N.B. Questa distesa di commenti è un campionario di "fossili" da web. Tra le pagine più antiche di questo sito (e mai "rinfrescate"), risalgono a cinque-quattro anni fa. Wumingfoundation.com era mooolto rozzo e primitivo: niente css né javascript né php, solo crudo html statico coi comandi "classici", <font>, <p>, <b> etc. Immagini cacciate in fretta in mezzo al codice, a volte "scalettate". Incoerenza di stili del font: verdana, arial, helvetica... La vita era meno elegante, prima dei css.
Quando ci arriveranno nuovi commenti, creeremo nuove pagine (the way we do it today) e a queste si giungerà mediante link. Grazie per l'attenzione. (WM, aprile 2005)
 

Asce di guerra: commenti dei lettori
febbraio 2001

I  “pareri dei lettori” sul  sito mi hanno convinta ad andare oltre il semplice “bellissimo” a proposito di AdG.
Le sensazioni:
Sicilia, Caltanissetta, fine anni ‘80.
La nostra protagonista, adolescente, comunista da generazioni, vive il suo periodo di rabbia adolescenziale canalizzando le sue energie nella politica. Prima fgci, poi kollettivi con la kappa,
occupazioni simboliche (che tanto a caltanissetta oltre il simbolico non ci puoi andare), paranoie con gli sbirri, modello delle autoproduzioni...
Poi il momento magico finisce: normalizzazione è la parola d’ordine, il leoncavallo ci insegna che quello che finora abbiamo fatto per puro spirito umanitario ci può fruttare un po' di soldini...Basta kollettivi, che ci rinfacciano quella kappa scomoda, facciamo una bella associazione, democratica, stinta, tanto è solo un problema di apparenza, noi restiamo sempre gli stessi...Associazione Culturale”Tempi moderni” affiliata all’ARCI. La rabbia sparisce.
La nostra protagonista all’associazione non ci ha mai creduto però ci sta dentro perchè tanto o lì dentro o nel nulla e poi l’hanno convinta gli Assalti, è il periodo di “faccio movimento per il Movimento”.
Poi si comincia con “al sindaco, fascista non glielo possiamo dire (anche se è del msi) altrimenti addio finanziamenti” e puttanate varie...
O l’associazione o il nulla? Meglio il nulla
Qualche vibrazione all’università, manifestazioni per le grandi occasioni (tipo il vertice onu sulla criminalità a palermo un paio di mesi fa) addirittura riesumazione di cadaveri (il kollettivo con la kappa) in occasione del G8 di palermo del 17 febbraio (ma ci sarà veramente?)
La nostra eroina vota? Manco a parlarne, anche se la scelta è ogni volta più dura: quante lotte ci sono volute perchè tutti, indipendentemente dal censo o dal sesso, potessero andare a votare? Ma d’altro canto, come si fa a votare (a caltanissetta) per il ministro cardinale (quasi sicuramente candidato per l'ulivo)?

Sicilia, Caltanissetta, XXI secolo.
Dunque, meglio il nulla...
Poi arrivano quei libri che mentre li leggi ti fanno accelerare la corsa del sangue nelle vene, il cuore batte più forte, e la rabbia ritorna, e con lei l’amarezza perchè tanto sai che la rabbia se ne tornerà da dove è venuta senza colpo ferire.
E allora la domanda: una volta disseppelite, le asce di guerra a che servono?

[G.B.]

