non sei un immigrato. Domanda: se uno è un greco purosangue, perché dovrebbe ritenere migliore il mutualismo politically correct della sinistra invece di quello ariano dei nazisti? Che “asso nella manica” abbiamo per prevalere noi? Osservazione meno provocatoria: a Cavezzo, i capoccia della Protezione Civile ci han fatto la guerra dicendo che l’assistenza andava fatta in modo apolitico e seguendo le regole e l’organizzazione stabilite centralmente. Con queste argomentazioni e con alcune piccole infamie, sono riusciti a ridurre il campo di intervento delle BSA. Quale potrebbe essere in casi del genere il nostro “valore aggiunto”? Dimostrare che siamo meglio noi come paracadute sociale anticrisi non è più o meno difficile quanto dimostrare che siamo meglio noi come soluzione politica alla crisi?

      Spero sia chiaro il carattere costruttivo e non certo pessimista o scettico di queste argomentazioni.

  51. Vorrei aggiungere una cosa al discorso sul mutualismo. Non è sempre vero che funziona. Rifondazione ha un intero dipartimento dedicato a queste cose (il “Partito Sociale”) che organizza GAP, GAS, sportelli legali e soprattutto si occupa del soccorso in situazioni d’emergenza (con le “Brigate di solidarietà attiva”). Nel periodo del terremoto a L’Aquila mandarono le brigate in zona che per mesi portarono beni di prima necessità raccolti in giro per l’Italia, aiutarono a montare le tendopoli, cucinarono pasti e quant’altro. Poco tempo dopo si svolsero le provinciali e Rifondazione registrò un risultato penoso.
    Action che a Roma si occupa da anni di occupazioni a scopo abitativo, nel 2006 mi pare, si presentò alle elezioni come Romaarcobaleno e raccolse solo un misero 0.qualcosa.
    È chiaro che il mutualismo è sempre utile ma da solo non basta. C’è bisogno di altro perché dia i suoi frutti, anche se non sono capace sinceramente di dire cosa sia.

  52. @Alessandro Militant
    @Wu Ming 4

    Secondo me il punto dirimente è questo e lo è nei termini che avete evocato.

    Rifiuto della rappresentanza per paura di ripercorrere schemi “perdenti” nella tradizione della rivoluzione della gestione del post rivoluzione comunista. Come dice @Wu Ming 4 “Il passaggio dalla Dittatura del a quella sul proletariato” è stato evidente e doloroso.

    Rifiuto perché è un concetto svuotato nella logica odierna in cui le decisioni di natura economica-politica vengono prese da altri organismi sovranazionali (oggi più che ieri, o forse oggi è solo più evidente).

    Però non si può lasciar correre questo concetto in termini politici e rifiutarlo.

    Lo si è fatto per motivi più o meno nobili:

    1 La tradizione dell’autonomia operaia e quindi il creare qui e adesso i rapporti comunisti in spazi liberati senza delega nè sacrifico per un sol dell’avvenire che assomigliava sempre più a un paradiso cattolico: bisogna fare sacrifici ma poi vedrai…ma adesso non parlare di felicità, desiderio eccetera.

    2 Il fallimento dell’esperienza sovietica e delle sue varie declinazioni.

    3 Una ingenua retorica internettiana tipo Levy e l’intelligenza collettiva, le T.A.Z. di Hakim Bey. Retorica riproposta in maniera pedestre (ma vincente) da Grillo.

    4 Foucault Deleuze Negri e tutto il discorso sulla microfisica del potere: finché gerarchia-obbedienza-servilismo-prepotenza saranno presenti nel nostri rapporti quotidiani è inutile che abbatti uno stato per farne un altro che sarà poggiato sulle stesse fondamenta. + un sacco di discorsi fichi su macchine desideranti e deterritorializzanti.

    5 Il movimento femminista che è stata e forse è la parte più avanzata di riflessione sul “personale è politico” e su certe riflessioni sulle nostre abitudini culturali interiorizzate. E questa in realtà è un’appendice del punto 4.

    6 Tutti i discorsi sul “cambiare il mondo senza prendere il potere” + vari buonismi in buona fede sul consumo critico e l’ambiente, tutti giusti ma che molte volte non sono radicali: non vanno alla radice della contraddizione

    7 I centri sociali che sono attraversati da tutte queste pratiche in maniera più o meno bella, efficace o rigida. E dal rifiuto del mondo dei “grandi”. È banale ma “da fuori” si vede solo gente che si fa le canne, si diverte e occasionalmente fa gli scontri e si lamenta perché i poliziotti sono cattivi. Ok, questa è veramente bassa macelleria ma se questa è l’immagine che si veicola qualche domanda bisogna pur farsela e non incolpare il cittadino medio “lavoro-casa-famiglia-andate a lavorare” solo perché ottuso.

    Penso che siamo entrati in una nuova era e non ce ne siamo accorti e forse bisogna pensare più seriamente al problema della rappresentanza, della delega, della gerarchia, e provarne la loro efficacia. È chiaro e triste che il modello potrebbe richiamare il militarismo e l’aziendalismo. Bisogna non dimenticarsi di tutti punti citati-sopra ma non farne delle leggi scolpite nel marmo.

    Deleuze, riprendendo proust, diceva che se gli occhiali non focalizzano bene la realtà esterna bisogna prenderne altri, cioè creare altri strumenti-concetti per decifrare la realtà.

    Ecco non penso che significhi però rimuovere i concetti vecchi per crearne nuovi a tutti i costi e per sentirsi nuovi a tutti i costi. Penso che ritornare su vecchi concetti-pratiche e risignificarle (mettendole quindi anche alla prova di tutta l’esperienza dei punti sopra) sia possibile.

    Anche perché, come diceva @Alessandro agiscono comunque in maniera informale, indiretta, e sono molto più dannose perché non sono chiamate con il proprio nome.
    Rimuoverle non è una soluzione perché tornano a galla e perché è impossibile immaginarsi al di fuori di rapporti di potere. Forse bisogna problematizzarli con tutti i rischi del caso.

    Ok, fine pippone.

    • scusa, ma secondo te il movimento femminista ‘è un’appendice del punto 4″, cioé di foucault-deleuze-negri (qualunque cosa questo mostro tricefalo sia)? ho capito bene o no? perché se ho capito bene, mi pare una boiata.
      oppure intendi che il femminismo è una pia illusione in un mondo di “gerarchia-obbedienza-servilismo-prepotenza”? ma anche in questo caso mi pare una boiata.
      oppure dicevi un’altra cosa ancora che non ho capito?
      puoi spiegare?

