Pregiudizi sbaragliati a cinque chilometri all’ora

Dopo un silenzio insolitamente lungo (ormai ci siamo abituati alle “recensioni preventive” di Libero), nel giro di una settimana sono usciti tre ottimi articoli su Il Sentiero degli dei. Da notare come i tre autori abbiano colto ciascuno aspetti piuttosto diversi del testo, com’è giusto aspettarsi da un libro ibrido, un oggetto narrativo non identificato che forse solo tra qualche anno ci apparirà come “normale” guida turistica (o “normale” romanzo).

“La Repubblica”, MARTEDÌ 25 MAGGIO 2010
UN LIBRO SCRITTO CAMMINANDO
“Il sentiero degli dei” di Wu Ming 2 è un viaggio a piedi sull’Appennino

L’opera è una sorta di pellegrinaggio ideologico fatto sul percorso Bologna-Firenze

MICHELE SERRA

Di camminatori-scrittori, e di scrittori-camminatori, c’è crescente abbondanza. Al punto di far sospettare la nascita di una moda, per giunta di una moda “facile” in virtù del facile nesso tra i due ritmi, quello delle gambe e quello della scrittura, e delle facili suggestioni del lento procedere e del piacevole osservare. Lo sbocco del pedante geografismo, e peggio ancora del narcisismo performante, è sempre in agguato.
Eventuali pregiudizi del lettore, prendendo in mano Il sentiero degli dei di Wu Ming 2 (membro del collettivo anonimo di scrittori Wu Ming), rischiano di infittirsi. Il libro è una specie di “pellegrinaggio ideologico” sulla stessa rotta appenninica, tra Bologna e Firenze, lungo la quale corre, sottoterra, il prepotente tubo della Tav. Fare a piedi, in superficie, lungo il ciglio dei monti, la stressa strada che il supertreno percorre in mezz’ora, e metterci cinque giorni. Legittimo temere la retorica della lentezza, e il ripasso non indispensabile di ogni buona e meno buona ragione che alimenta la cultura No-Tav.
Beh. Pregiudizi sbaragliati, e dunque, evidentemente, sbagliati. Il racconto di Wu Ming 2 ha un merito essenziale: il protagonista non è il camminatore, ma il percorso. Sono i suoni percepibili e quelli immaginati, le case, le recinzioni, i cartelli, sono le stratificazioni, i doni e le ferite che natura e uomo hanno impresso sul territorio, il tempo (velocissimo, altro che Tav) che si comprime e si espande nei sussulti della memoria. La linea gotica, la guerra partigiana, le vestigia romane, gli scavi archeologici, l’epopea sanguinosa della Direttissima (la nonna della Tav, voluta da Mussolini), gli operai morti per acqua, per fuoco e per silicosi, le falde disseccate, gli sventramenti e gli sciali che la Modernità si è lasciata alle spalle nella sua corsa forsennata. “Tutti crimini che rimandano a un crimine più grande: il tentato assassinio di una differenza”.
Di questa differenza Wu Ming 2 ha saputo farsi narratore, e vendicatore, usando – in una sola parola – attenzione. Contro la disattenzione di quel dio distratto che è il progresso, l’attenzione del camminatore, per il quale anche un acciottolato, un muro diroccato, una vite antica, sono presenze che segnano il mondo, sono “luogo”. Minimi indizi di lunghe storie, che la scrittura (e, prima della scrittura, la comprensione) aiuta a rievocare, come cocci da rimettere insieme, pazientemente, gentilmente. L’epica del libro, che pure è asciutto nei toni e ben più breve di quanto la lunghezza del viaggio farebbe temere, sta soprattutto nel contrasto immanente tra il treno che corre “sotto”, cieco e indifferente, e l’uomo che cammina “sopra”, attento, sensibile. E’ una specie di underground rovesciato (si potrà dire “overground”?): i veri segreti, i veri misteri, le vere rivelazioni vivono in superficie, sotto le stelle e in mezzo alla nebbia e agli alberi. E’ quello il mondo non rivelato, non più conosciuto, sono l’aria aperta, la montagna, i boschi a costituire la dimensione ormai occulta. Là si deve avventurare chi ancora insegue la differenza.
Il sentiero degli dei è pubblicato dal piccolo e coraggioso Ediciclo, editore “naturalista” e di viaggio. Volendo, è anche un’ottima guida (con tanto di cartina, e fotografie) per chi volesse ripercorrere i passi di Wu Ming 2, e gli infiniti passi di chi lo ha preceduto: leggendo il libro, pare di sentirne ancora gli echi, nonostante il frastuono dei camion a fondovalle.