[...]
ho finito qualche giorno fa di leggere "Asce di guerra".
Permettimi un paio di commenti non richiesti (d'altra parte quando si da' un libro alle stampe i commenti indesiderati sono il minimo che uno si possa aspettare dagli amici...)
Per prima cosa vorrei ringraziarti.
Davvero le storie che avete scritto meritavano di essere raccontate.
Leggerle e' stato per me prima di tutto l'occasione per rabberciare alcune clamorose lacune di cultura storica (se per le guerre d'Indocina la distanza puo' essere una scusante, non lo e' certo per la nostra Resistenza e il dopoguerra).
La parte "Tre fratelli, lo zio Ho e lo zio Sam" era un po' faticosa, ma, almeno per me, preziosa. Leggendo "Q" ricorrevo, spesso invano, all'enciclopedia per vedere che cosa diceva la storiografia "ufficiale" dei fatti che raccontavate, per capire dove si fermavano i fatti e cominciava la vostra immaginazione.
Il vostro punto di vista e' parziale, spesso fastidiosamente parziale, ma non credo ci fosse scelta.
La Storia che raccontate non e' l'unica storia possibile, ne' probabilmente la piu' accurata, ne' sicuramente la piu' obiettiva, ma, raccontata come la raccontate voi, ha una grande forza. Il fatto di raccontarla solo (o quasi) dal punto di vista di Vitaliano la rende si' parziale, ma molto piu' appassionante e piu' vera.
Sugli anni della resistenza e del dopoguerra io ho sempre sentito fare considerazioni del tipo "Eh! in quegli anni si sono fatte un bel po' di porcherie sia da una parte che dall'altra". Frasi cosi', anche se vere (e credo proprio che lo siano), non rendono un gran servizio alla verita', perche' non ti fanno capire niente di cosa veramente sono stati quegli anni.
Per capire almeno un po', quelle tante porcherie bisogna, ogni tanto, sentirsele raccontare. E quando si raccontano porcherie e' difficile essere lucidi, sereni, non violenti.

Concludo con una critica ideologica.
Se la "Postilla sui regimi nati dalle guerre d'Indocina" vuole essere il vostro giudizio "morale" conclusivo su quegli eventi (e messa cosi' in ultima pagina lo sembra proprio...), non sono affatto d'accordo.
Sono convinto che il colonialismo e il capitalismo occidentale in genere abbiano, con violenze, furti e stupri di vario genere, gravissime responsabilita' nell'impoverimento dell'humus culturale, economico,
politico e umano necessario per far nascere una societa' civile.
Ma i regimi, i governi, i partiti e i movimenti non vanno a puttane solo per le condizioni storiche ed economiche.
Ognuno si assuma le proprie responsabilita'.
Vanno a puttane anche e soprattutto perche' sono fatti di uomini, e negli uomini convivono spinte altissime e spinte bassissime. Gli uomini, in questo sta la loro grandezza e la loro debolezza, sono capaci di amare e di odiare, di donare e rubare, di donarsi e di tradire.
Per i cristiani questo e' una conseguenza diretta del peccato originale o meglio del fatto che siamo liberi di scegliere fra Bene e Male.
Per gli altri non lo so.

Cio' detto, attendo con ansia di leggere i vostri prossimi lavori, sicuro che saprete stupirmi come avete fatto fino adesso.

Ci vediamo sul Campo.
Un abbraccio.

P.S.
P.S. In questi giorni ho letto anche "Pantegane e Sangue" e "Canard a
l'orange mecanique". Il  bambino disneiano che e' in me si si deve ancora
riprendere dallo shock (anche se Topolino e' sempre stato piuttosto sulle
palle anche a me...)


[...] ho terminato da pochi giorni “Asce di guerra”.
Come eravamo d’accordo, ti mando volentieri alcune riflessioni che derivano da una prima, veloce lettura (quando un libro lo si legge in fretta è un buon segno, no? Significa che è piaciuto, anche se questo limita le possibilità di analisi). Sono consapevole che possono essere considerazioni superficiali, ma certo anche il lettore medio non va spesso oltre l’impressione ricevuta da un’analoga prima lettura.
Metto insieme considerazioni relative alla struttura e al contenuto: sii indulgente: non sono un critico di professione.  ;-)))
Non ho ancora letto nessuna recensione, per cui i miei commenti sono ancora vergini.

1. Ho l’impressione che vi abbia in qualche modo dato fastidio che “Q” sia stato apprezzato anche da categorie di lettori dai quali voi, per una serie di motivi, vi sentite invece molto distanti. Mi raccontavi, infatti, che tutti quelli che avevano letto “Q” ti dicevano di averci trovato qualcosa che ricordava loro una qualche esperienza, ideale, metafore o espressioni di aspetti più o meno complessi e di contraddizioni della vita. Allora avete voluto scrivere e indirizzare a quegli stessi lettori un libro in cui siete chiaramente schierati. Ma non genericamente dalla parte del debole e dell’oppresso contro forti e prepotenti (scelta che, evidentemente, non avrebbe potuto scontentare nessuno), ma in modo preciso e storicamente determinato. Questa scelta, se può appagarvi maggiormente dal punto di vista ideale e professionale, certamente non contribuirà, in futuro, a disporre nei vostri confronti i lettori così bene come lo erano dopo “Q”. E’ come se aveste sventolato una bandiera e spartito il mondo in due parti: buoni e cattivi, amici e nemici, quelli per cui lottate e quelli ai quali fate la guerra. E, in questi casi, è molto più facile ottenere l’avversione dei nemici che il favore degli amici. Mi sembra quasi che abbiate fatto un poco come Brizzi quando, dopo essere stato accusato di “buonismo”, se ne è uscito con Bastogne.