      • In effetti è molto veloce e passibile di interpretazioni molteplici quello che ho scritto.

        Mi spiego meglio:
        intendo che il movimento femminista e il discorso sulla microfisica del potere e sul desiderio e sul “personale è politico” (appannaggio del movimento in generale ma sviluppato in maniera più efficace dalle pratiche del movimento femminista) ha fatto focalizzare molto sulle contraddizioni di una certa militanza: gerarchica, maschilista, sacrificale.

        E questo è stato un Bene. Sono delle pratiche che devono essere sempre presenti nelle lotte.

        Quello che intendo è certi concetti come quello di rappresentanza o di divisione del lavoro o di leader, che sono concetti che mentre scrivo mi fanno dire oddio che schifezza proprio perché vengo da una militanza che li ha sempre banditi in nome di autonomia-tutti fanno tutto-uguaglianza, sono stati rimossi dalla vulgata movimentista senza essere stati analizzati a fondo. E peggio: la loro rimozione non ne ha prodotto l’eliminazione, ma loro ricomparsa sotto altre forme mai nominate.

        Esempio: in un’assemblea tutti parlano ma guarda caso c’è il compagno/a che s’è fatt* er gabbio negli anni’70 o più efficace retoricamente o ha una visione politica più valida (boh a seconda dei contesti ognuno dei fattori può pesare o meno) che decide o ha l’ultima parola. E allora che problema c’è a chiamarl* leader se svolge effettivamente quella funzione anche se è una parola che noi mai e poi mai useremmo?
        Certe cose emergono lo stesso in maniera informale e agiscono in maniera più potente proprio perché non sono nominate e quindi non sono riconosciute.

        E per esempio se uno viene riconosciuto come rappresentante o leader o addetto a qualcosa si prende la responsabilità di quella cosa. Si prende la responsabilità di scegliere cosa fare in mezzo a mille voci-opinioni che dicono una cosa diversa (e in un’assemblea di venti persone ci sono veramente mille voci). Magari di può pensare un maniera diversa uno stesso concetto e non rifiutarlo apriori.
        O invece no: certi concetti sono banditi perché aziendalisti-maschilisti-militaristi ontologicamente, in sè.
        Io penso che non bisogna bandirli. Forse è una boiata in ogni caso, come dici tu.

        • no, invece sono d’accordo con te che è un discorso importante. sono d’accordo anche sulla descrizione che fai del ritorno del maschilismo represso, per esempio nel setting assembleare, e anzi grazie di aver rispiegato tutto.
          e no, questa non è per niente una boiata, anche perché, a proposito delle assemblee, queste dinamiche sono uno dei motivi principale per cui a tante donne dopo fa anche un po’ schifo aprire bocca.
          solo che, se è cosi’, è appunto il setting che va cambiato. oppure, hai ragione tu, meglio essere onesti and get it over with, smettere di masturbarsi sulla purezza antiautoritaria, in real life e non.

  53. bah, saro’ io, ma con mauro vannetti e cernunnos ho l’impressione che parliamo di due cose diverse.

    il mutualismo che io considero efficace è una pratica di lotta che si sviluppa perché è necessaria alla vita delle persone che la esprimono, e che è sostenuta dalla necessità quotidiana di sostenerla, perché ne va della vita materiale e mentale delle persone che partecipano.

    esempi virtuosi di questo tipo di lotta sono, nelle loro enormi differenze, i gruppi di parola e di aiutoaiuto per i cosiddetti ‘disturbi alimentari’, quelli per lo stupro e la violenza di genere, domestica in particolare, quelli per il movimento ‘health at every size’ (che demistifica e de-medicalizza il corpo obeso), quelli per i trattamenti non farmacologici della ‘malattia mentale’ (o dei presunti ‘disturbi del comportamento’, come nel caso dei bambini diagnosticati add/adhd), e, con distinguo per i vari paesi, quelli che diedero origine alla pianificazione familiare e ai consultori.

    in tutti questi casi, non c’è da fare proseliti né da piazzare un prodotto: la pratica antiautoritaria, antipoliziesca, antipatriarcale, e creatrice di (nuove) istituzioni è la produzione spontanea (anche se ovviamente perfezionabile coll’esperienza e colla politicizzazione) di chi la inventa e difende giorno per giorno per resistere a una minaccia ben concreta, permanente e proteiforme.
    in tutti questi casi non è questione di convincere la gente ad agire, e tantomeno a votare per questi e quelli. è questione di egemonizzare il trattamento del problema comune, e di farlo sia dandone una lettura migliore (per esempio più sensata, più coerente, più dettagliata, più verificabile), sia creando forme di soluzione che anticipano quelle delle istituzioni esistenti, e che sono migliori di queste (per esempio più efficaci, più democratiche, più inclusive, più elastiche-riproducibili in contesti diversi, e meno costose).
    è vero che il problema di ‘creare consenso’ esiste anche in questi casi, ma non nel senso in cui ne parlate voi: perché non si tratta, appunto, di creare un nuovo partito (pratica lodevole, ma che secondo me diventa possibile solo dopo decenni e decenni di ‘invenzioni’ sociali mutualiste e di altro tipo), ma di creare nuove istituzioni, che siano migliori di e antagoniste a quelle esistenti (o di-a quelle incipienti, o di-a altre, meno buone, possibili).

    e perfavore non stiamo a prenderci per il culo, davvero qualcuno pensa che, alla prova dei fatti, a un problema sociale, qualunque esso sia, fascisti di qualunque risma sappiano dare risposte migliori? citatemi un solo caso, se ne avete mai visti.