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“L’Unità”, GIOVEDI’ 20 MAGGIO 2010
BOLOGNA-FIRENZE A TUTTA VELOCITA’
LA TAV RACCONTATA LENTAMENTE
Cosa non vedono gli italiani che, grazie all’alta velocità, in 35 minuti vanno da Bologna a Firenze? Lo racconta Wu Ming 2 nel reportage pedestre “Il sentiero degli dei”.

TOMMASO DE LORENZIS

I trasporti contendono alla meteorologia il primato nella produzione delle frasi fatte. «Non ci sono più le mezze stagioni», recita l’acciaccato Meteopatico. «I treni italiani sono sempre in ritardo», smadonna il Viaggiatore stanco. E che dire dell’immarcescibile topos secondo il quale «Quando c’era Lui, i treni arrivavano in orario». Provate a spiegarglielo che, quando c’era Lui, non c’erano un sacco di cose. Tipo: i sindacati, i partiti politici e la libertà di stampa. Da quell’orecchio il Viaggiatore stanco (e nostalgico) non intende.
Di recente un altro cliché s’è aggiunto al rosario. Si è radicato in Emilia, che – come sanno i bombaroli nostrani – dell’Italia ferroviaria è snodo sensibile. E così parole da spot hanno annunciato il dogma dell’Alta Velocità: «Solo trentacinque minuti da Bologna a Firenze». Per qualche tempo, davanti alla stazione di Bologna Centrale, un display sulla stele di Trenitalia ha riportato il countdown che preparava l’epifania della locomotiva rapidissima. E tre anni fa, Sergio Cofferati, allora sindaco della “Rossa”, rilanciava – dalle colonne della «Repubblica» – il luogo comune come priorità dell’azione amministrativa: «Si potrebbe immaginare che il fiorentino che va a New York faccia il suo check-in alla Stazione di Santa Maria Novella e si ritrovi in trentacinque minuti o poco più pronto a imbarcarsi sul suo volo intercontinentale all’aeroporto di Bologna». Il motivo per cui il lesto viaggiatore toscano diventò beneficiario d’una concezione dello sviluppo, condita a botte d’infrastrutture pesanti e ipotetiche trasvolate atlantiche, resta ancora oggi un arcano. Tanto più che, se la mobilità è un tema fondamentale, il fatto che sia veloce – invece d’essere prima di tutto a basso costo e a ridotto impatto ambientale –  è una scelta politica.
Contro tutti gli stereotipi di questa retorica Wu Ming 2 ha dipanato la matassa narrativa de Il sentiero degli dei. Intriso d’una leggerezza pensosa, il libro racconta del viaggio a piedi che Gerolamo – probabile alter ego dell’autore – compie da piazza Maggiore a piazza della Signoria sulle piste dell’Appennino tosco-emiliano. Lungo quell’infilata di luoghi densi di leggenda che i “camminatori” chiamano la «Via degli Dei», nell’arco di cinque giorni e quattro notti, il protagonista sperimenta una dérive nella memoria dei territori. Remote storie medioevali s’intrecciano a epici aneddoti della Resistenza, mentre il ricordo dell’eccidio nazi-fascista di Rio Conco prepara la rimembranza del cupo boato che, una sera di dicembre, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, spezzò la corsa del Rapido 904 e la vita di diciassette persone. Così spazio e tempo si confondono. Con il pensiero accordato al respiro della natura, Gerolamo ripercorre le cronache della lotta tra gli uomini e la montagna. Si tratta d’un combattimento feroce che l’autore spoglia di valenze prometeiche. Su quel crinale dell’Appennino, infatti, si consumò l’ecatombe di minatori, schiavi addomesticati dai manganelli fascisti e periti nella battaglia contro la galleria della Direttissima, inaugurata nell’aprile 1934 come emblema della modernità in camicia nera.
In un sentito omaggio a Le vie dei canti di Chatwin torna la corrispondenza tra geografia e narrazioni, viaggi e racconti, miti e natura, che costituisce uno dei più suggestivi aspetti della poetica del collettivo Wu Ming. La riflessione di Gerolamo sui significati ancestrali del bosco e del deserto richiama celebri ambientazioni sperimentate dall’atelier di scrittura: dalla giungla laotiana di Asce di guerra alla sabbia di Stella del mattino, passando per la foresta di Sherwood che tenne a battesimo le gesta del folk hero Luther Blissett. Sospeso tra un diario di viaggio e un caleidoscopio di storie, Il sentiero degli dei offre un preciso bilancio dei costi dell’Alta Velocità, sommando le morti bianche nei cantieri e il dissesto idrogeologico a uno sperpero di risorse pari «a 44 miliardi di debiti a carico dello Stato e delle generazioni future, fino al 2060».
A cinque chilometri all’ora, con lo zaino sulle spalle e il sentiero sotto gli scarponi, WM2 ha dimostrato quante cose possono ancora accadere se una notte un viaggiatore…