2. Per tutta la prima parte di “Asce di guerra” ci si domanda se esiste una storia vera e propria, se c’è un nucleo centrale o si continuerà sullo stesso registro, trasferendosi di continuo in anni, storie e personaggi diversi, come se si mettesse insieme questa specie di collage per voler mascherare il fatto di non disporre del materiale sufficiente per scrivere un’opera organica e completa. Le prime 100 pagine (e forse più) danno al lettore ( a me…) l’impressione di trovarsi ancora in una sorta di introduzione, in attesa di qualcosa che deve ancora accadere.

3. La “Storia disinvolta delle guerre d’Indocina” è difficile da seguire, tranne che nell’ultimissima parte. Soprattutto, è un genere troppo diverso da quello a cui appartiene il resto, interessa più a chi vuole affrontare un libro di storia che a chi vuole leggere un romanzo. E non sempre è facile che lo stesso lettore assommi in sé questi due desideri. La conseguenza più probabile è che molti salteranno a pié pari almeno alcuni di quei capitoli. Poi, in generale, voi dite che scrivete partendo là dove si ferma lo storico. Ma se questa volontà era palese in “Q”, qui lo è molto meno. Comunque, mi sembra che lo spazio dato al “cono d’ombra” sia molto limitato.

4. Nel corso della serata di presentazione, a Casalecchio, si è parlato quasi solo di storia, pressoché nulla del romanzo. Ora, certamente questo è stato dovuto alla presenza di numerose persone che compaiono nel libro, per cui le loro testimonianze sono state estremamente interessanti (e direi anche preziose, visto che si tratta, ovviamente, di persone in età, che non potranno testimoniare direttamente ancora a lungo…). Inoltre, Vitaliano è un narratore fantastico, capace di affascinare il pubblico non solo con il racconto di una vita assolutamente fuori della norma, ma anche con la sua travolgente passionalità. Però, questo conferma che il romanzo piacerà di più chi è interessato ad approfondire un certo periodo della storia d’Italia che a chi ha voglia di leggersi una (perdona l’ossimoro (si chiama così?)) storia.

5. Daniele Zani è un personaggio che, per come è presentato, appare poco verosimile. Sembra piuttosto la somma di personaggi diversi. Mette insieme un che del professionista rampante e dell’incazzato sociale, della persona legata agli affetti più cari e tradizionali e di quella che lotta contro ogni ipocrisia e convenzione “borghese”, di fiducia nella possibilità di raggiungere nobili traguardi e di cinismo. Inoltre, le sue vicende (e tutte le altre ambientate nel recentissimo passato) realizzano uno stacco che, a mio parere, è troppo netto rispetto al resto.