    (per quanto mi riguarda, l’unico vagamente pertinente che mi viene in mente è quello dell’azionismo cattolico in italia in certe fasi, ma quel caso, come tanti altri simili in altri luoghi e tempi, è stato per certi versi efficace perché ha riempito buchi e punti ciechi delle sinistre presenti sul territorio, sfruttando il fatto che di fronte al radicamento della cultura cattolica (soprattutto col suo fondo pagano, e soprattutto a sud) la sinistra socialista e comunista italiana, colla sua misoginia, il suo paternalismo, e la sua mistica lavorista e del lavoro salariato ha sistematicamente proposto soluzioni assurde e colabrodo).
    io non conosco il caso che citi di alba dorata in grecia, ma per esempio qui in svezia gli sverige demokraterna (che sono un’alba dorata in una fase successiva della sua evoluzione, e homegrown per il consumo scandinavo) adesso si stanno buttando sul sociale per puro opportunismo, con parole d’ordine improvvisate, programmi inverosimili e nessuna esperienza, ma non è certo per questo che il loro seguito aumenta. il loro seguito aumenta perché sono l’unico partito risolutamente nazionalista, e secondo me questa è la forza anche di tanti altri partiti e movimenti di estrema destra in europa che stanno riacquistando massa, e perfino cominciando a fare concorrenza ai comunisti-socialisti-anarchici-libertari-labour che da sempre in epoca contemporanea sono quelli che hanno creato e sostenuto pratiche mutualiste rivoluzionarie fuori e dentro le istituzioni.

    quindi si’, certo, dimostrare che siamo meglio noi come soluzione sociale alla crisi non è più facile che dimostrare che siamo meglio noi come soluzioni politica, alla crisi e in generale. anzi, secondo me in questa fase dimostrare che siamo meglio noi come soluzione sociale è la stessa cosa che dimostrare che siamo meglio noi politicamente, perché la prima cosa è condizione necessaria alla seconda, perché necessariamente la precede, come è sempre stato in tutte le rivoluzioni che hanno funzionato.

    e quando penso a ‘rivoluzione’, il mio modello non è la rivoluzione russa (per dirne una, e per quanto quella e altre rivoluzioni sorelle siano parte di una storia che rivendico),
    ma la rivoluzione che le donne hanno fatto quando si sono riprese il proprio corpo. questa è una rivoluzione non finita, e anzi, recentemente è stata malgestita più o meno ovunque, e ora è in preda a una massa di predatori controrivoluzionari vari, ma è pur sempre l’esempio di una rivoluzione che ha funzionato senza esercito, senza gerarchia e senza avanguardia, con infinite teste e corpi, che per la maggior parte non è stata tradita (con eccezioni, come in scandinavia), e di cui TUTTI beneficiano, anche quelli che non sono ‘organizzati’, ‘interconnessi’, e neppure ‘consenzienti’.
    aggiungo che nei casi e nella misura in cui non ha funzionato, spesso questo è accaduto perché tante donne (e uomini) la cui ‘naturale’ azione rivoluzionaria sarebbe stata di natura femminista, hanno commesso un enorme errore politico scegliendo al posto di questa il partito (per ideologia malintesa, per codardia, per pigrizia, per astrazione), e in italia questo errore è stato fatto molto più che altrove.

    tutta questa storia dovrebbe essere ovvia e sempre presente nelle menti che ragionano sull’uscita dalla crisi o dal capitalismo, perché è una storia immensa, e perché è la storia di una enorme vittoria politica. eppure non lo è, nessuno la usa, nessuno ci pensa. se qualcuno puo’, mi spieghi perché.

    • @dzzz

      Credo in effetti che parliamo di cose diverse. L’autoaiuto contro i disturbi alimentari, il primo esempio che fai tu, è un lavoro importante di cui non so assolutamente nulla (so solo che tante persone che conosco magari sarebbero state meglio se avessero trovato qualcuno che le coinvolgesse in una cosa simile); mi sembra però che non c’entri praticamente niente con quello di cui parlava questo post.

      Tutti gli esempi che fai riguardano campi in cui un aiuto mutualistico ben fatto può essere più efficace di un intervento politico e pubblico. Se però migliaia di persone perdono il posto di lavoro, o se le scuole cadono a pezzi per mancanza di finanziamenti, non c’è nessun tipo di aiuto mutualistico che possa risolvere il problema. Le lotte che sorgono durante la crisi sono lotte di questo tipo, dove il mutualismo può dare sollievo ma non può far molto più che tamponare singoli casi se non entra in sinergia con le lotte rivendicative.

      La storia delle istituzioni dal basso che si formano spontaneamente col mutualismo senza bisogno di disputare il potere centrale a chi oggi lo detiene, in quest’ottica mi sembrano semplicemente una gigantesca illusione, e proprio l’esempio delle lotte delle donne che fai mi pare confermarlo. Suggerire che le donne abbiano in qualche modo “vinto” una propria rivoluzione disarmata, mi pare semplicemente falso. Hanno ottenuto qualche conquista, che pian piano ci stanno portando via, ma sono ancora sottoposte allo sfruttamento e all’oppressione.

      • francamente, quest’ultimo paragrafo della tua risposta mi lascia di stucco.
        significa che la rilevanza per le donne di quello che è cambiato nella loro vita quotidiana (corporea e lavorativa) nel corso degli ultimi sessant’anni è qualcosa la cui enormità va completamente persa, appena si parla di ‘altro’ , come per esempio di crisi econolica, perdita del posto di lavoro, o scuole che cascano a pezzi. il mio punto è: come non vedere che c’è una relazione intima fra i due aspetti?

        nel mio commento precedente accenavo al fatto che si puo’ sostenere che la nascita del welfare europeo sia stata in gran parte dovuta alle lotte femminili, e in particolare a miriade di microforme di organizzazione di tipo mutualistico.
        i miei esempi sui gruppi di autoaiuto (e sui consultori) erano un gesto per rendere piu’ esplicita la filiazione, indicando la forma che questo phylum di lotta ha preso in epoche più recenti.
        e in questi esempi quello che conta, quello che mi pare contribuire alla discussione qui, è appunto la forma: in questi movimenti, dal mutualismo operaio femminile di inizio novecento alla pianificazione familiare degli anni 60 all’autoaiuto di oggi, quello che conta ai fini di questo discorso è che si sono consolidate forme di autorganizzazione che non hanno i difetti da te enumerati delle forme mutualistiche cui pensavi tu, e che invece funzionano, si espandono ovunque, e che quindi si potrebbero e dovrebbero esportare in altri ambiti e riprodurre quanto possibile, almeno in via sperimentale.

        con questo non voglio certo dire che possano sostituire altre forme mutualistiche (quelle citate da MartinaM per esempio, che sono forme di ‘autoaiuto’ non necessariamente femministe, più tradizionali ma se messe su bene più dirette), né voglio dire che siano l’unica o la principale risposta appropriata alla crisi (quel che mi pare abbia capito tu). stavo attraendo attenzione sulla loro FORMA, che pur con tanti difetti è potenzialmente molto efficace a fini di lotta, e già ben rodata, e che quindi non dovrebbe andare persa quando si passa ad ‘altre’ lotte.

        infine, lasciami dire che se non si capisce quanto il welfare della cui fine stiamo facendo le spese è intimamente connesso alle forme di vita e di lotta femminile (che storicamente si sono spesso giocate in opposizione alle lotte operaie maschili, soprattutto nella storia sindacale europea), e quanto la forma, le strutture, e la ragion d’essere stessa del welfare è legata da sempre alle necessità proprie delle donne (strutturalmente, storicamente, e oggi stesso), allora è chiaro perché stiamo fallendo.
        secondo te le donne hanno ottenuto ‘qualche conquista’? pensa bene a questa cosa che hai scritto, e chiediti chi l’ha persa davvero ‘la rivoluzione’.