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“La Repubblica Bologna”, MARTEDI’ 18 MAGGIO
L’APPENNINO VIOLATO DI WU MING 2

ALESSANDRA CALANCHI

Wu Ming 2, già autore di Guerra agli umani (2003), torna al single con Il sentiero degli dei (Ediciclo Editore 2010, pp. 206), che riprende e ribadisce il percorso esistenzial-ambientalista già intrapreso attraverso il suo precedente protagonista e narratore, il giovane Marco che, sulle tracce del Walden di Thoreau (1854) e in anticipo rispetto al film Into the Wild di Sean Penn (2007), aveva deciso di abbandonare la città-Babilonia per ritrovare una dimensione più “umana”.
Il collettivo Wu Ming da un decennio non si limita a scrivere narrativa ma è contraddistinto da un forte impegno sociale e da un profondo senso di responsabilità civile. Promuove scelte ecologiste contro gli sprechi della carta e dell’acqua, e più in generale contro il consumismo. Il volume di Wu Ming 2, considerato dall’autore non tanto un romanzo quanto “una mano tesa al lettore, per invitarlo a camminare”, e corredato di mappe e numerose fotografie dei luoghi citati, esce in armonia con i suddetti princìpi nella collana “A passo d’uomo”, dedicata al racconto e alla descrizione di viaggi a piedi lungo antichi itinerari.
Gran  parte  del  libro  consiste  nella descrizione del “cammino”  che va da Bologna a Firenze,  da Piazza Maggiore a Piazza della Signoria, conosciuto  con il nome di Via degli Dei. La trama si snoda intorno ad alcuni brevi racconti (i “Notturni”) e a considerazioni che messe insieme formulano un’esplicita denuncia  delle emergenze ambientali  che affliggono l’Appennino. Oggi, ci dice l’autore, tra Bologna e Firenze passano in media 47.000 veicoli al giorno. Al momento sono stati spesi 105 milioni di euro al km per risparmiare 21 minuti di viaggio. Lungo il percorso, esistono ecosistemi distrutti, compromessi anche dalla variante di valico, la cui compatibilità ambientale fu sancita nel 2001 dalle firme degli allora ministri dell’Ambiente e dei Beni Culturali nonostante un documento di 60 pagine pieno di dubbi e raccomandazioni
Fin dalla premessa, l’autore ci mette in guardia: “Se non vi piace attraversare  i confini, camminare  sui crinali e stare nei margini, temo che questo libro non faccia per voi.” Una frase a doppio senso che riecheggia quella di Guerra agli Umani: “Preferisco violare un confine piuttosto che tracciarlo”. Qui i confini non vengono né tracciati né violati, ma semplicemente attraversati: protagonista e lettore hanno l’opportunità di camminare sui crinali e nei margini, passando da un comune a un altro, da una provincia all’altra, consapevoli però che, come recita l’epigrafe di Eugenio Turri, “Ogni atto sul territorio è un atto politico”, a partire dal semplice atto di “camminare”, il titolo di un altro scritto di Thoreau, l’autore del citato Walden (Walking, 1861).