6. Come mai non c’è un indice, all’inizio o alla fine?

7. L’impostazione è decisamente (ed eccessivamente?) manichea: la ragione è tutta da una parte, i torti sono tutti dall’altra. Viene sposato, in modo apparentemente acritico, un certo modo di interpretare la storia di quegli anni. A leggere, sembra che i partigiani siano stati tutti perseguitati dall’apparato statale negli anni successivi alla guerra, partendo dall’inizio della “guerra fredda”, che i loro meriti siano stati generalmente disconosciuti, che siano stati considerati e trattati come delinquenti piuttosto che come persone che lottavano per la libertà. Ora, io che (purtroppo) ho vissuto, da persona abbastanza adulta e consapevole buona parte degli anni ’70 e gli anni ’80, ho sempre avuto l’impressione esattamente opposta, cioè che tutti quelli che erano i “valori della Resistenza” e che in qualche modo riguardavano la lotta di liberazione e i partigiani, fossero come circondati da un alone di sacralità, un alone che li rendeva sostanzialmente intoccabili e immuni da qualsiasi tipo di critica. Sarà perché io, nonostante scelte diverse, sono istintivamente e inevitabilmente “destroso”, o perché ho vissuto nella Rossa Emilia, o perché i miei genitori hanno conosciuto persone che sono state eliminate dopo la guerra per ragioni (a loro dire) esclusivamente di vendetta personale, però i comunisti bolognesi non mi hanno mai dato l’impressione di essere vessati dall’apparato statale, tanto da doversi praticamente nascondere. Quindi, la mia impressione e che abbiate descritto come regola quella che invece era un’eccezione. Ravagli stesso (forse più di ogni altro) taglia con l’accetta il mondo in buoni e cattivi. Il fatto è che tra i cattivi non mette solo i “cattivissimi” (fascisti, democristiani, preti, qualunquisti convertiti dal fascismo al comunismo), ma anche la maggior parte dei “compagni”. Anzi, praticamente ce li mette tutti, tranne pochissimi “puri”, quelli che non si sono piegati a nessun compromesso, quelli che avrebbero voluto fare la rivoluzione Quelli come lui, insomma. Però, lui stesso è, ad esempio, indulgente verso il padre quando, fiaccato da anni di angherie, si piega a compromessi per lavorare. Non dimostra però in altri casi la stessa indulgenza e capacità di ammettere che scelte e situazioni sono spesso complesse. Non c’è nessuna umana pietà per i nemici uccisi (tranne quando si tratta di bambini), non c’è nessuna scusante per la loro scelta di campo, non c’è nessuna giustificazione per quello che fanno. Mentre a loro (i puri) è consentito tutto, visto che si battono per il supremo ideale della giustizia e del comunismo. E che nessuno si permetta di sindacare.

Conosco un tale [...] Si è arruolato nell’esercito della Repubblica di Salò quando aveva poco più di 15 anni (abitava dalle parti di Verona). Dopo la guerra ha capito che per lui tirava brutta aria ed è scappato in Francia, a Marsiglia, dove si è arruolato nella legione Straniera. In seguito, dato che il suo reparto doveva essere mandato in Indocina (e lui sapeva che là si faceva la guerra sul serio e non aveva nessuna intenzione di lasciarci la pelle) ha disertato e se ne è tornato in Italia dove, nel frattempo, le acque si erano calmate. E’ entrato in polizia, e vi è rimasto fino alla pensione.
Oggi vota Rauti, partecipa a raduni di ex Repubblichini e, sicuramente, nella sua carriera di poliziotto, non deve essere stato molto benevolo nei confronti delle manifestazioni di sinistra. Però non mi pare una persona disonesta, ha un suo punto di vista sulle cose e, se ha fatto certe scelte, non credo proprio che sia stato per interesse personale.
La sua vicenda, se da un lato conferma il fatto che l’apparato della polizia nel dopoguerra era in buona parte costituito da ex fascisti (forse anche perché chi è un amante dell’ordine e della disciplina è, indipendentemente dalle condizioni storiche, più facile che entri in polizia di uno anarchicheggiante, o no?…), ci insegna anche che se, alla fine di una guerra, si entra nella logica di regolare i conti in sospeso, non si sa mai né dove si andrà a finire, né se le persone coinvolte se lo meritano effettivamente. E, probabilmente, non ne vale la pena.

Bene.Per adesso, sono arrivato alla fine.
Mi rendo conto di aver forse poco evidenziato gli aspetti positivi di “Asce di guerra”, che sono davvero tanti. Ma, se un libro si deve soprattutto leggere volentieri, ho detto all’inizio che il vostro l’ho divorato in pochi giorni. E, comunque, è quasi superfluo aggiungere che siete molto bravi, che il vostro esperimento di “laboratorio di scrittura” è estremamente interessante, anche se indubbiamente difficile da portare avanti (e molti si domandano se farete come i gruppi musicali, che dopo qualche anno, quasi sempre si dividono).
Per il resto, fai come suggerisce S. Paolo: ascolta tutto, tieni solo ciò che è buono.

Stammi benone, in bocca al lupo per tutto.

R.F.

 

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