        • @dzzz

          Devo dire che è la prima volta che mi capita che sia proprio una donna con una sensibilità femminista a sostenere che le lotte delle donne in Italia abbiano già vinto. Di solito questa è l’argomentazione dei maschilisti, che dicono che “ormai l’uguaglianza è raggiunta e che cazzo vogliono queste fanatiche coi loro roghi di reggiseni”, “avete voluto la parità e adesso pedalate”, “a questo punto sono gli uomini a dover essere difesi” ecc.

          E noi giù a spiegare dati alla mano che la disuguaglianza esiste ancora, a partire dalla questione salariale e dei tempi di vita e di lavoro, e che il femminicidio è una minaccia quotidiana, e che i modelli culturali maschilisti sono ancora egemoni, e che le cose ottenute a costo di dure lotte come la 194 sono comunque conquiste solo parziali e che vengono contraddette ogni giorno da un lento lavoro di sabotaggio del patriarcato e della Chiesa ecc.

          Sulla storia del welfare, non so da dove sorga questa strana accusa di non capire l’intima connessione tra il welfare e la condizione femminile. A me questa connessione sembra evidente, l’ho sentita evidenziare da sempre a sinistra e mi sembra una totale ovvietà. La regressione in atto proprio su questo terreno è per l’appunto una dimostrazione ulteriore del fatto che purtroppo le donne non hanno vinto.

          Quel che non mi trova affatto d’accordo e che mi sembra storicamente e politicamente infondato è la contrapposizione che fai tra le lotte femminili per il welfare e le lotte operaie maschili. Non è fondato perché il welfare e la politica dei tempi di vita sono patrimonio ideale del movimento operaio fin dalla sua nascita, ma è ancor meno fondato perché crea un’assurda identificazione tra operai e genere maschile, quando proprio nel caso italiano la classe operaia femminile è spesso stata all’avanguardia delle mobilitazioni prettamente sindacali; penso per esempio alla storia della mia provincia dove il sindacato si è costruito sulle mondine e sull’industria leggera tessile e calzaturiera, e il tuo schema “maschi che chiedono il salario vs donne che chiedono il welfare” mi sembra una grande forzatura.

          • il riassuntino che fai di quel che sto dicendo è ridicolo. non ho mai detto che la rivoluzione è vinta, invece ho insistito sul fatto che è una rivoluzione, e che è generalmente sottostimata come tale. il tuo fraintendimento, per quanto mi paia troppo enorme per essere in buona fede, se veramente lo è conferma quel che sostengo.
            allora, tanto per cominciare:
            http://www.marxists.org/subject/women/authors/mitchell-juliet/longest-revolution.htm
            questo è un documento vetusto ma ti sarà utile. magari ti capita di pensare veramente per una mezz’ora al problema, invece di liquidarlo senza averci capito niente.

            quanto alla connessione fra femminismo e welfare, certo che la cosa in sé è un’ovvietà. per l’ultima volta, sono LE FORME che le lotte femministe europee che hanno costituito il welfare hanno preso che contano, sono le forme che vanno ristudiate, riprodotte, riadattate, e riutilizzate. e sto dicendo che questo già accade all’interno di femminismi radicali e socialisti vari, ma che finché non ci sarà anche una massa critica di compagni a capire che queste forme sono una delle manifestazioni più vitali del socialismo rivoluzionario oggi, e a usarle, non ci sarà salto di qualità nelle lotte di classe in generale.
            e se non si fa questo, peraltro, col mantra della storicizzazione vi ci possiamo pulire il culo.

            quanto all’ultimo paragrafo, davvero casco dalle nuvole, ti stai inventando cose che non ho detto (e stai dicendo cose senza senso).
            certo che le lotte sindacali delle donne sono spesso state all’avanguardia, e non certo solo nella tua provincia. quello che dicevo è che se si guarda a una qualsiasi media o lunga durata di una qualsiasi lotta sindacale europea dalle origini a oggi, tipicamente c’è un punto precoce nel tempo e nell’intensità e contenuto delle rivendicazioni dopo il quale queste entrano in conflitto con quelle ‘sindacali’ in generale, le quali di solito in parte le ‘recuperano’, se va bene, o le fottono, se va male.
            per quanto ne so è successo in tutti i paesi europei, periodicamente, e in grosso è quello che sta risuccedendo adesso.
            http://revueagone.revues.org/413
            qui trovi un buon riassunto dell’esempio francese, che insiste sul fatto che il problema persistente e irrisolto fin dalle origini è “l’incapacità da parte del sindacalismo di superare un’analisi globale per arrivare a un’analisi sessuata delle condizioni di vita e di lavoro”.
            perché questo è il problema grosso, ricorrente: “l’analisi SESSUATA delle condizioni di vita e di lavoro” è un’analisi che partiti e sindacati comunisti europei si sono ripetutamenti rifiutati di fare (e non tirarmi fuori ‘la politica dei tempi di vita’, che quella nella storia del movimento operaio è stata quasi tutta pensata, applicata e fabulata a scapito delle donne, come nei vari dibattiti su living wage per ‘le famiglie’, o in quelli sul tempo parziale).
            in questo senso fare uno sforzo di analisi sessuata, e in particolare ripensare, riusare e reinventare quante più possibili forme di mutualismo, adesso, farebbe una grossa differenza: l’impatto che avrebbe sulla presa di coscienza individuale e sulla potenza di massa sindacalista sarebbe enorme.
            ripeto, non dico che sia l’unico modo o il migliore o il più comodo, dico che di botto farebbe aprire gli occhi e darebbe la scossa elettrica a un sacco di gente.

            infine, visto che siamo su un blog di scrittori, ti consiglio di leggerti o rileggerti the golden notebook, di doris lessing.
            not your average marxist textbook, ma garantisco che ti dà una svegliata.