Ambientato nella decima estate del terzo millennio, il libro narra la vicenda di Gerolamo, che un bel giorno decide di recarsi da Bologna a Firenze a piedi percorrendo la Via degli Dei (una sorta di yellow brick road nostrana, sul modello del mago di Oz) anziché utilizzare la TAV. Cinque giorni contro trentacinque minuti: un viaggio on the road, guardando il mondo a 5 km l’ora, contro mezz’ora seduti in poltrona a sorseggiare spumante (se si è in prima classe), fissando alternativamente il finestrino e lo schermo di un computer.
Armato di zaino e di mappa satellitare, Gerolamo parte alla scoperta della “strada” per immergersi in un paesaggio che troppo spesso è cancellato dalla fretta e dalla velocità. Ecco che nasce così il diario di viaggio di Gerolamo/Wu Ming 2, che arricchendosi di storie si fa via via pretesto per parlare di scandali, morti sul lavoro, sorgenti che si seccano, in un caleidoscopio di immagini che comprendono fascisti e partigiani, la Vergine di San Luca e Veronica Lario, la memoria dell’acqua e le dendrofonie raccontate dal vento, e poi ancora mine e frane, Leonardo da Vinci e Walt Whitman, Kerouac e Win for Life. Il paesaggio è il grande protagonista e insieme la grande vittima di questo racconto, e Gerolamo ne diventa il fedele portavoce: comprende bene che può sembrare assurdo “rivendicare  i diritti del faggio in un Paese dove contano poco i diritti degli stranieri, degli omosessuali e dei senzatetto. Ma in realtà la questione è sempre la stessa: si tratta di capire se l’Altro è solo un rumore di fondo oppure  una voce che bisognerebbe ascoltare”.

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13 commenti su “Pregiudizi sbaragliati a cinque chilometri all’ora

  1. Grazie per aver messo le recensioni tutte a disposizione qui.
    Vorrei sottolineare quanto i notturni siano preziosi. Mi viene in mente, a proposito della grande galleria, che conosco persone che si sono sentite molto a disagio entrando la prima volta in un bosco di montagna, vuoi per il grande silenzio che è invece pieno del rombo degli insetti, o del crack improvviso dei rami, vuoi per il vento che fa muovere gli alberi ma non lo vedi, vuoi per quello che racconta WM2 nel libro… Hanno una sensazione negativa, ‘sarà un fatto ancestrale’ dicono (c’è anche quello che conosce la montagna e ti assicura che la natura racconta tante storie. Comunque è un ‘ascoltatore’ passivo). Nel notturno 2 chi ascolta invece viene invitato ad avvicinarsi, a condividere una memoria comune, e messo in grado di capire che le nostre storie e le morti hanno inciso in profondità e per sempre anche fuori di noi. Ecco, anche un racconto come questo serve a far capire che il disagio, la paura, è un dialogo mancato.
    P.S. ho ascoltato il notturno 2, dopo aver storto il naso pensando che in questo caso la lettura fosse meglio… no, è andata bene, e secondo me gli ‘effetti speciali ‘ delle voci funzionano.