  54. Se posso permettermi.
    Al netto del fatto fin troppo ovvio che tutte le discussioni, alcune molto interessanti, devono proseguire, ritengo che oggi, i movimenti e i soggetti in lotta in qualsivoglia ambito territoriale e tematico, in vista delle elezioni, abbiano un solo obbligo comune.
    Un unico punto di espressione, dichiarato e reso pubblico.
    Non verranno accettate soluzioni “tecniche” fuori dal risultato delle urne. Non saranno riconosciuti primi ministri ex post e non candidati prima.
    Il Presidente Napolitano oggi ha fatto dichiarazioni gravissime da Parigi, in tal senso. Una cosa inaudita e da impeachment, scusate la presunta esagerazione. Ha detto in pratica “Monti è incandidabile, lo rifacciamo premier dopo”. Quasi alla lettera.
    Per me è fondamentale affermare PRIMA, in maniera chiara, che simili soluzioni comporteranno lo mobilitazione permanente e immediata di una parte, vedremo quanto grande, della popolazione.
    L.

    • A riprova che le primarie sono una pagliacciata, tanto fanno il Monti Bis e continua il massacro. Poi, per compassione, ci invaderanno i marziani.

      • Le primarie non sono soltanto una pagliacciata. Sono uno specchietto per le allodole, per far credere alla gente di potere ancora influenzare l’andamento politico delle cose, quando invece la democrazia formale è bell’e finita. Lo si diceva già l’anno scorso che il capitalismo è entrato in una fase in cui deve sbarazzarsi della democrazia formale, o – per dirla con Monti – “mettersi al riparo” dai meccanismi elettorali, per poter sbrigare le sue faccende. E’ precisamente quello che ha detto Napolitano: sbrigate questa formalità, eleggete il fregno che dovete eleggere (tipo Bersani), e lasciate tutto nelle mani di Monti che – non dovendo farsi eleggere – è sciolto da ogni vincolo politico e non ha bisogno dell’approvazione di nessuno.
        Davanti a questa evidenza, dal mio punto di vista, chi perpetra la sciocchezza delle primarie sta colpevolmente pigliando per i fondelli se stesso oppure gli altri.

        • Io penso che alle primarie del CSX andrò comunque a votare, pagliacciata o no. Forse sarò l’unico giapster a farlo ma d’altronde ho sempe espresso la mia opinione anche in quella sede, anche quando nessuno dei candidati mi garbava . Certo, sono ben lungi dall’eiaculare esclamazioni tipo “wowowow! che sbornia di democrazia!” come fa il PD ma penso che qualche distinguo non solo si può fare, ma si deve farlo…
          Mi trovo, per dire, sulla lunghezza d’onda di Chomsky quando diceva che Obama non è affatto Martin Luther King, anzi, è proprio un gran figlio di puttana e per molti provvedimenti è stato pure peggio di Bush, ciononostante è pur sempre meglio di Romney, dei Tea Party e di quella gentaglia. Sarebbe riduttivo ascrivere questo ragionamento alla solita logica del “meno peggio”. Certo, è anche questo ma non solo… Viviamo una fase di transizione strana e ambigua, fin dall’insediamento del governo Monti subodoro un’aria che sa sempre più di “Weimar”. I discorsi (il “Frame”?) sulle “due destre”, una di fanfaroni corrotti e priapeschi, l’altra di traditori cinici e quindi più lucidi e più pericolosi mi può trovare d’accordo in linea teorica ma non in linea pragmatica. La domanda che mi pongo è: questi discorsi quali comportamenti politico-sociali elicitano? Fanno guadagnare adepti ai movimenti e alla lotta di classe? No, spingono il “cetomediume” più o meno “proletarizzato” verso il neo-poujadismo (o verso l’astensionismo che comunque l’alimenta), che per il momento è un soggetto ancora relativamente neutro, avventurista, sgangherato e impreparato ad accogliere la massa che vi sta confluendo. Come dice WM1 staremo a vedere, ma le prospettive sono abbastanza inquietanti. Non credo che i rosso-bruni diventeranno mai il primo partito europeo però sono come dei markers biologici che forniscono informazioni precise su come si stiano polarizzando i discorsi antagonisti all’instabilissimo status quo. Le “narrazioni tossiche” paranoiche conquistano sempre più terreno, rubandolo alla “lotta di classe” (in questa espressione infilo il phylum di narrazioni “sane” e intelligenti). Signoraggi bancari, Bilderberg, quelli che chiamo i “nuovi protocolli dei savi”, erano agitati come fiaccole dapprima da persone malate come Scilipoti, Marra e Sara Tommasi e da elementi indecifrabili e marginali come MMT etc. In una seconda fase ha conquistato i berlusconiani, le Santanchè e i Formigoni, ora persino i Franceschini iniziano a fare timidamente riferimento a certi discorsi, segno che persino i politicanti più incartapecoriti si stanno accorgendo che è quello il tasto da premere per batter cassa elettorale.
          I discorsi da pugno di ferro della Cancellieri, le sparate assurde della Fornero sembrano peraltro spingere la massa verso questi soggetti qualunquisti e poujadisti adombrando una sottile connivenza. Ok, ora sto buttando anch’io sul paranoico, ma è impossibile che costoro siano così idioti da non rendersi conto che i loro discorsi fanno guadagnare consensi a quella causa e d’altronde l’alta borghesia, in certe congiunture critiche, ha sempre flirtato irresponsabilmente e pericolosamente con certi soggetti politici, vedi NSDAP e PNF, convinti di poterli controllare. Tra l’altro il PD sta salutando le sempre più frequenti ribellioni della base grillina alla coppia Grillo-Casaleggio come una positiva democratizzazione del m5s, e quando i democratici parlano di democrazia io mi tocco istintavamente i maroni, vuol dire che sta accadendo esattamente l’opposto. Io credo che Grillo sia in buona fede, ovvero che nelle sua convinzioni politiche sia un cialtrone genuino, lo stesso dicasi per Casaleggio – il presunto dottor Svengali che lo controlla (da notare la paranoia che alligna anche in questa sub-narrazione della base grillina). Se il m5s, man mano che conquista adepti, si dovesse davvero sbarazzare di Grillo e Casaleggio cosa succederebbe? Promuoverebbe finalmente la democrazia diretta? Seee Bum!
          Per tagliare corto a mio a parere l’immaginario politico attuale è pieno di tossine che possono tramutarsi in pericolose metastasi autoritarie. Secondo me è importante sottrarre terreno al qualunquismo, ma non tanto squalificando i soggetti che lo cavalcano come Grillo-Casaleggio – quella strategia ormai (e dico “ormai” dopo l’encomiabile lavoro di Giuliano Santoro!) non serve più a molto – ma promuovendo narrazioni che alimentino solidarietà sociale e spingano persone e collettivi ad associarsi, non in gruppetti ma nella prospettiva di unire l’intera classe sociale – cosa che Wu Ming nel suo ambito sta già facendo da un bel po’, promuovendo per esempio romanzi meticci, denunciando il feticismo digitale, lanciando riflessioni internazionaliste etc. Tuttavia occorre anche contrastare attivamente qualunque narrazione paranoica che porta sempre le masse a derive storiche catastrofiche, più che catartiche.
          Ritornando al mio discorso iniziale: votare alle primarie forse non serve a un cazzo, ma qualunque dichiarata abdicazione all’utilizzo di strumenti democratici (anche solo nominali) è a mio avviso gesto molto pericoloso di questi tempi. Non saprei come dire: uno può anche non andare votare alle primarie, ma sbandierarlo con fierezza non credo serva a qualcosa, anzi…

          • Volevo cancellare il mio intervento, non si può vero?
            Volevo cancellarlo perchè rileggendolo più volte mi sono reso conto che alcuni passaggi possono essere interpretati male.
            Provo solo a chiarire alcune cose:

            1) non intendevo fare pubblicità alle primarie. Lungi da me! Aldilà che io vada o meno a votare

            2) Che le primarie siano uno strumento di propaganda elettorale del PD più che un mezzo per esprimere la sovranità popolare è palese. Si capisce che Bersani gongola all’idea del ballottaggio, fosse per lui farebbe pure i playoffs… non si parla d’altro che di PD in questi giorni… Capisco anche per questo che denunciare la “kermesse” come una pura buffonata a fronte dell’obbligo di pareggio di bilancio e del fiscal compact passati grazie al beneplacito di (parte di) questi signori sia più che comprensibile…

            Tuttavia io parlavo di strategie comunicative… proprio come parlare di patria a Sinistra non conviene perchè la Destra è più ferrata nel campo e quindi avvantaggiata in partenza, ugualmente parlare di voto farsa – anche solo a riguardo delle primarie – è poco conveniente, in quel campo si è specializzato Grillo.
            Vabbè, nessuno di questi miei due interventi è imprescindibile… (almeno questo è meno prolisso)

  55. Giovedì il ministro dell’interno ha parlato di arresto differito e di daspo per manifestanti. La mattina dello stesso giorno erano state arrestate 5 persone in relazione agli episodi del 15 ottobre 2011. L’operazione era stata coordinata dal pool antiterrorismo della procura di Roma e faceva seguito ad altre attività di indagine che hanno coinvolto finora 40 persone.

    Non mi è chiaro in cosa si traduca l'”arresto differito” di cui parla il ministro, ma presumo significhi che se la polizia ha buone ragioni di pensare che quello nella foto col casco sei tu può venirti a prendere quando vuole, anche senza un mandato, e rimarrà a farti compagnia in attesa che l’arresto sia convalidato da un magistrato. Forse esagero.

    Riporto questi fatti perché credo ci sia del lavoro da fare sul piano sia narrativo che teorico. Per esempio, tendiamo ad assumere che la repressione sia una risposta a una minaccia percepita, ma questo potrebbe portare a nutrire aspettative troppo ottimistiche (“gli facciamo paura”), e a dare un giudizio errato sulla maturità dei conflitti. In ogni caso, di quale minaccia parliamo? Che senso ha per esempio scomodare l’antiterrorismo per una manifestazione dove qualcuno ha lanciato un estintore e sono bruciate delle macchine? Evidentemente è l’ennesima ripresa del frame narrativo dove si comincia a distruggere le madonnine per finire chissà dove, ma non è anche un tentativo di elevare una barriera tra chi ha un progetto politico (i “violenti che si infiltrano”) e i manifestanti per bene che vogliono solo esprimere il proprio malumore?

    Tra le persone meno informate è prevalente l’idea che la repressione sia in qualche modo correlata al (causata dal) comportamento dei manifestanti. Ora credo che non basti ricordare gli innumerevoli casi in cui questo non è vero, occorre fornire una chiave di lettura alternativa. Per esempio, dal fatto che oggi si colpiscono di preferenza gli studenti forse dovremmo concludere che non si vogliono realmente reprimere comportamenti combattivi, ma si vuole attaccare un intero gruppo sociale, e non ha neanche importanza se siano comunisti, anarchici, keynesiani di sinistra, figli del proletariato o della borghesia. Perché questa scelta? Pura “prevenzione” o preparazione del terreno per future iniziative dei fascisti?

    Un altro aspetto su cui riflettere è che, in genere, per quanto il livello di repressione aumenti con l’aumentare della minaccia percepita, non diminuisce quando diminuisce la minaccia. In altre parole c’è una specie di inerzia per cui la repressione perdura anche quando l’intensità del conflitto diminuisce. E questo significa anche che le lotte a venire – se saranno percepite come una minaccia – dovranno fare i conti con una macchina della repressione già a pieni giri.

    Il messaggio non vuole essere, banalmente, che i movimenti dovranno fare i conti con la repressione, è che ridurre l’efficacia della repressione richiede anche del lavoro concettuale.

    • Questione sacrosanta.
      Noi fùtbologi (sic!), lo sappiamo bene.
      Daspo e arresto differito sono tutta roba da stadio.
      L’arresto differito è un prolungamento arbitrario della “flagranza” del reato. Dal momento del tuo presunto riconoscimento hanno da 48 a 72 ore per venirti a prendere, ed è come se fossi stato preso sul fatto.
      Le implicazioni giuridiche che derivano dai provvedimenti emergenziali sul calcio sono molteplici, e vanno avanti da anni.
      Tra l’altro, l’incredibile, pazzesco assalto a Campo de’ Fiori l’altra notte, è un’azione politica fascista in grande stile che viene passata come roba di tifoserie, e invece, a due giorni dalle manifestazioni di sabato è un fatto di una gravità assoluta, e il vergognoso ritardo delle forze dell’ordine sul luogo del raid getta un’ombra foschissima su tutto il quadro.
      Sabato massima vigilanza per chi è in strada.
      Massima.
      L.