  2. Io purtroppo conosco molte persone che nei boschi di montagna ci trovano e provano ben poco. Il loro dialogo mancato non produce paura, ma stereotipo. Fanno moto, godono l’aria buona, spaccano i funghi col bastone e non si azzardano a mangiare nemmeno un mirtillo. Come dice Serra, le vere rivelazioni vivono in superficie: proprio per questo si fa molto in fretta a banalizzarle. Capisco lo stress, capisco il bisogno di rilassarsi, ma non ha senso mettersi in cammino per “staccare la spina”. E’ una scelta egoista: si sfrutta un territorio per il proprio benessere senza darsi cura di conoscerlo davvero. Attraversare a piedi un bosco dovrebbe servire ad “attaccare la spina”, non il contrario.

  3. Io ogni tanto quando è stagione vado ad asparagi con mio nonno, e quand’ero più piccolo andavao a funghi con mio padre, vivo in Umbria, nel ternano; qualche anno fa stavo assieme ai due miei cuginetti e da un paesino ( piccolo piccolo ) che si chiama Cerqueto ( frazione di Genga, nelle Marche ) scendemmo attraverso il sentiero fino a Camponocecchio, cioè sbucammo, non è che sapessimo la direzione, poi risalimmo passando per PieroSara, stavolta camminando sull’asfalto. Per dire la camminata che mi ricordo più lunga. Però mi sa che sono arido circa l’argomento, mi piace camminare ma non saprei dire di più. Vabbè, intanto dopo G a U è arrivato ( grazie! ) quest’altro frutto dal bosco-mondo, l’ho preso in libreria il giorno stesso che è uscito e non sapevano dove l’avevano messo, c’hanno provate ( ma si può dire?) in due, e dopo venti minuti una terza tenace ce l’ha fatta. Ho ascoltato anche i due notturni, il secondo nei primi minuti commovente ( vero che sto’ periodo non ce vole granche pour moi ) con la musique à la Philip Glass. E’ che sei bravo, poi ti impegni pure…;-D

  4. Ieri ho fatto un giro nelle Feltrinelli di Bologna. Il sentiero degli dei è invisibile, anche a cercarlo con il lanternino. Ne languono alcune copie nel reparto guide turistiche, ma non figura in mezzo agli altri nostri libri (Q, 54, etc.) Non si capisce bene fino a che punto chi decide la disposizione dei titoli ragioni per generi, e oltre quale soglia (decisa con quale criterio) inizi a ragionare per autori e/o editori. Mi sembra che regnino il caos e l’approssimazione. Non è solo una questione di piccola editoria vs. grande editoria; era già accaduto con New Italian Epic: lo avevano separato dagli altri nostri titoli e sepolto nella ragnatelosa sezione “Critica letteraria”, dove non si avventura praticamente nessuno.

    Ecco alcuni punti che secondo me sono fermi:

    1. Come si diceva qualche giorno fa, il nome “Wu Ming” da solo non significa quasi nulla nelle librerie mainstream. Da solo non basta a far prenotare le copie ai librai né ad avere una buona collocazione sugli scaffali.

    2. Il nome “Wu Ming” diventa significativo solo se si aggancia in un concatenamento attribuzione autoriale precisa + genere + argomento + editore + copertura stampa + tempistica di quest’ultima.
    Un romanzo firmato da tutto il collettivo e pubblicato da Einaudi verrà prenotato e collocato bene.
    Un romanzo solista verrà prenotato di meno e collocato un po’ peggio.
    Un saggio, per quanto “narrativo” e peculiare, verrà prenotato ancor meno e collocato chissà dove.
    Un UNO solista pubblicato da un editore piccolo, e per giunta recensito con molto ritardo, è il peggior concatenamento possibile.