  56. Questa storia euro sì euro no mi ha fatto scattare stanotte un’associazione di idee alquanto significativa.
    Premesso che e dando per scontato che il significato ideale e leggero di una intuizione avuta poco prima di addormentarsi è certamente vago e tenuto conto della pericolosità di fare paralleli storici, rivedo, in piccolo, la divisione, allora drammatica, sulla guerra che portò alla fine della Seconda Internazionale.
    Bum direte voi, che esagerazione… ma, stringi stringi, come allora la scelta della guerra, la scelta di uscire dall’euro significa scegliere la nazione, non conta per fare cosa, per quale motivo.
    Mi sembra che ora siamo in una fase calda, la guerra guerreggiata non è all’orizzonte ma non è da escludere (con quali armi non so), una spinta disgregatrice penso possa solo peggiorare la situazione.
    Dovremmo proprio farci paladini della pace. Come l’ottobre puntò sull’uscita dalla follia della guerra (anche a condizioni pesanti) ed ebbe successo per questo, noi ci rifuitiamo ora di rifare gli stessi errori del passato e lo diciamo a gran voce: Grazie a noi non si va alla guerra, si va alla pace economica nel continente.
    Credo che ci siano grandi incognite per entrambe le ipotesi (pe: siamo sicuri che con la nuova lira avremo un welfare decente ? Chi la guiderà la nazione? ), ma anche alcune certezze e la principale è che La Nazione è “male”, è “brutto brutto brutto”. Noi siamo esseri umani, chi si dice di sinistra dovrebbe averlo come punto primo, questa non è ideologia, è realtà. L’unica prospettiva è internazionale, unificante.
    Il problema euro è tecnico, mancanza di vera banca centrale, di istituzioni (economiche e politiche) comuni che lo sorreggono, questo dovrebbe essere appoggiato.

    “La scelta tra ciò che é giusto e ciò che é facile richiede una buona dose di coraggio e carattere” (cit)

    • Il paragone è interessante, anche se la situazione mi pare completamente diversa. Nel 1914 la crisi economica andava avanti da un bel po’ e l’euro di per sé non è paragonabile alla guerra.
      Le condizioni che i bolscevichi accettarono furono veramente troppo pesanti secondo me, dato che furono ceduti territori che erano stati il cuore della rivoluzione come l’Ucraina e soprattutto Finlandia, dove la prima fu recuperata a costo di sopprimere la rivoluzione della Machnovščina (alla faccia del pacifismo!).
      La nazione, come la religione, non è “male” di per sé, è male l’uso distorto che ne fa la borghesia al fine di dividere i lavoratori.

      • Rispondo brevemente, spero in seguito di risucire a farlo con più argomenti…
        Non è euro ad essere come guerra, è la situazione di conflitto tra le borghesie nazionali europee (e non) che è paragonabile ad una guerra. L’uscita dall’euro è una azione equivalente per me all’appoggio dell’intervento militare nel 14. Guerra=situazione, conflitto economico=situazione. Uscita euro=azione, intervento=azione.
        Non penso che non intervento sia questione di pacifismo, ma di interesse classe operaia. Al netto del “con i se e i ma la storia non si fa”, non credo che non intervento unito dell’Internazionale potesse evitare la guerra, di certo ha disintegrato legami internazionali. Tutto quello che è seguito è figlio di quelle scelte.
        Mi puoi fare degli esempi concreti per cui la nazione e la religione non sono il male qui e ora ? Non in un una società ideale.

        • Beh, se è per questo ci sono sempre “situazioni” e relative “azioni” da scegliere. Uscire dall’euro non mi pare affatto l’equivalente di una guerra anzi, al contrario, il conflitto tra le borghesie nazionali si è esplicato attraverso l’euro, è l’euro ad essere nato come strumento di conflitto fra le borghesie nazionali. Ciò non significa comunque che uscire dall’euro vorrebbe dire sedare il conflitto, sono d’accordo che anzi potrebbe rifomentarlo.

          Sono d’accordo che la questione è fare gli interessi della classe operaia ma non mi pare che lasciare la classe operai finlandese in pasto all’imperialismo tedesco fosse nel suo interesse. D’accordo sul fatto che un no unitario alla guerra sarebbe stato positivo anche se non fosse riuscito a fermarla.

          Il cristianesio celtico non è stato una religione negativa, il cristianesimo delle origini item, le religioni misteriche anche, il paganesimo slavo, nordico, baltico non avevano un valore politico particolarmente negativo, l’islam in un primo tempo aveva un forte valore unificante, divenne negativo quando fu usato come strumento imperialista. La religione non è altro che un sistema di idee sull’al di là, non è per forza negativo. Il darwinismo è un sistema di idee sull’origine delle specie, non ha un valore politico intrinseco, eppure è stato usato con fini politici spaventosi.
          Per quanto riguarda le idee nazionali, quasi tutti gli anticolonialismo sono da considerarsi positivi, e i movimenti anti-colonialisti altro non sono che movimenti nazionali.

          • ” i movimenti anti-colonialisti altro non sono che movimenti nazionali”

            Già. Solo che l’Italia, essendo storicamente uno stato-nazione imperialista, li ha sempre avuti contro: in Cina durante la rivolta dei Boxer, in Libia a partire dal 1911, in Etiopia dal ’35 al ’41, in Grecia e Albania dal ’40 al ’43, in Jugoslavia idem (ma il nostro imperialismo nei Balcani era iniziato nel ’15)… Poi in Iraq, nel Delta del Niger… Quasi ogni volta che siamo stati coinvolti in una guerriglia anti-coloniale, noi eravamo la controguerriglia. E quasi ogni volta che abbiamo fatto qualcosa armi alla mano in nome della “patria”, lo abbiamo fatto per imporre qualcosa a qualcuno. L’unica eccezione (ma complicata dall’ulteriore connotazione di guerra civile) è stata la Resistenza, quando, per un’ironia della sorte, ci siamo ritrovati a dover fare contro i tedeschi e *contro noi stessi* quello che gli Arbegnuocc etiopi avevano dovuto fare contro di noi. Quindi, permettici di dubitare del fatto che sia così facile attivare da sinistra un frame nazionalista, che nella nostra storia è associato all’invasione di terre altrui e/o alla guerra civile in casa nostra.

            • “Quindi, permettici di dubitare del fatto che sia così facile attivare da sinistra un frame nazionalista”

              Peccato solo che nei commenti precedenti non ho mai detto una cosa del genere. Il mio discorso era generale, siccome mi erano stati chiesti degli esempi storici di nazionalismo positivo ne ho portato uno, per mostrare che l’idea di nazione non è cattiva di per sé, è cattiva per l’uso che “storicamente” se ne è fatto ad esempio in Italia. Sarebbe come dire che le armi sono negative perché si usano per ammazzare la gente: se sei solo e sperduto nella giungla la pistola può assumere addirittura un valore positivo. Non bisogna mai confendere il particolare col generale.