    3. Più in generale: scrivere un UNO è sempre un salto nel buio. Se si azzecca il concatenamento e se il libro di primo acchito pare meno ibrido di quel che è (cioè somiglia a qualcosa di più consueto, es. un reportage), può anche vendere tantissimo, fino agli estremi di Gomorra. Altrimenti, è ostacolato dalla mentalità a compartimenti stagni imperante nell’industria culturale e nelle librerie mainstream, e collocato secondo logiche che ai lettori (sempre più avanti degli addetti ai lavori) risultano contro-intuitive, sbagliate.

    4. Le recensioni, anche quelle scritte da grandi firme (es. Michele Serra) per grandi quotidiani (Repubblica) non hanno molta eco nelle librerie mainstream. Se poi escono un mese dopo la pubblicazione, figurarsi. Dopo anni di attività, posso dire che le recensioni servono davvero a qualcosa solo quando le si rilancia in rete, altrimenti nessuno le vede e il giorno dopo ci avvolge i crisantemi il fioraio della Certosa. Le pagine culturali dei giornali le leggono solo gli addetti ai lavori, e si sa che gli addetti ai lavori non comprano libri, perché li ricevono gratis oppure perché non leggono i libri della concorrenza. Quello che scrivono i giornali ha ripercussioni positive su collocazione e vendite di un libro solo se “straripa” dal ghetto delle pagine culturali e diventa altro (cronaca, costume, politica).

    5. Morale della favola: bisogna insistere con il nostro concatenamento: intensa attività in rete + libero download + “never ending tour” + avere uno “zoccolo duro” di lettori molto attivi che se non vedono il libro chiedono ragguagli, lo ordinano etc. + mantenere saldi i rapporti con le librerie indipendenti + incentivare l’acquisto on line da parte di chi vive in zone “derelitte”, prive di librerie indipendenti.

  5. Rispetto al punto 1, posso dire che sulle prenotazioni un effetto c’è stato, per quanto mitigato dalla paura che si trattasse di un libro “di interesse locale”.
    Sul punto 3, penso che siano avantaggiati gli UNO che si presentano come romanzi, o in collane che pubblicano narrativa. Ediciclo fa soprattutto guide e diari di viaggio e questo contribuisce a rendere ancora più alieno l’oggetto narrativo. Tuttavia, è proprio questa la sfida che mi ha convinto a pubblicare per loro: partire dal formato-guida e sformarlo, stravolgerlo, senza però abbandonare mai il filo dei passi, il racconto sistematico del percorso. Certo un libro alla Rumiz avrebbe avuto più visibilità, ma: 1) non è detto che io sarei stato in grado di scriverlo, 2) I libri alla Rumiz li fa già Rumiz…

  6. Ho fatto un salto a Torino, in centro, ed incuriosito dall’indagine di Wu Ming 1, ho svolto la mia.
    Ecco i risultati.

    Confermo, “Feltrinelli” non vi ama.
    In quella di Piazza Castello che sembra imbottita come un alimentari cinese “Il sentiero degli Dei” era infilato in un angolino seminascosto alla lettera W.
    In quella grossa enorme davanti alla Rinascente, ho girato ma non l’ho trovato (tenete presente che io cercavo precisamente quel romanzo). Forse c’era ma non ci sono riuscito. Oltretutto c’è un settore dedicato alla letteratura di viaggio, ma niente da fare.

    Alla Mondadori, che ha delle vetrine enormi, “Il sentiero degli Dei” non occupava nessun posto tra le novità. Manco di striscio.
    Ma l’ho trovato accanto a “Stella del mattino” e “New thing”, in due copie.

    Chi vi vuole se non bene meglio è la libreria de “La stampa” che invece aveva il libro tra le novità seppur non proprio in una postazione ambita.