              • Pardon, avrò capito male io, ma nei giorni scorsi hai citato l’Irlanda, Garibaldi e affermato la necessità di tornare a parlare di patria e nazione, quindi mi sembravi fiducioso sulla possibilità di usare quei concetti da sinistra in Italia.

              • Certo, lo sono, ma dopo la rivoluzione, su questo mi hai convinto, parlare adesso di nazione è troppo pericoloso. Ma in questa diramazione facevo un discorso generale.

          • Rifocalizzo il mio intervento: la discussione a sinistra relativa uscita euro mi da risuonare assonanze con scelta interventista ’14. La guerra tra capitalismi (nazionali( c’è sempre, è continua, è il capitalismo. Le similitudini mi sembrano relative soprattutto ad attivazione concreata di un frame pericoloso per ottenere risultati ipotetici, quello della nazione.

            E’ chiaro che ogni cosa in sè è teoricamente neutra e ambivalente, ma nella realtà, “nel qui ed ora” tutto è attivo: mi sveglio e mi trovo in mano una falce oppure mi sveglio e mi trovo in mano una spada.

            Anche questione idea nazionale in chiave anticolonialista, mi trova freddo, nel senso che è stata utile per azione contingente, ma quanto positiva nel lungo periodo ? Come prospettiva ? Non è anche un grosso peso da portarsi dietro ?
            Cosa ce ne possiamo fare della Nazione dopo la rivoluzione ?

          • Mi è venuta in mente domanda (non retorica) riguardo questione Nazionale e rivoluzione.
            E’ mai stato proposto (e se s’ da chi) un progetto per federare/unire gli stati socialisti ? URSS, Cina, Polonia, Vietnam, Germania Est, etc… Troppo forte lo spirito nazionale ?

            • È una domanda molto interessante questa. Non se fu fatto qualcosa in questo senso ma c’era anche un altro discorso da fare, all’epoca l’U.R.S.S. era vista come un “impero del male” e molti dei suoi satelliti o ex-tali erano nati da movimenti anti-coloniali, quindi un processo di unificazione avrebbe potuto essere visto come una conferma dell’idea che “i russi vogliono conquistare tutto il mondo”. Sto solo facendo ipotesti comunque.

              Come ho scritto prima, è chiaro che la discussione per l’uscita dell’euro a sinistra può attivare la diffusione del nazionalismo ma c’è sempre da tener presente che l’euro stesso è nato come uno strumento nazionalista.

              Forse l’idea nazionale non è stata positiva nel lungo periodo per i movimenti anti-coloniali, ma se non si fossero basati su un’idea nazionale come avrebbero potuto attivare la lotta per l’indipendenza?

              Che ce ne facciamo delle nazioni dopo la rivoluzione? Semplice, siccome noi vogliamo fare la rivoluzione per avere la migliore organizzazione economica politica e sociale possibile, ogni popolo dovrebbe del mondo dovrebbe potersi autogovernare.

              • Temo che questa sia una soluzione tanto “semplice” quanto trovare una definizione condivisa di “popolo del mondo”. L’identità è una brutta bestia.

              • “ogni popolo dovrebbe del mondo dovrebbe potersi autogovernare.”
                Ma anche no.

                Comunque io mi autogovernerei insieme ai miei amici del popolo del Rock. E diffiderei terribilmente del popolo della rete….

              • aspetto da circa 36 ore che qualcuno di buonsenso commenti il “ma anche no” di pipcoman… Ma sembra che negare la, a parer mio ovvia, affermazione che “ogni popolo del mondo dovrebbe potersi autogovernare” non preoccupi nessuno. Mah… se anche tra i giapster si fa strada l’idea che il popolo bue deve fare quello che alcuni illuminati ritengono giusto, possiamo tranquillamente lasciare ogni speranza e pensare a cultiver notre jardin.

              • Rapa, non le vedi le ragnatele agli angoli del thread? Molto semplicemente, di questa discussione non fotte più un cazzo a nessuno, e da mo’. Noi vediamo le statistiche, da giorni nessuno viene più qui a leggere, a parte i due-tre che hanno continuato a rispondersi. E’ un dibattito che si è infognato in sotto-discussioni ultraspecifiche, quindi non ha portato da nessuna parte, e i giapster si sono rotti i coglioni.
                E noi con essi.

              • @rapa
                ma anche no il popolo, l’autogoverno dei popoli, non l’autogoverno degli uomini.
                Speravo si capisse, visto che i miei interventi erano contro l’idea di Nazione . Spero che dopo la rivoluzione ci si organizzerà su basi diverse che la razza, il popolo, etc…

                Poi passi da popolo inteso come comunità a popolo come insieme dei popolani, bho…

                Poi c’era anche un pò di sarcasmo.
                Ciao

  57. Non dici male e non a caso il punto 6 e 7 della Terza Internazionale indicavano:

    6. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto a smascherare non soltanto il socialpatriottismo dichiarato, ma anche la falsità e l’ipocrisia del socialpacifismo; a rammentare sistematicamente ai lavoratori che senza l’abbattimento rivoluzionario del capitalismo nessuna corte internazionale d’arbitrato, nessun accordo par la limitazione degli armamenti, nessuna riorganizzazione “democratica” della Società delle Nazioni, potrà impedire delle nuove guerre imperialistiche.

    7. I partiti che vogliono aderire all’Internazionale Comunista sono tenuti a riconoscere la necessità di una frattura completa ed assoluta con il riformismo e con la linea politica del “centro”, e a propugnare il più diffusamente possibile questa frattura tra i propri membri. Senza di ciò non è possibile nessuna linea politica coerentemente comunista. L’Internazionale Comunista esige assolutamente e categoricamente che si operi tale frattura il più presto possibile. L’Internazionale Comunista non può accettare che dei noti opportunisti, come Turati, Modigliani, Kautsky, Hilferding, Hilquit, Longuet, MacDonald, ecc. abbiano il diritto di apparire quali membri dell’Internazionale Comunista. Ciò non potrebbe non portare l’Internazionale Comunista ad assomigliare per molti aspetti alla Seconda Internazionale, che è andata in pezzi.

  58. La izquierda radical europea retoma el impulso tras el 14-N
    Representantes de Syriza, el Bloco de Esquerda e Izquierda Anticapitalista se reúnen en Madrid en un mitin internacional para llamar a “continuar el combate”
    http://www.publico.es/espana/446343/la-izquierda-radical-europea-retoma-el-impulso-tras-el-14-n