    Io aggiungerei ai punti di strategia espressi prima anche quello di scrivere Wu Ming con la “V”, perché con questa iniziale siete sempre infilati in fondo ai corridoi (a SuperFeltrinelli, addirittura voi e Virginia siete coperti da un tavolino per bebè).

    Vu Ming, potrebbe funzionare?

  7. p.s. In compenso “Previsioni del tempo” era parecchio in giro, di fresca ristampa.

  8. Insomma, pare proprio tocchi comprarlo on line :-)

  9. Il risvolto assurdo di tutta la vicenda è che La Feltrinelli di Bologna ha contattato Ediciclo un paio di settimane fa per organizzare una presentazione del Sentiero insieme a Trekking Italia, una strana sinergia che mi ha convinto ad accettare l’invito, dopo anni di reciproca indifferenza con la Effe cittadina. Risultato: il libro è invisibile proprio nello spazio che ospiterà l’incontro, a riprova di quanto andiamo dicendo da sempre, e cioè che la stragrande maggioranza delle librerie Feltrinelli dimostra scarsa cura e scarso interesse per eventi del genere.

  10. @ Paola di giulio:“Mi viene in mente, a proposito della grande galleria, che conosco persone che si sono sentite molto a disagio entrando la prima volta in un bosco di montagna, vuoi per il grande silenzio che è invece pieno del rombo degli insetti, o del crack improvviso dei rami, vuoi per il vento che fa muovere gli alberi ma non lo vedi, vuoi per quello che racconta WM2 nel libro… Hanno una sensazione negativa…”
    C’è una sottotraccia paganeggiante in questo tuo intervento. Sembra alludere a una delle caratteristiche del dio romano Silvano indicato dagli antichi come “Fatuus” cioè divinità che “parla”, caratteristica questa che da sempre trasmette inquietudine. I boschi, nell’immaginario antico, sono luoghi del fantastico e del prodigioso, le foreste si riempiono di mormorii proprio perché Fauno parla. Non a caso la parola *panico* deriva dal nome del dio Pan, altra divinità dei boschi. La natura, nel mondo pagano, è abitata dagli dei e quindi pervasa dal soprannaturale.
    P.S per Wu ming 2.
    Tanto per rimanere in tema… deliziosa la didascalia posta in calce alla foto della “madonnina dei fulmini”.

  11. Anna Luisa, thanks. Non so esattamente perchè si sono spaventate quelle persone, e non voglio psicologizzare le loro sensazioni, ma… sono coscente che esistono delle radici profonde, come dici tu giustamente. Ne ho parlato infatti perchè il notturno di WM2 in questione trasporta quelle sensazioni nell’attualità. Mi sembra che utilizzi gli alberi, il bosco, per dare un messaggio che possiamo capire, condividere, che scaturisce dall’oggi. Non solo una eco di significati lontani, relegati nell’inconscio, ma il presente che adopera lo stesso antico linguaggio. Sentire quei fatti raccontati dal bosco è secondo me molto più efficace di un resoconto di cronaca, proprio per i motivi che dici tu. E quella potenza può contribuire a cambiare la vita, oggi. Oddio, almeno è quello che c’ho visto io :-)

  12. @Paola di giulio: La mia è solo una suggestione estemporanea ovviamente, scritta di getto dopo la lettura del tuo commento, non sono una neopagana anche se amo molto la cultura greco-romana ;-)
    Il libro lo sto ancora leggendo. Terrò conto della tua interpretazione.

  13. @Wu Ming 2 e tutti: vi consiglio di integrare la lettura de “Il sentiero degli Dei”, con la lettura e la visione di questo bel volume illustrato di Roberto Innocenti e Roberto Piumini (http://www.anobii.com/books/Casa_del_tempo/9788887169959/0110a9131cc3188f9d/), che si intreccia con i temi ed i sentieri (è proprio il caso di dirlo) del libro di Wu Ming 2.